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Corte d’Appello di Milano: le piattaforme di video sharing non sono responsabili della pubblicazione di contenuti che violano il diritto d’autore

La Corte d’Appello di Milano con la Sentenza n. 29 del 22 gennaio 2015 ha stabilito che le piattaforme di video sharing, nel caso specifico Yahoo Video, non sono responsabili della pubblicazione di contenuti da parte degli utenti che violano i diritti d’autore di soggetti terzi, così riformando sul punto la sentenza di primo grado (Tribunale di Milano, 9 settembre 2011, n. 10893).

Reti Televisive Italiane S.p.a. aveva lamentato in giudizio la pubblicazione, da parte di alcuni utenti, sulla piattaforma di video sharing di proprietà di Yahoo! Italia S.r.l. di alcuni “spezzoni” di trasmissioni televisive in violazione dei propri diritti d’autore.

Il giudice di primo grado, accogliendo le richieste di parte attrice, aveva sostenuto che a Yahoo! non fosse applicabile il regime di esonero da responsabilità per gli hosting provider previsto dall’articolo 16 del Decreto Legislativo n. 70/2013, attuativo della Direttiva 2000/31/CE. Detto articolo prevede che “Nella prestazione di un servizio della società dell’informazione consistente nella memorizzazione di informazioni fornite da un destinatario del servizio, il prestatore non è responsabile delle informazioni memorizzate a richiesta di un destinatario del servizio, a condizione che detto prestatore: a) non sia effettivamente a conoscenza del fatto che l’attività o l’informazione è illecita e, per quanto attiene ad azioni risarcitorie, non sia al corrente di fatti o di circostanze che rendono manifesta l’illiceità dell’attività o dell’informazione; b) non appena a conoscenza di tali fatti, su comunicazione delle autorità competenti, agisca immediatamente per rimuovere le informazioni o per disabilitarne l’accesso”.

Secondo il Tribunale di Milano l’attività di Yahoo! non poteva ritenersi rientrante in questa definizione in quanto l’azienda americana associa ai contenuti caricati dagli utenti pubblicità mirata, li indicizza per restituirli come risultati nel motore di ricerca interno e li elenca in base alle preferenze manifestate dagli utenti. Questi elementi sarebbero indici di un’“attività” svolta dal provider, ulteriore rispetto alla mera pubblicazione di contenuti altrui. I servizi offerti mostrerebbero una “diversa figura di prestatore di servizi non completamente passiva e neutra rispetto all’organizzazione della gestione dei contenuti immessi dagli utenti (cd. hosting attivo)”. Da tale affermazione il tribunale faceva, quindi, conseguire in capo Yahoo! un obbligo di predisporre un sistema di controllo sui contenuti caricati dagli utenti.

Il giudice dell’appello ha ritenuto diversamente di dover affermare che, in mancanza di ulteriori indici che possano provare l’effettiva attività “manipolativa nel trattamento dei dati immessi”, il servizio offerto da Yahoo! rientra a tutti gli effetti nella definizione di hosting (passivo) e perciò “deve essere inquadrata e sussunta nelle previsioni di cui al Decreto Legislativo n. 70/2003 (articoli 16 e 17)”. Tale normativa sancisce un regime di esenzione da responsabilità dell’hosting provider per le informazioni fornite da un destinatario del servizio (articolo 16), e l’assenza di un obbligo generale di sorveglianza sulle informazioni che trasmette o memorizza, nonché la mancanza di un obbligo generale di ricercare attivamente fatti o circostanze che indichino la presenza di attività illecite (articolo 17).

L’obbligo di controllo specifico e di rimozione, imposto all’hosting provider, nasce solo nel momento in cui viene messo a conoscenza del contenuto illecito di specifici contenuti pubblicati dagli utenti. L’onere di specifica sorveglianza e controllo grava sul titolare del diritto d’autore violato, mentre al gestore del provider spetta il solo obbligo di rimozione del contenuto in seguito alla segnalazione dell’illecito, con il conseguente sorgere in capo ad esso di una eventuale responsabilità “a posteriori” nel caso in cui non ottemperi a tale richiesta.

Inoltre, spiega la Corte, per far sorgere l’obbligo di rimozione in capo al provider, la diffida inviata dal titolare del diritto d’autore violato deve essere specifica e circostanziata, ovvero deve indicare le URL o i link dei contenuti illegittimi presenti sul sito; sarebbe, invece, insufficiente una diffida generica che indichi il solo nome o titolo commerciale dell’opera violata.

(Corte d’Appello di Milano, 22 gennaio 2015, n. 29)

Dott. Andrea Gabrielli

La Corte d’Appello di Milano con la Sentenza n. 29 del 22 gennaio 2015 ha stabilito che le piattaforme di video sharing, nel caso specifico Yahoo Video, non sono responsabili della pubblicazione di contenuti da parte degli utenti che violano i diritti d’autore di soggetti terzi, così riformando sul punto la sentenza di primo grado (Tribunale di Milano, 9 settembre 2011, n. 10893).

Reti Televisive Italiane S.p.a. aveva lamentato in giudizio la pubblicazione, da parte di alcuni utenti, sulla piattaforma di video sharing di proprietà di Yahoo! Italia S.r.l. di alcuni “spezzoni” di trasmissioni televisive in violazione dei propri diritti d’autore.

Il giudice di primo grado, accogliendo le richieste di parte attrice, aveva sostenuto che a Yahoo! non fosse applicabile il regime di esonero da responsabilità per gli hosting provider previsto dall’articolo 16 del Decreto Legislativo n. 70/2013, attuativo della Direttiva 2000/31/CE. Detto articolo prevede che “Nella prestazione di un servizio della società dell’informazione consistente nella memorizzazione di informazioni fornite da un destinatario del servizio, il prestatore non è responsabile delle informazioni memorizzate a richiesta di un destinatario del servizio, a condizione che detto prestatore: a) non sia effettivamente a conoscenza del fatto che l’attività o l’informazione è illecita e, per quanto attiene ad azioni risarcitorie, non sia al corrente di fatti o di circostanze che rendono manifesta l’illiceità dell’attività o dell’informazione; b) non appena a conoscenza di tali fatti, su comunicazione delle autorità competenti, agisca immediatamente per rimuovere le informazioni o per disabilitarne l’accesso”.

Secondo il Tribunale di Milano l’attività di Yahoo! non poteva ritenersi rientrante in questa definizione in quanto l’azienda americana associa ai contenuti caricati dagli utenti pubblicità mirata, li indicizza per restituirli come risultati nel motore di ricerca interno e li elenca in base alle preferenze manifestate dagli utenti. Questi elementi sarebbero indici di un’“attività” svolta dal provider, ulteriore rispetto alla mera pubblicazione di contenuti altrui. I servizi offerti mostrerebbero una “diversa figura di prestatore di servizi non completamente passiva e neutra rispetto all’organizzazione della gestione dei contenuti immessi dagli utenti (cd. hosting attivo)”. Da tale affermazione il tribunale faceva, quindi, conseguire in capo Yahoo! un obbligo di predisporre un sistema di controllo sui contenuti caricati dagli utenti.

Il giudice dell’appello ha ritenuto diversamente di dover affermare che, in mancanza di ulteriori indici che possano provare l’effettiva attività “manipolativa nel trattamento dei dati immessi”, il servizio offerto da Yahoo! rientra a tutti gli effetti nella definizione di hosting (passivo) e perciò “deve essere inquadrata e sussunta nelle previsioni di cui al Decreto Legislativo n. 70/2003 (articoli 16 e 17)”. Tale normativa sancisce un regime di esenzione da responsabilità dell’hosting provider per le informazioni fornite da un destinatario del servizio (articolo 16), e l’assenza di un obbligo generale di sorveglianza sulle informazioni che trasmette o memorizza, nonché la mancanza di un obbligo generale di ricercare attivamente fatti o circostanze che indichino la presenza di attività illecite (articolo 17).

L’obbligo di controllo specifico e di rimozione, imposto all’hosting provider, nasce solo nel momento in cui viene messo a conoscenza del contenuto illecito di specifici contenuti pubblicati dagli utenti. L’onere di specifica sorveglianza e controllo grava sul titolare del diritto d’autore violato, mentre al gestore del provider spetta il solo obbligo di rimozione del contenuto in seguito alla segnalazione dell’illecito, con il conseguente sorgere in capo ad esso di una eventuale responsabilità “a posteriori” nel caso in cui non ottemperi a tale richiesta.

Inoltre, spiega la Corte, per far sorgere l’obbligo di rimozione in capo al provider, la diffida inviata dal titolare del diritto d’autore violato deve essere specifica e circostanziata, ovvero deve indicare le URL o i link dei contenuti illegittimi presenti sul sito; sarebbe, invece, insufficiente una diffida generica che indichi il solo nome o titolo commerciale dell’opera violata.

(Corte d’Appello di Milano, 22 gennaio 2015, n. 29)

Dott. Andrea Gabrielli