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Privacy - Cassazione: l’informativa sul trattamento dei dati personali è necessaria anche in caso di installazione del citofono-videocamera

La Corte di Cassazione ha stabilito che costituisce trattamento di dati personali anche la raccolta di immagini attraverso una telecamera - citofono che, sebbene non collegata a nessun registratore, permetta a terzi di individuare la presenza di soggetti in un dato luogo. In quanto tale, il dispositivo deve essere accompagnato da un pannello che ne indichi la presenza e fornisca adeguata informativa.

Nel caso in esame, a seguito di un’attività di controllo amministrativo in un locale commerciale, le forze dell’ordine accertavano la presenza, all’interno del locale, di una videocamera - citofono, utilizzata dal titolare dell’attività con lo scopo di sorvegliare l’accesso del proprio negozio, collegata ad un monitor ubicato nell’ufficio del titolare.

Constatando la mancanza dell’apposito cartello informativo, previsto dall’articolo 13 del Decreto Legislativo n.196/2003 (“Codice Privacy”), le forze dell’ordine procedevano alla contestazione dell’illecito amministrativo previsto dall’articolo 161 del citato Codice Privacy.

Il titolare dell’esercizio commerciale trasmetteva al Garante per la protezione dei dati personali un proprio scritto difensivo, con il quale chiariva che l’installazione della telecamera aveva un’esclusiva funzione di sicurezza, non concretizzandosi in alcuna violazione della normativa sulla privacy.

Al termine dell’attività istruttoria, il Garante adottava un’ordinanza nella quale affermava che l’attività in questione costituiva trattamento di dati personali, che in mancanza di apposita informativa era da considerarsi illegittima.

L’imprenditore ricorreva in giudizio avverso l’ordinanza del Garante Privacy. Il giudice di merito accoglieva la domanda attorea, ritenendo che la videosorveglianza effettuata da detto esercizio commerciale rientrava nel concetto di “trattamento” ma ai sensi della normativa vigente non era possibile individuare “dati personali”.

Avverso tale decisione, l’Autorità per la protezione dei dati personali presentava ricorso in Cassazione, denunciando violazione e falsa applicazione delle norme del Codice Privacy, violazione dei principi generali in materia di tutela dei dati personali e omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione, ritendendo la definizione di “dato personale” utilizzata dal giudice di merito in contrasto con la previsione normativa.

La Corte di Cassazione ha accolto il ricorso dell’Autorità. Ha ritenuto innanzitutto corretto l’accertamento compiuto dal giudice di merito nel definire l’attività oggetto di contestazione (installazione di una videocamera per rilevare la presenza nel locale di clienti, seppur non collegato ad alcun registratore ma esclusivamente ad un monitor ubicato nell’ufficio del titolare) un trattamento rilevante ai sensi dell’articolo 4 del Codice Privacy, poiché, alla luce della definizione legislativa, integra trattamento anche la mera attività di raccolta di dati personali.

Opposto è il concetto di “dato personale” utilizzato dai giudici nei due gradi di giudizio. Il giudice di merito aveva ritenuto di non poter ravvisare nella ripresa delle immagini di coloro che frequentavano il locale la consistenza di dato personale. A norma dell’articolo 4, comma 1, lettera b) del Codice costituisce “dato personale” qualunque informazione relativa a persona fisica, identificata o identificabile, anche indirettamente, mediante riferimento a qualsiasi altra informazione, ivi compreso un numero di identificazione personale.

Il giudice di merito aveva ritenuto che l’immagine di una persona non potesse essere definita dato personale in assenza di elementi oggettivi che ne consentivano una oggettiva identificazione, valorizzando “le modalità e la funzione della videoripresa, finalizzata unicamente a consentire al titolare di controllare l’accesso delle persone nel proprio locale per il tempo in cui lo stesso si trovava nel suo ufficio, in assenza di ogni potenziale identificazione delle persone, riprese da un apparecchio di non elevata definizione, senza alcuna possibilità di registrazione delle immagini”.

Mentre il primo giudice faceva applicazione del principio per cui “l’immagine di una persona, pur possedendo capacità identificativa del soggetto, quando viene trattata non integra automaticamente la nozione di dato personale ma lo diviene qualora chi esegue il trattamento la correli espressamente ad una persona mediante didascalia o altra modalità, da cui sia possibile identificarla, restando invece irrilevante, in mancanza di tali indicazioni, la circostanza che chi percepisce l’immagine sia in grado, per le sue conoscenze personali, di riconoscere la persona ritratta”, la Cassazione ha adottato un diverso principio, in base al quale l’immagine di una persona non può non costituire un dato personale, trattandosi di dato immediatamente idoneo a identificare una persona, indipendentemente dal modo in cui questa venga visualizzata o impressa.

Se la possibilità della installazione della videocamera poteva ritenersi giustificata dalle esigenze di sicurezza prospettate dal titolare dell’esercizio commerciale, detta attività integrante trattamento di dati personali avrebbe dovuto formare oggetto di apposita informativa ai sensi dell’articolo 13 del Codice Privacy.

L’informativa, continua la Corte, deve fornire gli elementi previsti dal Codice anche con formule sintetiche, ma chiare e senza ambiguità. Il supporto deve essere collocato nei luoghi ripresi o nelle immediate vicinanze, non necessariamente a contatto con la telecamera; deve avere un formato e un posizionamento tale da essere chiaramente visibile, può inglobare un simbolo di immediata ed esplicita comprensione”.

Non essendo stata riscontrata nel locale commerciale alcuna informativa, la Corte di Cassazione ha ritenuto legittimo il provvedimento sanzionatorio inflitto al ricorrente per violazione degli articoli 13 e 161 del Codice Privacy, ha accolto il ricorso e cassato la sentenza impugnata.

(Corte di Cassazione - Seconda Sezione Civile, Sentenza 2 settembre 2015, n. 17440)

La Corte di Cassazione ha stabilito che costituisce trattamento di dati personali anche la raccolta di immagini attraverso una telecamera - citofono che, sebbene non collegata a nessun registratore, permetta a terzi di individuare la presenza di soggetti in un dato luogo. In quanto tale, il dispositivo deve essere accompagnato da un pannello che ne indichi la presenza e fornisca adeguata informativa.

Nel caso in esame, a seguito di un’attività di controllo amministrativo in un locale commerciale, le forze dell’ordine accertavano la presenza, all’interno del locale, di una videocamera - citofono, utilizzata dal titolare dell’attività con lo scopo di sorvegliare l’accesso del proprio negozio, collegata ad un monitor ubicato nell’ufficio del titolare.

Constatando la mancanza dell’apposito cartello informativo, previsto dall’articolo 13 del Decreto Legislativo n.196/2003 (“Codice Privacy”), le forze dell’ordine procedevano alla contestazione dell’illecito amministrativo previsto dall’articolo 161 del citato Codice Privacy.

Il titolare dell’esercizio commerciale trasmetteva al Garante per la protezione dei dati personali un proprio scritto difensivo, con il quale chiariva che l’installazione della telecamera aveva un’esclusiva funzione di sicurezza, non concretizzandosi in alcuna violazione della normativa sulla privacy.

Al termine dell’attività istruttoria, il Garante adottava un’ordinanza nella quale affermava che l’attività in questione costituiva trattamento di dati personali, che in mancanza di apposita informativa era da considerarsi illegittima.

L’imprenditore ricorreva in giudizio avverso l’ordinanza del Garante Privacy. Il giudice di merito accoglieva la domanda attorea, ritenendo che la videosorveglianza effettuata da detto esercizio commerciale rientrava nel concetto di “trattamento” ma ai sensi della normativa vigente non era possibile individuare “dati personali”.

Avverso tale decisione, l’Autorità per la protezione dei dati personali presentava ricorso in Cassazione, denunciando violazione e falsa applicazione delle norme del Codice Privacy, violazione dei principi generali in materia di tutela dei dati personali e omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione, ritendendo la definizione di “dato personale” utilizzata dal giudice di merito in contrasto con la previsione normativa.

La Corte di Cassazione ha accolto il ricorso dell’Autorità. Ha ritenuto innanzitutto corretto l’accertamento compiuto dal giudice di merito nel definire l’attività oggetto di contestazione (installazione di una videocamera per rilevare la presenza nel locale di clienti, seppur non collegato ad alcun registratore ma esclusivamente ad un monitor ubicato nell’ufficio del titolare) un trattamento rilevante ai sensi dell’articolo 4 del Codice Privacy, poiché, alla luce della definizione legislativa, integra trattamento anche la mera attività di raccolta di dati personali.

Opposto è il concetto di “dato personale” utilizzato dai giudici nei due gradi di giudizio. Il giudice di merito aveva ritenuto di non poter ravvisare nella ripresa delle immagini di coloro che frequentavano il locale la consistenza di dato personale. A norma dell’articolo 4, comma 1, lettera b) del Codice costituisce “dato personale” qualunque informazione relativa a persona fisica, identificata o identificabile, anche indirettamente, mediante riferimento a qualsiasi altra informazione, ivi compreso un numero di identificazione personale.

Il giudice di merito aveva ritenuto che l’immagine di una persona non potesse essere definita dato personale in assenza di elementi oggettivi che ne consentivano una oggettiva identificazione, valorizzando “le modalità e la funzione della videoripresa, finalizzata unicamente a consentire al titolare di controllare l’accesso delle persone nel proprio locale per il tempo in cui lo stesso si trovava nel suo ufficio, in assenza di ogni potenziale identificazione delle persone, riprese da un apparecchio di non elevata definizione, senza alcuna possibilità di registrazione delle immagini”.

Mentre il primo giudice faceva applicazione del principio per cui “l’immagine di una persona, pur possedendo capacità identificativa del soggetto, quando viene trattata non integra automaticamente la nozione di dato personale ma lo diviene qualora chi esegue il trattamento la correli espressamente ad una persona mediante didascalia o altra modalità, da cui sia possibile identificarla, restando invece irrilevante, in mancanza di tali indicazioni, la circostanza che chi percepisce l’immagine sia in grado, per le sue conoscenze personali, di riconoscere la persona ritratta”, la Cassazione ha adottato un diverso principio, in base al quale l’immagine di una persona non può non costituire un dato personale, trattandosi di dato immediatamente idoneo a identificare una persona, indipendentemente dal modo in cui questa venga visualizzata o impressa.

Se la possibilità della installazione della videocamera poteva ritenersi giustificata dalle esigenze di sicurezza prospettate dal titolare dell’esercizio commerciale, detta attività integrante trattamento di dati personali avrebbe dovuto formare oggetto di apposita informativa ai sensi dell’articolo 13 del Codice Privacy.

L’informativa, continua la Corte, deve fornire gli elementi previsti dal Codice anche con formule sintetiche, ma chiare e senza ambiguità. Il supporto deve essere collocato nei luoghi ripresi o nelle immediate vicinanze, non necessariamente a contatto con la telecamera; deve avere un formato e un posizionamento tale da essere chiaramente visibile, può inglobare un simbolo di immediata ed esplicita comprensione”.

Non essendo stata riscontrata nel locale commerciale alcuna informativa, la Corte di Cassazione ha ritenuto legittimo il provvedimento sanzionatorio inflitto al ricorrente per violazione degli articoli 13 e 161 del Codice Privacy, ha accolto il ricorso e cassato la sentenza impugnata.

(Corte di Cassazione - Seconda Sezione Civile, Sentenza 2 settembre 2015, n. 17440)