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Come far fronte al burnout nelle educatrici di nido

Educatrici
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In un asilo nido il benessere dei bambini è strettamente connesso al benessere delle educatrici. Mi sono spesso chiesta se fosse più importante mettere al centro il benessere dei bambini o quello delle educatrici.

Essendo il nostro lavoro molto simile a quello di una mamma, credo che la prima cosa evidente sia la centralità del bambino. Quando in una famiglia arriva un bimbo tutto l’assetto familiare cambia, le abitudini, gli orari… tutto insomma ruota intorno al nuovo arrivato e alle sue esigenze.

I bambini piccoli come è noto hanno la caratteristica di essere egocentrici… si parla anche di “delirio di onnipotenza”, perché per natura si impongono come esseri che hanno bisogno di essere soddisfatti in tutto, in quanto totalmente dipendenti. Sarà poi grazie alla relazione con i genitori e gli adulti attorno a loro, che impareranno a poco a poco a scoprire l’altro come altro da sé, dotato anche lui di esigenze da rispettare. Ugualmente in un asilo Nido è necessario che i bisogni dei bambini siano messi al centro così da orientare tutte le scelte educative avendo come metro di paragone il bene e il benessere dei piccoli.

Dovremmo ogni volta chiederci se l’azione di cura ha questo come obiettivo primario. Ciò comporta anche un cercare di immedesimarsi nel bambino, in quello che sta vivendo, per capire quello che vuole dirmi, (magari non potendo ancora esprimersi verbalmente) e di conseguenza rispondere in modo adeguato. I bambini sono presenze che si impongono, richiedono tante attenzioni e occorre mettersi in ascolto dei loro bisogni.

Per mettere al centro tali bisogni occorrerà decentrarsi da sé, dalle proprie voglie e dai propri comodi. Questo implica anche acquisire una certa elasticità che porta ad uscire dagli schemi.

Ad esempio se un bambino chiede da bere e non è il momento della merenda o della frutta, cosa facciamo? Certo accontentare 20 bambini in una volta non è semplice, però a mio parere ciascun bambino richiede attenzioni rivolte a lui in modo esclusivo e non si può correre il rischio di considerarli una massa indefinita che deve sottostare a regole prestabilite. Nel corso degli anni mi sono accorta, per averlo vissuto in prima persona, che spesso nella giornata le scelte partono da un proprio comodo: le richieste del bambino, spesso richiedono di rinunciare a qualcosa di sé.

Tuttavia avere di mira anche il proprio benessere e non solo quello del bambino è sempre sbagliato? Se una educatrice non pensasse mai a sé, al proprio benessere, farebbe molta più fatica a cercare di promuovere il benessere dei piccoli. E poi, mi sono chiesta, perché spesso mettiamo in pratica scelte egoistiche nella nostra azione quotidiana? Non è forse anche un istinto di sopravvivenza che ci fa compiere tali scelte? Quanto la paura di affaticarsi troppo è presente nella mente di una educatrice?

Cercando di rispondere alla domanda da cui sono partita e cioè se debba essere messo al centro il bambino o l’educatrice, mi veniva alla mente, come semplice esempio, il momento del pranzo con i bambini. Per mia esperienza il pranzo è un momento in cui devi occuparti in modo particolare dei bambini che spesso non sanno ancora mangiare da soli e se al tavolo ci sono 7 bambini devi per forza dedicarti a ciascuno di loro. Nutrirsi è una esigenza primaria per tutti, bambini e adulti. Tuttavia in molti Nidi le educatrici devono consumare il loro stesso pasto con i bambini, cioè non è contemplato, per motivi organizzativi, un momento anche di soli 15 minuti in cui l’adulto possa mangiare. Vi lascio dunque immaginare che pranzo rilassante, (come invece dovrebbe essere), così altalenante tra due necessità primarie: sfamare i bambini e cercare di ingurgitare qualcosa al volo per avere un po’ di energie. Quindi se da un lato emerge la stretta necessità di partire dai bisogni dei bambini, dall’altro non si può sottacere del tutto e non prendere in considerazione i bisogni di chi li educa.

Per rispondere a tali bisogni vorrei ora delineare alcune proposte che consentono, a mio avviso, di contrastare il malessere del personale educativo, riducendo, di conseguenza, lo stress da lavoro (burnout).

Come è noto, avere una motivazione nel proprio lavoro è fondamentale e questo non può essere un processo di autoconvincimento personale. Sicuramente ciascuna è portata a riflettere su cosa l’ha spinta a lavorare in ambito educativo e sul perché ci sta lavorando, ma da cosa e da chi siamo aiutate e supportate in questo lavoro di ricerca di una motivazione?

Credo che la formazione non tanto curricolare ma continua sia un elemento fondamentale. Ogni asilo Nido dovrebbe promuovere corsi per le educatrici che interessino tematiche, problematiche concrete e quotidiane in cui spesso ci si imbatte. Ricordo ancora i corsi di formazione che feci sul gioco, sulle relazioni con i bambini e con gli adulti, sulle abitudini alimentari. Partendo dalla mia esperienza e dal confronto con alcune colleghe, ho constatato che nel Nido privato questo aspetto è davvero ben curato, mentre nel comunale in questo campo c’è purtroppo una maggiore carenza. Con quanto più gusto e con quanto più entusiasmo ho lavorato avendo partecipato a corsi di formazione! E la grande utilità di questi corsi è data anche dai momenti di confronto e condivisione con altre educatrici, che sono di grandissima importanza per mantenere viva quella passione che negli anni può essersi un po’ affievolita.

Un’altra proposta che mi verrebbe da fare riguarda la capienza dei nidi. Avendo avuto modo di lavorare in nidi da 72, da 56, da 48, da 32 bambini, devo ammettere che più un nido è piccolo, con un numero adeguato di educatrici, più si evita un clima caotico e di confusione. E un bambino ha bisogno di vedere intorno a sé calma e ordine.

Per quanto riguarda il rapporto numerico educatrice/bambino il dibattito è molto discusso e tale rapporto non dovrebbe essere stabilito in base all’arbitrio di ogni Nido. Esistono normative regionali che sanciscono i rapporti numerici, ma spesso lo spirito della norma viene decisamente travisato: è infatti incomprensibile che nello stabilire il numero adeguato di educatrici non si tenga conto di tutte le fasce orarie, e ci si basi su semplici calcoli matematici, dividendo in modo sommario il numero totale dei bambini presenti per le educatrici che, come si sa, lavorano su turni. In ogni fascia oraria, escludendo forse il momento del sonno, dovrebbe esserci il seguente rapporto: sotto i 12 mesi 1 a 5, tra i 12 e i 24 mesi 1 a 6, infine tra i 24 e i 36 mesi 1 a 7. Molti leggendo ciò si saranno fatti una “grassa risata” pensando a pura utopia… Ma perché invece non modificare i numeri pensando al bene dei bambini e ad evitare un eccessivo sovraccarico delle educatrici?

Il nostro lavoro rientra tra i quelli usuranti. A lungo andare infatti il carico sia fisico che psicologico si fa davvero sentire e ipotizzare di andare in pensione a 67 anni è la cosa più divertente e ridicola che si possa concepire! Ma qualcuno si riesce immaginare una educatrice di 67 anni in un nido?

Un’alternativa che alcuni Comuni adottano è quella di prevedere un distaccamento negli uffici comunali, per motivi di salute. Molte educatrici patiscono questo distacco dai bambini anche perché vengono loro affidati compiti di segreteria che appaiono forse un po’ sterili per chi è abituato a un lavoro incentrato sulle relazioni umane. Nel comune di Milano fino a qualche anno fa, le educatrici con molti anni di servizio, potevano richiedere di lavorare nei reparti pediatrici di alcuni ospedali, oppure nei Tempi per le Famiglie, possibilità che purtroppo ad oggi si sta restringendo sempre più e risulta riservata solo a pochissime. Oltre a rilanciare questo tipo di ricollocamento nell’ambito degli ospedali o nei rapporti con le famiglie, a mio parere sarebbe davvero interessante proporre in linea definitiva, dopo una certa età, un inserimento delle educatrici sempre in un contesto scolastico, ma con compiti di coordinamento o formazione.

La mia idea è che si possa “riutilizzare” una persona con anzianità di servizio, valorizzandone la lunga esperienza lavorativa e permettendo che svolga compiti inerenti alla sua formazione professionale, anche se non più a contatto diretto con i bambini. Questo da un lato permetterebbe all’educatrice di sentirsi comunque utile e di muoversi in un ambito conosciuto, dall’altro eviterebbe di riempire i Nidi di persone provate dai molti anni di servizio, per le quali lavorare a stretto contatto con i bambini inizia a diventare davvero difficile.

Infine penso sia importante promuovere e ideare progetti di prevenzione del burnout. Tali progetti non devono esistere solo su carta ma devono essere attuati nel concreto. In questo modo le educatrici di Nido saranno aiutate a prendere consapevolezza degli aspetti più faticosi e rischiosi del proprio mestiere e potranno di conseguenza essere sostenute per affrontarli.

Un ultimo tema che potrebbe essere utile trattare riguarda la figura del pedagogista, che personalmente considero elemento essenziale per il benessere comune di un asilo Nido. È infatti indispensabile che ci possa essere un punto di riferimento sia per il gruppo di educatrici, sia per le famiglie utenti. In alcuni Nidi questa mansione viene svolta dalla dirigente, che oltre a compiti burocratici, interviene con uno sguardo pedagogico su determinate situazioni.

La presenza più o meno stabile nel plesso scolastico di un pedagogista credo sia la migliore delle soluzioni. Sicuramente molte educatrici ritengono “scomoda” la  presenza costante della dirigente nella scuola, perché, come è noto, una certa anarchia in fondo è preferita: ci si muove più liberamente e ci si organizza in autonomia. Ho avuto modo di sperimentare Nidi in cui la figura della direttrice/pedagogista era stabile nella scuola e altre sedi dove non era contemplata la sua presenza fisica e posso dire di non avere più dubbi: per una buona crescita professionale e anche umana, è utile che ci sia un pedagogista presente il più possibile, o comunque quotidianamente interagente con il servizio.

Avere un pedagogista che ricopra un ruolo attivo, per le educatrici vorrà dire poter contare su qualcuno che sappia intervenire all’interno del gruppo di lavoro, cercando di renderlo il più possibile unito, che sappia ascoltare ciascuna educatrice e che possa tenere alta la motivazione al lavoro, valutando caso per caso le criticità.

Nell’ottica di questo ascolto del collegio, per poter valorizzare, comprendere e sostenere ciascuna educatrice, il pedagogista potrebbe essere anche affiancato da uno psicologo.

È importante che una educatrice, dedita ogni giorno alla cura dei bimbi, si senta a sua volta presa in carico, in modo particolare se sta attraversando difficoltà sia personali che lavorative. Questo “controllo” o meglio supporto, scongiurerebbe anche il rischio di arrivare a livelli elevati di tensione e stress, che potrebbero rivelarsi dannosi.

Un altro compito del pedagogista è quello di prendere posizione all’interno del gruppo di lavoro, anche imponendo direttive, divieti, nonché stabilendo le varie mansioni. Tutto ciò ovviamente è bene che avvenga in un dialogo condiviso con il collegio, ma nel rischio di sapersi assumere la responsabilità di decisioni, e nella consapevolezza di avere l’ultima parola, non per “tiranneggiare” ma per poter guidare e condurre il gruppo.

Credo che questa figura sia importante anche per capire come muoversi in alcune situazioni delicate sia con i bambini sia con le famiglie: il pedagogista dovrebbe avere quella autorevolezza per poter gestire le relazioni non sempre facili con i genitori.

Per quanto riguarda i bambini, sarà di grande aiuto lo sguardo di chi possa osservare direttamente casi particolari di bambini in difficoltà, per poi confrontarsi con le educatrici. Concludendo, affinché questa supervisione pedagogica risulti efficace ed agisca all’interno del Nido, sarà fondamentale dedicare del tempo ad osservare puntualmente e con una certa regolarità, ciò che accade nelle sezioni e come si svolge la quotidianità all’interno del servizio.

Credo fermamente che considerare questi elementi – formazione permanente, capienza dei Nidi, rapporto numerico educatrice/bambino, ricollocamento del personale con anzianità di servizio, progetti di prevenzione del burnout, presenza attiva del pedagogista - contrasterebbe molto lo stress correlato al nostro lavoro.

La cura riveste un ruolo centrale nel lavoro di chi educa. Tuttavia la cura che noi educatrici offriamo professionalmente dipende anche dalla cura che, sempre professionalmente, riceviamo e di cui abbiamo bisogno.