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Criminalità organizzata ed immigrazione


Immigrazione
Immigrazione

Criminalità organizzata ed immigrazione

 

Profili giuridici di base

Come osservato da Balbo (2004)[1], “il controllo dei flussi migratori illegali da parte della criminalità organizzata transnazionale rappresenta un fenomeno criminale tipico degli ultimi decenni, anche se non se ne può affermare la sua assoluta novità per il territorio italiano”. Analogo, sempre negli Duemila, è pure il parere di Lanza (2011)[2]. Già negli Anni Novanta del Novecento, Barbagli (1998)[3] sottolineava che “[il connubio tra mafie ed immigrazione clandestina] è, invero, un fenomeno particolarmente complesso, che è caratterizzato da aspetti di indubbia originalità, sotto il profilo degli interessi illeciti che ne rappresentano il sostrato criminale e che hanno determinato l’implosione degli strumenti del contrasto tradizionale, facendo, al contempo, emergere problematiche connesse alla tutela dell’ordine pubblico prima sconosciute”. Sempre nella Criminologia italiofona, Coluccia & Ferretti (1998)[4] hanno evidenziato che “negli ultimi decenni, ci si è trovati di fronte a flussi migratori illegali, sostanzialmente inarrestabili, tra i Paesi appartenenti alle aree economicamente più depresse del continente africano e gli Stati dell’Europa occidentale meridionale […] Il territorio italiano è stato investito da continue ondate migratorie [che] si sono intensificate”. Pare opportuno rimarcare che la “primavera araba” del Maghreb ha acuito le suesposte problematiche afferenti alla gestione dei confini. Nella realtà concreta, i flussi migratori clandestini cagionano una notevole confusione criminologica e sociologica; tant’è che Boister (2012)[5], nella Letteratura scientifica anglofona, ha asserito che “le cause che hanno alimentato i flussi migratori illegali, da cui sono derivati molti problemi di tutela dell’ordine pubblico, […] sono molteplici e non sempre riconducibili a fattori socio-politici omogenei”.

Anche la Corte di Cassazione ha parlato della totale anarchia in cui versano molti Ordinamenti giuridici nell’Africa del nord. P.e., Cass., sez. pen. I, 8 maggio 2015, n. 2651 ha sottolineato, nelle proprie Motivazioni, che “si può ritenere, pur con un’inevitabile approssimazione, che la crescita esponenziale dei flussi migratori illegali [in Italia] sia la conseguenza di una pluralità di fattori eterogenei, tra i quali, a scopo esemplificativo, si possono citare: la globalizzazione dei processi di produzione industriale, il divario economico determinatosi tra i Paesi occidentali industrializzati e quelli sottosviluppati, il clima di perenne instabilità politica ed istituzionale che caratterizza i Paesi nordafricani in conseguenza della primavera araba, la situazione di grave conflittualità religiosa verificatasi nell’area mediorentale, con particolare riferimento al territorio siriano”. Questa mancanza di Governi stabili nell’Africa mediterranea è reputata come criminogenetica pure da Cass., sez. pen. V, 14 luglio 2016, n. 48001, Cass., sez. pen. I, 4 aprile 2017, n. 24103, Cass., sez. pen. VI, 15 ottobre 2018, n. 57018 e da Cass., sez. pen. VI, 5 marzo 2019, n. 13421.

Vero è pure che le immigrazioni clandestine nell’Europa meridionale possiedono molte cause di spessore geo-politico. P.e., l’Africa subsahariana ha problemi spazio-demografici connessi a guerre locali più che trentennali e tutt’oggi molto lontane da un’eventuale risoluzione pacifica. Oppure, si ponga mente al fatto che la maggior parte degli Stati africani fatica a tenere uniti gruppi etnici che danno vita a conflitti interni violenti e malgestibili. Oppure ancora, è utile ricordare l’estrema povertà che caratterizza il tessuto sociale da cui provengono quasi tutti i migranti che oltrepassano illegalmente i confini italiani. Ora, l’Italia è gravemente minacciata da ondate migratorie che, sotto il profilo criminologico, pongono il problema del controllo di potenziali immigrati arruolati dalla criminalità organizzata per finalità destabilizzanti e gravemente anti-normative. Più nel dettaglio, Militello (2018)[6] ha messo in risalto che “l’esposizione [alle migrazione illegali verso la penisola italiana], per certi versi inevitabile, è anche la conseguenza delle peculiarità geografiche del territorio italiano e dei suoi confini, che rappresentano la zona privilegiata e naturale di accesso dall’area nordafricana e, unitamente alle frontiere greche e spagnole, il fronte meridionale del continente europeo”. Del pari, Centonze & Parano (2005)[7] hanno ribadito che la vicinanza dell’Italia alle coste nordafricane rende ontologicamente impossibile arrestare le migrazioni, con tutte le emergenze securitarie che ciò naturalmente comporta.

Nel bene o nel male, il Legislatore italiano, unitamente a quelli di Spagna e Grecia, è stato costretto a giuridificare l’emergenza migratoria con strumenti normativi altrettanto emergenziali. Anzi, in tutta l’Europa, l’immigrato illegale viene percepito come una minaccia nei confronti della tranquillità collettiva. Nella pseudo-Criminologia europea, lo straniero è reputato responsabile di un imbarbarimento collettivo ove la delinquenza trionfa; perlomeno, siffatta dispercezione a-tecnica è sostenuta dai mass-media e dalle fazioni politiche xenofobe, le quali manipolano le statistiche criminologiche a seconda dei loro intenti demagogici ed anti-scientifici. D’altronde, con molta sincerità culturale, il binomio televisivo straniero-criminale è stato negativamente criticato pure da Centonze (2006)[8], ovverosia “a prescindere dagli eccessi mediatici, che sono generalmente collegati ad episodi occasionali che certamente non rappresentano la popolazione immigrata, per affrontare il problema dei rapporti tra criminalità organizzata transnazionale e flussi migratori illegali, è necessario mantenere una visione obiettiva del fenomeno. Tale obiettività, al contempo, impone l’utilizzo di modelli d’analisi che contemperino le istanze di difesa dell’ordine pubblico interno e della sicurezza della popolazione italiana con le esigenze di integrazione sociale dei cittadini stranieri che soggiornano regolarmente nel nostro territorio”. Come si può notare, Centonze (ibidem)[9] diffida dall’immagine stereotipata televisiva dell’immigrato patologicamente proteso alla devianza anti-sociale ed anti-giuridica violenta. Tale Autore invita a contestualizzare ogni fattispecie infrattiva, nella consapevolezza che, sotto il profilo statistico-criminologico, lo straniero non delinque affatto in misura maggiore rispetto ai soggetti autoctoni. Pure Militello (2011)[10], in maniera garantistica e non populistica, precisa che “affrontare con un atteggiamento di pregiudiziale chiusura le trasformazioni provocate dall’imponenza dei flussi migratoti illegali che hanno investito il territorio italiano non rappresenta un approccio corretto al problema migratorio, né in termini giuridici né in termini sociologici”.

Molti Dottrinari, nella Criminologia europea, considerano normale una progressiva, dignitosa e rispettosa integrazione degli immigrati, in tanto in quanto l’inclusione sociale dello straniero non è una chimera irrealizzabile, come dimostra l’assimilazione, già in atto, dei migranti di seconda e di terza generazione. Simile è pure la posizione di Krieg (2009)[11], a parere del quale “l’esperienza maturata nei Paesi occidentali investiti dall’invasivo fenomeno [delle migrazioni di massa] ha evidenziato che alle ipotesi di rigida chiusura del canali legali di accesso al territorio nazionale, si accompagna un aumento significativo della pressione dei flussi migratori illegali, con tutte le conseguenze che ne derivano in termini di opportunità per le consorterie transnazionali che gestiscono gli spostamenti dei migranti irregolari, sfruttandoli illecitamente”.

Le esperienze degli ultimi decenni hanno consentito di svelare il ruolo delle mafie nell’organizzazione e nello sfruttamento dell’immigrazione clandestina. Infatti, come sottolineato da

Shelley (2010)[12] “tanto più i gruppi transnazionali che controllano l’immigrazione illegale sono organizzati in strutture articolate e ramificate territorialmente, tanto più elevata risulterà la possibilità che gli immigrati stranieri siano fatti entrare clandestinamente nel territorio italiano, con l’obiettivo di essere inseriti in un mercato criminale, in funzione del loro impiego quale terminale operativo di più ampi progetti illeciti […] In questo contesto, estremamente composito, si inseriscono le organizzazioni criminali transnazionali, che puntano al controllo di quei vasti mercati la cui offerta da parte delle organizzazioni mafiose italiane non è in grado di soddisfare la corrispondente domanda tendenzialmente in crescita”. Gli asserti di Shelley (ibidem)[13] si attagliano perfettamente alla fattispecie dello sfruttamento della prostituzione. Oppure, si ponga mente al mercato internazionale della pedofilia e della pedopornografia.
 

Dottrina e Giurisprudenza in tema di immigrazione e criminalità

Dopo decenni di lacune legislative, la L. 146/2006 ha introdotto il nuovo Art. 61 bis CP: “Circostanza aggravante del reato transnazionale. Per i reati puniti con la pena della reclusione non inferiore, nel massimo, a quattro anni, nella commissione dei quali abbia dato il suo contributo un gruppo criminale organizzato impegnato in attività criminali in più di uno Stato, la pena è aumentata da un terzo alla metà. Si applica altresì il secondo comma dell’Art. 416 bis 1.”. Senza alcuna dubbio, l’Art. 61 bis CP ha agevolato il perseguimento delle associazioni delinquenziali transnazionali dedite all’organizzazione ed allo sfruttamento dell’immigrazione clandestina. D’altra parte, in Dottrina, Militello (2018)[14] ha sottolineato che, ormai, in epoca contemporanea, l’aggravante della transnazionalità ex Art. 61 bis CP costituisce una caratteristica ordinaria dei flussi migratori illeciti diretti verso il territorio italiano. L’intera Criminologia italiofona degli Anni Duemila ha evidenziato che oggi la Giurisprudenza non può più interpretare i delitti in tema migratorio senza valutare pure il contesto delinquenziale organizzato ontologicamente e strutturalmente posto alla base delle ondate di migranti dirette in Italia.

Per il vero, salvo la lodevole eccezione di Cass., SS.UU., 31 gennaio 2013, n. 18374, Adami, la Suprema Corte ha affrontato poco e male la tematica del crimine organizzato in tema di “stampo mafioso” dell’immigrazione illegale aggravata dalla transnazionalità. Esistono solamente pochi Precedenti di legittimità che, tuttavia, non citano il ruolo basilare delle consorterie malavitose internazionali (Cass., SS.UU., 29 ottobre 2003, n. 45801, Mesky; Cass., SS.UU., 27 settembre 2007, n. 2451, Magera; Cass., SS.UU., 28 aprile 2016, n. 40517, Taysir, nonché Cass., SS.UU., 21 giugno 2018, n. 40982, P.).

All’opposto, provvidenzialmente, la Corte di Cassazione ha sviluppato un’ermeneutica molto ricca con afferenza al reato di “tratta di persone” p. e p. ex Art. 601 CP. A tal proposito, si segnalano i Precedenti contenuti in Cass., sez. pen. V, 8 maggio 2008, n. 23368, Cass., sez. pen. III, 8 giugno 2010, n. 21630, Cass., sez. pen. V, 24 settembre 2010, n. 40045, Cass., sez. pen. I, 29 settembre 2010, n. 37087 ed in Cass., sez. pen. V, 10 giugno 2015, n. 39797.

Altrettanto fertile è stata la produzione giurisprudenziale della Suprema Corte sulla tematica del “favoreggiamento dell’immigrazione clandestina” p. e p. ex Art. 12 DLVO 286/1998. P.e. Degne di nota sono Cass., sez. pen. I, 19 marzo 2003, n. 15939, Cass., sez. pen. I, 23 aprile 2015, n. 37277, Cass., sez. pen. I, 31 marzo 2017, n. 45734, Cass., sez. pen. I, 23 novembre 2017, n. 57440 nonché Cass., sez. pen. I, 9 gennaio 2018, n. 21955.

Purtroppo, la Giurisprudenza italiana, di legittimità ma anche di merito, non ha sufficientemente approfondito le tematiche della tratta e dello sfruttamento transnazionale dell’immigrazione clandestina. La realtà concreta dei flussi migratori illegali manifesta situazioni di barbarica violenza. Infatti, come asserito da Barbagli (ibidem)[15], “le consorterie transnazionali sfruttano la condizione di sottomissione degli immigrati clandestini per impiegarla nei loro mercati criminali di riferimento, sia che l’attività del sodalizio si concretizzi nel semplice trasporto del migrante, sia che tali condotte mirino ad uno sfruttamento illecito ulteriore rispetto a quello prefigurato dall’Art. 12 del DLVO 286/1998, dando origine ad un’ipotesi di tratta di persone rilevante ex Art. 601 CP”

 

Le lacune giurisprudenziali

Sotto il profilo del de jure condito, il reato della “tratta di persone” (trafficking of human beings) prevede e punisce l’atto dello “sfruttamento” economico, lavorativo o sessuale di soggetti clandestinamente introdotti nel territorio di uno Stato. Invece, il “favoreggiamento dell’immigrazione clandestina” (smuggling of migrants) persegue l’atto dell’organizzare il “passaggio illegale” di esseri umani al di là dei confini di una determinata nazione. A loro volta, sia la tratta sia il favoreggiamento dell’immigrazione illecita sono quasi sempre aggravati, ex Art. 61 bis CP, dalla presenza operativo-materiale di un gruppo criminoso che agisce con metodiche professionalmente strutturate. In ogni caso, come precisato da Cass., sez. pen. II, 15 maggio 2015, n. 25363, sotto il profilo della ratio, “entrambe le fattispecie di reato in questione [la tratta ed il favoreggiamento] si incentrano sulle condotte di trasferimento poste in essere sia in forma individuale, sia in forma collettiva, strumentali all’introduzione illegale di cittadini stranieri nel territorio di uno Stato”. Tale anti-socialità dell’immigrazione extra legem è ribadita pure da Cass., sez. pen. V, 21 gennaio 2004, n. 6250, Cass., sez. pen. II, 7 maggio 2013. n. 36365 nonché da Cass., sez. pen. III, 8 ottobre 2015, n. 50561. Da notare è pure che, in tutti i menzionati Precedenti di legittimità, viene sottolineata con vigore la “sottomissione fisica o psichica” del/della migrante, il quale/la quale, in ultima analisi, viene sottoposto/a ad uno “sfruttamento fisico ed economico”. Dunque, la Corte di Cassazione si dimostra ben consapevole circa lo stato di “inferiorità” gerarchica dello straniero nei confronti di chi agisce la tratta o il favoreggiamento dell’immigrazione clandestina. La Suprema Corte, nel descrivere siffatta “subordinazione” psicofisica del migrante, utilizza pure lemmi come “sfruttamento soggettivo … impiego coattivo degli immigrati clandestini in un mercato criminale dello Stato di destinazione … asservimento … limitazioni della libertà personale dell’immigrato per il conseguimento di profitti illeciti”. Di nuovo, il pensiero corre, come prevedibile, alla riduzione in schiavitù per fini prostitutivi”.

Degna di menzione è pure Cass., sez. pen. V, 24 settembre 2010, n. 40045, a norma della quale “ai fini della configurabilità della fattispecie della tratta di persone, così come configurata dall’Art. 601 CP, non è richiesto che il soggetto passivo si trovi [dall’inizio, ndr] in una condizione analoga a quella della schiavitù, atteso che, secondo quanto costantemente affermato dalla Giurisprudenza di legittimità, il delitto in questione si ravvisa anche se una persona [inizialmente] libera sia condotta con inganno in Italia, al fine di porla [successivamente], nel nostro territorio, in condizione analoga alla schiavitù; il reato di tratta può essere, infatti, commesso anche con induzione mediante inganno, in alternativa alla costrizione con violenza o minaccia”. Forse, nell’ottica di Cass., sez. pen. V, 24 settembre 2010, n. 40045, giova precisare che la quasi totalità delle prostitute oggetto di tratta non svolge il meretricio per volontà libera e propria; la riduzione in schiavitù rappresenta la normalità per tutte o quali tutte le donne straniere “prostituite” passivamente in territorio italiano. Del pari, Corte EDU, 7 gennaio 2010, Rantsev vs. Cipro e Russia, n. 25965/04 qualifica la tratta di persone (ex Art. 601 CP, nella Legislazione italiana) alla stregua di una “moderna forma di schiavitù”. Tale lemma “schiavitù”, riferito ai/alle migranti clandestini/e è impiegato pure, in Dottrina, da Bales (2008)[16] e da Scarpa (2008)[17]. Similmente, Militello (2018)[18] afferma che “[nella fattispecie di cui all’Art. 601 CP] la situazione soggettiva della vittima può essere costruita su un’analogia con la schiavitù […]. Si tratta di condizioni riscontrabili in varie attività-scopo per cui la tratta viene realizzata: sfruttamento sessuale, lavoro illegale, accattonaggio, trapianti di organi umani […] sfruttamento sessuale di minori, accattonaggio di bambini, arruolamento di minori-soldato […] matrimoni forzati o adozioni illegali”. Tuttavia, va anche precisato che la ratio del delitto di tratta è la tutela della libertà personale dello/della schiavizzato/a; viceversa, il reato di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina mira a proteggere l’ordine pubblico interno allo Stato che riceve illegalmente lo straniero. Ciononostante, nella pratica quotidiana, in entrambe le fattispecie infrattive summenzionate, la “schiavizzazione” costituisce un elemento fattuale costante.

D’altronde, in Giurisprudenza, Cass., sez. pen. III, 8 ottobre 2015, n. 50561 (anticipata da Cass., sez. pen. VI, 20 ottobre 2003, n. 42442) precisa che, sotto il profilo tecnico, “il reato di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina, previsto dall’Art. 12 comma 1 DLVO 286/1998, non è assorbito dai più gravi delitti di tratta di persone o di riduzione in schiavitù, essendo diverso il bene giuridico tutelato dalle norma, in quanto la prima è a presidio dell’ordine pubblico, mentre le altre della libertà della persona”. Vero è, poi, che gli epifenomeni di questi tre distinti delitti sono assai simili dal punto di vista della violenza fattualmente subita dall’immigrato. Parimenti, nella Convenzione ONU di Palermo del 2000, la ratio dello smuggling of migrants viene distinta da quella del più disumano ed anti-sociale trafficking of human beings. Più nel dettaglio, lo smuggling of migrant criminalizza, nella Convenzione di Palermo, “l’ingresso illegale di una persona in uno Stato-Parte di cui la persona non è cittadina o residente permanente”; invece, nel trafficking of human beings sono normativamente sussunti i reati di “prostituzione [forzata], sfruttamento sessuale, lavoro forzato, prestazioni forzate, schiavitù, asservimento o prelievo di organi” Tuttavia, molti Dottrinari di Procedura Penale hanno evidenziato che, in concreto, non è sempre agevole il tentativo di separare l’ambito precettivo della tratta da quello del favoreggiamento ex DLVO 286/1998.

 

Criminalità transnazionale e problema migratorio

L’Art. 4 CP, nell’Ordinamento italiano, definisce come territorio dello Stato “ogni luogo soggetto alla sovranità statale”. Tuttavia, vero è pure che, perlomeno nell’ultima ventina d’anni, la criminalità organizzata transnazionale ha messo in crisi la pienezza e l’effettività di tale potere sovrano. Centonze (2019)[19], dal canto suo, ha sottolineato che “[il crimine organizzato] esercita sugli Stati sovrani la propria pressione con una tale violenza da determinare l’emersione di un vero  e proprio problema migratorio, rilevante su scala internazionale”. D’altra parte, è innegabile che la nozione di “confine” territoriale costituisce spesso un fastidio ingombrante per una malavita caratterizzata da una prospettiva transnazionale. Nella Dottrina penalistica, Moccia (1995)[20] ha rimarcato che l’Ordinamento giuridico italiano si è dimostrato profondamente impreparato di fronte al fenomeno delle associazioni per delinquere di stampo mafioso. La Legislazione italiana, sino a pochi anni fa, gestiva la piaga delle mafie alla stregua di un male anti-giuridico transitorio ed emergenziale, allorquando, viceversa, le consorterie mafiose contemporanee costituiscono una piaga ormai strutturale e ben radicata.

Moccia (ibidem)[21] evidenzia che la criminalità organizzata “è una realtà in rapida evoluzione e mutazione, con allarmanti intrecci con altre forme di criminalità, istituzionale ed economico-finanziaria”. Ormai, la ratio del “confine” è stata superata, in tanto in quanto, come asserito da Aleo (1999)[22], “l’esplosione delle fenomenologie delinquenziali collegate alla sfera di operatività delle consorterie transnazionali deve essere ritenuta conseguente all’abbattimento delle frontiere costituite all’interno del territorio europeo. Questo processo di superamento frontaliero [anche] nel mondo dell’economia […] è da tempo in corso e ha determinato la perdita di quella funzione politica che i confini statali, a partire dall’inizio del secondo millennio, hanno sempre avuto nei Paesi occidentali”. In buona sostanza, Aleo (ibidem)[23] lascia intendere che i reati di tratta di persone (Art. 601 CP) e di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina (Art. 12 DLVO 286/1998) sono favoriti, in epoca contemporanea, dalla crisi del concetto di “sovranità territoriale” provocata dalla libera circolazione delle merci e degli individui in quasi tutto il continente europeo. Nel bene o nel male, l’assenza di frontiere tradizionalmente intese agevola fenomeni criminali basati sullo sfruttamento dei migranti di nazionalità extra-europea.

Siffatta crisi della sovranità territoriale ha indebolito pure la ratio dell’Art. 3 CP, ai sensi del quale “la legge penale italiana obbliga tutti coloro che, cittadini o stranieri, si trovano nel territorio dello Stato [...]”. Infatti, Moccia (2001)[24] osserva che “il principio dell’obbligatorietà della legge penale nazionale affermato dall’Art. 3 CP [e, indirettamente, pure dall’Art. 4 CP, ndr] appare superato dalla realtà dei tempi e dalla vocazione internazionale che, nell’ultimo trentennio, è andato assumendo il nostro Ordinamento” […]. La globalizzazione dall’economia ha determinato l’irrilevanza dei confini nazionali”. Ora, questo crollo del principio della piena sovranità precettiva della legge penale ha inevitabili ricadute negative sulla gestione delle mafie internazionali dedite al traffico illegale di migranti, giacché l’introduzione illecita dell’extra-comunitario nei confini nazionali è resa più semplice dall’indebolimento dei confini statali. Violare le frontiere e sfruttare i flussi migratori costituisce oggi un’inevitabile conseguenza del decadimento della nozione di “Stato sovrano”. Un’Europa “senza barriere” diventa automaticamente appetibile per le mafie transnazionali.

Come rilevato da Centonze (2006)[25], “da più di un decennio, gli Stati occidentali si trovano a dover arginare ondate sempre più crescenti di cittadini stranieri che chiedono di entrare – legalmente o illegalmente – a far parte del loro bacino geografico ed economico, al quale giungono dopo essere partiti dai Paesi più poveri del pianeta, nella speranza di poter elevare i propri livelli reddituali […]. In particolare, l’Italia è stata stabilmente investita da continue ondate migratorie, che hanno avuto inizio sul finire degli Anni Ottanta [del Novecento] e proseguono tutt’ora in modo pressoché inarrestabile. In precedenza, invece, si era registrata l’esplosione di tale fenomeno migratorio in una direzione inversa, assistendosi [...] all’emigrazione di milioni di italiani verso le nazioni dell’Europa settentrionale”. Tuttavia, a parere di De Vita (2003)[26], le legislazioni europee privilegiano l’ingresso di capitali stranieri, mentre criminalizzano l’immigrazione irregolare delle persone fisiche. La grande apertura delle frontiere reca un carattere economico ancorché non umanitario, poiché, come precisato da De Vita (ibidem)[27] “agli immigrati poveri è vietato spostarsi se non illegalmente e subendo forme di sfruttamento economico e personale intollerabili”. Come si nota, esiste un profondo jato tra l’Europa senza frontiere dei circuiti economici e quella sovranista e chiusa che costringe lo straniero ad affidarsi alla criminalità organizzata violenta e senza scrupoli.

Dunque, la globalizzazione finanziaria viene socialmente percepita come positiva, mentre la libera circolazione degli extra-comunitari presenta i limiti tipici di una concezione esasperata della ratio della “sovranità territoriale”. A ciò si aggiunga che, come osservato da Pisillo Mazzeschi (2004)[28], “l’inarrestabilità di questi flussi migratori illegali dev’essere ritenuta una conseguenza delle caratteristiche geografiche del territorio europeo, che costituisce lo spazio naturale d’ingresso delle popolazioni provenienti dal continente africano e dall’area mediorentale. Tali considerazioni sono ancora più evidenti se si guarda alla situazione morfologica dell’Italia, che rappresenta la frontiera estrema del Mediterraneo e risulta il punto di approdo di tutti i flussi migratori marittimi provenienti dalle aree continentali africane ed asiatica”.

Sotto il profilo tecnico, il vigente Diritto Penale degli Ordinamenti europei non è idoneo a contrastare il binomio criminalità organizzata/immigrazione clandestina. Anche nel caso del Codice Penale Rocco, come notato da Bricola (1968)[29], in tempi non sospetti, “è necessario un superamento della visione sostanzialmente autarchica che costituisce una caratteristica degli Ordinamenti Penali nazionali”. A parere di Jescheck (1971)[30] è assurdo il sogno de jure condendo di un’Europa unita che, tuttavia, non sa collaborare per la repressione delle mafie transnazionali. Anche negli Anni Duemila, norme come gli Artt. 3 e 4 CP non sono più funzionali nella nuova “casa comune” dell’Unione Europea, in cui le migrazioni illecite costituiscono un problema criminologico enorme e quotidiano. D’altra parte, le consorterie mafiose non possono che beneficiare di un Diritto Penale europeo diviso e contraddittorio in tema di tratta di persone e favoreggiamento dell’immigrazione clandestina. Analogo è il parere di Stile (2003)[31], secondo cui “è [ormai] indispensabile avere chiara la consapevolezza dell’impossibilità di affrontare l’emergenza criminale [dello sfruttamento mafioso dell’immigrazione, ndr], con un approccio nazionalistico o addirittura autarchico, che si porrebbe in contrasto con le previsioni degli Artt. 10 e 11 Cost. . Né gli interventi riformatori che hanno avuto luogo, in Italia, con la ratifica della Convenzione di Palermo, ad opera della L. 146/2006, hanno determinato – al contrario di quanto ci si aspettava – un mutamento radicale di tendenza rispetto alle emergenze determinate dall’esplosione dei fenomeni criminali transnazionali”. Anzi, giustamente, Aleo (ibidem)[32] ha messo in evidenza che, nel Codice Penale italiano, manca una definizione autentica di “gruppo criminale transnazionale”. Sempre secondo tale Autore, l’Ordinamento penalistico italiano non è attualmente in grado di individuare e perseguire un’associazione per delinquere di stampo mafioso che non sia limitata ai soli confini operativi italiani. Specularmente, manca un Diritto Penale europeo armonizzato e, soprattutto, affrancato dalla ratio novecentesca dell’autonoma sovranità nazionale

 

[1]Balbo, Extracomunitari. Profili penali e giurisprudenza interna ed internazionale, Giappichelli, Torino, 2004

[2]Lanza, Stranieri e Diritto Penale, Cedam, Padova, 2011

[3]Barbagli, Immigrazione e criminalità in Italia, Il Mulino, Bologna, 1998

[4]Coluccia & Ferretti, Immigrazione: nuove realtà e nuovi cittadini, Franco Angeli, Milano, 1998

[5]Boister, An introduction to Transnational Criminal Law, Oxford University Press, Oxford, 2012

[6]Militello, La tratta di esseri umani: la politica criminale multilivello e la problematica distinzione con il traffico di migranti, in Rivista italiana di Diritto processuale penale, 2018

[7]Centonze & Parano, L'attività di contrasto alla criminalità organizzata. Lo stato dell'arte, a cura di Centonze & Parano, Giuffrè, Milano, 2005

[8]Centonze, Il controllo penale dell'immigrazione clandestina, www.rassegnapenitenziaria.it, n. 1/2006

[9]Centonze (ibidem), op. cit.

[10]Militello, Criminalità organizzata transnazionale e intervento europeo fra contrasto e garanzie, in Rivista trimestrale di Diritto penale, 2011

[11]Krieg, Trafficking in human beings: The EU approach between border control, law enforcement and human rights, in European Law Journal, 2009

[12]Shelley, Human Trafficking. A Global perspective, Cambridge University Press, Cambridge, 2010

[13]Shelley (ibidem), op. cit

[14]Militello (2018), op. cit.

[15]Barbagli (ibidem), op. cit.

[16]Bales, I nuovi schiavi (2002), traduzione italiana Feltrinelli, 2008

[17]Scarpa, Trafficking in Human Beings, Modern Slavery, Oxford University Press, Oxford, 2008

[18]Militello (2018), op. cit.

[19]Centonze, Criminalità organizzata transnazionale e flussi migratori illegali: le illusioni giurisprudenziali perdute e gli equivoci dogmatici, in Cassazione Penale, n. 7/2019

[20]Moccia, La perenne emergenza, ESI, Napoli, 1995

[21]Moccia (ibidem), op. cit.

[22]Aleo, Sistema penale e criminalità organizzata. Le figure delittuose associative, Giuffrè, Milano, 1999

[23]Aleo (ibidem), op. cit.

[24]Moccia, La promessa non mantenuta. Ruolo e prospettive del principio di determinatezza/tassatività nel sistema penale italiano, ESI, Napoli, 2001

[25]Centonze, Il controllo penale dell'immigrazione clandestina: l'equilibrio precario tra tutela dell'ordine pubblico e integrazione sociale dello straniero, in Rassegna penale di Criminologia, n. 1/2006

[26]De Vita, Evoluzione e deriva del sistema transnazionale di lotta contro il riciclaggio, in Nuove strategie di lotta al crimine organizzato transnazionale, a cura di Patalano, Giappichelli, Torino, 2003

[27]De Vita (ibidem), op. cit.

[28]Pisillo Mazzeschi, Strumenti comunitari di prevenzione e di contrasto all'immigrazione clandestina, in Diritto dell'Unione Europea, n. 4/2004

[29]Bricola, Alcune osservazioni in materia di tutela penale degli interessi delle Comunità europee, in Ind. Pen., 1968

[30]Jescheck, L'oggetto del Diritto penale internazionale e la sua più recente evoluzione, in Rivista italiana di Diritto processuale penale, 1971

[31]Stile, Introduzione, in La riforma della parte generale del Codice Penale, Jovene, Napoli, 2003

[32]Aleo (ibidem), op. cit.