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Le nuove fattispecie di reato introdotte ai tempi del coronavirus

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Ph. Anuar Arebi / piazza

Indice:

1. Introduzione

2. Le sanzioni vigenti fino all’entrata in vigore del Decreto Legge n. 19/2020                                       

3. Le misure introdotte dal Decreto Legge n. 19/2020

4. Le sanzioni 

5. I rapporti tra la sanzione amministrativa e le altre fattispecie penali astrattamente applicabili

6. I profili di diritto intertemporale

7. Lo spazio applicativo della contravvenzione prevista dall’articolo 260 Testo unico leggi sanitarie per gli infetti che violano la quarantena

8. Conclusioni

 

1. Introduzione

L’esigenza di contenimento dell’attuale pandemia ha condotto il Governo ad adottare una notevole quantità di atti normativi in un brevissimo lasso temporale.

Nella sezione “coronavirus” del sito internet della Gazzetta Ufficiale si contano 17 atti normativi, tra decreti legge e D.P.C.M. e 34 ordinanze della Protezione civile, del Ministero della Salute e del MEF (senza contare le ordinanze emanate dalle Regioni e dai Comuni).

Ne è derivata una stratificazione normativa di difficile coordinamento, che pone numerosi dubbi, soprattutto in termini di compatibilità con il principio di legalità. 

È discutibile, infatti, che la limitazione di libertà fondamentali, quali la libertà di circolazione (articolo 16 Costituzione) e di iniziativa economica (articolo 41 Costituzione) sia affidata a D.P.C.M. anziché a leggi o atti aventi forza di legge, come richiesto dalla Costituzione.

La frizione con il principio di legalità si registra anche sul piano penale, perché si è scelto di punire la violazione delle misure di contenimento tramite la creazione di una nuova fattispecie penale, che rinvia per la parte precettiva a fonti sublegislative generali ed astratte, cioè i D.P.C.M.

Le questioni rilevanti sotto il profilo penale sono anche altre. Ad esempio, desta non poche perplessità l’evocazione di fattispecie penali che fino ad oggi hanno avuto scarso rilievo pratico, quali l’epidemia dolosa e colposa: l’esiguità di precedenti giurisprudenziali autorevoli rendono labile il perimetro applicativo di simili reati, puniti con pene molto severe, incluso l’ergastolo.

Infine, vi è un problema di coordinamento. Si intende fare riferimento sia al coordinamento tra le nuove fattispecie e quelle già esistenti, che va risolto secondo i criteri generali del concorso di norme, sia a quello tra le fattispecie introdotte nell’ambito del contrasto all’emergenza epidemiologica e abrogate da norme immediatamente successive, con inevitabili complicazioni di disciplina transitoria.

Il presente contributo, premessa una ricognizione delle norme penali applicabili “ai tempi del coronavirus”, si sofferma sul coordinamento tra le fattispecie penali di nuovo conio e quelle già previste dal Codice penale, senza trascurare l’esame delle questioni di diritto intertemporale e lo spazio applicativo della desueta fattispecie di epidemia alle condotte di diffusione e contagio da COVID-19.

 

2. Le sanzioni vigenti fino all’entrata in vigore del Decreto Legge n. 19/2020

La prima fonte normativa con cui si è inteso offrire una base legale alle sanzioni introdotte per punire la violazione delle misure di contenimento è il Decreto Legge n. 6 del 23 febbraio 2020.

Tale decreto ha introdotto all’articolo 3 comma 4, una norma penale in bianco che, da un lato, individua il precetto rinviando ad un elenco non tassativo di misure di contenimento adottabili dalle autorità sia nazionali sia locali per fronteggiare l’emergenza; dall’altro, sul piano sanzionatorio, richiama la pena prevista dall’articolo 650 Codice Penale.

Inoltre, il decreto ha stabilito, con una clausola di sussidiarietà, che nei casi in cui le violazioni delle misure di contenimento integrano reati più gravi, si applicano soltanto le fattispecie più gravi e non quella prevista dal nuovo decreto legge.

Le fattispecie più gravi che possono concorrere con la violazione delle misure di contenimento sono numerose e tra loro eterogenee.

Da un lato, si collocano i reati di falso: il D.P.C.M. 8 marzo 2020 ha infatti adottato un modulo di autodichiarazione con cui ogni individuo che si allontani dalla propria abitazione deve dichiarare le ragioni che rendono necessario il proprio spostamento. Dall’altro, si collocano i reati di epidemia, nella forma dolosa (articolo 452 Codice Penale) o colposa (articolo 438 Codice Penale), di lesioni e omicidio, dolose o colpose, che si applicano alle condotte di chi diffonde il virus.

                                         

3. Le misure introdotte dal Decreto Legge n. 19/2020

Il 26 marzo 2020 è entrato in vigore un ulteriore decreto legge, che contiene misure urgenti per fronteggiare l’emergenza epidemiologica in corso.

Il decreto, adottato nel tentativo di riorganizzare la disciplina emergenziale del precedente decreto n. 6/2020, ha previsto:

un elenco tassativo delle misure di contenimento (29 tipologie), senza più riferimenti ad “ulteriori misure di contenimento” non meglio specificate, limitando le criticità tipiche delle norme penali in bianco;

il carattere primario e centrale della competenza statale nell’adozione delle misure limitative, attraverso lo strumento del D.P.C.M.;

la competenza eccezionale delle regioni ad adottare le misure di contenimento previste dal decreto con efficacia limitata nel tempo, destinata a cessare nel momento dell’adozione di un apposito D.P.C.M.;

l’introduzione dei criteri di adeguatezza e proporzionalità delle misure rispetto al rischio di contagio;

la durata limitata e predeterminata nel tempo dei D.P.C.M., che non possono durare oltre 30 giorni, reiterabili;

l’individuazione di un termine massimo entro il quale le misure possono essere adottate e produrre effetti, che coincide con la cessazione dello stato di emergenza, cioè il 31 luglio 2020.

 

4. Le sanzioni 

Il decreto modifica, inasprendole, le sanzioni per la violazione delle misure di contenimento che verranno introdotte e troveranno applicazione fino al 31 luglio 2020. In sintesi: 

1)  chiunque violi le misure di contenimento elencate nel decreto è punito con la sanzione amministrativa da 400 a 3.000 euro e non trovano applicazione né la contravvenzione di cui all’articolo 650 Codice Penale né l’articolo 260 Testo unico leggi sanitarie, salvo che il fatto costituisca reato (più grave dei due sopra menzionati, deve intendersi, come vedremo).

Inoltre, la sanzione è aumentata fino a un terzo se la violazione avviene con l’utilizzo di un veicolo.

2) chiunque, risultato positivo al virus, violi la quarantena, incorre nella più grave sanzione prevista dall’articolo 260 Testo unico leggi sanitarie ed è punito con l’arresto da 3 a 18 mesi e con l’ammenda da 500 euro a 5.000 euro. La contravvenzione non si applica se il fatto integra il reato di epidemia colposa (452 Codice Penale) oppure un più grave reato.

3) per quanto riguarda le violazioni commesse in relazione a pubblici esercizi o attività produttive e commerciali oltre alla sanzione amministrativa indicata al punto 1), può essere disposta la chiusura provvisoria dell’attività da 5 a 30 giorni;

4) in caso di reiterazione della violazione, la sanzione amministrativa è raddoppiata e quella accessoria è applicata nella misura massima.                                    

Il nuovo apparato sanzionatorio, ancorché apprezzabile per lo sforzo di dare una risposta organica e proporzionata alle violazioni delle misure di contenimento, pone non pochi interrogativi sul piano tecnico - giuridico, che riguardano:

a) il rapporto tra la sanzione amministrativa e le altre fattispecie penali astrattamente applicabili;

b) i profili di diritto intertemporale;

c) lo spazio applicativo della contravvenzione prevista dal Testo unico leggi sanitarie per chi violi la quarantena pur essendo risultato positivo al virus.

 

5. I rapporti tra la sanzione amministrativa e le altre fattispecie penali astrattamente applicabili

La scelta di introdurre un’autonoma misura di natura amministrativa mira evidentemente ad intensificare l’effetto deterrente della sanzione e ad evitare gli esiti incerti del procedimento penale.

Da un lato, infatti, la nuova sanzione amministrativa si caratterizza per una maggiore severità rispetto al disposto di cui all’articolo 3 comma 4 del Decreto Legge n. 6 del 23 febbraio 2020, il quale puniva con la pena di cui all’articolo 650 Codice Penale il mancato rispetto delle misure di contenimento dell’emergenza epidemiologica ivi introdotte[1]la misura minima della attuale sanzione amministrativa (400 euro) è, infatti, pari circa al doppio del massimo dell’ammenda prevista dalla contravvenzione penale (206 euro); inoltre, anche ammettendo il pagamento in misura ridotta, la sanzione non può essere inferiore a 800 euro[2].

Dall’altro, essa presenta il vantaggio di essere irrogata dall’autorità amministrativa prefettizia ad esito di un procedimento più rapido rispetto a quello penale, mediamente più lungo e complesso.

Il Decreto Legge n. 19/2020, nel tentativo di fare chiarezza nel farraginoso sistema ideato e riportare la disciplina dell’emergenza al rispetto dei principi costituzionali, non solo abroga la fattispecie introdotta con il precedente Decreto Legge n. 6/2020, ma esclude espressamente che alla violazione delle misure di contenimento si possano  applicare “sanzioni contravvenzionali previste dall’articolo 650 Codice Penale o da ogni altra disposizione di legge attributiva di poteri per ragioni di sanità” (ossia dall’articolo 260 r.d. n. 1265/1934), stabilendo che tali violazioni siano punite esclusivamente con le specifiche sanzioni amministrative introdotte dal decreto stesso.

Si pone dunque il problema di capire quali fattispecie siano applicabili a seguito dell’entrata in vigore del nuovo decreto e in particolare quale sia il rapporto con il reato introdotto dal precedente decreto n. 6/2020 e con la fattispecie penale di cui all’articolo 650 Codice Penale.

Quanto al primo profilo: anzitutto, il Decreto Legge n. 19/2020 abroga espressamente il precedente Decreto Legge n. 6/2020, che aveva introdotto un’autonoma fattispecie di reato contenente un rinvio quoad poenam all’articolo 650 Codice Penale da applicare alla violazione delle misure di contrasto all’epidemia; si assiste dunque ad una depenalizzazione della specifica fattispecie penale che era stata introdotta con il Decreto Legge n. 6/2020, le cui sanzioni non troveranno più applicazione. Tale depenalizzazione ha efficacia retroattiva e travolge quindi le contestazioni fino ad oggi effettuate.

Più delicato appare invece il rapporto con le ancora richiamate fattispecie penali di cui all’articolo 650 Codice Penale, e 260 Regio Decreto n. 1265/1934 (nel decreto si legge che non si applicano le “sanzioni contravvenzionali” previste, mentre non è espressamente regolato il rapporto con le fattispecie penali tout court): entrambe non trovano applicazione nel caso in esame. 

Una tale precisazione – che potrebbe, peraltro, essere del tutto superflua, quanto meno con riferimento all’articolo 650 Codice Penale atteso che il Decreto Legge 6/2020 aveva introdotto una apposita fattispecie penale per la violazione delle misure – potrebbe trovare una spiegazione (parziale) in un’ottica di interpretazione costituzionalmente orientata. Si può ipotizzare che il Decreto Legge n. 19/2020 abbia introdotto una deroga implicita delle fattispecie penali citate, le quali dunque non potranno trovare applicazione alle violazioni delle specifiche misure di contrasto elencate nel Decreto Legge n. 19/2020 e che verranno concretamente attuate con successivi atti normativi (D.P.C.M. e ordinanze.

Nonostante le inutili complicazioni derivate da una produzione normativa “compulsiva”, si osserva che non si pongono problemi di conflitto sul piano della gerarchia delle fonti, perché l’effetto derogatorio dell’articolo 650 Codice Penale, sebbene implicito, viene prodotto da un decreto legge, cioè un atto avente forza di legge al pari della legge ordinaria che regola il Codice penale. In ogni caso l’effetto derogatorio appare giustificato dalla peculiare natura del Decreto Legge 19/2020, che è un atto normativo eccezionale - perché finalizzato a contrastare una specifica emergenza epidemiologica – e temporaneo – perché si riferisce ad atti e provvedimenti che potranno produrre effetti soltanto fino al 31 luglio 2020.

Per quanto riguarda, infine, il rapporto con le altre fattispecie penali, non espressamente richiamate, il Decreto Legge n. 19/2020 introduce la clausola di sussidiarietà “salvo che il fatto costituisca reato” che dovrebbe risolvere i problemi di concorso apparente di norme qualora nel caso concreto ricorrano i presupposti sia della sanzione amministrativa sia di una fattispecie penale. In queste ipotesi, dunque, trova applicazione soltanto la fattispecie penale e non viene applicata la sanzione amministrativa.

 

Gli effetti più significativi della clausola di sussidiarietà si verificheranno presumibilmente nelle ipotesi, oggi frequenti, in cui un soggetto violi una delle misure di contenimento dichiarando falsamente che lo spostamento è giustificato dalle esigenze consentite[3]. In questi casi dovrà trovare applicazione “soltanto” il più grave delitto di falso e non invece la sanzione amministrativa, con alcune ricadute negative sul piano della perdita dell’efficacia deterrente della sanzione immediatamente irrogabile e del coordinamento tra i due procedimenti, amministrativo e penale.

                                        

6. I profili di diritto intertemporale

Dal punto di vista del diritto intertemporale, si pone il problema di capire quali sanzioni si applichino ai fatti già commessi nella vigenza del precedente decreto n. 6/2020, ora integralmente abrogato.

Il Decreto Legge n. 19/2020, con l’intento di risolvere il problema per tabulas, prevede che le nuove sanzioni amministrative si applichino anche alle violazioni commesse prima della sua entrata in vigore, ma in tali casi sono applicate nella misura minima ridotta alla metà (cioè 200 euro).

Posto che, come sostenuto più sopra, il Decreto Legge n. 19/2020 ha depenalizzato la fattispecie penale prevista dal Decreto Legge n. 6/2020, è opportuno chiedersi se l’applicazione retroattiva della nuova sanzione amministrativa sia conforme con la disciplina generale in materia di depenalizzazione contenuta nella legge 689/1981.

Il problema, in concreto, si pone per i fatti commessi fino al 25 marzo 2020 e attualmente sub iudice (cioè trasmessi alle Procure affinché esercitino l’azione penale).

La questione, tutt’altro che pacifica, è stata oggetto di un contrasto interpretativo. Un primo orientamento, facendo leva sulle disposizioni transitorie di cui agli articoli 40 e 41 legge 689 /1981 ha ritenuto che tali disposizioni abbiano carattere generale e si applichino a tutti i casi di depenalizzazione.

Su un fronte contrapposto si colloca la posizione, condivisa dalle Sezioni Unite penali[4], secondo cui – in mancanza di un’espressa disciplina transitoria contenuta nella legge di depenalizzazione – le leggi che introducono sanzioni ammnistrative si applicano soltanto ai fatti commessi dopo la loro entrata in vigore, anche nei casi di depenalizzazione, in ossequio al principio di legalità e di irretroattività sanciti dall’articolo 1 legge 689/1981. A nulla rilevano, infatti, le disposizioni transitorie contenute negli articoli 40 e 41 Codice Penale della legge 689/1981, la cui operatività è limitata esclusivamente agli illeciti depenalizzati da quella stessa legge.

Secondo la giurisprudenza prevalente, dunque, l’efficacia retroattiva delle sanzioni amministrative nei casi di depenalizzazione ha carattere eccezionale e deve essere prevista espressamente dalla specifica norma che depenalizza un reato e introduce per il medesimo fatto una sanzione amministrativa.

Sotto questo profilo, dunque, il Decreto Legge n. 19/2020 ha cercato di risolvere a monte il problema, stabilendo che ai fatti commessi nella vigenza del precedente Decreto Legge n. 6/2020, ora abrogato, trovano applicazione le nuove sanzioni amministrative, con la precisazione, tuttavia, che la sanzione massima irrogabile non potrà superare i 200 euro, cioè l’equivalente dell’ammenda prevista dal precedente rinvio all’articolo 650 Codice Penale.

In questo modo viene salvaguardato il principio di uguaglianza di cui all’articolo 3 Costituzione, in una duplice accezione. Anzitutto, perché coloro che hanno commesso la violazione nella vigenza del precedente decreto legge non cessano di essere puniti per effetto della depenalizzazione; in secondo luogo, perché quegli stessi soggetti non soggiacciono ad un trattamento sanzionatorio più severo (nella quantificazione della pena pecuniaria) rispetto a quello che avrebbero subito nella vigenza del precedente decreto[5].

Desta invece qualche perplessità la previsione contenuta nell’articolo 4 comma 8 del Decreto Legge n. 19/2020, perché laddove prevede che “le disposizioni…che sostituiscono sanzioni penali con sanzioni amministrative” si applicano anche alle violazioni commesse in precedenza, sembra ammettere un’applicazione retroattiva della neo-introdotta misura accessoria della chiusura dell’esercizio o dell’attività (commerciale, imprenditoriale, sportiva, culturale, ecc.). 

 

7. Lo spazio applicativo della contravvenzione prevista dall’articolo 260 Testo unico leggi sanitarie per gli infetti che violano la quarantena

L’articolo 4 comma 6 del Decreto Legge n. 19/2020 prevede che la violazione della misura del divieto assoluto di allontanarsi dalla propria abitazione, da parte delle persone sottoposte alla quarantena perché risultate positive al virus, sia punita ai sensi dell’articolo 260 Testo unico leggi sanitarie, con l’arresto da 3 a 18 mesi e con l’ammenda da 500 a 5.000 euro, salvo che il fatto costituisca violazione dell’articolo 452 Codice Penale o comunque più grave reato

Il legislatore, seguendo una strada auspicata da autorevole dottrina, ha deciso di introdurre una fattispecie penaleautonoma per chiunque violi questa specifica misura di contenimento, ossia si allontani dalla propria abitazione pur essendo infetto, dunque in grado di contagiare un numero significativo di persone, considerata l’ormai nota elevata diffusività del virus.     

Rispetto ai fatti già commessi, si devono porre a confronto l’autonoma fattispecie penale dell’abrogato articolo 3 comma 4 Decreto Legge n. 6/2020 (che rinviava alla pena prevista dall’articolo 650 Codice Penale) e la nuova fattispecie prevista dall’articolo 4 comma 6 del Decreto Legge n. 19/2020. Infatti, la fattispecie del decreto abrogato trovava applicazione a tutte le violazioni delle misure di contenimento, ivi compresa quelle della violazione della quarantena, senza distinzioni a seconda della positività al virus o meno del contravventore

Considerato che la contravvenzione introdotta dall’articolo 4 comma 6 del Decreto Legge n. 19/2020 sanziona più severamente queste specifiche ipotesi di violazione della quarantena “con positività accertata”, ai fatti riconducibili a tale fattispecie e commessi fino al 25 marzo 2020 deve trovare applicazione la più mite sanzione prevista dall’articolo 3 comma 4 Decreto Legge n. 6/2020, in ossequio al principio generale affermato dall’articolo 2 comma 4 Codice Penale[6].

Sul piano del rapporto con le altre fattispecie, il legislatore ha introdotto una clausola di sussidiarietà: la contravvenzione non si applica se il fatto in concreto integra i presupposti applicativi dell’articolo 452 Codice Penale (epidemia colposa) o “comunque” di un più grave reato.

In questo modo si crea opportunamente un “microsistema sanzionatorio” che tiene conto dei diversi livelli di gravità della condotta di chi diffonde il contagio da COVID-19. La positività al virus e il riscontro scientifico sull’elevata diffusività dello stesso rendono ragionevole, proporzionata e conforme al principio di offensività la differenziazione delle sanzioni a seconda che la violazione dell’allontanamento dall’abitazione sia commessa da un soggetto sano (o asintomatico) oppure da un soggetto la cui contagiosità sia nota.

Al primo livello si colloca la condotta di chi si allontana dalla quarantena pur essendo positivo al virus; la violazione assume il carattere di una contravvenzione, punita indifferentemente a titolo di dolo o colpa ai sensi dell’articolo 43 Codice Penale.

Al secondo livello si colloca la condotta di che diffonde colposamente l’epidemia, punita ai sensi dell’articolo 452 Codice Penale con la pena della reclusione da 1 a 5 anni.

Come noto, sia la giurisprudenza costituzionale sia quella di legittimità in più occasioni hanno valorizzato la necessità di interpretare questa fattispecie secondo un criterio conforme al principio di offensivitàsanzionando soltanto le condotte effettivamente idonee ad esporre a pericolo il bene giuridico protetto dalla norma incriminatrice[7].

Pertanto, saranno riconducibili a questo più grave reato i comportamenti, adottati in violazione delle misure di contenimento imposte, che, in base alla probabilità statistica di diffusione del virus, rappresentano un pericolo per la salute pubblica, quale, ad esempio, il contatto ravvicinato con più persone per un lasso di tempo prolungato.

Sotto il profilo dell’elemento soggettivo, trattandosi di una fattispecie colposa, il presupposto dovrebbe essere costituito dall’assenza di accettazione esplicita del rischio di contagiare terzi[8], elemento che, se accertato, farebbe transitare il fatto nella più grave forma dolosa (di norma nella forma del dolo eventuale). L’applicazione di questa fattispecie colposa presuppone invece pur sempre la consapevolezza di essere contagiati, poiché, per espressa disposizione di legge, trova applicazione alle persone sottoposte alla quarantena perché risultate positive al virus.

All’ultimo livello si colloca la condotta di chi diffonde dolosamente l’epidemia (articolo 438 Codice Penale), cioè di chi, essendo a conoscenza della propria positività al COVID-19 decide avventatamente e con accettazione esplicita del rischio di stare a contatto ravvicinato per un lasso temporale prolungato con più persone, contagiandole (l’esempio potrebbe essere quello dell’organizzazione di una festa da parte del soggetto contagiato, con invito di numerose persone in un luogo ristretto).

Oltre ai rapporti con il reato di epidemia, dolosa o colposa, devono essere analizzati quelli tra la contravvenzione prevista dal Decreto Legge n. 19/2020 e altre più gravi fattispecie di reato che, in base alla clausola di sussidiarietà, prevalgono rendendola inapplicabile.

Si possono ipotizzare dei casi in cui il soggetto positivo al virus violi la quarantena ma non entri in contatto con più persone, bensì con una sola persona, contagiandola e, eventualmente, cagionandone la morte a causa delle complicanze del virus.

In queste ipotesi, la contravvenzione sarà esclusa e troveranno applicazione soltanto i più gravi reati (lesioni, omicidio) contestati e accertati, a seconda dei casi nella forma colposa o dolosa.

 

8. Conclusioni

L’intervento del legislatore ha senza dubbio avuto il pregio di creare una base normativa organica per offrire una risposta sanzionatoria effettiva e tempestiva, volta a dissuadere i consociati dalla violazione delle misure di contenimento.

Purtroppo, lo sforzo appare in parte vanificato dal frenetico susseguirsi di atti normativi, che pur volti a dare risposte rapide e adeguate ad una vicenda inedita e in continua evoluzione, hanno creato numerosi nodi interpretativi.

La questione di fondo non è di poco conto, perché impatta sul delicato equilibrio tra le esigenze di salute pubblica e i diritti fondamentali della persona costituzionalmente garantiti.                      

 

[1] L’art. 3 comma 4 Decreto Legge n. 6/2020 così disponeva “salvo che il fatto non costituisca più grave reato, il mancato rispetto delle misure di contenimento di cui al presente decreto è punito ai sensi dell’art. 650 Codice Penale”. La tecnica del rinvio adottata dal Decreto Legge n. 6/2020 aveva sollevato alcune perplessità. In primo luogo, il Decreto Legge n. 6/2020 è stato concepito come base normativa per le misure di contenimento destinate ad un’applicazione territoriale circoscritta alle c.d. zone rosse, mentre i D.P.C.M. successivi hanno esteso le misure a tutto il territorio nazionale, a causa della rapidissima diffusione dell’epidemia. Inoltre, il Decreto Legge n. 6/2020 è stato strutturato come norma penale “in bianco”, perché non descriveva il precetto in modo sufficientemente chiaro, rinviando ad altre fonti (quali D.P.C.M. e ordinanze) per gli aspetti attuativi e di dettaglio, ma effettuava un rinvio generico, con la conseguente violazione del principio di riserva di legge. L’approvazione del Decreto Legge n. 19/2020, che offre una base normativa per tutti i futuri atti con effetti sia a livello nazionale che locale e fornisce un elenco tassativo delle misure di contenimento che potranno essere adottate, è certamente apprezzabile sul piano della coerenza con il principio di legalità e della riserva di legge.

[2]  L’art. 16 legge 689/1981 prevede che il contravventore possa essere ammesso al pagamento in misura ridotta, pari al doppio del minimo edittale, entro 60 giorni dalla contestazione. La contravvenzione di cui all’art. 650 Codice Penale, invece, è oblabile, e consente di estinguere il reato con il pagamento di una somma esigua pari a 103 euro.

 [3] L’ufficio stampa del Ministero dell’Interno ha segnalato che tra l’11 e il 14 marzo 2020, 493 persone sono state denunciate per i reati di false dichiarazioni sulla propria identità (art. 495 e 496 Codice Penale).

[4] Cass. Pen., Sezioni Unite, n. 25457 del 29 marzo 2012.

 [5] La previsione appare conforme anche al principio di c.d. “legalità materiale” previsto dall’art. 7 CEDU e al suo corollario della prevedibilità delle sanzioni, in base al quale i consociati devono essere posti nelle condizioni di conoscere quali fatti costituiscono reato e quali sanzioni sono per essi previste. Questo principio, già affermato dalla nota sentenza della Corte EDU del 2009 nel caso Scoppola v. Italia, è stato di recente applicato dalla Corte costituzionale con sentenza n. 63/2019, anche in relazione alle sanzioni amministrative aventi carattere afflittivo e finalità punitiva.

[6] La specifica violazione della misura del divieto di allontanamento dall’abitazione in ipotesi di positività al virus non è stata oggetto di depenalizzazione e continua ad avere rilevanza penale ai sensi dell’art. 4 comma 6 Decreto Legge n. 19/2020.

[7] Secondo l’interpretazione condivisa dalla giurisprudenza più recente, l’epidemia è un delitto sia di danno sia di pericolo. È cioè necessaria la trasmissione di una malattia eziologicamente ricollegabile a germi patogeni, che sia in grado di infettare contemporaneamente più persone e abbia la capacità di espandersi ulteriormente e rapidamente per la sua diffusività incontrollabile, esponendo a pericolo una porzione ancor più vasta della popolazione.

[8] Si discute in realtà in giurisprudenza se, perché si possa avere dolo eventuale, sia sufficiente una generica accettazione del rischio od occorra un requisito più stringente: cfr. al riguardo Cass. pen., Sez. I, 3 aprile 2018, n. 14776 e Cass. pen., Sez. IV, 30 marzo 2018, n. 14663.