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Confidenza

_L'abbraccio tra Mediterraneo e Ionio_ - Isola delle Correnti, Portopalo di Capo Passero
Ph. Simona Loprete / _L'abbraccio tra Mediterraneo e Ionio_ - Isola delle Correnti, Portopalo di Capo Passero

A riempire una stanza basta una caffettiera sul fuoco”

Erri de Luca, “I tre cavalli”

 

L’aforisma di Erri de Luca è troppo conosciuto ed utilizzato per essere originale la citazione. La sua lettura mi ha sempre però emozionato, facendomi tornare alla mente quanto visto e sperimentato direttamente nell’attività lavorativa, ossia come basti un caffè, preso anche davanti ad una “macchinetta”, che non è certa la caffettiera napoletana citata, a far venire voglia di chiacchierare tra colleghi. Soprattutto una tazzina calda fra le mani, induce a sedersi, invitare anche collaboratori, per prendersi una pausa, ma talvolta anche per parlare di argomenti importanti. A questo riguardo è sufficiente fare riferimento ai tanti caffè letterari che da molto tempo sono diffusi e frequentati, come luoghi di condivisione e di cultura.

La scena evocata dallo scrittore e poeta napoletano rappresenta, in modo sintetico, come basti poco per rendere il clima di un ambiente, anche quello lavorativo, caloroso, confidenziale, familiare, finanche conviviale, perché talora al caffè si aggiunge un dolcetto.

Ed è anche abbastanza incredibile come il caffè costituisca un elemento che favorisce e catalizza lo stare insieme per un tempo anche limitato e definito, tanto da essere pure istituzionalizzato come pausa-caffè.

È un momento/spazio a parte rispetto alle ore di lavoro: è un tempo/luogo sospeso dove si è differenti e uguali, dove tutti possono sentirsi della stessa età (o quasi!) ed è ancora l’occasione per chiacchierare, spettegolare e farsi delle confidenze.

La sospensione temporanea dei rapporti istituzionali prestabiliti, dei ruoli incardinati nell’organizzazione, anche delle funzioni svolte nel lavoro, facilita e rende possibile la comunicazione di aspetti di vita personale, opinioni soggettive, stati d’animo.

La parola confidenza, che indica familiarità, dimestichezza, secondo la definizione della Treccani, ha il significato, dal latino confidentia «fiducia, impudenza», non comunemente utilizzato di fiducia, mentre è utilizzata in molti modi, tra cui anche quello di comunicare un segreto (come “voglio farti una confidenza”) oppure nel senso di “dare confidenza”, che viene poi declinato nel dare troppa confidenza, prendersi delle confidenze, cioè trattare con poco rispetto o dire cose e avere comportamenti non convenienti con una persona o in una situazione. Si può dire che si passa dal sentirsi a proprio agio all’osare troppo in una relazione.

Sulla parola fiducia, ha già scritto in modo molto convincente Barbara Neri circa le situazioni in cui si tratta di giudicare il lavoro di un collaboratore, scrivendo in Valutazione, (Link), come pure Giovanni Lodigiani nel suo contributo Incertezza: occasione di fiducia (Link), ha descritto a fondo come la reciproca fiducia nel lavoro, consenta di svolgere l’attività con “passione, competenza ed entusiasmo”. Anche nell’articolo sull’Organizzazione empatica (Link) Alfredo Biffi si ritrova la dimensione della fiducia come importante elemento nelle relazioni organizzative.

Nel mio contributo vorrei presentarla in una situazione specifica e molto particolare che avviene tra le persone, in quel particolare spazio/tempo sospeso che è ad es. la pausa/caffè, ma si potrebbero citare molti altri momenti lavorativi in cui accadono incontri personali al di fuori dei ruoli codificati (come la pausa-mensa, oppure le occasioni di incontro prima o dopo riunioni ufficiali), ed al giorno d’oggi si potrebbero ricordare anche quelli virtuali, come gli scambi di messaggi interpersonali o in gruppo via WhatsApp o su altri social, ecc.

Questi momenti introducono la dimensione soggettiva e relazionale, che prescinde dall’assetto organizzativo, dalla gerarchia dei ruoli, dall’organizzazione del lavoro nell’azienda, dalla sua dotazione tecnologica; nel luogo di lavoro entrano in questo modo le emozioni di cui ci ha parlato varie volte Barbara Martini. Nelle confidenze sono prevalenti gli stati d’animo, i vissuti personali, le vicende di vita di ciascuno, che sono messe in comune con gli altri con cui si lavora, in momenti consensualmente accettati come dedicati proprio a questo. Le confidenze, i pettegolezzi, le chiacchiere contribuiscono anche a rianimare un’organizzazione che può essere disattenta, più o meno tanto, alla persona ed alle sue esigenze.

Propongo quindi di considerare tali momenti, non solo come occasioni utili a superare il normale stress di un’attività lavorativa, favorendo il riposo mentale e fisico ed il recupero della capacità di attenzione e di concentrazione, ma anche come opportunità per uscire dalla spersonalizzazione prodotta dalla rigidità dei ruoli soprattutto nelle grandi istituzioni.

Ormai è acquisito che il coinvolgimento e la collaborazione nell’attività lavorativa si raggiungono solo con la creazione di un ambiente lavorativo in cui la gestione del potere, della comunicazione, della definizione dei ruoli siano compatibili con l’affettività e l’emotività dei singoli e dei gruppi e sotto-gruppi.

Ma, ritornando alla confidenza, possiamo chiederci se vi è un limite da rispettare e come è possibile definirlo: certamente il suo tempo/spazio sospeso, di cui ho parlato, già in qualche modo circoscrive il suo ambito o per lo meno definisce la sua indispensabile temporaneità nell’attività lavorativa. Contenendo poi la parola stessa un elemento di fiducia nell’interlocutore, nella persona/gruppo a cui si affida una parte della nostra vita familiare e della nostra “intimità”, vi possono essere per semplificare due atteggiamenti contrapposti: quello di chi diffida dell’altro e quello di chi si affida. Nella vita quotidiana però vi sono, per fortuna, tutte le sfumature fra queste due polarità, che non impediscono gli inevitabili disguidi, le incomprensioni ed i fraintendimenti nei rapporti per la comparsa della soggettività, proprio là dove i ruoli vorrebbero annullarla.

Quindi la confidenza, pur nella sua utilità, va maneggiata con cura: oltre al limite spazio/temporale, di cui si diceva, ci si dovrebbe chiedere se quello che si sta dicendo mantiene il rispetto per gli altri, non provoca imbarazzo e se il clima emotivo del gruppo in quel momento lo può condividere.