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Valutazione

Museo Guggenheim Bilbao
Ph. Consuelo Corsini / Museo Guggenheim Bilbao

Per entrare nel merito dei processi valutativi è importante ricordare che le dimensioni di crescita e sviluppo professionale si collocano all’interno del binomio organizzazione-persona. Come evidenziano C. Bentivogli e D. Callini “se i bisogni delle organizzazioni e delle persone risultano opportunamente in equilibrio, si produrranno circoli virtuosi di reciprocità realizzativa. Se quelli delle persone restano insoddisfatti a scapito di quelli organizzativi, si svilupperà un modello burocratico tendente all’agire passivo e alla demotivazione delle persone”.

Fra le leve a disposizione dell’organizzazione per favorire questo stesso equilibrio fra le proprie attese e le attese dell’individuo, vi è appunto la progettazione del sistema per la valutazione del personale che può essere definito attraverso l’esplorazione di molteplici dimensioni, fra le altre: la valutazione della performance o del potenziale, dei risultati raggiunti e/o dei comportamenti agiti.

Di fronte ai molteplici sistemi di valutazione che è possibile ideare, vorrei soffermarmi in questa sede sulla sola valutazione dei comportamenti, collegabili alle c.d. “competenze di secondo livello[1]. Tema questo fra i più dibattuti nel campo della gestione dei collaboratori, in particolare nel settore del pubblico impiego. Ambito sul quale si esprimono le maggiori resistenze da parte delle persone, resistenze spesso alimentate da una cultura dell’alibi, maldestramente collegata a fattori esogeni e indipendenti dalla propria reale prestazione che, da difesa, costituiscono in realtà la vera trappola di chi viene valutato e il reale impedimento ad un percorso di crescita e sviluppo.

Dal mio punto di vista è importante valutare i comportamenti nella misura in cui questi sono collegati all’etica del lavoro che l’organizzazione stessa si dà, esplicata dai comportamenti, desiderati e attesi, e a loro volta ispirati da principi, criteri e valori guida dell’agire nei luoghi di lavoro.

Dunque, fra i molti comportamenti che possono essere richiesti e valutati nei luoghi di lavoro ritroviamo, nel comparto università (ma non solo): la capacità di proporre soluzioni innovative, la collaborazione e il grado di coinvolgimento nei processi lavorativi, l’orientamento all’utente e l’attenzione alle esigenze dell’utenza, la capacità di risolvere problemi e prendere decisioni.

Ambiti nei quali si esprime chiaramente la responsabilità e la discrezionalità del nostro agire, ma che altrettanto chiaramente sono da intendere come valore e non come limite. Di fatto, come evidenzia Pier Giovanni Bresciani, i sentieri organizzativi sono lastricati da antinomie strutturali: l’antinomia fra l’esigenza di appartenenza e identificazione che richiede l’organizzazione e l’esigenza di flessibilità e indipendenza che esprimono i lavoratori; l’antinomia fra l’esigenza del controllo e la necessità di definire procedure e prestazioni prevedibili, contrapposta all’esigenza di autonomia e discrezionalità che i collaboratori richiedono nell’esercizio del proprio lavoro; ma ancora, nell’antinomia fra la richiesta di essere destinatari di soluzioni differenziate e personalizzate che però vengono poi poste sotto la lente d’ingrandimento dell’“equità comparativa” spesso da parte di quelle stesse persone che istaurano così, con i propri comportamenti appunto, un circolo vizioso all’interno del quale viene avanzato il valore della dimensione comunitaria, ma portando l’istanza squisitamente individuale.

Ecco che in questi facili esempi nei quali tutti noi possiamo riconoscerci, credo emerga con tutta la sua forza la complessità e ambivalenza della vita organizzativa che per le parole di Bresciani “non si può superare soltanto rimuovendo uno dei due elementi in contrasto” ma che occorre gestire trovando punti di equilibrio guidati dalla dimensione comportamentale e dunque attraverso variabili sufficientemente dinamiche nel tempo “che consentano la costruzione e la manutenzione di quel contratto psicologico che è necessario perché un’organizzazione possa funzionare, al di la delle norme e delle procedure”. Costruzione e manutenzione che è sano realizzare valorizzando i processi valutativi e la valutazione dei comportamenti organizzativi.

È importante ricordare che le strategie possono certamente essere integrate e che cambiano, anche di molto, in base ai ruoli ai quali si rivolge e alla stessa cultura organizzativa. Per intenderci, se l’organizzazione è marcatamente orientata all’efficienza la valutazione avrà un ruolo di verifica e controllo e sarà orientata ad assicurare il rispetto degli standard produttivi prefissati. Se l’organizzazione è maggiormente orientata all’innovazione e alla gestione della conoscenza il momento valutativo assumerà più il ruolo delineato poco sopra, vale a dire, un ruolo di apprendimento, condivisione di valori, conoscenza, individuazione e rafforzamento dei comportamenti ritenuti più coerenti. In questo contesto la valutazione non è quindi esclusiva espressione della relazione gerarchica nella quale il responsabile, il capo, esercita il controllo sul proprio collaboratore. Bensì ci troviamo di fronte ad una relazione di condivisione all’interno della quale non ci sarà un vincitore e un vinto, ma ci sarà l’attivazione di un processo di condivisione di informazioni e conoscenze volte a favorire la crescita della persona, andando quindi oltre la verifica del raggiungimento o meno dei compiti assegnati.

All’interno di questo processo il responsabile verificherà quindi il comportamento organizzativo - nelle dimensioni esemplificate poco sopra per l’ambito pubblico, o altre ancora che l’organizzazione riterrà utili per sostenerne il clima e alimentare la propria cultura – messe in atto dall’individuo nell’interazione stessa con la complessità e mutevolezza dell’ambiente circostante, del contesto in cui opera e che influirà inevitabilmente sull’esecuzione stessa della prestazione lavorativa.

Tutto ciò con la finalità di orientare, stimolare e incentivare il miglioramento della prestazione individuale e del gruppo; migliorare la performance complessiva dell’unità organizzativa assegnata; valorizzare il ruolo e il contributo professionale di ciascuno; favorire momenti di ascolto, dialogo e confronto strutturato; sostituire la logica dell’adempimento al compito con una cultura basata sul raggiungimento delle performance individuali attese.

Ci tengo a sottolineare che l’oggetto della valutazione va oltre la persona, non è la persona e il suo carattere che sarà valutato, ma sono i modi e le capacità attraverso le quali questi esplica la propria attività lavorativa e ciò in relazione agli altri ruoli, ai colleghi e alle altre unità organizzative, in una dimensione anche di servizio interno ed esterno. In breve, ciò che è valutato è il modo in cui la persona esprime le proprie competenze all’interno di un sistema di relazioni dinamiche.

Nel mio percorso professionale mi è capitato spesso di sentire dire: “alla fine ai miei collaboratori do sempre il massimo, non voglio avere problemi”. È una scorciatoia questa alla quale probabilmente molti di noi hanno pensato. Valutare può essere scomodo da entrambe le parti, dalla parte di chi valuta tanto quanto di chi è valutato.

All’interno di un processo di valutazione può capitare di dover gestire resistenze e può capitare anche che sorgano conflitti. Però in coscienza occorre ci si chieda quale valore avrebbe il nostro ruolo se scegliessimo di piegarci a questi facili compromessi.

Intendo il mio ruolo nella sua dimensione di responsabilità per la crescita del gruppo e di ciascuno degli individui che compongono il gruppo stesso. Per me valutare significa intervenire nella realtà, nelle prassi, orientandole e dirigendole, significa prendere una posizione specifica rispetto alla molteplicità dei tratti possibili nei quali può esprimersi la prestazione professionale. Nel ruolo che ricopro penso sia mio dovere interrogarmi ogni giorno sulle potenzialità dei miei collaboratori che devo prendermi il tempo per definire, vedere e riconoscere, tutto ciò per poterle guidare e stimolare al meglio. Non servirà a loro avere il massimo se non è quello il massimo che possono pretendere da sé stessi e non farei del bene, né al gruppo né all’organizzazione, se attraverso la valutazione consolidassi prassi e comportamenti che presentano potenzialità di crescita. Credo sia mio dovere, sia come valutatore che come valutato, ambire al miglioramento continuo, come persona e come professionista.

Va da sé che un ingrediente fondamentale del processo è la fiducia, la fiducia fra capo e collaboratore e l’altro elemento cardine del processo è la gestione del feedback, ma non ne parlerò in questa sede.

Ciò che mi interessa dire, per concludere, è che penso sia compito dei valutatori stimolare i propri collaboratori nell’acquisire, non tanto il senso del dovere, quanto il senso del volere, affinché essi stessi siano soggetti attivi di un percorso di autovalutazione e miglioramento continuo.

 

[1] ISFOL ha a sua volta ricondotto le competenze di secondo livello all’interno di tre categorie: diagnosticare (che rinvia all’importanza di riflettere prima di agire, osservando, analizzando e interpretando correttamente i problemi); relazionarsi (che significa comunicare, ascoltare, cooperare, delegare etc); affrontare (che implica la capacità di assumersi la responsabilità, prendere l’iniziativa, convivere con l’incertezza, gestire gli imprevisti etc)