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La strada che porta alla scuola

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La strada che porta alla scuola

All’incirca quindici anni fa partecipai ad un incontro residenziale con docente il Prof. Gian Piero Quaglino.

Anche grazie al mio “mestiere” ho avuto l’opportunità di seguire moltissimi eventi e iniziative formative, ma quella, in particolare, mi è rimasta nel cuore. Come ci spiegava il prof. Stefano Ferrari “componente essenziale della progettazione formativa, lo è anche il contesto in cui la formazione stessa viene erogata” e probabilmente in quella esperienza giocò un ruolo chiave proprio il luogo nel quel si tenne l’iniziativa; era il Castello di San Sebastiano Po che gli stessi proprietari così descrivono “… è uno spazio della storia, bello e imperfetto. Non convenzionale. È chi lo visita a completarlo con la propria fantasia”.

In quella occasione feci anche bellissime conoscenze; spesso mi chiedo quanto le coincidenze della vita siano importanti e determinanti nel definire il nostro futuro. Quelle persone che arrivano a te, per quello che sembra essere “un caso serendipitoso”, e che poi hai la fortuna e spesso il privilegio, di ritrovartele al fianco, per il resto o per gran parte, del tuo percorso.

Forse proprio per questi semplici pensieri, ciò che più mi colpì di quella esperienza fu una riflessione del Prof. Quaglino, sull’importanza della strada che conduce alla scuola; quella strada, nelle relazioni intrattenute nel percorrerla e negli eventi che la attraversano, che ci offre quel fondamento di conoscenza, se non di saggezza, riguardo alle cose della vita.

Abbiamo percorso lunghi tratti per raggiungere i luoghi della conoscenza, ma probabilmente, molti di noi, nel proprio cammino, ignoravano quanto quel tragitto, fatto di leggerezza, di risate e schiamazzi, e a tratti, di sana incoscienza, ci stava offrendo “una possibilità di apprendimento attraverso la quale l’interrogazione della vita ne insegue la trasformazione”.

Dunque un luogo di apprendimento esso stesso, quella strada, non solo destinata a definirci e a cambiarci, ma profondamente immersa nel cambiamento che saremmo diventati nel tempo.

La strada come luogo di elaborazione della conoscenza che il prof. Quaglino definisce come formazione di progetti e processi, prima e oltre i contenuti, “che rinuncia a ciò che si può e si deve insegnare per operare in vista di ciò che si può e si vuole apprendere, che rinuncia cioè ad essere lo spazio in cui il sapere si trasferisce, per realizzare il momento nel quale il sapere si costruisce”.

Quindici anni fa mi mancavano (e francamente anche oggi fatico ad averli nella misura che vorrei) gli schemi concettuali utili per comprendere a pieno il significato di quel messaggio che, allora come oggi, considero tanto ricco quanto complesso e che tuttora fa da cornice a molti dei miei pensieri e ricordi, nella ricerca del senso che vorrei dare al mio percorso.

All’epoca il prof. Quaglino definì tutto questo “terza formazione”, di recente questa “terza formazione” è stata codificata come apprendimento informale e non formale e più di recente, ho appreso del concetto di “capacitazione”.

Capacitazione deriva dall’inglese capability (sintesi di capacity e ability) ed esprime appunto l’idea dell’esperienza che deriva, dall’esprimere ed esercitare, una nostra capacità in azione.

Apprendimento informale, dunque, e non intenzionale; capacità spesso apprese senza avere la consapevolezza di trovarci all’interno di un processo di sviluppo della conoscenza, di abilità, di costruzione della nostra personalità, delle nostre idee e valori. Una ricchezza che è nelle nostre disponibilità ma che, non essendo codificata, fatichiamo a vedere e a comprenderla a noi stessi.

Come evidenziano Ferdinando Azzariti e Cristiano Chiusso, impariamo incidentalmente, senza la chiara consapevolezza del processo di apprendimento di cui si è protagonisti. Il nostro bagaglio di esperienze costituisce un tesoro di conoscenze e di saperi tacito, implicito, silente, eppure è dai contesti di vita informali che emergono le capacità interne del soggetto da cui ricavare le risorse necessarie per affrontare nuovi contesti di vita e di lavoro.

Riflettevo quanto, tutti questi ragionamenti, siano spesso pienamente calzanti nelle fasi iniziali del nostro percorso di vita, in giovane età, in assenza di sovrastrutture e condizionamenti che, nel tempo, definiscono routine e zone di comfort dalle quali diviene difficile uscire e liberarsi.

Nel fare questi pensieri mi è venuto alla mente un libro che lessi qualche tempo fa “per dieci minuti” di Chiara Gamberale. Un racconto parzialmente autobiografico che parte da una trasformazione di vita dell’autrice data da eventi esterni: un matrimonio finiti, un lavoro che non c’è più. “Hai presente quando la vita che fai ti pare sì la tua, ma senza di te?”

Chiara parla del suo vissuto con la sua psicoterapeuta, la quale, ispirata da Rudolf Steiner, le propone di fare “un gioco per persone serie”: per un mese, a partire da subito e per dieci minuti al giorno, Chiara dovrà fare una cosa che non ha mai fatto. Una qualunque cosa, con l’unico vincolo che non sia mai stata fatta nei trentasei anni della sua vita. Chiara decide quindi di affrontare questo percorso, che avvia in modo cauto, partendo da cose semplici: indossa uno smalto fucsia, si iscrive in palestra, fa i pancake (alla nutella). Ma poi approccia anche il violino e scopre che è così tanto leggero da aver quasi paura di fargli male. Cammina di spalle per la città. Ascolta i problemi di sua mamma. S’incanta ad osservare la “La Stradina” di Vermeer.

Chiara capisce che c’è qualcosa che può guidarla oltre lo sconforto e la rassegnazione. Che ci sono posti e persone da conoscere, “persone che non dobbiamo sforzarci di accogliere: sono già entrate nella nostra vita mentre non ce ne rendevamo conto”. Comprende che ci sono ancora molte cose nuove da imparare.

Abbracciare il cambiamento, per dieci minuti al giorno, con fantasia, coraggio e il desiderio di andare oltre i nostri limiti apparenti e le nostre rassicuranti abitudini. Dieci minuti al giorno per percorrere quelle strade nuove che ci guideranno verso un mondo nuovo e la ricostruzione di sé.

“Perché nelle infinite semplificazioni con cui crediamo di metterci in salvo e dentro cui invece ci perdiamo, c’è una cosa, una soltanto, che non può venirci dietro, che non possiamo ingannare”: il tempo.

E voi? Cosa avete scoperto di voi stessi e chi siete diventati oggi percorrendo la strada che vi conduceva alla scuola? E oggi, quanto siete stimolati o spaventati dall’idea di accogliere quelle deviazioni, nella vita e nel lavoro, che vi porteranno a percorre nuovi sentieri e a fare nuove scoperte?
 

Nella vita e nel lavoro “iniziare un nuovo cammino spaventa.
Ma dopo ogni passo che percorriamo ci rendiamo conto
di come era pericoloso rimanere fermi”

Roberto Benigni