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Thomas, genio, malato o diverso?

Thomas e la difficoltà di essere bambini diversi
Thomas
Thomas

61 anni.

Sono pochi per morire, tanti per sperare di vivere ancora chissà quanto.

Thomas ha la testa pesante, lei se n’è andata tenendogli la mano e lui, ora, si trova nella sua casa a cercare di mettere un po’ di ordine. Perché quando si lascia questo mondo bisogna sempre nascondere le tracce del passaggio.

Thomas apre i bauli, sistema i cassetti, svuota gli armadi.

Dentro alla cassapanca che stava in camera di sua madre, sotto due file ordinate di coperte colorate, trova una scatola di cartone.

Dentro ci sono delle buste, lettere scritte da sua madre, qualcuna da suo padre e altre missive di persone di cui ignora l’identità, o delle quali ha udito il nome in qualche conversazione con mamma.

Poi vede una busta gialla.

La prende, la soppesa e legge la scritta sul retro.

Viene dalla scuola, la sua scuola, quella dove ha studiato da bambino.

“Per la signora Nancy Matthews Elliott”.

E allora ricorda.

Rammenta quel giorno di febbraio del 1859, i suoi dodici anni appena compiuti, il freddo polare, la neve che minaccia di cadere ma che non sfonda mai il cielo carico, come una diga scura che regge all’impatto dell’acqua, si gonfia ma respinge le ondate d’attacco.

Rivede il suo insegnante, quell’uomo burbero e pauroso, la sua barba, i baffi lunghi.

Si sforza di ricordare il nome ma non ci riesce.

Ripassa a memoria i visi dei compagni, i nomi, quelli degli altri insegnanti, e li ritrova tutti, quasi subito, senza grande fatica.

Lui no.

Come se l’avesse rimosso.

Rivede quella mano allungata verso di lui.

“Questa dalla a tua madre”, la voce come un temporale, gli occhi come saette.

E mamma che inforca gli occhiali si siede a fatica sulla seggiola di cucina, apre la busta e legge.

Dapprima in silenzio, tra sé e sé, tu con le gambe che tremano, indecise se cedere alla paura o ai salti di gioia.

Lei che scorre con  gli occhi, le pupille attente, la bocca che si arriccia.

Tu che non sai cosa aspettarti, le mani che fremono, che si strusciano sulle cosce, che afferrano elettriche un'aria che vorresti prendere tra le dita.

Mamma che lascia andare un sorriso, ti guarda con amore e prende tempo.

“Cosa dice mamma?”

Prende fiato, come se dovesse fermare un singhiozzo che la sconquassa da giorni, e parte.

Gentile Signora,
Vostro figlio è un genio,
e questa scuola è troppo piccola per lui. Qui non abbiamo insegnanti idonei alla sua formazione. La preghiamo di istruirlo lei personalmente

Thomas le butta le braccia al collo, è felice e al contempo preoccupato.

“Ma come farai mamma?” chiede staccandosi dall’abbraccio. "Come faremo?"

“Faremo, Thomas, stai tranquillo. Faremo”.

E la vita che poi è trascorsa, per tanti anni, nella gioia, nella gloria, nella fama.

Thomas ricorda felice quei momenti.

Soppesa ancora la busta e la apre.

Estrae il foglio e legge.

Signora,
Vostro figlio ha lentezza nell’apprendere dovuta ad un ritardo mentale. La preghiamo vivamente di non mandarlo più nella nostra scuola

Thomas resta di pietra, la lettera tra le mani, le lacrime che sforzano gli occhi, e che, a differenza del cielo, lasciano tracimare tutto, in un lungo pianto dirotto.

Poi la rabbia prende il sopravvento, accartoccia la lettera e la butta per terra con forza.

Bugiarda è la prima parola che gli viene.

Bugiarda

Poi si abbassa, raccoglie la lettera, la apre, la rilegge una volta, poi ancora, e si siede.

Ripensa alla donna, al suo sorriso fermo, alle parole inventate, al sentiero tracciato.

E a quello che poi è stato.

A tutti i brevetti, a tutte le invenzioni, al denaro, alla fama.

E appoggia la testa sulle braccia, morte sul tavolo di cucina.

Poi si alza di scatto, prende dalla borsa il suo diario, si asciuga gli occhi e scrive.

Thomas Edison era un bambino affetto da un disturbo mentale. Grazie all'amore della mamma divenne una delle personalità più importanti del suo secolo

Thomas sorride, finalmente.

Si alza, apre la porta ed esce, lasciandosi alle spalle amore, tristezza e tanta, tantissima riconoscenza.