Mamma e papà, mamma con papà
Mamma e papà, mamma con papà
Tag: Maternità, paternità, genitori e figli
Sintesi: Paternità e maternità, lo stesso compito di vita ma ciascuno con la propria peculiarità
Abstract: L’articolo descrive l’essere mamma e papà dal punto di vista dei figli, sui quali i genitori incidono in modo irreversibile senza la “giusta” consapevolezza e oltre l’immediatezza della situazione
Tra gli studi recenti, dalla psicogenealogia alla etnopsicologia o etnopsichiatria, molto interessanti sono i risultati delle ricerche della cosiddetta psicologia positiva, che si concentra sulle emozioni positive, sulle relazioni positive, su quanto di positivo si può costruire e salvaguardare nella famiglia e non sugli aspetti patogeni e/o patologici delle relazioni e dei gruppi.
Dalla psicologia positiva si ha la conferma che le relazioni familiari sono e restano quelle fondamentali e che determinante è che queste relazioni siano di qualità.
Ilona Boniwell, una delle studiose europee più rinomate di psicologia positiva, sostiene: “Se un bambino cresce all’interno di un matrimonio affettivamente stabile, mostra un indubbio vantaggio a livello scolastico dal punto di vista cognitivo, di attenzione, apprendimento e interessi, insieme alla capacità di vivere con i compagni in modo rispettoso e non violento”. I figli non devono fare la felicità dei genitori ma, al contrario, i genitori devono dare felicità (e non cose) ai figli.
“Madre” e “padre”, nomi con origini etimologiche diverse, attengono al ruolo sociale, mentre “mamma” e “papà”, voci onomatopeiche legate alla fase della lallazione e anche della nutrizione infantile, riguardano il ruolo affettivo all’interno della famiglia. Madre e padre devono imparare a fare la mamma e il papà in modo idoneo al figlio che hanno ricevuto dalla vita. Da notare che le parole “madre” e “padre” differiscono, in italiano, solo per l’iniziale, come anche nella lingua francese, mentre in quella inglese cambia la prima sillaba, per sottolineare che è lo stesso compito di vita ma ciascuno con la propria peculiarità.
“Se hai avuto una mamma tenera, miciona, affettuosa tu le coccole le conosci e le sai produrre, non ti manca quel linguaggio, non hai un vuoto, e quello è importante; si cresce da quello. Si cresce dal fatto che la mamma ti vuole bene; questo è molto importante; sono cose che formano l’essere” (don Fabio Rosini). I bambini hanno bisogno di tenerezza e non di sdolcinatezza. “Tenerezza” viene dal latino tenerum, che significa “di poca durezza, che acconsente al tatto”, dunque “sensibile”: la tenerezza è quella giusta dose di attenzione, cura che non schiaccia e non asfissia. Al tempo stesso i bambini hanno bisogno di sicurezza (dal latino “sine cura”, senza preoccupazione) che, solitamente, è rappresentata dal padre o comunque da una solida coppia genitoriale, come richiesto dalla legge sull’adozione L. 184/1983 novellata (art. 6). “Papà”o “babbo”e non “mammo”: il papà che fa il papà è papà. Alcuni padri fanno come le madri, anche più di certe madri. Entrambi esercitano quell’accudimento di cui all’art. 7 par. 2 Convenzione Internazionale sui Diritti dell’Infanzia che è necessario per crescere e svilupparsi, che favorisce e garantisce il ben-essere del bambino. Accudimento che è la primordiale forma di contatto e la forma tipica di cura dei mammiferi in cui maschio e femmina fanno ciascuno la sua parte, come dimostra l’etologia. Quell’accudire (dallo spagnolo “acudir”, accorrere, che è un rifacimento di “recudir”, rimettere una cosa al suo posto, dal latino “recutĕre”, respingere indietro) che è dovuto non solo in tenera età ma ancor di più in caso di “problemi” tra cui la separazione dei genitori, come si ricava pure dalla Carta dei diritti dei figli nella separazione dei genitori (ottobre 2018), dove in particolare al punto n. 3 si legge: “[I figli] Hanno il diritto di non subire la separazione come un fulmine, né di essere inondati dalle incertezze e dalle emozioni dei genitori. Hanno il diritto di essere accompagnati dai genitori a comprendere e a vivere il passaggio ad una nuova fase familiare”.
Lo psicologo e psicoterapeuta Fulvio Scaparro spiega: “Uno dei primi giochi che compaiono nell’infanzia è il nascondino. Già in braccio alla mamma, il piccolo di pochi mesi osserva con curiosità, tensione ed apprensione il papà che fa capolino dietro le spalle della mamma per poi scomparire e ricomparire subito dopo. Alla ricomparsa del volto del papà, il piccolo sorride sollevato. E vuole ripetere il gioco più e più volte: tensione e rilassamento, preoccupazione per la scomparsa e gioia per il ritrovamento. Il piacere della vita non sta nell’assenza di tensione o nel continuo stress, ma nell’alternanza di queste esperienze, nel movimento, nel conflitto e non nella guerra. Una raccomandazione: niente sadismi, non spingete la scomparsa oltre il limite di una sopportabile tensione del bambino. È un piacevole allenamento. Per le scomparse definitive avrà una vita per allenarsi e non è il caso di bruciare le tappe”. Il bambino va abituato all’assenza, alla mancanza, al vuoto che non significa procurargli lacerazioni o sofferenze ma fargli esperire ogni situazione o accompagnarlo in essa, ruolo in cui si rivela più “forte” il padre. Nell’art. 13 della Convenzione Internazionale sui Diritti dell’Infanzia, dopo l’enunciazione del diritto alla libertà di espressione, si parla di libertà di ricercare, ricevere e diffondere informazioni e idee di ogni genere, per cui non si deve tenere il bambino sotto una campana di vetro, per esempio come l’evitare rumori o tenerlo appartato durante il sonno o riposino o durante l’allattamento.
Il pedagogista Daniele Novara afferma: “«Non mi ascolta» è una delle lamentele più frequenti dei genitori di oggi nei confronti dei figli. Lamentele lontane anni luce dalle pratiche educative dei genitori di due o tre generazioni fa, più propensi al comando e all’obbedienza che al dialogo e alle spiegazioni insistenti. «Glielo dico e ridico dieci volte e ancora non si veste!» mi racconta una mamma ormai stremata. Si sente un’emozione di fragilità nelle sue parole, l’impressione, neanche tanto mascherata, di non essere considerata e riconosciuta, quasi che il figliolo si fosse scordato di lei. Non si tratta di coltivare la nostalgia di un passato pieno di mortificazioni, ma neanche di voler essere amici dei figli, rischiando così di perdere il proprio ruolo educativo”. A metà degli obiettivi educativi indicati nell’art. 29 della Convenzione Internazionale sui Diritti dell’Infanzia, alla lettera c si legge “inculcare al fanciullo il rispetto dei genitori, della sua identità”. “Rispetto” etimologicamente significa “guardare di nuovo, guardare dietro”, pertanto i genitori devono fare attenzione a quello che fanno guardare di sé ai figli, per esempio per farsi ascoltare non devono minacciare di riferire qualcosa all’altro genitore oppure non devono contrariarsi o contraddirsi tra di loro davanti al figlio.
Daniele Novara aggiunge: “La rabbia dei bambini piccoli è assolutamente normale e fisiologica, perlopiù legata proprio all’essere piccoli, cioè deboli, inferiori, incapaci di controllare il mondo intorno a loro. Sentono la frustrazione di non poter fare come vogliono, di essere spesso in balìa di adulti ansiosi, insicuri, incapaci di contenerli sul piano simbolico e psicologico ancor prima che educativo. Si arrabbiano per non poter guardare la tv, per dover condividere i giocattoli col fratellino o perché la mamma non gli dà sufficiente attenzione”. La gestione della rabbia dei figli è componente del diritto all’ascolto dei figli stessi (art. 12 Convenzione Internazionale sui Diritti dell’Infanzia) che non vanno accontentati ma contenuti.
La psicologa Rossella Giuliani analizza un altro “problema” da gestire: “I bambini, quando aspettano la nascita di un fratellino, vivono l’attesa attraverso la loro mamma e ne percepiscono i cambiamenti fisici ed emotivi. Quando non riescono a trovare una spiegazione a ciò che avvertono, allora il rischio è che si crei in loro un ‘non detto’, qualcosa di cui aver paura e che non si può nominare. È utile dire al bambino cosa sta accadendo per evitare che possa sviluppare timori legati all’arrivo del nuovo fratellino che dovrà affrontare delle difficoltà”. Nelle dinamiche familiari bisogna “curare” la comunicazione, così nel comunicare al figlio o alla figlia maggiore l’attesa di un fratellino o una sorellina, in particolare quando si tratta di una famiglia ricomposta o allargata, per non causare ferite relazionali o altre invisibili da cui non si guarisce.
Circa le relazioni intrafamiliari l’economista Luigino Bruni dichiara: “Il nostro capitalismo sta trasformando i patti in contratti e tutti i premi in incentivo. Proteggiamo almeno la famiglia da questa invasione, teniamo il tempio innocente del cuore dei fanciulli libero dai mercati. Molti errori in questo campo si fanno per mancanza di pensiero e attenzione”. La famiglia è economia e i bambini hanno bisogno di educazione economica (che rientra nel principio di solidarietà dell’art. 2 Cost.). Oggi, invece, in famiglia si riduce tutto a soldi e cose, dall’arrivo di un fratellino o sorellina che “porta” un giocattolo con sé, per non far soffrire di gelosia il fratello o la sorella maggiore, al ritorno dalla spesa o dal lavoro del papà o della mamma con qualche oggettino. E così ogni persona viene correlata a quantità di cose o soldi. Si tende a monetizzare o mercificare tutto, atteggiamento che si inasprisce in caso di separazione o divorzio.
A proposito di separazione dei genitori: “Perché gli adulti pensano che i bambini non capiscono niente? Io e mio fratello abbiamo sentito tutto, sappiamo che i nostri genitori si stanno separando. Io e mio fratello abbiamo parlato e abbiamo deciso, io andrò con la mamma e lui con papà. Così quando ci riuniremo il fine settimana, forse i nostri genitori avranno provato nostalgia” (da un film tv). Prima di dover ricorrere ai cosiddetti “gruppi di parola” o altri gruppi, la famiglia dovrebbe essere il naturale gruppo di parola e ascolto, anche dei silenzi, delle sofferenze, delle insofferenze, delle differenze (anziché contrastarsi e ferirsi reciprocamente). La solidarietà genitoriale e familiare è la forma più naturale di quella solidarietà politica, economica e sociale richiamata dall’art. 2 della Costituzione e che è alla base anche della solidarietà post-coniugale e di altre disposizioni normative.
Non sono mamma e/o papà solo chi mette al mondo un figlio, ma anche chi mette amore in un figlio.