Stupefacenti, femminilità e genitorialità patogena

tossicodipendenze femminili
tossicodipendenze femminili

Stupefacenti, femminilità e genitorialità patogena

 

Le tossicodipendenze femminili

Ormai, a differenza di quanto accadeva negli Anni Ottanta del Novecento, i tossicodipendenti non assumono più una sostanza soltanto, bensì mescolano tra di loro tipologie diverse di droghe, spesso e volentieri unite alle bevande alcoliche. Dunque, è oggi un lontano ricordo quello dell'eroinomane o del cocainomane mono-tossicodipendente. Ciò vale anche per le assuntrici donne, che, specialmente in giovane età, sperimentano più di un principio attivo. A tal proposito, L'Osservatorio europeo delle droghe e delle tossicodipendenze (EMCDDA 2019)[1] osserva che “la tossicodipendenza è un tema in continua evoluzione e cambiamento, oggi caratterizzato dal fenomeno della poli-assunzione di sostanze d'abuso, come l'alcol e le sostanze psicoattive. In Europa, sono circa 37 milioni le donne che hanno usato una sostanza stupefacente almeno una volta nella vita”. Per il vero, in epoca odierna, il consumo di stupefacenti non è più una prerogativa quasi soltanto maschile, soprattutto in età adolescenziale. P.e., EMCDDA (ibidem)[2] sfata il mito dell'esclusiva mascolinità delle tossicofilie, in tanto in quanto “nell'ultimo decennio [2009-2018, ndr], il divario di genere si è ridotto tra i giovani studenti che fanno uso di droghe […]. Nel corso degli anni, si è assistito ad un consumo di sostanze psicoattive, in grande maggioranza, da parte della popolazione maschile. Tale diffusione ha condotto gli studiosi a focalizzarsi sulle motivazioni legate all'uso di sostanze e sulla loro diffusione adottando un'ottica maschile, senza effettuare opportune differenziazioni”.

Basti pensare che, nei primi Anni Duemila, in Canton Ticino, esisteva uno “zoccolo duro” di ragazze che non avevano mai sperimentato nemmeno la cannabis, ma si tratta, purtroppo, di un lontano ricordo, poiché il genere femminile è attualmente uncinato tanto quanto quello maschile. P.e., EMCDDA (2014/2022)[3] ha censito che, in Europa, i tossicomani uomini sono circa 50,5 milioni, ma non vanno sottovalutati i 33 milioni di donne dedite al consumo abituale di sostanze d'abuso; senza, poi, contare la diffusa piaga dell'alcolismo femminile. D'altra parte, già nel Novecento, Menapace (1985)[4] notava che “le donne o le ragazze che si trovano coinvolte in faccende di droga, di solito, sfumano sullo sfondo, appaiono come immagini un po' sfocate, fanno parte di un fenomeno generale. Anche per la tossicodipendenza, il fatto che non si abbia cura di dipanare le appartenenze di sesso, impedisce di individuare delle specificità e, di fatto, opprime le donne, nel senso che le loro storie vengono appiattite, copiate, sommate a quelle dei ragazzi”. Come si può notare, anche nella Dottrina criminologica, tende a prevalere l'immagine della ragazza futura sposa e madre, spontaneamente vocata alla cura della figliolanza e del focolare domestico, si tratta di un'immagine della donna mediterraneo-matriarcale che non rinviene più alcun riscontro sociale oggettivo, anche con afferenza al mondo delle tossicodipendenze.

Del pari, in epoca recente, Cirillo & Berrini & Cambiaso & Mazza (2017)[5] mettono in evidenza che “nella vasta Letteratura sulla dipendenza da sostanze, lo spazio dedicato alle ricerche sulla tossicodipendenza femminile è molto ridotto”. Nuovamente, torna l'irrealistica immagine della donna quale soggetto culturalmente o, addirittura, naturalmente protetto dalle devianze anti-sociali ed anti-giuridiche. Tuttavia, nel fenomeno delle tossicofilie, non mancano le differenziazioni. In effetti, Kauffman & Silver & Poulin (1997)[6] non nascondono la maggiore etero-lesività maschile, ossia “gli uomini, rispetto alle donne, hanno più spesso problemi legati alla giustizia. Gli uomini più spesso mettono in atto comportamenti criminali per sostenere il loro consumo di sostanze e sono più propensi a mettere in atto rapine, furti ed aggressioni”. D'altronde, pure a prescindere da studi strettamente scientifici, è innegabile la più intensa aggressività fisico-materiale del maschio.

Viceversa, come mette bene in risalto De Fazio (2000)[7], “la devianza femminile, nella maggioranza dei casi, si svolge al riparo, in modo meno visibile rispetto a quella maschile. Dai dati emerge che la maggior parte delle donne tossicodipendenti ricorre al fenomeno della prostituzione per procurarsi droga e denaro. La prostituzione risulta infatti essere una delle principali fonti di reddito per le donne tossicodipendenti e, in alcuni casi, essa arriva a sfiorare il 60 % delle consumatrici. […] [Ma] il ricorso alla prostituzione sembra favorire la tendenza all'isolamento, impedendo così alla donna di chiedere aiuto e, perciò, di venire allo scoperto”. Negli Anni Duemila, ognimmodo, ciò che più inquieta è l'elevata percentuale di minorenni femmine che si prostituiscono per mantenersi la dose quotidiana o settimanale. La donna tossicomane perde le proprie inibizioni sessuali ed apre la strada alla contrazione di pericolose malattie di origine venerea. Forse, non è mai tramontata la predetta visione matriarcale della ragazza tossica; ovvero, come rimarca Molteni (2013)[8] “è necessario considerare l'aspetto della reazione sociale che la tossicodipendenza femminile suscita. Il ruolo di trasgressore è da sempre stato attribuito all'uomo piuttosto che alla donna. Le donne subiscono una maggiore stigmatizzazione rispetto agli uomini, poiché vanno maggiormente in contrasto rispetto ai ruoli predefiniti ed attesi dalla società: quello di moglie e quello di madre. A coloro che sono anche madri si aggiunge la paura di essere etichettate come incapaci di rispondere ai bisogni dei figli, di proteggerli e, conseguentemente, di essere allontanate da loro”.

Come si nota, nel bene o nel male, la donna, pure quella tossicomane, è socialmente tenuta, anzitutto e soprattutto, a rispettare il ruolo contenuto nel binomio moglie-madre. Quindi, l'abuso di sostanze tossicovoluttuarie va a distruggere l'immagine ideale di una custode della famiglia lontana da devianze auto-/etero-lesive. Femminilità e maternità, infatti, sono incompatibili con l'ambiente degli stupefacenti. Tuttavia, la realtà fattuale è ben lontana dai summenzionati ideali. P.e., l'Istituto Superiore della Sanità (ISTISAN, 2003)[9] afferma che “il numero di donne con dipendenza da sostanze è in aumento: le donne tossicodipendenti erano presenti nell'ambito della popolazione tossicodipendente con percentuali intorno al 15 % fino all'inizio degli Anni Ottanta, ma hanno raggiunto anche il 30 % nelle ricerche più recenti”. Similmente, EMCDDA (ibidem)[10] ammette anch'esso esplicitamente che “il numero delle tossicodipendenti di genere femminile è in costante aumento [in Europa, ndr]”.

Anche ISTISAN (ibidem)[11] rileva che “le nuove generazioni femminili arrivano al consumo di droghe prima rispetto alle donne adulte […] [e], nella maggior parte dei Paesi europei, si è registrato un aumento di donne consumatrici di sostanze che risultano essere incinte o madri. Il numero di nati da madri tossicodipendenti è andato aumentando, nonostante la minore fertilità di queste donne, dovuta ai ritmi di vita incostanti e sregolati e a fattori di tipo medico”. Torna, come normale, la tematica dell'incompatibilità tra stupefacenti e ruolo familiare delle tossicofile di genere femminile. All'opposto, la fisiologia maschile tollera maggiormente la pur negativa figura del padre che assume sostanze. Dal canto suo, EMCDDA (ibidem)[12] sottolinea che “i comportamenti legati alla tossicodipendenza colpiscono in misura maggiore l'uomo, ma, quando si manifestano nel genere femminile, comportano maggiore complessità dal punto di vista fisico, psichico e comportamentale. Infatti, […] [per le donne] i problemi si rivelano, in molti casi, più complessi, con sintomi di astinenza più gravi e con più alti livelli di depressione ed ansia. Da quanto emerge dalle evidenze scientifiche, il genere femminile sembra, inoltre, tendere più velocemente verso la dipendenza”.

 

Motivazioni e modalità delle tossicodipendenze femminili

Nelle donne tossicofile, la sostanza d'abuso reca un ruolo di auto-medicazione, come se la droga altro non fosse che un ordinario farmaco. Con afferenza a tale auto-percezione femminile, Haseltine (2000)[13] asserisce che “sono diverse le ragioni che spingono donne e uomini al consumo di sostanze psicoattive. Gli uomini usano sostanze nell'ambito della socializzazione, per vivere esperienze di trasgressione, provare emozioni forti e, soprattutto, per socializzare. Nelle donne è più diffuso l'utilizzo a scopo auto-terapico, per cui la sostanza diviene un mezzo per rimuovere sentimenti troppo dolorosi, reagire a situazioni di depressione, stress e per placare l'ansia”. D'altronde, è tipicamente femminile, anche in contesti normali, assumere e gestire farmaci senza l'assistenza di un medico professionista, come dimostra pure, nel caso delle donne detenute, l'introduzione clandestina di medicamenti e droghe in carcere.

Si pensi, ad esempio, all'utilizzo della canapa come antidoto allo stress. Oppure, le tossicodipendenti di genere femminile tendono a sostituire, con gli stupefacenti, molte categorie di psicofarmaci, probabilmente perché, come specifica Blume (1997)[14], “le donne collegano più spesso degli uomini il consumo di sostanze alla loro storia familiare, al contesto disfunzionale, trascurante ed alle violenze subite”. Siffatti asserti valgono, in particolar modo, per le bevande alcoliche assunte unitamente a benzodiazepine o antidepressivi. Si pensi al Veneto, che detiene il primato nazionale italiano di abuso dell'alcol miscelato a tranquillanti. Eppure, come evidenziato da Molteni (2013)[15], ogni singolo caso merita un'analisi a sé stante, giacché “vi sono importanti differenze di genere in merito ai consumi, alla carriera tossicomanica, al contesto familiare di appartenenza ed alla comorbidità con altre psicopatologie” Per la verità, anche il DSM-V invita l'Operatore a non de-contestualizzare qualsivoglia singola fattispecie di Disturbo da Uso di Sostanze (DUS).

Tale è pure il parere di Stocco et al. (2000)[16], il quale puntualizza, giustamente, che “la maggior parte delle donne tossicodipendenti proviene da famiglie con problemi di dipendenza da sostanze (ad esempio, ha un padre alcolista) e sovente ha un partner che ne fa uso. […] Il 68,2 % […] dichiara di aver avuto un partner tossicodipendente; il 42 % ritiene che il ruolo [del compagno/convivente/marito] sia stato cruciale nell'accesso all'uso di droghe ed il 31,1 % dichiara che l'uso di droga è motivato da un processo di identificazione con il partner”.

Chi redige accoglie con estrema prudenza i postulati di Stocco et al. (ibidem)[17], in tanto in quanto sussiste il rischio di predicare una fasulla ereditarietà deterministica del DUS, che è e rimane una scelta personale, la quale non corrisponde ad alcuna predisposizione genetica di lombrosiana memoria. Quel che è comunque certo, nell'analisi di Stocco et al. (ibidem)[18], è che avere un fidanzato/marito/convivente tossicofilo “aumenta il rischio della trasmissione di malattie di origine sessuale, come HIV, epatite B ed epatite C […]. Tale rischio infettivo aumenta ulteriormente considerato che la maggior parte delle donne tossiche ricorre alla prostituzione come principale fonte di sostentamento economico”. Fatte queste necessarie premesse, è, in ogni caso, vero, come rimarcano Brems & Johnson & Neal & Freemon (2004)[19], che “gran parte delle donne tossicodipendenti è stata vittima di aggressioni ed abusi sessuali e fisici, subiti all'interno della famiglia d'origine, in particolar modo nel corso dell'infanzia o dell'adolescenza”. Il che, a parere di chi scrive, non giustifica, come anzidetto, approcci lombrosiani e strettamente positivisti alla problematica.

 

Il punto di vista della Dottrina criminologica

La donna abusata in gioventù rischia di essere maggiormente esposta al DUS, ivi compreso il consumo abnorme di superalcolici. A tal proposito, Brady & Randall (1999)[20] osservano che “l'abuso fisico è spesso citato nella Letteratura come una caratteristica peculiare delle tossicodipendenze femminili”. Parimenti, Banducci & Hoffman & Lejuez & Koenen (2014)[21] notano che “l'esposizione ad eventi traumatici di varia natura è associato ad un maggior rischio di sviluppare dipendenze sia comportamentali sia da sostanze”. Di nuovo, torna la tematica dell'estrema fragilità della donna vittima di violenze di matrice sessuale. All'opposto, il tossicofilo maschio agisce in modo maggiormente disinvolto la propria genitalità. Pertanto, si riconferma, almeno per le tossicomani di sesso femminile, l'inaudita gravità dello stupro o, ognimmodo, delle molestie patite durante l'infanzia e/o nel corso dell'adolescenza. Infatti, la parte lesa donna tende a sfogare questi traumi giovanili nell'alcol e negli stupefacenti.

Anche Brems & Johnson & Neal & Freemon (ibidem)[22] ribadiscono la gravità post-traumatica del sesso subito nelle ragazze, ovverosia “l'essere state vittime di abusi determina un maggiore rischio, per le donne, di sviluppare una dipendenza da sostanze associata ad ulteriori disturbi psicopatologici. Le donne che fanno uso di sostanze presentano frequentemente una comorbidità psicopatologica, ovvero soffrono, più spesso degli uomini ed in modo più gravoso, di ulteriori disturbi psicopatologici. I disturbi più ricorrenti sono: sindromi ansioso-depressive, disturbi borderline di personalità e disturbi del comportamento alimentare”. D'altra parte, è noto, nelle adolescenti, che l'avere rapporti non del tutto consenzienti o semi-consenzienti reca l'ultra-13enne a conseguenze negative sotto il profilo della salute mentale; e ciò, sovente, è il prodromo che sfocia nel DUS, il quale si pone come una consolazione auto-medicativa. Alla luce del DSM-V, sempre con afferenza all'eziologia del DUS femminile, Liotti & Farina (2011)[23] mettono in risalto che “i disturbi mentali [nella donna tossicofila] discendono dallo sviluppo della personalità entro contesti familiari traumatizzanti […]. I quadri clinici caratterizzati dalla presenza di memorie traumatiche infantili e da manifestazioni dissociative evidenti, frequenti e prolungate appartengono alla definizione diagnostica di disturbo post-traumatico nelle sue varie accezioni”.

A parere di chi commenta, il rischio di sviluppare una dipendenza è frequente non soltanto nella fattispecie di violenze subite, ma anche nel caso della ragazza già maggiorenne o quasi ultra-17enne che, di fronte all'insistenza del gruppo amicale, non riesce a negare una forma imperfetta di consenso ad uno o più rapporti sessuali e questo, nel lungo periodo, genera traumi, pur se si tratta di una sessualità non palesemente violenta e costrittiva. Spesso, nel gruppo con tendenze tossicofiliache, la donna viene a rivestire il ruolo oggettivizzante ed umiliante di sfogo erotico nell'ambito della cerchia dei coetanei uomini; si tratta di dolorose lesioni psichiche che, successivamente, vengono lenite attraverso l'esperienza del mondo delle droghe e dell'alcol. Di più, secondo Mazza (2010)[24], la ragazza abusata presenterà quasi sempre, in età adulta, “un disturbo da stress post-traumatico complesso […], caratterizzato da gravi e durature compromissioni in alcune aree di funzionamento, quali la regolazione delle emozioni, il controllo degli impulsi, la percezione di sé e l'incapacità di costruire relazioni interpersonali”.

D'altra parte, come si può notare, un conto è la donna prostituta, mentre un altro conto è l'ultra-13enne che si prostituisce al fine di acquistare la dose giornaliera di stupefacente. Nella psiche femminile, la ratio del “consenso” ad un rapporto intimo possiede dinamiche completamente diverse rispetto a quanto accade nell'erotismo meramente ludico-ricreativo del maschio. Questa maggiore sensibilità della donna che fa uso di sostanze è confermata pure da Molteni (ibidem)[25], secondo cui l'abuso infantile o adolescenziale “rende queste donne incapaci di prevedere e di organizzare comportamenti e strategie difensive al riguardo […] [Sicché] l'assunzione di sostanze è frequentemente associata al tentativo di rimozione del ricordo dell'evento traumatico, che provoca troppo dolore”. Del resto, nella Dottrina giuspenalistica, è perennemente controversa la nozione di “rapporto consensuale”. Molto dipende dalla singola fattispecie concreta e, soprattutto, la “pienezza” di tale consenso è indispensabile al fine di evitare successive condotte legate alle droghe. P.e., Liotti & Farina (ibidem)[26] rimarcano che il disturbo borderline ad eziologia sessuale provoca “instabilità relazionale, dis-regolazione emozionale, impulsività e rapide oscillazioni degli stati affettivi e sembra strutturarsi a partire dalla disorganizzazione dell'attaccamento, a partire dai primi anni di vita”. Dunque, nuovamente, torna il problema della sessualità della donna tossicodipendente, il cui esercizio eccessivamente disinibito comporta conseguenze altamente ed acutamente traumatiche; ciò non vale per l'assuntore maschio, che, nella maggior parte dei casi, mantiene una condotta dominante ed attiva.

 

Il ruolo del contesto familiare nella tossicodipendenza

Secondo Velicogna & Cioffi & Narbone & Checcucci & Vidotto & Pastore (2003)[27] “non è possibile trarre conclusioni univoche sul rapporto tra famiglia e tossicodipendenza, ma non vi sono dubbi sul fatto che la famiglia abbia un ruolo estremamente importante nella genesi della tossicodipendenza e nel suo mantenimento”. E' interessante notare sin da subito che i sei Dottrinari italiofoni testé menzionati non seguono ciecamente le teorie di Lombroso e Ferri circa la presunta ereditarietà ineludibile delle devianze tossicomaniche femminili. Similmente, l'anglofono Haley (1980)[28] nega la matrice genetica del DUS, pur se riconosce che il nucleo familiare è pur sempre “un'importante risorsa per il trattamento [della tossicofilia]”.

Anche Mazza (ibidem)[29] respinge qualsivoglia teoria eugenetica e positivista e sottolinea che “ciò che caratterizza le famiglie dei tossicodipendenti non riguarda la loro specifica appartenenza ad un determinato ceto sociale, ma, piuttosto, le dinamiche interne alla relazione e l'estrema e permanente sofferenza che vi regna, già prima dell'esordio della tossicodipendenza in un figlio”. Chi redige apprezza assai tale approccio dinamico all'eziologia familiare delle tossicomanie, in tanto in quanto rifuggire dalla visione statica della famiglia consente di evitare le posizioni eccessivamente rigide della Criminologia di inizio Novecento. In buona sostanza non è necessariamente ed apoditticamente vero che la famiglia disfunzionale genera sempre e comunque una prole disagiata e borderline; il che vale pure nel caso delle dipendenze femminili. Fatta questa debita premessa, è ognimmodo innegabile, come riferito da Stocco et al. (ibidem)[30], che “le donne tossicodipendenti provengono più spesso degli uomini da contesti familiari nei quali altri membri manifestano abuso di droga e alcol o altre psicopatologie […]. Il 18 % [delle ultra-13enni uncinate da droghe, ndr] ha una madre dipendente da sostanze, il 37 % un padre dipendente, il 32,3 % uno o entrambi i genitori con psicopatologie, il 38,3 % fratelli e sorelle con problemi di alcol e droga ed il 21,4 % fratelli o sorelle con psicopatologie”.

Giustamente, pur senza entrare nel perverso labirinto del determinismo eugenetico, Brady & Ashley (2005)[31] affermano che “le famiglie di origine delle donne con dipendenza patologica da sostanze risultano essere maggiormente distruttive e multi-problematiche”. In maniera analoga, Brems & Johnson & Neal & Freemon (ibidem)[32] osservano che “[le famiglie di origine delle ultra-13enni tossiche, ndr] sono caratterizzate da un rapporto conflittuale con le madri e da una precoce adultizzazione delle figlie. Nella loro storia di vita, inoltre, emerge un'incidenza molto più elevata, rispetto all'uomo, di abusi fisici e sessuali, subiti soprattutto nel contesto familiare durante l'infanzia e l'adolescenza”. Da menzionare sono pure Cirillo & Berrini & Cambiaso & Mazza (2017)[33], i quali mettono in evidenza che “i contesti familiari [delle donne diventate tossicofile] risultano frequentemente caratterizzati da un genitore che ha avuto una precoce adultizzazione e che sottovaluta l'importanza dei legami […] [perché ha] una dipendenza irrisolta con la famiglia d'origine”. In realtà, mancano studi criminologici scientifici che afferiscano alle donne tossiche.

In effetti, Cirillo & Berrini & Cambiaso & Mazza (ibidem)[34] asseriscono amaramente che, purtroppo, “la ricerca si è focalizzata quasi esclusivamente sulla tossicodipendenza al maschile e, conseguentemente, sulla strutturazione della famiglia del giovane tossicodipendente maschio […] [Invece, bisogna] delineare anche le caratteristiche ricorrenti nelle famiglie delle giovani tossicodipendenti femmine”. Fanno eccezione Cirillo & Berrini & Cambiaso & Mazza (1996)[35], a parere dei quali “mentre, nei maschi, gli elementi caratteristici dell'abbandono affettivo sono prevalentemente vissuti e trasmessi dal padre, nelle femmine tali caratteristiche sono più frequenti nelle madri. Viceversa, i padri sono maggiormente invischiati in situazioni di dipendenza dalla famiglia d'origine”. Come si può notare, nell'ambito drammatico della tossicofilia, le differenze di genere incidono molto, perlomeno nel lungo periodo. Lodevolmente completo è pure Stanton (1979)[36], che precisa come “nella famiglia del tossicodipendente maschio, si riscontrano sovente situazioni nelle quali il padre del giovane è una figura periferica e poco presente, mentre la madre appare iper-coinvolta nella relazione con il figlio. Nel contesto familiare della donna tossicodipendente, le caratteristiche dei due caregiver subiscono una tendenziale inversione rispetto a quelle del tossicodipendente maschio. E' frequente osservare una situazione opposta in cui il padre appare iper-coinvolto nella relazione con la figlia, mentre la madre risulta essere periferica e distante, sia sul piano fisico, sia su quello affettivo”.

Parimenti, Olievenstein (1981)[37] rileva che, nella fattispecie della donna che viene ad abusare di sostanze, “la perifericità della madre si può esprimere in termini di anaffettività e indifferenza rispetto alle esigenze di attivazione del sistema di attaccamento con la figlia. In altri casi, la perifericità materna si manifesta con un'inversione dei ruoli madre/figlia, in cui la madre richiede implicitamente alla figlia di interpretare ruolo e funzioni materne fornendo [alla madre stessa] affetto, sostegno e contenimento” E' tipico delle famiglie disfunzionali capovolgere il rappporto genitori/prole, con una conseguente adultizzazione precoce della figliolanza; anche questa abnormità affettiva e comportamentale può indurre la figlia femmina al DUS, che, come sempre, svolge una funzione consolatoria ed auto-terapeutica.

Nella Dottrina criminologica è sempre difficile ricostruire con esattezza il vissuto delle figlie tossicodipendenti. Ovverosia, come precisato da Cancrini (1982)[38], “nelle storie di vita delle famiglie dei/delle tossicodipendenti, frequentemente ci si ritrova nella condizione di non riuscire a delineare un quadro anamnestico tri-generazionale di riferimento che sia privo di profonde lacune o grossolane contraddizioni. Le figure genitoriali frequentemente hanno un'alterazione della competenza autobiografica, ovvero deformano la realtà della propria storia personale a livello di comprensibilità e di veridicità”. Pertanto, prevalgono, nei nuclei familiari, quei pudori omertosi che impediscono l'allestimento di censimenti anamnestici seri ed autenticamente scientifici. Anzi, sempre con attinenza alle famiglie disfunzionali, Regalia (1994)[39] nota che “nelle storie di vita delle madri di donne tossicodipendenti, sovente si riscontrano profonde lacune per quanto riguarda specifici eventi della loro vita che non sono stati elaborati. Tali eventi non elaborati impediscono di instaurare una relazione sincera con le figlie”.

Torna, quindi, la tematica di una famiglia non idonea, ma, nel contempo, totalmente impermeabile dall'esterno. La madre della ragazza tossicofila tende, di solito, a nascondere le dinamiche familiari negative che hanno recato la prole all'abuso di sostanze psicotrope. Bilanci & D'Ascenzo & Fondelli & Marchesini & Pestelli & Pucci & Venturelli (1995)[40] parlano di una vera e propria “deformazione della realtà (minimizzazione/misconoscimento della realtà e della carenza)”. Quindi, i genitori della tossicodipendente non si aprono ad interventi di terzi e difendono la privacy totalizzante della famiglia con figli/e uncinati/e da sostanze tossicovoluttuarie. Ciò accade soprattutto se gli assistenti sociali si approcciano senza pudore e tatto alla famiglia disfunzionale, la quale rigetta, come peraltro è comprensibile, l'intervento brusco ed invasivo degli Operatori esterni. In effetti, molti psicoterapeuti pretendono di ri-fondare una famiglia perfetta ed esente da qualunque devianza e ciò peggiora ancor di più le dinamiche terapeutiche, che non debbono manifestare un'invasività eccessiva e tracotante, giacché anche i genitori dei/delle tossicofili/e hanno diritto a conservare un minimo di autonomia e privatezza. In ogni caso, rimane la dis-funzionalità dei nuclei familiari da cui provengono gli assuntori di droghe, in tanto in quanto, come affermato da Cirillo & Berrini & Cambiaso & Mazza (ibidem)[41], “molti futuri tossicodipendenti vivono, all'interno delle rispettive famiglie d'origine, numerose situazioni traumatiche, che, però, non vengono mai riconosciute dalle figure genitoriali come fonti di gravi carenze affettive o come patogene, ma vengono minimizzate, andando così a minare e negare le percezioni dei figli”. Torna, di nuovo, il ruolo basilare dei traumi infantili ed adolescenziali, che segnano per sempre la prole ed aprono la strada al DUS.

A tal proposito, Selvini-Palazzoli & Selvini & Cirillo & Sorrentino (1993)[42] reputano che “gli aspetti maggiormente patogeni nelle relazioni di allevamento non sono soltanto conseguenza della carenza vera e propria, ma anche della deformazione narrativa attraverso cui le stesse carenze vengono minimizzate o non riconosciute”. Manca, nella maggior parte dei casi, la necessaria sincerità che consente all'Operatore esterno di intervenire con una piena cognizione di causa. L'omertà parentale impedisce il riconoscimento delle tare patogene della famiglia del/della tossicodipendente. P.e., anche a livello statistico, i Criminologi debbono incessantemente combattere contro risposte volutamente false o incomplete. Come puntualizzato da Cirillo & Berrini & Cambiaso & Mazza (ibidem)[43], il circolo vizioso dell'omertà familiare “si interrompe [solo] nel momento in cui il genitore riesce a riconoscere che la sofferenza del/della figlio/a è causata dalla carenza/abbandono affettivo nell'accudimento e nella relazione genitore-bambino”. Dal canto suo, Bion (1962)[44] ribadisce anch'egli che l'”attaccamento” ai genitori è funzionale solamente quando vi è “un accudimento sensibile ed attento ai bisogni del bambino”. Tale non è la situazione di una famiglia che non svolge il necessario ruolo di agenzia di controllo. P.e., le frequenti uscite e la vita notturna del/della ragazzo/a espongono la prole alla frequentazione di gruppi di pari criminogeni, che, presto o tardi, recheranno l'ultra-13enne all'esperienza dell'abuso di alcol e di sostanze psicotrope. Negli Anni Duemila, troppe famiglie reputano normale l'adultizzazione precoce delle figlie femmine, che conducono una vita autonoma già durante l'età della prima adolescenza. Un'altra conseguenza del disinteresse delle famiglie consta nel delegare alla scuola il ruolo di agenzia di controllo primaria, anziché secondaria, con il corollario che all'istituzione scolastica non viene più richiesto di fornire competenze culturali, bensì anche o soprattutto psicologiche. Il docente viene trasformato in un caregiver che ha una funzione latamente pedagogica, come se fosse un genitore del/della studente/studentessa, In realtà, l'unico legame che possiede una funzione preventiva del DUS femminile è e rimane quello tra madre e bambina. Questa prerogativa delle madri non può essere delegata all'insegnante o ad altre figure vicarie.

 

 

[1]EMCDDA, Perché il genere è importante nella tossicodipendenza. Women and gender issues related to drugs, 2019

 

[2]EMCDDA, op. cit.

 

[3]EMCDDA, Relazione europea sulla droga: tendenze e sviluppi (2022), in EMCDDA 2014, Relazione europea sulla droga. Osservatorio europeo delle droghe e delle tossicodipendenze, Unione Europea, Lisbona, 2014/2022

 

[4]Menapace, Droga: femminile plurale, Gruppo Abele, Torino, 1985

 

[5]Cirillo & Berrini & Cambiaso & Mazza, La famiglia del tossicodipendente: tra terapia e ricerca, Raffaello Cortina, Milano, 2017

[6]Kauffman & Silver & Poulin, Gender differences in attitudes toward alcohol, tobacco, and other drugs, in Social Work, 42(3), PubMed, 1997

 

[7]De Fazio, La tossicodipendenza femminile in Italia: specificità ed autonomia del tema, in Rassegna italiana di criminologia, 1/2000

 

[8]Molteni, The Italian Journal on Addiction, Volume 3, Numero 2, Maggio 2013, Revisione della letteratura in materia di genere e uso di sostanze psicoattive, 2013

 

[9]ISTISAN, La tutela della salute della donna, Rapporti ISTISAN 03/28, 2003, a cura del Comitato pari opportunità dell'Istituto Superiore della Sanità, 2003

 

[10]EMCDDA, op. cit.

 

[11]ISTISAN, op. cit.

 

[12]EMCDDA, op. cit.

 

[13]Haseltine, Gender differences in addiction and recovery, in Journal of Women's Health and Gender-Based Medicine, 9(6), 2000

 

[14]Blume, Donne e alcol: questioni di politica sociale, in Wilsnack, Genere e alcol. Prospettive individuali e sociali, New Brunswick: Rutgers Center of Alcohol Studies, 1997

 

[15]Molteni, L'eroina al femminile, Franco Angeli, Milano, 2013

 

[16]Stocco et al., Women drug abuse in Europe: gender identity. Irefrea and European Commission, Venezia, 2000

 

[17]Stocco et al., op. cit.

 

[18]Stocco et al., op. cit.

 

[19]Brems & Johnason & Neal & Freemon, Childhood Abuse History and Substance Use Among Men and Women Receiving Detoxication Services, in American Journal of Drug & Alcohol Abuse, 30(4), PubMed, 2004

 

[20]Brady & Randall, Differenze di genere nei disturbi da uso di sostanze, North America, 1999

 

[21]Banducci & Hoffman & Lejuez & Koenen, The impact of childhood abuse on inpatient substance users: specific links with risky sex, aggression and emotion dysregulation, Child Abuse Negl. 38(5), 2014

 

[22]Brems & Johnson & Neal & Freemon, op. cit.

 

[23]Liotti & Farina, Sviluppi traumatici: Eziopatogenesi, clinica e terapia della dimensione dissociativa, Raffaello Cortina, Milano, 2011

 

[24]Mazza, Famiglie e minori figli di tossicodipendenti, Tipografia Editrice Pisana, Pisa, 2010

 

[25]Molteni, op. cit.

 

[26]Liotti & Farina, op. cit.

 

[27]Velicogna & Cioffi & Narbone & Checcucci & Vidotto & Pastore, Studio pilota sul tossicodipendente in comunità: caratteristiche personali ed immagine della famiglia. Centro studi METIS, Firenze / Centro accoglienza Empoli Centro studi METIS, Università di Padova / Università di Cagliari, 2003

 

[28]Haley, Fondamenti di terapia della famiglia, Feltrinelli, Milano, 1980

 

[29]Mazza, op. cit.

 

[30]Stocco et al., op. cit.

 

[31]Brady & Ashley, Women in Substance Abuse Treatment: Results from the Alcohol and Drug Services Study (ADSS), DHHS Publication No. SMA 04-3968, Analytic Series A-26, Rockville, MD, Substance Abuse and Mental Health Services Administration, Office of Applied Studies, 2005

 

[32]Brems & Johnson & Neal & Freemon, op. cit.

 

[33]Cirillo & Berrini & Cambiaso & Mazza, La famiglia del tossicodipendente: tra terapia e ricerca, Raffaello Cortina, Milano, II Edizione, 2017

 

[34]Cirillo & Berrini & Cambiaso & Mazza, op. cit.

 

[35]Cirillo & Berrini & Cambiaso & Mazza, La famiglia del tossicodipendente, Raffaello Cortina, Milano, I Edizione, 1996

 

[36]Stanton, Famiglia e tossicomania, Terapia familiare, 6/1979

 

[37]Olievenstein, L'infanzia del tossicomane, in Archivio di psicologia, neurologia e psichiatria, luglio-dicembre 1981

 

[38]Cancrini, Quei temerari sulle macchine volanti. Studio sulle terapie dei tossicomani, NIS, Roma, 1982

 

[39]Regalia, La rete sociale nella percezione degli operatori, in Cigoli (a cura di), Tossicomania, passaggi generazionali e intervento di rete, Franco Angeli, Milano, 1994

 

[40]Bilanci & D'Ascenzo & Fondelli & Marchesini & Pestelli & Pucci & Venturelli, Tossicodipendenza: quale passato, in Loriedo & Malagoli Togliatti & Micheli (a cura di), Famiglia. Continuità, affetti, trasformazioni, Franco Angeli, Milano, 1995

 

[41]Cirillo & Berrini & Cambiaso & Mazza, op. cit.

 

[42]Selvini-Palazzoli & Selvini & Cirillo & Sorrentino, Psicosi e misconoscimento della realtà, in Terapia familiare, n. 41/1993

 

[43]Cirillo & Berrini & Cambiaso & Mazza, op. cit.

 

[44]Bion, Una teoria del pensiero, in Analisi degli schizofrenici e metodo psicoanalitico, Armando, Roma, 1962