Profili internazionalistici in tema di Diritto degli stupefacenti
Profili internazionalistici in tema di Diritto degli stupefacenti
Trattati internazionali sugli stupefacenti
Dopo il secondo conflitto bellico mondiale, la diffusione e l'utilizzo patologico degli stupefacenti divenne un vero e proprio allarme criminologico in tutto l'Occidente europeo e nordamericano. Storicamente, il primo Testo internazionalistico afferente al mondo delle droghe fu la Convenzione Unica di New York del 1961, novellata, nel 1972, dai Protocolli di Ginevra. Detta Convenzione, nel Preambolo, afferma che “le Parti [sono] preoccupate per la salute fisica e morale dell'umanità”, pur non dubitando che “l'utilizzo medicinale degli stupefacenti rimane indispensabile per alleviare il dolore”. Tuttavia, il Preambolo prosegue asserendo che “la tossicomania rappresenta una grande calamità per l'individuo e costituisce un danno economico e sociale per l'umanità [dunque] […] è necessario porre limiti all'utilizzazione degli stupefacenti, [tranne] per finalità mediche e scientifiche”. Senza dubbio, la produzione e l'uso di droghe recano un forte substrato etnico-culturale, ma, come osserva Scarcella (2018)[1], “la Convenzione [del 1961] propone una verità assoluta, valida per tutti gli Stati, incurante delle diversità culturali esistenti anche in materia di stupefacenti, tutelando per tal via la maggioranza ed emarginando gruppi sociali minori. Si è optato per un divieto integrale delle sostanze stupefacenti vegetali, considerando inutile l'opposizione della minoranza rappresentata dai Paesi produttori di stupefacenti, i quali sostenevano un uso farmaceutico e culturale di tali sostanze”.
E' più che evidente che quanto postulato da Scarcella (ibidem)[2] tange soprattutto gli Stati del Sudamerica e quelli della Mezza Luna asiatica. Nell'Art. 2, la Convenzione di New York suddivide le varie sostanze psicotrope in 4 Tabelle, compilate sulla base di tre variabili: la pericolosità socio-tossicologica della droga, il suo potenziale impiego medico e l'uncinamento cronico prodotto. L'Art. 2 della Convenzione del 1961, così come novellato nel 1972, si concentra, nella Tabella IV, sull'eroina e sulla canapa, “per proteggere la salute pubblica [vietandone] la produzione, la fabbricazione, l'esportazione e l'importazione, il commercio, la detenzione o l'utilizzazione”. Ciononostante, sempre nell'Art. 2 della Convenzione qui in esame, è consentita, di nuovo, la coltivazione e lo smercio “delle quantità che potrebbero essere necessarie esclusivamente per la ricerca medica e scientifica, ivi compresi gli esperimenti clinici con i suddetti stupefacenti”. Molti Dottrinari hanno sottolineato che la Convenzione di New York ha trascurato la ratio della “pericolosità” effettiva e specifica di talune sostanze nel nome di un proibizionismo rigoristico ed intransigente.
Da segnalare è pure la Convenzione di Vienna del 1971 sulle droghe sintetiche, anch'esse ripartite in 4 Tabelle. A tal proposito, Scarcella (ibidem)[3] ha rimarcato che, in questa normazione del 1971, è maggiormente rispettata l'autonomia dei singoli Stati nazionali con afferenza alle sostanze psicoattive non vegetali munite di un eventuale impiego terapeutico. P.e., come noto, molti oppiacei sintetici vengono tutt'oggi usati in oncologia ed in anestesiologia.
La terza ed ultima Convenzione internazionalistica attinente agli stupefacenti è quella di Vienna del 1988. Il testé menzionato dato normativo si distingue per la propria sverità proibizionistica, in tanto in quanto criminalizza tutti i precursori ed impone alle Patri contraenti l'adozione di sanzioni penali assai gravose. P.e., il Paragrafo 2 Art. 3 della Convenzione di Vienna del 1988 qualifica come “penalmente rilevanti” la detenzione, l'acquisto e la coltivazione di stupefacenti anche quando “destinati al consumo personale”. Inoltre, per la prima volta nella storia del Diritto degli stupefacenti, le lettere b), c) e d) dell'Art. 4 della Convenzione di Vienna del 1988 predispongono l'allestimento di “misure di trattamento terapeutico, istruzione, assistenza sanitaria […], riadattamento e reinserimento sociale” nel caso in cui lo spacciatore sia anche tossicodipendente cronico.
Tutte le tre Convenzioni del 1961/1972, del 1971 e del 1988 hanno istituito alcuni Organi internazionali muniti di poteri di vigilanza sovrannazionali. La prima di queste Istituzioni è la Commission on Narcotic Drugs (CND), che è un organo consultivo del Consiglio economico e sociale delle Nazioni Unite (ECOSOC). Nello specifico, la CND si occupa di novellare i testi di normazione in tema di stupefacenti, aggiornando le Tabelle che giuridificano le “sostanze pericolose”. Il secondo organismo di controllo è il Comitato internazionale di controllo dei narcotici (INCB), sempre incardinato presso le Nazioni Unite. L'INCB è tenuto a tutelare le Convenzioni nel caso di infrazioni “estremamente gravi” da parte di uno o più Stati contraenti. Sotto il profilo fattuale, l'INCB si è attivato solamente una volta, nel 2000, per sanzionare l'Afganistan, che non reprimeva debitamente, nel proprio interno, le colture di papavero da oppio. In terzo ed ultimo luogo, le mansioni di vigilanza internazionalistica sono svolte pure dal Segretario degli Organi impiegati nell'implementazione del sistema di controllo globale, ma queste funzioni sono oggi state assorbite dall'Ufficio dell'ONU per il controllo della droga e la prevenzione del crimine (UNODOC).
Ora, Scarcella (ibidem)[4] qualifica come “chiara e precisa” la normativa internazionale in tema di contrasto alle droghe, ma l'esperienza quotidiana insegna che gli autentici protagonisti sono sempre e comunque i singoli Ordinamenti interni, i quali sono in grado, essi soli, di superare le sterili declamazioni retoriche del Diritto Internazionale Pubblico. A parere di chi redige, probabilmente il Diritto Comunitario Europeo, ad oggi, è l'unico ad aver parzialmente scalfito l'autonomia sovrana delle specifiche Legislazioni nazionali.
Il caso dell'Austria
La prima legge austriaca in tema di stupefacenti risale al 1951 ed è stata sensibilmente novellata nel 1971 e, successivamente, nel 1980. Come notato da Tuccillo (2021)[5], “da sempre, la normativa austriaca ha considerato il tossicodipendente come una persona malata, bisognosa di cure ed assistenza; perciò, risulta chiara la predilezione austriaca verso il principio della terapia anziché verso quello della punizione, con la previsione di strumenti di riabilitazione e di disintossicazione”. Viceversa, l'Ordinamento della Repubblica d'Austria manifesta una “tolleranza zero” nei confronti del traffico e della cessione a terzi di sostanze illecite. Tuttavia, le sanzioni penali nei confronti dello spacciatore sono graduate sulla base dei seguenti tre criteri: quantità alienata, natura della sostanza posseduta/ceduta e frequenza nell'utilizzo dello stupefacente. Anche la detenzione per uso personale è sanzionata dal punto di vista penalistico, ma, come anzidetto, prevale la ratio della “terapia” nei confronti dell'assuntore.
Il caso della Spagna
Uno dei meriti dell'Ordinamento spagnolo è stato quello di aver prontamente ratificato sia la Convenzione di New York del 1961 sia quella di Vienna del 1971; tuttavia, la prima legge spagnola afferente agli stupefacenti è stata promulgata solamente nel 1992. All'interno di questa legislazione degli Anni Novanta del Novecento, sono previste sanzioni di rango amministrativo per “coloro che possiedono o usano sostanze stupefacenti in luoghi pubblici”. Tuttavia, all'interno e nel rispetto del federalismo ispanico, ciascuna Regione ha comunque una propria specifica normazione, seppur territorialmente limitata. Per il vero, manca, in Spagna, un atto normativo di rango nazionale afferente alla tematica delle sostanze psicotrope illecite. Dunque, le varie droghe sono tutt'oggi catalogate sulla base delle Tabelle contemplate nelle tre principali Convenzioni internazionali. Ognimmodo, in tema di uso/possesso di stupefacenti, la ratio giurisprudenziale prevalente è quella della “gravità [o meno] della condotta rispetto al pericolo per la salute pubblica”, il che ricorda da vicino il principio italiano della “tutela della sanità collettiva” ex comma 1 Art. 32 Cost. .
Il caso del Belgio
A differenza di altri Sistemi giuridici, quello belga si è dimostrato assai attento a predisporre un'accurata legislazione, in materia di stupefacenti, sin dall'inizio del Novecento. La L. 24/02/1921 giuridificava le cc.dd. “sostanze pericolose”, ovverosia veleni, soporiferi, narcotici, disinfettanti ed antisettici. Detta normazione, come prevedibile, è stata novellata dalla L. 09/07/1975 e, successivamente, dalla L. 14/07/1994. Tanto nel 1975 quanto nel 1994, si è differenziato tra sostanze “tossiche” in senso lato e, più precisamente, “i narcotici e le sostanze da cui può discendere una dipendenza”. Nel 2003, il Belgio ha introdotto radicali mutamenti de jure condito in materia di droghe, con la L. 04/04/2003, la L. 03/05/2003 ed il regio decreto di attuazione del 16/05/2003. Anzitutto, nei tre nuovi dati normativi del 2003, sono state predisposte “tutele preventive” nei confronti degli assuntori occasionali non problematicamente uncinati. In secondo luogo, è stato istituito l'obbligo di un “trattamento sanitario” per i tossicodipendenti cronici. In terzo luogo, come normale, sono state previste sanzioni di carattere penale per chi produce e/o aliena sostanze illecite. Da segnalare, nelle tre novelle del 2003, è che, in Belgio, il possesso di canapa per il solo uso personale non è punibile né sotto il profilo penale né dal punto di vista amministrativo.
Il caso della Francia
Malaugurevolmente, il primo atto normativo francese in tema di stupefacenti risale solo agli Anni Settanta del Novecento (L. 31/12/1970). Naturalmente, siffatto testo di normazione ha subìto parecchie novellazioni, pur se, in Francia, la ratio è sempre quella di allestire, accanto alle sanzioni di rango penale, un sistema di assistenza sanitaria a beneficio dei condannati tossicomani che lo richiedono. Nell'Ordinamento francese, le sostanze psicotrope sono suddivise nelle Tabelle contemplate dall'Allegato al decreto legge 22/02/1990. Le testé menzionate catalogazioni non contengono un obbligo, o meno, di applicare la sanzione detentiva, in tanto in quanto, come noto, nel Sistema francese, l'azione penale non è basata sull'obbligatorietà, bensì sull'opportunità, ossia si procede penalmente “solo in assenza di circostanze particolari che scriminano il fatto”. Più nel dettaglio, anche in materia di stupefacenti, l'Art. 40-1 Cpp (novellato dalla L. 1691 del 2016) prevede che:
“Quando egli reputa che i fatti che sono stati portati alla propria conoscenza, in applicazione delle disposizioni dell'Art. 40 Cpp, costituiscano un'infrazione commessa da una persona di cui si conoscono l'identità ed il domicilio, e verso la quale nessuna disposizione legale sia di ostacolo alla messa in atto dell'azione penale, il procuratore della Repubblica competente per territorio decide se è opportuno
- iniziare il procedimento
- oppure, mettere in atto una procedura alternativa al procedimento penale, in applicazione delle disposizioni di cui agli Artt. 41-1, 41-1-2 o 41-2
- oppure, non dar seguito al procedimento qualora le circostanze particolari legate alla commissione dei fatti lo giustifichino”.
Alla luce di questo principio della facoltatività/opportunità dell'azione penale, Gaboriau (2014)[6] precisa, ad esempio, che “[poiché] il Pubblico Ministero [in Francia] deve esercitare l'azione penale sulla base del principio di opportunità [ex Art. 40-1 Cpp] ovvero solo in assenza di circostanze particolari che giustifichino il fatto, dunque è possibile affermare che la natura della sostanza [stupefacente] è uno dei criteri fondamentali per decidere se perseguire o meno una condotta [in materia di violazione della normativa sugli stupefacenti]”. P.e., la cannabis sarà perseguita meno dell'eroina o della cocaina. In buona sostanza, nella pratica, come afferma Di Stefano (2011)[7], “[per conseguenza dell'Art. 40-1 Cpp] le tabelle [di cui all'Allegato del decreto legge 22/02/1990], aventi ad oggetto le sostanze vietate, in sede processuale assumono una certa rilevanza penale”; ecco, di nuovo, la differenziazione implicita tra sostanze “dure” e sostanze “leggere”.
Da segnalare, comunque, è che, nella Giurisprudenza francese, dominano, per le fattispecie “non penalmente perseguibili”, forme di “patteggiamento” che prevedono un percorso di disintossicazione ospedaliero/semi-ospedaliero a beneficio dell'imputato che, contestualmente, sia pure tossicomane cronico. Degne di citazione sono pure le “sale per il consumo a rischio ridotto”, ove, dal 2016, è possibile assumere stupefacenti sotto controllo medico per via inalativa o per via endovenosa. A parere di Tuccillo (ibidem)[8], “l'obiettivo [delle sale per il consumo a rischio ridotto (SCMR)] è duplice: da un lato, migliorare la salute dei cittadini, limitando le infezioni quali HIV o epatite C e le complicazioni da overdose, riducendo altresì le visite al pronto soccorso; dall'altro, quello di garantire un contatto diretto con le strutture di disintossicazione. Le SCMR [sotto il profilo criminologico] non consentono un risparmio della spesa pubblica, almeno per i prossimi dieci anni, ma, in confronto alle precedenti sperimentazioni, assicurano un miglior rapporto costo-efficacia”. Chi scrive ricorda che l'esperienza delle SCMR francesi è già attiva, da molti decenni, in svariati Cantoni svizzeri, specialmente con attinenza al consumo assistito di eroina.
Il caso della Germania
Sotto il profilo criminologico, in Germania, a partire dagli Anni Sessanta del Novecento, si è assistito ad un aumento esponenziale delle tossicomanie; sicché, la prima legge federale sugli stupefacenti (BetmG) del 1971 ha avuto un'impronta decisamente proibizionista. Tuttavia, negli Anni Duemila, hanno prevalso spinte de jure condendo di stampo legalizzatore. P.e, nel 2017, è stata depenalizzata la coltivazione rudimentale di cannabis per finalità automedicative; anzi, nel 2021, la canapa è stata completamente liberalizzata, anche per l'utilizzo puramente ludico-ricreativo. Citando un censimento criminalistico dell'Università Heinrich Heine di Dusseldorf, Tuccillo (ibidem)[9] riferisce che “la tolleranza [in materia di canapa] può garantire alla Germania non solo nuovi posti di lavoro (sia nelle imprese di produzione sia in quelle di distribuzione), ma anche un considerevole aumento degli introiti pubblici. Inoltre […] alcuni studi condotti su 21 Stati negli USA dimostrano che la legalizzazione dell'uso personale di cannabis ha comportato, nelle aree interessate, una riduzione delle rapine e delle violenze”. Come si può notare, anche la Germania è caduta nel fascinoso labirinto della propaganda sulle presunte proprietà benefiche della canapa. In effetti, a parere di chi scrive, troppi dimenticano le conseguenze avverse del THC nel lungo periodo. Del pari, non esiste l'indubitabile prova scientifica circa i tanto decantati pregi farmacologici del CBD. Si tratta di una moda radical chic che ha preso il sopravvento nell'ambito del “politically correct”, tanto che la cannabis sembra quasi divenuta un bene di prima necessità.
Il caso dei Paesi Bassi
Nel 1919, dopo la ratifica della Convenzione dell'Aja del 1912, il Parlamento dei Paesi Bassi è stato uno dei primi a promulgare una legge sugli oppiacei. Tendenzialmente, negli Anni Duemila, la normazione olandese sugli stupefacenti distingue tra droghe leggere, per lo più legali, e droghe pesanti, penalmente sanzionate. Da rimarcare è pure che, nei Paesi Bassi, la legislazione è localisticamente decentrata, pur se le Autorità regionali sono tenute a conformarsi ai principi giuridici dettati dall'Ordinamento nazionale. In Olanda, l'uso personale di sostanze psicotrope non è reato, tranne all'interno delle scuole e sui mezzi di trasporto pubblico. Viceversa, il possesso di sostanze psicoattive può andare incontro a sanzioni di rilievo penalistico. Ciononostante, nella Prassi giudiziaria della Magistratura requirente, non è mai perseguito chi possiede “piccole quantità”, ovverosia meno di 5 grammi di canapa o meno di 0,5 grammi di altre droghe. Come noto, in Olanda, la coltivazione, la vendita ed il consumo in pubblico di stupefacenti sono vietati, tranne nei famosi coffee shop, che, però, non sono dominati dall'anarchia più totale, in tanto in quanto, come ossserva Scarcella (ibidem)[10] “[vanno rispettati, nei coffee shop] i seguenti limiti: la proibizione di vendita di sostanze ai minori, il divieto di fare pubblicità e di somministrare alcolici e [inoltre sussistono] soglie massime di stupefacenti immagazzinabili”.
Ognimmodo, anche in Olanda, i coffee shop si situano in una zona ambigua ove non manca, come prevedibile, un ricco sottobosco criminale e criminogeno. P.e., nel 2018, si è sperimentato, per i coffee shop, una coltivazione maggiormente sottoposta ai controlli statali. In buona sostanza, come sperimentato pure in Canton Ticino prima del 2002, la legalizzazione della marjuana non brilla mai per trasparenza, giacché è ben difficile che la criminalità organizzata rinunci ad infiltrarsi nel florido commercio degli stupefacenti, anche quando la loro vendita abbia il carattere teorico della perfetta legalità. P.e., nei distretti olandesi di Breda e Tilburg, nel 2023, è stato avviato un monitoraggio sulla legalizzazione della canapa al fine di addivenire, in futuro, ad una gestione meno caotica dei coffee shop. Di nuovo, torna il problema della legalizzazione delle droghe leggere, in tanto in quanto liberalizzare il commercio degli stupefacenti non toglie quel perenne vedo-non vedo delinquenziale che accompagna sempre e comunque la realtà delle sostanze illecite o semi-lecite. La criminogenesi è una caratteristica intrinseca ed ontologicamente legata all'ambito delle droghe, sia dal punto di vista meta-geografico sia sotto il profilo meta-temporale.
Il caso di Malta
In origine, Malta ha scelto un “sistema binario” basato su due Ordinanze. Nell'Ordinanza del 1901 sulle “professioni mediche” è giuridificato l'uso legale degli stupefacenti, mentre in quella del 1939 sulle “droghe pericolose” sono disciplinati i divieti di traffico di prodotti psicoattivi non medicalmente utilizzabili. Tuttavia, nel 2021, l'Ordinamento maltese ha previsto, come riferisce Voser (2022)[11], che “chi ha compiuo 18 anni, può possedere fino a 7 grammi di cannabis, può coltivare fino a 4 piantine in casa e ne può conservare fino a 50 grammi [di provvista]”.
Il caso del Regno Unito
Nella Common Law inglese, gli stupefacenti sono disciplinati, principalmente, dal Misuse of Drugs Act del 1971 e dal proprio Regolamento attuativo, ossia il Misuse of Drugs Regulations del 1985. Le cinque attività “controllate” che afferiscono agli stupefacenti sono l'importazione, l'esportazione, la produzione, la fornitura ed il possesso. Inoltre, nella pratica, le varie Regioni semi-indipendenti del Regno Unito non recano, tra di loro, differenziazioni degne di nota. In sintesi, nel Sistema common lawyer inglese, il “consumo personale” non è reato, mentre il “possesso” è penalmente perseguito. Tuttavia, molto dipende dalla tipologia della sostanza detenuta, poiché il possesso di eroina e cocaina va incontro a sanzioni più gravi rispetto a quello di cannabis e di amfetamine.
I profili etnico-culturali
Nel mondo contemporaneo, dominano la globalizzazione e le modifiche etnico-culturali proposte/imposte dai nuovi flussi migratori. P.e., la rete web e la rinnovata velocità dei mezzi di trasporto hanno pressoché azzerato le distanze tra le etnie e le costumanze. Anzi, Canali (2022)[12] rileva che, per talune minoranze etniche, commerciare ed assumere sostanze illecite è normale, ovverosia oggi “spesso nascono contrasti dalla convivenza di più culture, soprattutto in relazione alle credenze religiose o alle abitudini […] [Talvolta] i conflitti riguardano i principi o le disposizioni dell'Ordinamento, sicché il giudice si trova a dover dirimere alcune controversie non previste astrattamente dal Legislatore”. P.e., per un cittadino pakistano, vendere o usare oppio è un'attività ordinaria; analogamente, un magrebino reputa lecito smerciare haschisch e marjuana. Tant'è che Risicato (2008)[13], commentando Cass., sez. pen. VI, 10 luglio 2008, n. 28720, mette in evidenza che “in materia di consumo di sostanze stupefacenti, la questione si fa spinosa. Numerose credenze religiose impongono il consumo abituale di sostanze psicotrope, ragion per cui la detenzione di ingenti quantità di stupefacenti risulta perfettamente coerente con i fabbisogni spirituali. Ebbene, il Giurista è posto davanti ad un bivio: deve prevalere la libertà di culto o la salute dei consociati? O, meglio, fino a che punto dev'essere tutelata la libertà di culto?”:
In Italia, Cass., sez. pen. VI, 10 luglio 2008, n. 28720, ad esempio, ha dovuto decidere il caso di un cittadino italiano che rivendicava la legittimità della propria provvista di marjuana nel nome dell'appartenenza ad una setta religiosa africana che impone l'assunzione quotidiana di stupefacenti. Cass., sez. pen. VI, 10 luglio 2008, n. 28720 ha concluso che “il giudice deve prescindere da ogni argomentazione religiosa, poiché quanto dimostrato dal ricorrente in termini di altre circostanze, ovvero il suo credo religioso […] pone [comunque] diversi dubbi [...]”. Dunque, la Sentenza qui in esame rigetta la scriminante del c.d. “reato culturalmente motivato”. Nella Common Law inglese, detenere un'ingente quantità di sostanze illeciti “per fini religiosi” reca una valenza attenuante ancorché non scriminante, poiché la Giurisprudenza britannica riconosce la minore intensità del dolo in capo all'immigrato non ancora integrato. Anche negli USA, in Department of Human Resources of Oregon vs. Smith, il “free exercise of religion” non legittima i reati culturalmente motivati in tema di stupefacenti, poiché “va garantita la libertà religiosa fintanto che questa non comporti vantaggi economici od arbitrarie disparità di trattamento”
[1]Scarcella, La rivoluzione di fumo. Propositi nazionali di legalizzazione delle droghe leggere alla prova delle Convenzioni internazionali, in Diritto penale contemporaneo, Progetto Giustizia Penale, Milano, n. 3/2018
[2]Scarcella, op. cit.
[3]Scarcella, op. cit.
[4]Scarcella, op. cit.
[5]Tuccillo, Focus sulla legislazione in materia di sostanze stupefacenti in alcuni Paesi UE, in www.politicheantidroga.gov.it novembre 2021
[6]Gaboriau, Istituzioni e organi di garanzia in Francia, in Osservatorio internazionale, Questione Giustizia, Associazione Magistratura Democratica, Roma, 23 aprile 2014
[7]Di Stefano, L'azione penale tra il principio di legalità e il principio di opportunità: l'esperienza francese, Dottorato di ricerca in discipline penalistiche, diritto e procedura penale, Facoltà di Giurisprudenza, Università di Firenze, Firenze, 2011
[8]Tuccillo, op. cit.
[9]Tuccillo, op. cit.
[10]Scarcella, op. cit.
[11]Voser, Comprendere la riforma di legalizzazione della cannabis a Malta, in www.royalqueenseeds.it 23 marzo 2022
[12]Canali, L'uso di sostanze psicoattive come bisogno di spiritualità ? In www.psicoattivo.com 13 marzo 2022
[13]Risicato, La detenzione rituale di sostanze stupefacenti tra multiculturalismo, libertà di culto e ragionevoli soglie di punibilità, osservazioni a Cass., sez. pen. VI, 10 luglio 2008, n. 28720, in Quaderni di diritto e politica ecclesiastica, Il Mulino, Bologna, n. 3/2008