Agevolazione, istigazione, proselitismo, induzione e propaganda pubblicitaria nel Testo Unico sugli stupefacenti
Agevolazione, istigazione, proselitismo, induzione e propaganda pubblicitaria nel Testo Unico sugli stupefacenti
L'agevolazione dell'uso di sostanze illecite
Art. 79 commi 1 e 2 TU 309/90
“Chiunque adibisce o consente che sia adibito un locale pubblico o un circolo privato di qualsiasi specie a luogo di convegno di persone che ivi si danno all'uso di sostanze stupefacenti o psicotrope è punito, per questo solo fatto, con la reclusione da tre a dieci anni e con la multa da euro 3.000 ad euro 10.000 se l'uso riguarda le sostanze ed i medicinali compresi nelle tabelle I e II, sezione A, previste dall'Art. 14, o con la reclusione da uno a quattro anni e con la multa da euro 3.000 ad euro 26.000 se l'uso riguarda i medicinali compresi nella tabella II, sezione B, prevista dallo stesso Art. 14
Chiunque, avendo la disponibilità di un immobile, di un ambiente o di un veicolo a ciò idoneo, lo adibisce o consente che altri lo adibisca a luogo di convegno abituale di persone che ivi si diano all'uso di sostanze stupefacenti o psicotrope è punito con le stesse pene previste nel comma 1”
Tali commi 1 e 2 Art. 79 TU 309/90 colpiscono l'adibizione a luoghi di consumo collettivo di stupefacenti dei locali pubblici e dei circoli privati (comma 1) nonché degli immobili, degli ambienti e dei veicoli a ciò idonei (comma 2). Sotto il profilo materiale, i commi 1 e 2 Art. 79 TU 309/90 sono quasi speculari, tranne per il fatto che il comma 1 indica due luoghi di convegno, mentre il comma 2 ne elenca tre. Inoltre, nel comma 2, si specifica, ciò che non viene fatto nel comma 1, che l'immobile, l'ambiente od il veicolo debbono essere luoghi di ritrovo “abituali” e non occasionali. In entrambi i casi, si richiede che il reo abbia la “disponibilità” del luogo adibito al raduno di consumatori di stupefacenti; detto in altri termini, il soggetto agente, nei commi 1 e 2 Art. 79 TU 309/90, è colui che detiene lo “jus excludendi alios”. Inoltre, il responsabile dell'agevolazione può agire in forma di azione o in forma di omissione. Quando il reo delinque in forma di azione, egli “acconsente esplicitamente” alla realizzazione fattuale del convegno a base di stupefacenti. Altresì, quando il reo delinque in forma di omissione, come specificato da Cass., sez. pen. I, 18 luglio 1981, n. 7145, “la condotta [omissiva] è integrata dal comportamento passivo di chi, avendo nella propria esclusiva disponibilità un immobile, ne tolleri consapevolmente l'altrui illecito utilizzo […] [Ovvero] al fine della sussistenza del reato di agevolazione dolosa dell'uso di sostanze stupefacenti, è sufficiente [in maniera omissiva] il consentire che un locale, pubblico o privato, sia adibito a convegno di persone che vi accedono per darsi all'uso di sostanze stupefacenti, occorrendo [omissivamente] solo un consapevole comportamento negativo, il quale si esplica in una mera tolleranza, circa la destinazione, da parte di chi ha diritto di impedirla”. Tuttavia, di recente, la Suprema Corte ha specificato che il responsabile di agevolazione in forma omissiva deve avere anche la “piena e perfetta consapevolezza” che il luogo a lui disponibile sarà utilizzato ai fini di un convegno ove si consumeranno stupefacenti. Dunque, è richiesta una volontà omissiva, ancorché “pienamente consapevole” dell'illecito che si consumerà. P.e., a tal proposito, Cass., sez. pen. IV, 30 aprile 2014, n. 25240 ha messo in risalto che il dolo dev'essere omissivo, ma pieno, ovverosia “ai fini dell'integrazione dell'elemento soggettivo del delitto di agevolazione dell'uso di sostanze stupefacenti o psicotrope anche nella forma omissiva, è necessario che il soggetto sia [pienamente] conscio dell'utilizzo del locale nella sua disponibilità quale sede di frequente ritrovo per il consumo di sostanze stupefacenti e si astenga [con piena coscienza e volontà, ndr] dall'intervenire [ma sempre] nella consapevolezza dell'agevolazione che dal suo comportamento omissivo può derivare a tale uso”. Dunque, Cass., sez. pen. IV, 30 aprile 2014, n. 25240 richiede, nell'agevolazione in forma omissiva, una volizione dolosa compiuta e consapevole.
V'è pure da chiarire il lemma “adibizione” nei commi 1 e 2 Art. 79 TU 309/90. Di primo acchito, sotto il profilo letterale, adibire è, nella lingua italiana, “asservire” stabilmente e durevolmente per il fine, in questo caso, del consumo di gruppo di sostanze illecite. Sicché, “adibire” un locale al consumo di droghe significa imprimere a quell'ambiente, chiuso e riservato, una destinazione che agevola la tossicomania. Senza dubbio, i commi 1 e 2 Art. 79 TU 309/90 non richiedono l'allestimento, nel locale, di “attrezzature […] o elementi di contorno”. Ossia, come precisato da Cass., sez. pen. I, 3 maggio 1986, n. 11537, sotto la vigenza della L. 685/1975, “la nozione di adibizione dev'essere intesa nel senso ampio di un'utilizzazione di fatto del bene […] La norma [dell'attuale Art. 79 TU 309/90] relativa all'ipotesi criminosa della destinazione di un locale a convegno di persone per uso di stupefacenti, non fa menzione di attrezzature o, comunque, di elementi di contorno di qualsiasi genere, ma prevede, invece, con l'indicazione di un immobile, un ambiente o un veicolo, come possibili luoghi di convegno per il fine indicato, che tale adibizione vada intesa in un ampio ambito, nel senso, cioè, di utilizzazione di fatto allo scopo, punibile quando i convegni stessi siano abituali”. In buona sostanza, l'adibizione si accompagna ad una volizione piena, attiva od omissiva che sia, ed alla dazione materiale del locale, anche non “attrezzato”, ma, di fatto, adibito dai fruitori a luogo di consumo, per lo più abituale, di stupefacenti.
Come anzidetto, nel comma 1 Art. 79 TU 309/90, la dazione attiva o omissiva del locale pubblico o del circolo privato non dev'essere necessariamente “abituale”, dunque, nel comma 1 Art. 79 TU 309/90, risulta punibile anche un solo episodio di agevolazione. Viceversa, nel comma 2, l'immobile, l'ambiente o il veicolo debbono essere oggetto di una dazione, attiva o passiva, “abituale”. Questa interpretazione letterale riservata al comma 1 è stata confermata in Cass., sez. pen. IV, 14 febbraio 2008, n. 15167, a norma della quale “va esclusa l'abitualità dal novero degli elementi costitutivi del delitto previsto dal primo comma […]. L'abitualità non è elemento necessario del reato di cui all'Art. 79 comma 1 TU 309/90, che ha natura omissiva ed è configurabile quando un locale pubblico (od un circolo privato di qualsiasi specie) sia adibito da terzi, con il consenso o con un comportamento negativo di mera tolleranza da parte di chi abbia la titolarità di un potere di fatto sul locale, a luogo di convegno di persone dedite all'uso di sostanze stupefacenti”. All'opposto, nel comma 2 Art. 79 TU 309/90, l'immobile, l'ambiente o il veicolo debbono essere oggetto di un'agevolazione “abituale”. A tal proposito, Cass., sez. pen. VI, 21 febbraio 2000, n. 3951 ha osservato, con afferenza alla ratio dell'abitualità nel comma 2, che “[il comma 2] richiede che l'asservimento del bene all'uso illecito abbia una durata apprezzabile e che le riunioni si svolgano con una certa frequenza [poiché] condizione necessaria per l'integrazione del reato previsto dall'Art. 79 comma 2 TU 309/90 [nell'immobile, nell'ambiente o nel veicolo] è l'abitualità del convegno [non richiesta nel comma 1] che dev'essere qualificato dalla frequenza delle riunioni in un arco temporale di una certa durata”. Mentre, la “abitualità” non è richiesta nei locali pubblici e nei circoli privati ex comma 1 Art. 79 TU 309/90; ivi, dunque, l'agevolazione è integrata anche da un singolo episodio.
Nel comma 1 Art. 79 TU 309/90, i lemmi “locale pubblico”, nell'interpretazione della Suprema Corte, stanno ad indicare anche le pertinenze, come la cantina o la taverna di un bar. P.e., Cass., sez. pen. VI, 16 maggio 1995, n. 8053 ha puntualizzato che “in tema di agevolazione di sostanze stupefacenti (Art. 79 TU 309/90) per aver adibito un locale pubblico a luogo di convegno di persone che ivi si danno all'uso della droga, la pertinenza di un bar, quale la cantina, fa parte del locale pubblico e rientra nelle previsioni della norma incriminatrice prevista dal comma 1 del predetto Articolo”.
Nel comma 2 Art. 79 TU 309/90, i lemmi “immobile” e “veicolo” vanno anch'essi interpretati correttamente. P.e, in Dottrina, Licata & Recchione & Russo (2015)[1] hanno specificato che “l'ampia nozione di immobile [nel comma 2 Art. 79 TU 309/90] include ogni tipo di locale (appartamenti destinati a privata dimora, pertinenze, cortili, giardini, capanne o baracche); mentre il richiamo alla nozione di veicoli [sempre nel comma 2 Art. 79 TU 309/90] è ulteriormente qualificato con il giudizio di idoneità degli stessi al consumo di sostanze stupefacenti, con un chiaro riferimento al fatto che il veicolo in questione debba essere dotato di caratteristiche strutturali minime, idonee a garantire [come nel caso di un camper, ndr] le condizioni di discrezione e di agio necessarie per l'assunzione di droghe”.
Sotto il profilo dell'elemento volontaristico, sia il comma 1 sia il comma 2 Art. 79 TU 309/90 richiedono, affinché il reato sia tale, il dolo generico, ovverosia la chiara consapevolezza che il locale pubblico, il circolo privato (comma 1), l'immobile, l'ambiente o il veicolo (comma 2) saranno adibiti a luogo di convegno di tossicofili. Del pari, anche nella fattispecie dell'agevolazione in forma omissiva, è sufficiente la “consapevolezza” piena, nitida e dolosa, unita all'omesso tentativo di impedire la riunione dei tossicodipendenti.
Quanto alla tentata agevolazione, l'Art. 56 CP viene in parola solo nella fattispecie in forma attiva (il titolare del bene tenta di organizzare il ritrovo), ma, nella fattispecie in forma omissiva, è oggettivamente assurdo ipotizzare un'agevolazione omissiva tentata.
Il comma 3 Art. 79 TU 309/90 prevede l'aggravante della partecipazione al convegno di infra-18enni: “la pena è aumentata dalla metà a due terzi se al convegno partecipa persona di età minore”.
Ex comma 4 Art. 79 TU 309/90, è stabilito che “qualora si tratti di pubblici esercizi, la condanna importa la chiusura dell'esercizio per un periodo da 2 a 5 anni”.
In chiosa, i commi 5 e 6 Art. 79 TU 309/90 prevedono che “la chiusura del pubblico esercizio può essere disposta con provvedimento motivato dal'AG procedente. La chiusura del pubblico esercizio può essere disposta con provvedimento cautelare dal prefetto territorialmente competente o dal Ministro della salute, quando l'esercizio è aperto o condotto in base a suo provvedimento, per un periodo non superiore ad un anno, salve, in ogni caso, le disposizioni dell'AG”. Si noti, ognimmodo, che le “speciali” misure cautelari ex commi 5 e 6 Art. 79 TU 309/90 non escludono la misura cautelare “ordinaria” del sequestro; ovverosia, come evidenziato da Cass., sez. pen. V, 5 novembre 1996, n. 4775, “nell'ipotesi di reato prevista dall'Art. 79 TU 309/90 (agevolazione dell'uso di sostanze stupefacenti o psicotrope) è legittimo il sequestro preventivo dei locali ove si svolge l'attività criminosa. E ciò in quanto sussista una correlazione indefettibile tra l'immobile e la commissione del reato. L'immobile non è dunque solo il luogo ove tale attività si compie – e che sarebbe realizzabile altrove -, ma è un quid inscindibile dall'illecito, ossia un mezzo indispensabile per l'attuazione e la protrazione della condotta illecita”.
Istigazione, proselitismo e induzione. Profili generali
Le tre fattispecie dell'istigazione, del proselitismo e dell'induzione recano, nel TU 309/90, la ratio di prevenire la diffusione degli stupefacenti, gravemente offensiva avverso il comma 1 Art. 32 Cost in tema di tutela pubblica della salute collettiva. A tal proposito, Portelli & Opilio (2008)[2] confermano anch'essi che “come noto, il TU 309/90 disciplina, oltre alle tipiche condotte in cui si articola la complessa fenomenologia del mercato degli stupefacenti, anche talune figure criminose che trovano il loro fondamento nella necessità avvertita dal Legislatore, di combattere la diffusione delle sostanze stupefacenti reprimendo condotte che, a vario titolo, ne agevolano e favoriscono il consumo”. Entro tale ottica preventiva si colloca l'Art. 82 TU 309/90, disciplinante l'istigazione, il proselitismo e l'induzione al reato di persona minore; come afferma Limone (2010)[3], queste tre norme incriminatrici “sebbene strutturalmente diverse, risultano caratterizzate dal fine comune di evitare la propagazione dell'uso di sostanze stupefacenti indotta da condotte di stimolo e di sollecitazione”. Torna, come si nota, quell'opportuno proibizionismo rigido e rigoroso che permea l'intero TU 309/90 nell'ottica democratico-sociale ed interventistica del comma 1 Art. 32 Cost. .
Da notare è che i reati di istigazione, proselitismo ed induzione non sono riservati solamente a parti lese minorenni; in primo luogo, perché il comma 1 Art. 82 TU 309/90 utilizza i lemmi generici “una persona”; in secondo luogo, perché alla fattispecie del minorenne offeso è riservato il solo comma 2 Art. 82 TU 309/90 (“la pena è aumentata se il fatto è commesso nei confronti di persone di età minore”).
In realtà, come osserva Militello (1992)[4], “la rubrica dell'Art. 82 TU 309/90 appare quantomeno imprecisa, nella parte in cui ricollega ad un reato le condotte di istigazione, proselitismo ed induzione, atteso che le [tre] fattispecie in parola risultano integrate unicamente da condotte volte a stimolare nei terzi l'uso personale di sostanze stupefacenti o psicotrope, condotta, quest'ultima, ricadente nell'alveo del penalmente irrilevante, secondo quanto previsto dall'Art. 75 TU 309/90, che sanziona solo in via amministrativa le condotte di importazione, esportazione, acquisto, ricezione a qualsiasi titolo e detenzione di sostanze vietate per uso esclusivamente personale”. All'opposto, come nota sempre Militello (ibidem)[5] il lemma “reato”, nella rubrica dell'Art. 82 TU 309/90, ha senso “laddove l'attività di induzione/persuasione fosse invece rivolta a determinare il soggetto passivo a commettere una delle condotte pp. e pp. ex Art. 73 TU 309/90, [poiché in questo caso] risulterebbe integrato il diverso reato di cui all'Art. 414 CP (istigazione a delinquere)”. Dunque, nel comma 1 Art. 82 TU 309/90, l'”uso” non è reato, bensì illecito amministrativo. P.e., in tema di istigazione alla coltivazione professionale di cannabis, Cass., SS.UU., 18 ottobre 2012, n. 47604 ha applicato l'Art. 414 CP e non l'Art. 82 TU 309/90, in tanto in quanto detta istigazione aveva ad oggetto il reato p. e p. ex Art. 73 TU 309/90 e non l'uso personale penalmente irrilevante ex Art. 75 TU 309/90.
Va pure notato che, ex comma 4 Art. 82 TU 309/90, nonostante la “bufera” abrogativa di Consulta 32/2014, le pene per istigazione, proselitismo ed induzione sono diminuite da un terzo alla metà qualora questi tre illeciti abbaino ad oggetto sostanze “leggere”, quali la canapa. Viceversa, Consulta 32/2014, abrogando la distinzione tra droghe leggere e droghe pesanti, aveva complicato non poco la precettività del comma 4 Art. 82 TU 309/90.
A scanso di equivoci e per la piena tutela della libertà costituzionale di manifestazione del pensiero, Consulta 65/1970 (richiamata da Consulta 108/1974) ha messo in risalto che “la mera critica della Legislazione esistente e l'attività propagandistica volta a diffondere una diversa sensibilità culturale tendente alla deletio legis non possono integrare [ex Art. 82 TU 309/90] alcun reato di istigazione, proselitismo o induzione, a pena della illegittimità costituzionale delle relative norme incriminatrici per violazione dell'Art. 21 Cost., norma che garantisce la libertà di manifestazione del pensiero”.
L'istigazione
Il comma 1 Art. 82 TU 309/90 punisce “chiunque pubblicamente istiga all'uso illecito di sostanze stupefacenti o psicotrope”.
Sotto il profilo strutturale, questa istigazione è simile all'istigazione di militari a disobbedire alle leggi (Art. 266 CP), alla pubblica istigazione ed apologia (Art. 303 CP), all'istigazione alla corruzione (Art. 322 CP), all'istigazione a delinquere (Art. 414 CP), all'istigazione a disobbedire alle leggi (Art. 415 CP) ed all'istigazione a commettere reati militari (Art. 212 CPmil.).
Tuttavia, va ben interpretato il senso del verbo “istigare”, che, nella lingua italiana, è sinonimo di incitare, determinare, rafforzare o alimentare un proposito altrui. P.e., l'istigazione può “stimolare” nell'istigato l'impulso, che prima non sussisteva, a consumare stupefacenti. Oppure, può darsi che l'istigatore alimenti ancor di più, nell'istigato, la volontà di avvicinarsi al mondo delle droghe. Oppure ancora, talvolta l'assuntore già uncinato viene istigato a proseguire nella propria carriera tossicomanica. Inoltre, come intuibile, l'istigazione all'uso di stupefacenti può impiegare i mezzi comunicativi più disparati, come la stampa, la fotografia, il cinema e soprattutto la rete internet.
Ciononostante, la Suprema Corte richiede che siffatta istigazione non sia meramente astratta e non concretamente pericolosa. Ovverosia, come specificato da Cass., sez. pen. IV, 23 marzo 2004, n. 22911, l'istigazione non è mai reato a pericolosità teorica quando “la condotta istigativa risulta concretamente idonea a determinare, nel soggetto passivo, la volontà di consumare sostanze stupefacenti o psicotrope, sebbene non sia richiesto che tale proposito venga effettivamente posto in essere […] Ai fini della configurabilità del reato di istigazione all'uso di sostanze stupefacenti, occorre che la condotta dell'agente, per il contesto in cui si realizza e per il contenuto delle espressioni utilizzate, sia [concretamente, non astrattamente] idonea a conseguire l'effetto di indurre i destinatari delle esortazioni all'uso delle suddette sostanze, anche se, in concreto, l'uso [poi] non si verifichi”. Dunque, l'astrattezza o, viceversa, la pericolosità effettiva dell'istigazione, in Cass., sez. pen. IV, 23 marzo 2004, n. 22911, dipendono dal “contesto in cui [l'istigazione] si realizza”. Molte altre Sentenze della Cassazione hanno invitato il Magistrato del merito a non decontestualizzare mai la pericolosità oggettiva dell'atto istigatorio, che non deve mai essere generico, ironico o puramente fantasioso, dunque non potenzialmente offensivo in danno della salute pubblica ex comma 1 Art. 32 Cost. . Similmente, Cass., sez. pen. I, 17 novembre 1997 asserisce, confrontando gli Artt. 82 TU 309/90 e 414 CP, che “non può esservi [concretamente] un'istigazione [socialmente pericolosa] se il contenuto della manifestazione del pensiero non sia [materialmente] idoneo a conseguire l'effetto suo proprio, che è quello di convincere altri soggetti a realizzare comportamenti che l'Ordinamento vieta e, quindi, ad offendere l'interesse [costituzionale] che la norma incriminatrice mira a tutelare”. Analogamente, Consulta 333/1991 ribadisce che non ha senso un reato privo di un'offensività “concreta” nei confronti del bene giuridico tutelato. Quindi, nella fattispecie dell'istigazione ex comma 1 Art. 82 TU 309/90, non sussiste l'illecito qualora non sussista nemmeno una potenziale e verosimile lesione della sanità pubblica di cui al comma 1 Art. 32 Cost.. Del pari, anche Consulta 133/1992 reputa astrattamente pericolosa un'istigazione che non abbia cagionato una “ragionevole presunzione di attentato al bene giuridico protetto”, come accade, ad esempio, nelle battute ironiche o nelle declamazioni retoriche prive di un concreto fondamento penalmente rilevante. Significativa è pure Consulta 360/1995 che parla di reato impossibile ex Art. 49 CP qualora non vi sia, anche nel comma 1 Art. 82 TU 309/90, “un'offensività specifica della singola condotta accertata [e] […] una concreta idoneità a porre a repentaglio il bene giuridico tutelato”.
Ex comma 1 Art. 82 TU 309/90, l'istigazione deve avvenire “pubblicamente”. Ora, ex comma 4 Art. 266 CP, “agli effetti della legge penale, il reato si considera avvenuto pubblicamente quando il fatto è commesso:
- col mezzo della stampa, o con altro mezzo di propaganda
- in luogo pubblico o aperto al pubblico ed in presenza di più persone
- in una riunione che, per il luogo in cui è tenuta, o per il numero degli intervenuti, o per lo scopo od oggetto di essa, abbia carattere di riunione non privata”
Nella Prassi quotidiana della PG e dell'AG, l'istigazione ex Art. 82 TU 309/90 consta quasi sempre nella messa in vendita di semi di stupefacenti congiunta alle istruzioni dettagliate di come coltivarli. Presso la Suprema Corte, si è molto discusso se pubblicizzare la coltivazione di semi di canapa integri gli estremi del reato di “istigazione” ex Art. 82 TU 309/90 o dell'illecito amministrativo di “propaganda pubblicitaria” ex Art. 84 TU 309/90.
Secondo un primo filone interpretativo, inaugurato da Cass., sez. pen. IV, 23 marzo 2004, n. 2291, “l'Art. 82 comma 1 TU 309/90 va interpretato nel senso che la condotta istigatoria in esso delineata comprende l'attività di pubblicizzazione di semi di piante idonee a produrre sostanze stupefacenti con [dicesi: con, ndr] precisazioni sulla coltivazione delle stesse”. Entro tale solco ermeneutico si collocano pure Cass., sez. pen. IV, 20 maggio 2009, n. 26430 nonché Cass., sez. pen. IV, 20 maggio 2009, n. 23903.
Secondo un altro approccio esegetico, che, a parere di chi redige, poco o nulla innova, “la condotta [della vendita commentata di semi] [come reato] si configura quando la condotta dell'agente, per il contesto in cui si realizza e per le espressioni usate, sia idonea ad indurre i destinatari delle esortazioni all'uso di sostanze, di talché la condotta di istigazione potrebbe astrattamente consistere nel fornire agli acquirenti dettagliate notizie sulle modalità di coltivazione di piante dalle quali sono ricavabili sostanze stupefacenti. In tale contesto, il giudice di merito potrebbe desumere la condotta concretamente antigiuridica anche dal fatto che l'offerta sia indirizzata ad una platea indeterminata di soggetti” (Cass., sez. pen. VI, 24 settembre 2009, n. 38633). Come si nota, ognimmodo, anche questo Precedente insiste molto sulla “contestualizzazione” di ciascuna singola fattispecie processuale da parte del Magistrato di merito.
Secondo una terza interpretazione, inaugurata da Cass., sez. pen. IV, 17 gennaio 2012, n. 6972, l'Art. 82 TU 309/90 è precettivo se vi è un “concreto” invito all'uso della droga, ovverosia “nella condotta di chi pubblicizza, su internet, la vendita di semi di canapa indiana, fornendo informazioni e istruzioni per la coltivazione delle piante che sarebbero nate impiantando i semi, non è per ciò solo sempre ravvisabile il reato di istigazione all'uso di sostanze stupefacenti, per la cui sussistenza occorre, invece, una condotta idonea a suscitare consensi ed a provocare attualmente e concretamente – in relazione al contesto spazio-temporale ed economico-sociale ed alla qualità dei destinatari del messaggio – il pericolo dell'uso illecito [sotto il profilo amministrativo ex Art. 75 TU 309/90] del prodotto stupefacente; condotta realizzabile [solo] attraverso l'esaltazione delle qualità dello stupefacente, la prospettazione dei benefici derivanti dal suo uso ed il convincimento, anche subliminale, a fare uso dello stupefacente”. Chi scrive nota, nuovamente, la centralità basilare del contesto specifico nell'applicazione, o meno, dell'Art. 82 TU 309/90.
In quarto ed ultimo luogo, ex comma 1 Art. 618 Cpp, Cass., SS.UU. 18 ottobre 2012, n. 47604 ha risolto ogni contrasto ermeneutico statuendo che:
- “la condotta di chi si limiti a rendere nota al pubblico l'esistenza di una sostanza stupefacente, veicolando un messaggio non persuasivo e privo del fine immediato di determinare all'uso di sostanze stupefacenti, integra l'illecito amministrativo di propaganda pubblicitaria di sostanze stupefacenti (Art. 84 TU 309/90) e non il reato di istigazione all'uso […] di sostanze stupefacenti (Art. 82 TU 309/90).
- l'offerta in vendita di semi di piante, idonee a produrre sostanze droganti, accompagnata da specifiche indicazioni botaniche sulla coltivazione delle stesse, non è punibile ex Art. 82 TU 309/90, ma può rilevare quale condotta istigatoria – ex Art. 414 comma 1 n. 1) CP – con riferimento al delitto di coltivazione di sostanze stupefacenti [ex Art. 73 TU 309/90] qualora ne sussistano in concreto tutti i presupposti di applicabilità”
Il proselitismo
Secondo Cass., sez. pen. VI, 5 marzo 2001, n. 16041, è proselitismo “un'attività volta ad ampliare la schiera di utilizzatori di sostanze stupefacenti da parte di chi non solo ne fa propaganda, ma già ne fa uso, incitando o tentando di persuadere altri a seguire il suo esempio”. Il proselitismo non necessariamente è “reato pubblico” ex comma 4 Art. 266 CP. Inoltre, il proselitismo, sotto il profilo materiale, non ha ad oggetto l'esaltazione di una sostanza in sé, bensì di uno stile di vita basato sull'uso abituale di sostanze psicoattive. In ogni caso, il dolo, nel proselitismo, è generico ed implica una piena coscienza e volontà di diffondere l'imitazione della propria tossicodipendenza
L'induzione
Nella Giurisprudenza di legittimità, l'induzione è anche qualificata alla stregua di una “sollecitazione … suggestione … persuasione” ad iniziare, per la prima volta, il consumo di sostanze illecite. Prima dell'induzione, l'indotto non coltivava il proposito di assumere droghe.
Cass., sez. pen. VI, 1 luglio 2010, n. 32387 precisa che “il delitto di induzione all'uso di sostanze stupefacenti, aggravato dalla minore età del soggetto passivo, sussiste quando la condotta dell'agente si caratterizzi per la coazione psicologica del soggetto passivo, ovvero si risolva nell'apprezzabile sollecitazione, suggestione o persuasione del medesimo al fine di determinarlo al consumo della droga, dovendosi invece escludere che l'elemento oggettivo del suddetto reato sia integrato attraverso la richiesta o l'invito ad utilizzare lo stupefacente, ovvero quando lo stesso agente si limiti a rafforzare la decisione assunta autonomamente dal minore di procedere a tale utilizzo”. Anche l'induzione non è “reato pubblico” ex comma 4 Art. 266 CP, in tanto in quanto è richiesto un legame personale, stretto e puramente privato tra induttore ed indotto/a.
L'illecito amministrativo della propaganda pubblicitaria (Art. 84 TU 309/90)
La propaganda pubblicitaria di sostanze o preparazioni comprese nelle tabelle previste dall'Art. 14, anche se effettuata in modo indiretto, è vietata. Non sono considerate propaganda le opere dell'ingegno non destinate alla pubblicità, tutelate dalla L. 633/1941 sul diritto d'autore (comma 1 Art. 84 TU 309/90)
Il contravventore è punito con una sanzione amministrativa da euro 5.164 ad euro 25.822, sempre che non ricorra l'ipotesi di cui all'Art. 82 TU 309/90 (comma 2 Art. 84 TU 309/90).
Le somme di denaro ricavate dall'applicazione delle sanzioni di cui al comma 2 sono versate sul Fondo nazionale d'intervento per la lotta alla droga di cui all'Art. 127 TU 309/90 (comma 3 Art. 84 TU 309/90).
Da notare che, in Cass., sez. pen. IV, 17 gennaio 2012, n. 6972, l'Art. 84 TU 309/90 configura, a differenza dell'Art. 82 TU 309/90, una “divulgazione […] [ma] senza indurre i destinatari della propaganda all'acquisto ed all'uso del prodotto [stupefacente]”.
[1]Licata & Recchione & Russo, Gli stupefacenti: disciplina e interpretazione. Legislazione e orientamenti delle Corti Superiori, Giappichelli, Torino, 2015
[2]Portelli & Opilio, La disciplina delle sostanze stupefacenti. L'illecito penale e amministrativo, CEDAM, Padova, 2008
[3]Limone, Su un caso particolare di istigazione al consumo di droga, in Giurisprudenza italiana, 12/2010
[4]Militello, Le forme indirette di diffusione degli stupefacenti nella nuova normativa, in Giustizia penale, 11/1992
[5]Militello, op. cit.