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Gonzales vs. Google: il provider è responsabile per istigazione al terrorismo?

Una pronuncia della Corte Suprema sul caso Gonzales
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Gonzales vs. Google: il provider è responsabile per istigazione al terrorismo?

 

La Corte Suprema Americana veniva chiamata a pronunciarsi sulla responsabilità di Google circa la diffusione e il proselitismo a favore del jihadismo islamico, avvenuto attraverso la piattaforma YouTube.

 

Gonzales vs. Google: il caso

La vicenda processuale inerisce la morte della studentessa americana Nohemi Gonzales, rimasta uccisa negli attentati di Parigi del 13.11.2015.

In effetti, secondo la famiglia della vittima, il commando di terroristi belgi e francesi affiliati allo Stato Islamico, era stato reclutato attraverso i canali gestiti dal colosso californiano e vieppiù, la sistematica riproposizione sui loro account YouTube (di cui Google è proprietaria) di video pro-ISIS avrebbe favorito la diffusione dell’organizzazione criminale.

 

Gonzales vs. Google: i profili legali della vicenda

I legali della famiglia Gonzales attaccano il dettato normativo del Titolo 47 U.S. Code, Section 230: «Nessun fornitore e nessun utilizzatore di servizi Internet può essere considerato responsabile, come editore o autore, di una qualsiasi informazione fornita da terzi».

Sino ad oggi, infatti, la presente norma ha rappresentato garanzia di immunità per gli internet provider ospitanti contenuti violenti o comunque collegati a condotte illecite.

La ratio risiede nel considerare linternet provider come un mero prestatore della piattaforma su cui possono essere pubblicati contenuti redatti da altri soggetti: per tale motivo quest’ultimo andrebbe considerato un soggetto neutrale e, in quanto tale, meritevole dellesimente.

Una questione simile era già stata affrontata nel 2019 dalla Corte di Appello dello Stato di New York con il caso Force v. Facebook.

Il social network era stato accusato di avere agito in concorso con Hamas nella realizzazione di alcuni attentati terroristici in Israele, nei quali vennero uccisi alcuni cittadini statunitensi, accelerando la veicolazione di messaggi violenti e contribuendo ad aggregare potenziali soggetti pro-Hamas, avvalendosi di algoritmi c.d. di filtraggio” per riproporre determinati contenuti inneggianti al terrorismo a soggetti che avevano già interagito con pagine o contributi dal tenore similare.

Orbene, Facebook - secondo l’accusa- avrebbe anche favorito la possibilità, per soggetti con idee violente dello stesso genere, di riconoscersi” e di mettersi contatto tra loro.

In quella circostanza, la Corte dAppello aveva ritenuto applicabile alla fattispecie lesimente della Section 230, avendo considerato che, in via di principio, sarebbe eccessiva una sentenza che punisse un social network perché utilizza sistemi di intelligenza artificiale.

Per altro, evidenzia il Consesso statunitense, sarebbe stato impossibile stabilire chiaramente il nesso causale tra gli atti di violenza commessi dagli utenti di Facebook follower di Hamas e gli algoritmi di Facebook.

Alla luce di queste considerazioni, il caso Gonzales contro Google dovrà essere discusso, invece, dinanzi la Suprema Corte.


Gonzales vs. Google: le rimostranze della difesa

La normativa posta a tutela delle Big Tech aveva mostrato già le prime incertezze circa la tenuta dellesimente nel lontano 2019, allorquando uno dei giudici della Corte dAppello aveva reso pubblica la propria posizione in parziale disaccordo dal collegio, evidenziando come, a suo modo di vedere, fosse innegabile il ruolo attivo da parte di Facebook.

Fondamentalmente, si tende a considerare un giornale o qualsiasi media come qualcosa animato dallintenzione umana.

Mentre la rete sarebbe mossa solo dagli algoritmi.

Algoritmi che, secondo i legali dellaccusa, dietro i meccanismi automatizzati celano le scelte fatte dei programmatori.

Ciononostante, la Sezione 230 non esonera le Big Tech dal moderare o rimuovere i contenuti, specie quelli che rientrano nelle definizioni di legge sulloscenità, lo sfruttamento sessuale dei bambini, la prostituzione o il traffico sessuale, o per le leggi che tutelano la proprietà intellettuale e la riservatezza delle comunicazioni.

Il punto è la difficoltà di moderare, considerata la mole di contenuti, rischiando di incappare spesso in errori.

Se poi si vuole affrontare il caso specifico, si potrebbe osservare che i video dellIsis hanno comunque valore giornalistico e restano pienamente nel solco del diritto di cronaca.

Tuttavia, secondo lavvocato della famiglia Gonzalez, la decantata neutralità dellalgoritmo non esiste, se si considera che i video inneggianti la propaganda jihadista possono essere facilmente reperiti da chiunque sul motore di ricerca; specialmente se si tiene in debita considerazione che spesso i contenuti esulano dall’alveo della mera informazione (coperta dal diritto di cronaca).

Rebus sic stantibus, la strade percorribili da parte della corte Suprema sono due: ribaltare la precedente giurisprudenza oppure chiedere un intervento del legislatore, al fine di valutare l’esclusione dell’esimente della Section 230, con la potenziale conseguenza di colpire economicamente lo sviluppo del mercato digitale.

Pertanto, sebbene su un terreno assai sdrucciolevole, è innegabile osservare come si stia dando adito alla creazione di un terreno “prima e dopo l’algoritmo”, che tenga conto delle questioni processuali anche secondo una prospettiva sociologica.