Obblighi e reati del medico nel Testo Unico sugli stupefacenti

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Obblighi e reati del medico nel Testo Unico sugli stupefacenti

 

Art. 43 TU 309/90 (Obblighi dei medici chirurghi e dei medici veterinari)

Il problema principale consta nel fatto che, come ovvio, i medici chirurghi e quelli veterinari hanno la potestà di prescrivere stupefacenti per finalità terapeutiche umane od animali.

Nonostante Consulta 32/2014 e nonostante la nuova disciplina introdotta dalla L. 79/2014, rimane ferma ed intatta la responsabilità del medico, ovverosia, come statuito da Cass., SS.UU., 26 febbraio 2015, n. 29316, “in tema di stupefacenti, le modifiche normative apportate […] dalla L. 79/2014 non determinano l'irrilevanza penale delle condotte di detenzione e cessione di medicinali di cui alla tabella V allegata al TU 309/90, a condizione che tali preparati contengano uno dei principi attivi di cui alle tabelle da I a IV allegate al TU 309/90, per i quali vi è espresso richiamo della disposizione penale di cui all'Art. 73 TU 309/90”.

Esistono, inoltre, rigidi obblighi per i medici nel rilascio delle ricette prescriventi sostanze psicotrope. Ex comma 1 Art. 43 TU 309/90, “i medici chirurghi ed i medici veterinari prescrivono i medicinali compresi nella tabella dei medicinali, sezione A, di cui all'Art. 14, su apposito ricettario approvato con decreto del Ministero della salute”.

Il comma 2 Art. 43 TU 309/90 precisa che “la prescrizione dei medicinali, sezione A, di cui all'Art. 14, può comprendere un solo medicinale per una cura di durata non superiore a 30 giorni, ad eccezione della prescrizione dei medicinali di cui all'allegato III bis, per i quali la ricetta può comprendere fino a due medicinali diversi tra loro o uno stesso medicinale con due dosaggi differenti per una cura di durata non superiore a 30 giorni”

Il comma 3 Art. 43 TU 309/90 impone, nella ricetta, l'indicazione tassativa di:

            a) cognome e nome dell'assistito, ovvero del proprietario dell'animale ammalato

            b) dose prescritta, posologia e modo di somministrazione

c) indirizzo e numero telefonico professionale del medico chirurgo o del medico veterinario da cui la ricetta è rilasciata

d) data e firma del medico chirurgo o del medico veterinario da cui la ricetta è rilasciata

e) timbro personale del medico chirurgo o del medico veterinario da cui la ricetta è rilasciata

Con afferenza al comma 1 Art. 43 TU 309/90, il ricettario ivi menzionato è quello introdotto con il DM 10 marzo 2006, indispensabile per la prescrizione dei medicinali psicoattivi di cui alla sezione A della tabella dei medicinali. Prima veniva utilizzata una ricetta a ricalco madre-figlia. Sempre in tema di ricettario, il comma 4 Art. 43 TU 309/90 dispone che “le ricette di cui al comma 1 sono compilate in duplice copia a ricalco pei i medicinali non forniti dal SSN, ed in triplice copia a ricalco per i medicinali forniti dal SSN. Una copia della ricetta è comunque conservata dall'assistito o dal proprietario dell'animale ammalato. Il Ministero della salute stabilisce, con proprio decreto, la firma ed il contenuto del ricettario di cui al comma 1”.

Molto importante è il comma 5 Art. 43 TU 309/90, a norma del quale “la prescrizione dei medicinali compresi nella tabella dei medicinali, sezione A, di cui all'Art. 14, qualora utilizzati per il trattamento degli stati di tossicodipendenza da oppiacei o di alcoldipendenza, è effettuata utilizzando il ricettario di cui al comma 1 nel rispetto del piano terapeutico predisposto da una struttura sanitaria pubblica o da una struttura sanitaria privata autorizzata ai sensi dell'Art. 116 TU 309/90 e specificamente per l'attività di diagnosi di cui al comma 2 lett. d) del medesimo Articolo. La persona alla quale sono consegnati in affidamento i medicinali di cui al presente comma, è tenuta ad esibire, a richiesta, la prescrizione medica o il piano terapeutico in suo possesso”.

Il comma 5 Art. 43 TU 309/90 è stato integrato dall'Ufficio Centrale Stupefacenti del Ministero della salute con nota del 16/02/2008, ossia “è possibile prescrivere, in regime SSN, al massimo 3 confezioni per ricetta e la prescrizione può contenere due dosaggi diversi di tale medicinale; resta fermo comunque che la prescrizione di medicinali stupefacenti di cui alla sezione A della tabella dei medicinali (tra i quli è compreso anche il metadone), qualora utilizzati per il trattamento di disassuefazione, dev'essere effettuata nel rispetto del piano terapeutico predisposto da una struttura sanitaria pubblica o privata autorizzata”.

All'opposto, ex comma 4 bis Art. 43 TU 309/90, nel caso della terapia del dolore, si applicano, per la ricetta, “modalità prescrittive semplificate”, purché il medico apponga la dicitura TDL (terapia del dolore). Tale TDL semplificata vale per tutti i medicinali di cui all'allegato III bis, ossia buprenorfina, codeina, diidrocodeina, fentanil, idrocodone, idromorfone, medicinali a base di cannabis – come il Sativex – per il trattamento sintomatico di supporto ai trattamenti standard ex DM 25/06/2018, metadone, morfina, ossicodone, ossimorfone, sufentanil per somministrazione ad uso sublinguale, tapentadolo.

Il comma 9 Art. 43 TU 309/90 dispone che “la prescrizione dei medicinali, sezioni B, C e D di cui all'Art. 14 è effettuata con ricetta da rinnovarsi volta per volta e da trattenersi da parte del farmacista.

E', in ogni caso, indispensabile precisare che il TU 309/90 contempla e distingue tra ricetta non ripetibile (RNR) e ricetta ripetibile (RR). La RNR deve indicare nome, cognome e codice fiscale del paziente. Ove la legge sulla privacy lo richieda, la RNR contiene solo le iniziali o un apposito codice alfanumerico. La RNR vale 30 giorni al massimo e dev'essere conservata dal farmacista per 2 anni. Invece, la RR è spendibile in farmacia per 3 volte in 30 giorni. La ricetta, ad ogni uso, va timbrata cion il timbro della farmacia e vanno annotati prezzo e data della dispensazione. La RR va sempre restituita al paziente.

Esiste pure la “autoricettazione” ex comma 6 Art. 43 TU 309/90: “i medici chirurghi ed i medici veterinari sono autorizzati ad approvvigionarsi attraverso autoricettazione, a trasportare e a detenere i medicinali compresi nell'allegato III bis per uso professionale urgente, utilizzando il ricettario di cui al comma 1. Una copia della ricetta è conservata dal medico chirurgo o dal medico veterinario che tiene un registro delle prestazioni effettuate, annotandovi le movimentazioni, in entrata ed uscita, dei medicinali di cui si è approvvigionato e che successivamente ha somministrato. Il registro delle prestazioni non è di modello ufficiale e dev'essere conservato per 2 anni a far data dall'ultima registrazione effettuata; le copie delle autoricettazioni sono conservate, come giustificativo dell'entrata, per lo stesso periodo del registro”.

 

Art. 83 TU 309/90 (Prescrizioni abusive)

            Art. 83 TU 309/90

            “Le pene previste dall'Art. 73 commi 1, 4 e 5 si applicano altresì a carico del medico chirurgo o del medico veterinario che rilascia prescrizioni delle sostanze stupefacenti o psicotrope ivi indicate per uso non terapeutico”.

Come intuibile, la ratio contenuta nei lemmi “per uso non terapeutico” è quella di impedire che il medico abusi delle proprie potestà al fine illecito di incrementare il mercato illegale degli stupefacenti impiegati per finalità tossicovoluttuarie

Il rinvio espresso, nell'Art. 83 TU 309/90, all'Art. 73 TU 309/90 consente di sanzionare tre diversi tipi di prescrizione abusiva:

  1. quella avente ad oggetto le sostanze di cui alle tabelle I e III (comma 1 Art. 73 TU 309/90)
  2. quella avente ad oggetto le sostanze di cui alle tabelle II e IV (comma 4 Art. 73 TU 309/90)
  3. quella integrante gli estremi del reato di lieve entità (comma 5 Art. 73 TU 309/90)

Come si nota, l'Art. 83 TU 309/90 configura un reato proprio del medico nell'esercizio delle sue funzioni, ma, in Giurisprudenza, è indifferente, ai fini dell'integrazione del delitto p. e p. ex Art. 83 TU 309/90, che il chirurgo o il veterinario eserciti la sua professione nel settore privato oppure in quello pubblico.

Tuttavia, rimane da chiarire cosa si intenda, sotto il profilo oggettivo-materiale del reato, per “prescrizione per uso non terapeutico”. A tal proposito, Goisis (2018)[1] specifica che “[la prescrizione per uso non terapeutico] è una falsità ideologica relativa alla non veridicità del contenuto della prescrizione sotto il profilo della non corrispondenza tra malattia diagnosticata e necessità di curarla mediante la somministrazione di sostanze psicotrope. L'uso terapeutico di preparati medicinali a base di sostanze stupefacenti o psicotrope è penalmente lecito, in quanto previsto dall'Art. 72 comma 2 TU 309/90, a condizione che tali medicinali siano debitamente prescritti dal medico secondo le necessità di cura del paziente ed in relazione alle sue particolari condizioni patologiche. La somministrazione di preparati medicinali a base di sostanze stupefacenti deve ritenersi, dunque, consentita solo qualora il medico agisca effettivamente per finalità terapeutiche, praticando un trattamento prescritto ai sensi dell'Art. 43 TU 309/90”.

Similmente, con attinenza alla tematica della disassuefazione farmacologica dalla tossicomania, Cass., sez. pen. IV, 28 aprile 2004, n. 31339 commenta, alla luce dell'Art. 83 TU 309/90, che “nel consentire che le sostanze stupefacenti o psicotrope siano somministrate per fini terapeutici, secondo le necessità di cura in relazione alle particolari condizioni patologiche del soggetto, il Legislatore non ha previsto procedure o protocolli legali [e formalistici, ndr] per l'accertamento della finalità di cura, ma ha lasciato al'apprezzamento del singolo medico la diagnosi e la specifica articolazione terapeutica, con il solo limite delle conoscenze scientifiche del momento. Qualora [ex Art. 83 TU 309/90] venga in rilievo la condotta del medico che abbia somministrato farmaci contenenti sostanze stupefacenti, spetta, dunque, al giudice [tramite il CTU, ndr] l'apprezzamento dell'eventuale rilevanza penale della condotta del sanitario, verificando, sul piano dell'elemento soggettivo, se quello terapeutico sia stato il fine prefissatosi dal medico nel praticare il trattamento della tossicodipendenza con medicinali a base di sostanze stupefacenti e se, sul piano della causalità, ed allo stato attuale della scienza medica, tale trattamento sia o no coerente con quanto la scienza medica ritenga foriero di risultati in termini di guarigione”.

Molti Dottrinari, sempre con afferenza all'interpretazione dei lemmi “per uso non terapeutico” nell' ult cpv Art. 83 TU 309/90, hanno sottolineato che la terapia a base di stupefacenti deve essere “ben indirizzata” sotto il profilo delle oggettive finalità terapeutiche dei medicinali somministrati. Pertanto, il medico che prescrive stupefacenti dovrà valutare diligentemente il tipo e la quantità del farmaco psicotropo, le caratteristiche del malato e le sue condizioni patologiche. All'opposto, se l'”uso terapeutico” è pretestuoso o razionalmente ingiustificato, diverrà precettivo il delitto di “prescrizione abusiva” p. e p. ex Art. 83 TU 309/90. Naturalmente, nell'applicare l'Art. 83 TU 309/90, tale bontà terapeutica della cura prescritta verrà valutata dal Magistrato sulla base delle “leggi scientifiche” al momento reputate valide nonché sulla scorta della ratio dell'id quod plerumque accidit, applicata all'ambito sanitario. Ognimmodo, nel contesto dell'Art. 83 TU 309/90, ciò che conta è la “guarigione” finale e concreta del paziente; per cui, una terapia a base di stupefacenti, per quanto pionieristica o atipica, non cade nel campo precettivo dell'Art. 83 TU 309/90 qualora essa abbia comunque recato ad un esito positivo e curativo. Viceversa, come specificato da Cass., sez. pen. VI, 13 marzo 2013, n. 16581, integra appieno gli estremi del delitto p. e p. ex Art. 83 TU 309/90 il medico che, consapevolmente e per lucro personale, alimenta il mercato dello spaccio di stupefacenti prescindendo da qualunque “uso terapeutico”. Analogamente, Cass., sez. pen. IV, 3 marzo 2009, n. 25923 evidenzia che “la condotta del medico che, con abuso della facoltà di autoricettazione riconosciutagli dal comma 6 Art. 43 TU 309/90, si autoprescriva degli stupefacenti destinati al suo uso personale non terapeutico, integra il reato di cui all'Art. 83 TU 309/90”. Dunque, come si può notare, anche Cass., sez. pen. IV, 3 marzo 2009, n. 25923 distingue tra l'eventuale uso terapeutico e quello tossicovoluttuario.

 

La prescrizione di farmaci stupefacenti “per finalità estetiche” nell'ottica dell'Art. 83 TU 309/90

Cassazione 12198/2020 ha dovuto occuparsi di un medico imputato ex Art. 83 TU 309/90 per aver somministrato a due pazienti obesi fendimetrazina e clorozepato di potassio senza urgenze sanitarie, bensì solo per ottenere un dimagrimento “estetico”. Il trattamento dimagrante a base di stupefacenti si era protratto per più di 3 mesi, limite massimo fissato dal DM 18/09/1997 per l'utilizzo legale di droghe dimagranti a fini estetici. Il medico è stato condannato ex Art. 83 TU 309/90, in tanto in quanto, come notato da Cassazione 12198/2020, “per pacifica Giurisprudenza, la somministrazione di preparati medicinali a base di sostanze stupefacenti è consentita, ai sensi del comma 2 Art. 72 TU 309/90, solo qualora il medico agisca effettivamente per finalità terapeutiche, praticando un trattamento debitamente prescritto ai sensi dell'Art. 43 TU 309/90 e coerente, secondo le conoscenze scientifiche del momento, con gli obiettivi clinici perseguiti. Nel caso in esame, la Corte d'Appello ha, invece, correttamente rilevato l'assenza dei presupposti per ritenere che le prescrizioni avessero natura terapeutica, sia per le condizioni di salute dei pazienti, sia per l'eccessiva durata delle prescrizioni, dando così adeguatamente conto del perché difettasse l'evidenza della prova dell'innocenza dell'imputato”.

L'Art. 83 TU 309/90 nel contesto della tossicodipendenza (terapia a scalare/terapia di mantenimento) e della terapia del dolore

Affinché il medico non incorra nelle pesanti sanzioni di cui all'Art. 83 TU 309/90, egli deve “guarire” il tossicodipendente dalla propria tossicomania, ma, nella maggior parte dei casi, tale guarigione comporta la somministrazione temporanea di una c.d. “terapia a scalare”. Questa cura “a scalare” è stata qualificata molto bene in Cassazione 14/07/1989, ove la Suprema Corte specifica che “l'uso di sostanze stupefacenti, nella cura dei tossicodipendenti, è ammesso dal Legislatore, con il limite invalicabile che la terapia non ecceda in modo apprezzabile le necessità della cura, in relazione alle particolari condizioni dei soggetti, il che impone, da parte del sanitario, non solo il rigoroso accertamento della situazione di tossicodipendenza del soggetto, ma anche, con particolare cautela, delle prescrizioni da effettuarsi per quantitativi non discrezionali, ma strettamente necessari alle finalità curative, ovvero al superamento di un'eventuale crisi d'astinenza ed alla disassuefazione e guarigione; l'uso suddetto, perciò, non può prolungarsi oltre il tempo strettamente necessario al raggiungimento delle finalità di legge ed è legittimo soltanto se mirato, sulla base di un programma terapeutico individualizzato, ad assistere, curare e recuperare fino alla disassuefazione, il che è possibile solo con una terapia a scalare e per brevi periodi”. Come si nota, anche in Cassazione 14/07/1989 torna la suprema ratio dell'”uso terapeutico” dei medicinali psicotropi ex ult cpv Art. 83 TU 309/90.

E' pur vero che, in ogni caso, la terapia a scalare non è più un dogma. P.e., negli Anni Duemila, arditamente e pionieristicamente, Cass., sez. pen. III, 4 maggio 2004, n. 37863 ha statuito atipicamente che “per assistere e curare persone tossicodipendenti, il medico può prescrivere, ad uso terapeutico, medicinali contenenti sostanze stupefacenti anche senza l'adozione di una terapia a scalare e per brevi periodi, purché egli possa dimostrarne rigorosamente la validità scientifica, essendo – in caso contrario – configurabile il delitto di cui all'Art. 83 TU 309/90”.

L'Art. 83 TU 309/90 ha dinamiche totalmente differenti nell'ambito della terapia del dolore, ove la finalità terapeutica non è la disassuefazione dalla tossicofilia, bensì la riduzione della sofferenza fisica connessa a malattie croniche o terminali. Su tale tematica, Cass., sez. pen. VI, 7 febbraio 2006, n. 10916 evidenzia che “esula dalle previsioni dell'Art. 83 TU 309/90, che sanziona penalmente la prescrizione, da parte dell'esercente la professione medica, di sostanze stupefacenti ad uso non terapeutico, il caso in cui tali sostanze vengano prescritte nell'ambito della terapia del dolore, finalizzata a far meglio sopportare al paziente il dolore fisico derivante dalla malattia da cui egli sia affetto”.

Nell'Ordinamento italiano, il Legislatore ha voluto concedere un notevole favor nei confronti della terapia del dolore, affinché l'Art. 83 TU 309/90 non costituisse una “palla al piede” nell'applicazione delle cure palliative. Il DPCM del 29/11/2001 ha conferito piena cittadinanza giuridica alla terapia del dolore, la quale è tutelata pure dall'apposita L. 38/2010. Nella lett. b) comma 1 Art. 2 L. 38/2010, si afferma che la terapia del dolore, la quale impiega stupefacenti, “è un insieme di interventi diagnostici e terapeutici volti ad individuare ed applicare alle forme morbose croniche idonee ed appropriate terapie farmacologiche, chirurgiche, strumentali, psicologiche e riabilitative, tra loro variamente integrate, allo scopo di elaborare idonei percorsi diagnostico-terapeutici per la soppressione ed il controllo del dolore”. Come si può notare, la L. 38/2010 legalizza pienamente l'utilizzo di farmaci psicotropi nell'ambito della terapia del dolore. Anzi, l'Art. 10 L. 38/2010 agevola e semplifica le procedure di trasporto e di consegna di farmaci stupefacenti per pazienti affetti da “dolore severo in corso di patologia neoplastica o degenerativa”.

All'opposto, l'Art. 83 TU 309/90 rimane pienamente precettivo nella “terapia di mantenimento” finalizzata a limitare il dolore del tossicomane durante la crisi d'astinenza. A tal proposito, Cass., sez. pen. IV, 1° giugno 2000, n. 1194 ha puntualizzato che “la prescrizione [troppo durevole], da parte di un medico, di sostanze stupefacenti ad un soggetto in stato di tossicodipendenza dà luogo alla configurabilità del reato di cui […] all'Art. 83 TU 309/90, quando essa sia finalizzata non alla disassuefazione e, quindi, al recupero del tossicodipendente, conformemente a quanto voluto dal Legislatore (il quale ha dettato all'uopo un'apposita disciplina), ma ad altri fini, sia pure soggettivamente commendevoli, con la consapevolezza che la tossicodipendenza, mediante l'uso delle sostanze anzidette, viene mantenuta e quindi, in un qualche modo, alimentata”.

Tuttavia, sempre con afferenza alla terapia di mentenimento nella tossicofilia, Cass., sez. pen. IV, 28 aprile 2004, n. 31339 specifica che l'Art. 83 TU 309/90 non va applicato se “il medico […] abbia praticato una [lunga] terapia a base di sostanze stupefacenti […] per un particolare valore morale e sociale tale da consentire di concedere la circostanza attenuante prevista dal n. 1) Art. 62 CP, qualora sia provato che, in mancanza di tale pur impropria terapia, il paziente sarebbe stato indotto a fare ricorso al circuito del narcotraffico, in tal modo arrecando grave vulnus alla propria salute ed alla propria condizione umana o sociale”.

Analoga elasticità, in tema di crisi d'astinenza, è manifestata pure da Tribunale Milano 08/02/1996, ovverosia “ai fini della non configurabilità del delitto di cui all'Art. 83 TU 309/90, le prescrizioni di sostanze stupefacenti da parte di un sanitario sono da ritenersi rilasciate per [legittimo] uso terapeutico qualora esse siano finalizzate a fronteggiare una crisi d'astinenza del tossicodipendente, ovvero per consentirne la disintossicazione attraverso la predisposizione di una terapia a scalare tramite una progressiva riduzione delle dosi. Tale terapia a scalare, che postula, per la sua legittimità, la predisposizione, da parte del sanitario stesso, di controlli personali periodici, è legittima anche se vengono utilizzate sostanze stupefacenti diverse (morfina) dal metadone, autorizzato, in via esclusiva, dal DM 19 dicembre 1990, n. 445”. Dunque, anche Tribunale Milano 08/02/1996 mitiga la severità sanzionatoria dell'Art. 83 TU 309/90, soprattutto se il medico, ex n. 1) Art. 62 CP, “ha agito per motivi di particolare valore morale o sociale”.

 

Il concorso atipico del paziente nel reato proprio ex Art. 83 TU 309/90

L'Art. 83 TU 309/90 configura un reato proprio, in tanto in quanto solo un medico chirurgo od un medico veterinario possono rilasciare una ricetta di farmaci stupefacenti “per uso non terapeutico”. Tuttavia, de jure condito, nessuna norma chiarisce la posizione giuridica del beneficiario della prescrizione indebita. Detto in altri termini, nelle dinamiche criminologiche dell'Art. 83 TU 309/90, il paziente altro non è se non un tossicomane che potrà liberamente acquistare la sostanza psicoattiva in una farmacia. Detto acquisto, se finalizzato esclusivamente al proprio consumo personale, non è reato ex Art. 73 TU 309/90, bensì illecito amministrativo ex Art. 75 TU 309/90. Tuttavia, nella maggior parte dei casi, il paziente richiede con piena volizione dolosa al medico di rilasciargli la ricetta, ben sapendo di indurre il professionista a commettere un reato, poiché manca la finalità terapeutica.

Con attinenza a tale tema, Cass., sez. pen. IV, 14 maggio 1996, n. 5841 ha specificato che “qualora la prescrizione abusiva di sostanze stupefacenti sia sollecitata dal soggetto che ne usufruisce, il richiedente beneficiario risponde a titolo di concorso, insieme con il medico, del reato previsto dall'Art. 83 TU 309/90. Tale delitto, peraltro, è autonomo e solo eventualmente prodromico alla successiva acquisizione della sostanza. Ed infatti, alla previsione della norma incriminatrice è del tutto estraneo l'effettivo uso della prescrizione abusiva, la quale rimane fatto penalmente rilevante, anche se il documento sanitario non sia stato in alcun modo utilizzato, intendendosi reprimere lo strumento per l'acquisizione della droga. Né rileva la destinazione di questa ad uso personale del correo del medico nella formazione illegittima della ricetta, in quanto, anche se la destinazione dello stupefacente ad esclusivo uso personale non è illecito penale, non per questo i mezzi diretti all'acquisizione di droghe per soddisfare un proprio fabbisogno diventano penalmente irrilevanti, dal momento che, quando il mezzo è di per sé reato, tutti coloro che risultano partecipi devono rispondere”.

Viceversa, non ha avuto grande seguito l'opposta conclusione di Cass., sez. pen. VI, 8 novembre 1989, n. 6747, a norma della quale “l'attività dell'eventuale concorrente potrebbe assumere esclusivamente le forme dell'incitamento e del rafforzamento della volontà del medico, con la conseguenza che la mera richiesta reiterata di prescrizione di sostanze stupefacenti rivolta da tossicodipendenti ad un medico non integra concorso penalmente rilevante nella fattispecie incriminatrice in questione”. Cass., sez. pen. VI, 8 novembre 1989, n. 6747 non è reputata idonea nella Giurisprudenza prevalente, poiché non si può negare il ruolo causale determinante delle richieste esplicite e dolose del tossicomane al medico. Va riconosciuta, dunque, la sussistenza del concorso, anche se l'Art. 83 TU 309/90 configura, di per sé, un reato proprio, ma pur sempre eziologicamente determinato.

 

Alcune Sentenze-pilota

  • Cass., sez. pen. […], 14 luglio 1989 […]

“L'uso di sostanze stupefacenti nella cura dei tossicodipendenti è ammesso dal Legislatore con il limite invalicabile che la terapia non ecceda in modo apprezzabile le necessità della cura in relazione alle particolari condizioni dei soggetti; il che impone, da parte del sanitario, non solo il rigoroso accertamento della situazione di tossicodipendenza del soggetto, ma anche una particolare cautela nelle prescrizioni da effettuarsi per quantitativi non discrezionali, ma strettamente necessari alle finalità curative, ossia al superamento di un'eventuale crisi d'astinenza ed alla disassuefazione e guarigione; l'uso suddetto, perciò, non può prolungarsi oltre il tempo strettamente necessario al raggiungimento delle finalità di legge ed è legittimo soltanto se mirato, sulla base di un programma terapeutico individualizzato, ad assistere, curare e recuperare sino alla disassuefazione, il che è possibile solo con una terapia a scalare e per brevi periodi”.

 

  • Cass., sez. pen. IV, 28 aprile 2004, n. 31339

“La condotta del medico che, sia pure solo al fine di una terapia di mero mantenimento della tossicodipendenza, abbia praticato una terapia a base di sostanze stupefacenti, riveste le connotazioni del particolare valore morale e sociale (tali da consentire di concedere la circostanza attenuante prevista dal n. 1) Art. 62 CP qualora sia provato che, in mancanza di tale pur impropria terapia, il paziente sarebbe stato indotto a fare ricorso al circuito del narcotraffico, in tal modo arrecando grave vulnus alla propria salute ed alla propria condizione umana o sociale”.

 

  • Cass., sez. pen. VI, 7 febbraio 2006, n. 10916

“Esula dalle previsioni dell'Art. 83 TU 309/90, che sanziona penalmente la prescrizione, da parte di esercente la professione medica, di sostanze stupefacenti ad uso non terapeutico, il caso in cui tali sostanze vengano prescritte nell'ambito della terapia del dolore, finalizzata a far meglio sopportare al paziente il dolore fisico derivante dalla malattia da cui egli sia affetto”

 

  • Cass., sez. pen. III, 4 maggio 2004, n. 37863

“Per assistere e curare persone tossicodipendenti, il medico può prescrivere, ad uso terapeutico, medicinali contenenti sostanze stupefacenti anche senza l'adozione di una terapia a scalare e per brevi periodi, purché possa dimostrarne rigorosamente la validità scientifica essendo – in caso contrario – configurabile il delitto di cui all'Art. 83 TU 309/90”

 

[1]Goisis, Uso della cannabis a scopo terapeutico, Diritto penale e processo, 7/2018