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Associazione finalizzata allo spaccio: elementi costitutivi, evoluzioni giurisprudenziali e problematiche in ordine alle fattispecie di cui all’articolo 74 D.P.R. 9 ottobre 1990, nr. 309

Associazione finalizzata allo spaccio: elementi costitutivi, evoluzioni giurisprudenziali e problematiche in ordine alle fattispecie di cui all’articolo 74 D.P.R. 9 ottobre 1990, nr. 309
Associazione finalizzata allo spaccio: elementi costitutivi, evoluzioni giurisprudenziali e problematiche in ordine alle fattispecie di cui all’articolo 74 D.P.R. 9 ottobre 1990, nr. 309

Indice

1. Premessa: la struttura dei reati associativi ed il rispetto del principio di necessaria offensività del fatto penalmente rilevante.

2. L’associazione finalizzata al traffico illecito di sostanze stupefacenti o psicotrope.

3. Il ruolo di promotore, organizzatore o capo. La fattispecie di associazione finalizzata al traffico illecito di droga caratterizzata da lieve entità.

4. La linea di confine tra l’associazione finalizzata al traffico illecito di stupefacenti ed il concorso eventuale nei reati in materia di droga.

 

Abstract

Dopo aver esaminato i dati strutturali della categoria dei reati associativi, nonché descritto i punti di frizione che tale opzione politico-criminale presenta in relazione al principio costituzionale di offensività del fatto penalmente rilevante, l’autore analizza le fattispecie incriminatrici previste dall’articolo 74 del D.P.R. 09 Ottobre 1990, nr. 309 (Testo Unico sugli Stupefacenti).

In particolare, il contributo fornisce una dettagliata ricostruzione degli elementi costitutivi del delitto di partecipazione all’associazione dedita al traffico illecito di sostanze stupefacenti o psicotrope, anche alla luce dei recenti arresti della giurisprudenza di legittimità (Cass. Pen., Sez. III, 07.01.2016 nr. 6107) e di merito (GUP Tribunale di Napoli 27.07.2015 nr. 1396), comprendendo uno studio della casistica riguardante le posizioni verticistiche all’interno di questa struttura organizzativa criminale, più severamente punite.

Il lavoro si conclude con l’analisi del discrimen tra tali delitti associativi ed il semplice concorso eventuale nei reati di produzione, detenzione e spaccio di droga.

 

1. Premessa: la struttura dei reati associativi ed il rispetto del principio di necessaria offensività del fatto penalmente rilevante

L’articolo 74 del Decreto del Presidente della Repubblica del 09.10.1990 nr. 309 (c.d. Testo Unico sugli Stupefacenti, d’ora in poi T.U. Stup.) punisce precipuamente la creazione di un’associazione di persone finalizzata al traffico illecito di sostanze stupefacenti e c.d. precursori di droghe. Si tratta, allora, come, del resto, anticipato dalla stessa rubrica, di un delitto appartenente alla classe dei reati associativi. Pertanto, prima di procedere all’analisi di tale disposizione e di segnalare i principali arresti giurisprudenziali che l’hanno interessata, è opportuno soffermarci sulle principali caratteristiche di questa categoria, allo scopo di cogliere utili spunti per l’esegesi della norma in commento.

I delitti associativi, di cui la fattispecie punita dall’articolo 416 del Codice Penale continua a rappresentare figura emblematica e riferimento strutturale, vanno inquadrati nel più ampio genus dei reati c.d. plurisoggettivi o a concorso necessario. Di conseguenza, la prima ed essenziale caratteristica degli stessi è la previsione, da parte della medesima norma incriminatrice di parte speciale, ai fini dell’integrazione del reato, della presenza di più soggetti attivi, in numero variabile a seconda dei casi. Dunque, a differenza dei reati c.d. plurisoggettivi eventuali o a concorso eventuale, laddove non è necessario un previo accordo criminoso dei correi, limitandosi costoro ad unire le proprie forze al fine di compiere uno o più reati determinati che ben potrebbero essere realizzati da un singolo individuo, in questo caso è richiesto un vincolo stabile e permanente volto alla realizzazione di un programma criminale (rectius una pluralità di delitti più o meno specificati dal legislatore), di varia portata ed intensità, tra i partecipanti necessari.

Occorre sottolineare come, d’altronde, la concretizzazione degli obbiettivi delittuosi non sia necessaria ai fini della consumazione dei reati de quibus, essendo la singola condotta partecipativa a rappresentare, in ogni caso, il fatto tipico punibile. Va, infatti, sottolineato che il nostro sistema, a differenza di altri Paesi, non prevede i c.d. reati associativi in senso stretto (reati dell’associazione), ossia fattispecie criminose commesse da una struttura associativa preesistente, bensì una serie di reati di associazione, mediante i quali il legislatore, pur mirando ad ostacolare l’esistenza di compagini ritenute incompatibili con l’ordinamento, da un lato, colpisce i singoli per il fatto della loro semplice partecipazione al sodalizio criminale e, dall’altro, gradua la responsabilità dei primi in funzione del ruolo da ciascuno svolto nell’attività del secondo.

Questa associazione penalmente rilevante postula, per dottrina dominante e giurisprudenza granitica, una stabile organizzazione destinata a durare nel tempo, anche rudimentale, purché adeguata a realizzare gli obbiettivi criminali individuati all’atto della costituzione. La permanenza rappresenta il perno imprescindibile dell’incriminazione nelle fattispecie associative, in quanto il pericolo per l’ordine pubblico, che, come si chiarirà a breve, è il principale bene giuridico tutelato dal legislatore in questo caso, scaturisce anche e soprattutto dalla stabilità dell’organizzazione criminogena.

D’altro canto, il solo prendere parte all’organizzazione penalmente rilevante non comporta l’automatica responsabilità pure per le imprese criminali consumate dagli altri associati. Invero, l’adesione ad un’associazione criminale è un fatto del tutto distinto dal contribuire alla realizzazione del reato-scopo, talché la prima non implica di necessità il secondo. Questa conclusione è imposta dal principio di personalità della responsabilità penale di cui all’articolo 27 della Costituzione e, dunque, la responsabilità per i singoli reati va dimostrata di volta in volta. A tal fine, bisogna, allora, accertare l’esistenza dei requisiti del concorso nel reato scopo, id est un contributo morale o materiale, necessario od agevolatore, nonché il dolo di concorso. Ciò risulta di fondamentale importanza in relazione ai concorrenti situati al vertice della struttura criminale, per i quali, onde evitare di dare adito ad ipotesi di responsabilità oggettiva da mera posizione, occorre provare una loro compartecipazione almeno morale, desumibile giammai dalla sola predeterminazione di un generico programma criminale, bensì dalla definizione dei tratti essenziali dei singoli delitti poi realizzati dai compartecipi.

Orbene, è chiaro come l’eventuale commissione dei reati-scopo agevoli la prova della sussistenza del delitto associativo, per quanto resti, come sopra precisato, necessaria la dimostrazione dell’esistenza tanto di un accordo criminoso quanto di una struttura organizzativa permanente. In ogni caso, dottrina e giurisprudenza recente (non più smentite le statuizioni in merito contenute nella sentenza della Corte di Cassazione, Sez. I, 24.09.1998 – 09.03.1999, nr. 3184) ritengono di poter ricorrere alla figura della continuazione onde legare il delitto associativo ed i reati commessi in esecuzione del manifesto criminale. Un tempo, infatti, l’asserita necessità dell’indeterminatezza del programma delinquenziale delle associazioni penalmente rilevanti rappresentava una remora all’individuazione di un “medesimo disegno criminoso”, lasciando il campo unicamente alla configurabilità di un concorso materiale tra il delitto associativo ed i singoli reati scopo concretamente consumati. Oggi, invece, da un lato, si considera essenziale solo la circostanza che la struttura associativa miri a compiere una pluralità di delitti, generici (art. 416 c.p.) o indicati dalla norma speciale di riferimento (ad es. art. 74 T. U. Stup.), e, dall’altro, si reputa verosimile un nesso teleologico in grado di avvincere l’accordo criminoso ed il concreto soddisfacimento del fine delinquenziale. In particolare, è ben possibile che si configuri un unitario disegno criminoso che conduca i concorrenti, dapprima, a costituire un’associazione criminale e, successivamente, ad eseguire tutti o quasi i singoli reati parimenti prestabiliti.

In merito all’elemento soggettivo, invece, le norme che disciplinano i reati associativi richiedono, nel concorrente, la sussistenza dell’affectio societatis, ossia la specifica consapevolezza e volontà di far parte in modo stabile e duraturo della struttura criminale, condividendone il programma illecito, e di affiancare il proprio contributo a quello degli altri sodali, al fine di agevolare l’operatività dell’associazione. La scelta del legislatore appare ragionevole e coerente, in quanto il dolo specifico è in grado di evitare una sproporzionata limitazione della libertà associativa prevista dagli articoli 2 e 18 della Carta Costituzionale.

Giunti a questo punto della trattazione, è opportuno un vaglio del rispetto, da parte della categoria di delitti de qua, del principio di necessaria offensività del fatto penalmente rilevante. Come è noto, nel nostro sistema penale, il diritto alla libertà personale, in quanto bene individuale supremo protetto dall’articolo 13 della Costituzione, potrebbe subire limitazioni solo in caso di condotte pregiudizievoli di diritti, interessi ovvero libertà che la nostra grundnorm garantisce anche solo in via implicita o strumentale, laddove si ravvisi l’inefficacia o l’insufficienza di sanzioni civili od amministrative. Orbene, la categoria dei reati associativi svolge una funzione di tutela anticipata dell’ordine e della sicurezza pubblici, determinando la punibilità dei soggetti per il solo fatto di partecipare ad un’organizzazione potenzialmente perturbatrice della pace sociale, a prescindere, come già osservato, dalla consumazione dei reati-scopo. Alla luce di questo considerevole avanzamento della soglia di protezione penale, si tratterebbe di reati di pericolopresunto” (Fiandaca-Musco), per quanto diverse voci dottrinali, sempre più numerose, suggeriscono di considerarlo “concreto”, in aderenza ad un diritto penale della libertà, di guisa che sia imposto all’interprete di verificare quantomeno l’effettiva idoneità della struttura permanente a realizzare il programma criminoso, mediante un giudizio prognostico ex ante ed in concreto.

Tuttavia, secondo autorevole dottrina (Mantovani), la riconduzione dei delitti associativi nell’alveo della categoria dei reati di pericolo peccherebbe di “ottimismo” per almeno due ragioni. In primo luogo, l’ordine pubblico, che, come appena esposto, rappresenterebbe il bene-interesse tutelato dalle incriminazioni di cui qui si discorre, sarebbe o un concetto astratto e nominale, oppure una generica oggettività legale che abbraccia i vari beni giuridici protetti dalle norme incriminatrici dei reati-scopo, i quali, invero, non sarebbero neppure messi ancora in pericolo dal solo fatto dell’associazione. Neppure potrebbe ravvisarsi una lesione all’ordine pubblico nell’allarme sociale che alcune entità associative possono cagionare, poiché il pregiudizio alla sicurezza pubblica dipenderebbe giammai dalla mera costituzione dell’aggregazione criminale, la quale è generalmente sconosciuta ai consociati, quanto piuttosto dalla reiterazione dei reati-scopo programmati, idonea a determinare la convinzione che altri delitti saranno commessi.  In secondo luogo, la semplice creazione di una struttura criminosa può solo essere l’indice di una pericolosità soggettiva dei singoli concorrenti necessari, in quanto la partecipazione all’aggregazione delinquenziale potrebbe essere volano per la commissione dei vari reati-fine programmati. Insomma, a ben vedere, si tratterebbe di incriminazioni che non puniscono comportamenti lesivi di un bene costituzionalmente significativo, ma che mirano puramente a prevenire la realizzazione di condotte effettivamente lesive o pericolose. Secondo questa tesi, i delitti associativi rappresenterebbero dei meri reati ostacolo, sanzionando attività anteriori allo stesso tentativo punibile. Per tale ragione, la previsione delle fattispecie de quibus sarebbe costituzionalmente giustificata solo in caso di ossequioso rispetto di due condizioni, ossia un’adeguata descrizione della fattispecie tipica e la necessaria tutela preventiva di un bene giuridico (quello protetto dalle sanzioni dei reati-fine) di estrema importanza ordinamentale, come la vita, l’incolumità collettiva e le istituzione democratiche.

2. L’associazione finalizzata al traffico illecito di sostanze stupefacenti o psicotrope

L’articolo 74 T.U. Stup., in verità, prevede e punisce, come sarà specificato nel corso della presente trattazione, diversi delitti. In ogni caso, la fattispecie base intorno alla quale ruotano le varie incriminazioni è rappresentata dall’associazione di tre o più persone per commettere più reati tra quelli previsti dall’articolo 73 o dall’articolo 70, commi 4, 6 e 10, nell’ambito dei c.d. “precursori di droghe”, del medesimo T.U. Il mero partecipante a tale sodalizio criminogeno, ossia il semplice associato, è punito, per ciò solo, con la reclusione non inferiore a dieci anni, ai sensi del comma 2 dell’articolo 74.

Sottolineato che, come tutti i delitti associativi, si tratta di un reato permanente, i suoi elementi oggettivi fondamentali sono (cfr. Cass. Pen.,  Sez. V, 05.11.1997 nr. 11899 e Cass. Pen., Sez. IV, 02.10.2013 nr. 44183): a) la formazione di un vincolo associativo, coinvolgente almeno tre individui, che sia continuativo e diretto ad attuare il piano criminoso durevole, ossia permanga anche dopo la consumazione dei singoli reati programmati; b) l’organizzazione stabile di attività personali e di beni economici, con l’impegno di apportarli anche in futuro in funzione del perseguimento del progetto delinquenziale; c) il programma delittuoso, consistente nella commissione di una serie indeterminata di reati in materia di stupefacenti tra quelli summenzionati, per quanto non occorre l’effettiva consumazione degli stessi.

È, dunque, richiesto che la struttura organizzativa presenti un carattere stabile, tale da garantire un’apprezzabile continuità temporale e delinquenziale al conciliabolo, ed in cui ad ogni sodale vengano attribuiti compiti tipici in relazione al programma malavitoso. Invero, mancando una connotazione di sufficiente stabilità, le aggregazioni criminali non sono in grado di esprimere quel disvalore e quel connotato di pericolosità per l’ordine pubblico idonei a giustificare la severa sanzione prevista dalla legge (cfr. Cass. Pen., Sez. VI, 03.12.2013 nr. 7387). D’altra parte, sia le peculiarità criminali del mercato della droga, connesse ai diversi ambiti territoriali ed alla variabilità quantitativa e qualitativa della domanda e dell’offerta, sia lo scopo essenzialmente esclusivo dell’associazione in parola (produzione, detenzione e traffico di droga), hanno portato costante giurisprudenza (da ultimo Cass. Pen., Sez. III, 07.01.2016 nr. 6107) a ritenere che, in tale settore criminoso, non sia necessario che i concorrenti istituiscano strutture organizzative di tipo sofisticato, al pari, ad esempio, delle associazioni di cui all’art. 416 bis del Codice Penale, bastando la predisposizione di mezzi anche semplici ed elementari per una credibile attuazione del programma criminale permanente. Non è, inoltre, imprescindibile la sussistenza di formalità costitutive, come statuti, regolamenti, iniziazioni od altre manifestazioni di formale adesione, né una divisione convenzionale e predeterminata dei ruoli, purché esista pur sempre un pactum sceleris che includa i partecipi ed escluda tutti gli altri, generando così una specifica appartenenza. Tale patto può, allora, essere anche tacito, desumibile dalle modalità esecutive dei reati-scopo, dalla loro ripetizione e dai rapporti continuativi tra i concorrenti necessari.

D’altro canto, come solitamente accade nella descrizione delle fattispecie associative delittuose, la condotta partecipativa incriminata dall’art. 74 T.U. Stup. non è affatto circostanziata dal legislatore. Siamo al cospetto, dunque, di un reato a condotta libera, dove la norma, limitandosi a riferire solo lo scopo dell’associazione senza indicare specifiche qualità della stessa, si presta ad etichettare come penalmente rilevanti fenomeni, in concreto, notevolmente eterogenei. Ciò ha indotto la giurisprudenza a definire la fattispecie de qua come “aperta”, ossia idonea ad abbracciare manifestazioni delinquenziali che vanno dal grande sodalizio internazionale avente struttura imprenditoriale, preposto al controllo sia della produzione che dell’immissione sul mercato della sostanza stupefacente, al pusillo conciliabolo dedito esclusivamente alla cessione di droga a terzi in ambito locale attraverso un’organizzazione familiare, passando per la figura dello “spaccio itinerante”, di recente assurta all’attenzione della nostra giurisprudenza (cfr. sentenza GUP Tribunale di Napoli 27.07.2015 nr. 1396), in cui, al fine di ridurre il rischio di attirare l’attenzione delle forze dell’ordine e di detenere in strada un rilevante quantitativo di droga e di denaro, si dispone di diversi soggetti preposti a recarsi agli incontri con i tossicomani a seguito di telefonata ed in luoghi stabiliti di volta in volta. In ogni caso, il livello qualitativo dell’organizzazione dovrà essere valutato in sede di determinazione del trattamento sanzionatorio, poiché il contesto, le modalità lesive del bene protetto e l’intensità del legame tra gli associati incidono sulla gravità del reato di cui all’articolo 133 del Codice Penale.

L’elemento psicologico del partecipante all’associazione incriminata dall’art. 74 T.U. Stup. è costituito dalla coscienza e volontà di partecipare e contribuire concretamente alla vita durevole della suddetta struttura organizzativa, al fine di attuare il programma delittuoso per il quale la stessa è stata costituita, avente ad oggetto la commissione di più delitti tra quelli indicati dal comma 1 della medesima disposizione normativa (cfr. Cass. Pen., Sez. IV, 02.10.2013 nr. 44183). Trattasi, allora, di un dolo specifico, il quale, tuttavia, non richiede necessariamente che tutti gli associati abbiano l’intenzione di porre in essere identici fatti penalmente rilevanti, né che il singolo partecipante conosca e sia in rapporto con tutti gli altri sodali, purché abbia la consapevolezza che la propria attività si inserisce in un complesso di operazioni strumentali alla realizzazione dello spaccio e del traffico di stupefacenti. Giova, del resto, sottolineare come il dolo del delitto associativo de quo va tenuto nettamente distinto dal motivo che ha indotto il singolo a prendere parte alla struttura criminosa. In particolare, non rileva, al fine di escludere la punibilità, la circostanza che l’individuo, magari tossicodipendente, sia stato determinato a partecipare al sodalizio dalla concorrente opportunità di reperire la droga per un uso personale.

Se, dunque, non è indispensabile che tutti i concorrenti necessari agiscano per soddisfare medesimi scopi, utilità od interessi  (cfr. Cass. Pen.,  Sez. VI, 27.01.2012 nr. 3509), può rientrare nella fattispecie dell’art. 74 anche l’associazione che coinvolga in maniera durevole l’importatore dello stupefacente ed i piccoli spacciatori della medesima sostanza, il fornitore di droga ed i venditori che continuativamente la ricevono per interagire con la clientela finale nella c.d. venditaal minuto” (cfr. Cass. Pen., Sez. V, 05.11.1997 nr. 11899), ovvero il venditore al dettaglio e gli acquirenti affezionati della sostanza (cfr. Cass. Pen., Sez. III, 28.05.2014 nr. 21755). In quest’ultimo caso, però, è necessario che l’acquirente sia stabilmente disponibile a ricevere lo stupefacente, assumendo così, anche in relazione al contenuto economico delle transazioni, una funzione trascendente la qualifica di mera controparte delle singole operazioni negoziali, idonea cioè a facilitare consapevolmente lo svolgimento dell’intera attività criminale e la produzione del profitto illecito. 

Il bene giuridico tutelato dall’incriminazione dell’associazione finalizzata al traffico illecito di stupefacenti non si discosta da quello tipico dei reati in materia di droga. Anche in questo caso, infatti, si mira a proteggere la salute pubblica, per quanto entrino parimenti in considerazione l’ordine e la sicurezza pubblici e, per certi versi, la tutela dell’interesse patrimoniale del risparmio. Sennonché, la ratio giustificatrice di un’apposita previsione del delitto associativo e del più rigoroso trattamento sanzionatorio è rappresentata dall’esigenza di combattere situazioni di maggiore allarme sociale, in cui la collaborazione continuativa di più soggetti può rappresentare un volano per la maggiore diffusione di sostanze stupefacenti e, dunque, una più pericolosa aggressione alla salute individuale e collettiva (cfr. Corte Cost. 19.07.2011 nr. 231).

Circa la prova della commissione del delitto de quo, l’orientamento giurisprudenziale consolidato ritiene che la stessa vada desunta da una serie di episodi che, per quanto singolarmente non significativi, se complessivamente considerati, inducono a ritenere sussistente in concreto uno stabile vincolo associativo diretto alla realizzazione di una serie indeterminata di reati che connotano la fattispecie. Si tratta, in sostanza, di attribuire rilevanza a dei comportamenti concludenti dai quali sia possibile evincere che le singole intese dirette alla consumazione dei vari reati in materia di stupefacenti, indicati dal comma 1 dell’art. 74, costituiscono l’espressione di un più vasto piano delittuoso per perseguire il quale è stato creato il sodalizio. Stando alla casistica giurisprudenziale, tali facta concludentia possono consistere: nella predisposizione di forme organizzative, anche elementari, che attribuiscano ad ogni partecipante un ruolo, anche variabile; nell’esistenza di una rete di contatti continui tra gli spacciatori, mediante i quali si stabilisca, se del caso, anche una divisione territoriale delle aree di competenza; nell’effettuazione di continui viaggi per il rifornimento della sostanza stupefacente; nella disponibilità di basi logistiche e di mezzi materiali necessari per le operazioni delittuose (come, ad es., dei veicoli utilizzabili dai diversi sodali); nell’esistenza di una cassa comune e di specifiche forme di suddivisione dei proventi; nella sistematicità e serialità delle trattative all’interno del ciclo commerciale della droga; nel contenuto economico oltremodo rilevante delle transazioni; nella commissione di reati rientranti nel progetto delinquenziale e nelle loro specifiche modalità esecutive.

Deriva, dunque, che, onde ritenere realizzato il delitto-base punito dall’art. 74 T.U. Stup., da un lato, non occorre necessariamente accertare la commissione dei singoli reati-scopo (cfr. Cass. Pen. Sez. VI, 21/01/1997 nr. 3277) e, dall’altro, la prova dell’attuazione di una o più delle condotte incriminate dalle norme richiamate dal comma 1 di tale articolo non può portare a considerare sussistente il delitto de quo, occorrendo la concreta dimostrazione dell’accordo criminoso e della struttura organizzativa. Tuttavia, l’eventuale commissione dei reati-fine, oltre a poter agevolare la prova del delitto associativo, corrobora l’idea che, nella specie, si sia al cospetto di un’organizzazione avente un piano concreto di attività ed una risoluzione ben definita, ricorrendo, al contrario, una mera attività preparatoria, inidonea persino a costituire quel minimo richiesto dall’art. 56 del Codice Penale per la punibilità del tentativo. In merito alla commissione del singolo reato-scopo, poi, giova precisare che l’orientamento consolidato della Suprema Corte considera il delitto perfezionato in virtù della sola formazione del consenso sulla quantità e qualità della sostanza e sul prezzo, senza che occorra la concreta traditio della cosa o il pagamento del corrispettivo (cfr. Cass. Pen., Sez. IV, 44183/2013).

Dopo aver tracciato le linee essenziali della struttura del delitto partecipativo di cui all’art. 74 T.U. Stup., giova, infine, sottolineare le differenze intercorrenti tra l’associazione finalizzata al traffico illecito di droga e quella di tipo mafioso, incriminata dall’art. 416 bis del Codice Penale. Invero, l’analisi risulta pur sempre utile al fine di cogliere ulteriori aspetti caratterizzanti la struttura organizzativa che in questa sede ci riguarda. In particolare, nel caso dell’associazione finalizzata al traffico illegale di stupefacenti, mancherebbero quelle specificità sociologiche proprie del sodalizio mafioso, rappresentate dall’adesione dei concorrenti necessari, senza possibilità di pacifica uscita, ad un sistema illegale parallelo ed alternativo a quello statuale, fortemente radicato nel territorio di attività e connotato da una particolare forza intimidatrice, sfruttata per accaparrarsi potere e stabilità all’interno di vari settori della società. Questa circostanza, se, da un canto, ha indotto la Corte Costituzionale a dichiarare costituzionalmente illegittima la presunzione assoluta di adeguatezza della custodia in carcere per fronteggiare le esigenze cautelari in relazione a gravi indizi di colpevolezza in ordine ai delitti associativi di cui all’art. 74 D.P.R. 309/1990, fissata dall’art. 275 co. 3 del Codice di Procedura Penale, potendo i legami tra gli associati, in questo caso, allentarsi anche in seguito a prolungate detenzioni domiciliari od al superamento dello stato personale di tossicodipendenza (Corte Cost. 231/2011), dall’altro, ha portato gli Ermellini di Piazza Cavour a sostenere pacificamente l’ipotesi del concorso del delitto de quo con il reato di cui all’art. 416 bis c.p (Cass. Pen., Sezioni Unite, 13.01.2009 nr. 1149).

3. Il ruolo di promotore, organizzatore o capo. La fattispecie di associazione finalizzata al traffico illecito di droga caratterizzata da lieve entità

Nel precedente paragrafo, sono state illustrate le caratteristiche strutturali del delitto di partecipazione all’associazione finalizzata al traffico illecito di sostanze stupefacenti e psicotrope. Invero, al di là della collocazione topografica, la fattispecie meramente partecipativa indicata al comma 2 rappresenta l’incriminazione nucleare dei reati associativi commessi all’interno del mercato degli stupefacenti, ossia il perno attorno al quale sono costruite le altre fattispecie criminose descritte dall’art. 74 T.U. Stup. Ciò è pienamente conforme ad una scelta tradizionale del nostro legislatore, il quale, con l’obbiettivo di contrastare i fenomeni associativi ritenuti incompatibili con l’ordinamento, punisce i singoli per il semplice fatto della loro partecipazione al sodalizio criminoso, per poi modulare la loro responsabilità in funzione del ruolo svolto da ciascuno all’interno della struttura organizzativa.

Coerentemente, allora, il comma 1 dell’art. 74 colpisce con la più grave pena della reclusione non inferiore a vent’anni colui che “promuove, costituisce, dirige, organizza o finanzia” il gruppo associativo dedito ad arricchirsi col commercio di droga. Pertanto, il riferimento è a condotte in grado di accrescere la pericolosità della struttura organizzativa, o diffondendone l’affascinante programma o svolgendo una serie di razionali attività di natura gestoria che rendono più comoda ed appetibile la sottoscrizione del sodalizio.

La giurisprudenza ha chiarito come si tratti di un’autonoma fattispecie di reato, piuttosto che una circostanza aggravante (cfr. Cass. Pen., Sez. I, 27.01.2010 nr. 6312). In particolare, ciò sarebbe deducibile dal fatto che, all’interno della sistematica dell’art. 74 T.U. Stup., diverse disposizioni prevedono aumenti (commi terzo, quarto e quinto) o diminuzioni (commi secondo e settimo) di pena in rapporto alla sanzione dettata per colui che si pone al vertice dell’associazione criminale.

Occorre analizzare quali siano gli elementi che permettono di attribuire al concorrente necessario le qualifiche verticistiche catalogate dal comma 1 dell’art. 74. In via preliminare, vale la pena osservare come nel panorama giurisprudenziale si riscontri un riferimento quasi esclusivo ai ruoli di “promotore”, “organizzatore” e “capo”, frutto di un larvato riferimento all’elenco più ristretto di cui all’art. 416 bis, comma 2, del Codice Penale. Si ritiene (sentenza GUP Tribunale Napoli 27.07.2015 nr. 1396) che la condotta di “promotore” sia configurabile nei riguardi del soggetto che, raggruppando gli iniziali consensi partecipativi, conferisca lo stimolo primario alla costituzione ed all’operatività della struttura associativa. La veste di “organizzatore”, invece, appare attagliarsi nei confronti del partecipante che si occupa tanto del reperimento degli strumenti propedeutici alla realizzazione del programma delinquenziale, quanto dell’impiego ponderato delle risorse a disposizione, come nel caso di chi decide come e quale spacciatore deve recarsi in un certo luogo onde svolgere le operazioni di cessione dello stupefacente. Il ruolo di “capo”, infine, è proprio sia del soggetto che dirige, dall’alto di una posizione sovraordinata, le attività dei meri partecipanti, sia del concorrente necessario che si occupa di sovrintendere alla complessiva gestione della struttura, assumendo, eventualmente, le opportune decisioni funzionali, come nel caso di chi è legittimato a decidere quale tossico possa usufruire di cessioni della droga a credito ed in che misura.

Va, in ogni caso, precisato come il notevole divario sanzionatorio che il legislatore ha inteso stabilire, differenziando la condotta del mero partecipe da quella di chi assume una posizione verticistica all’interno dell’associazione criminosa, induce a ritenere necessario che alle condotte summenzionate si accompagnino gli attributi dell’essenzialità e dell’infungibilità relativa, ossia, in sostanza, che sia riscontrabile un contesto in cui risulti arduo, da parte degli altri associati (potenziali, nel caso del promotore), sostituire il partecipante promotore, capo od organizzatore.

Risulta, inoltre, utile analizzare gli ultimi approdi della giurisprudenza in ordine alla figura dell’associazione dedita al traffico illecito di droga caratterizzato dalla lieve entità, prevista dal comma 6 dell’art. 74 T.U. Stup. Si tratta del caso in cui, come suggerito dal comma 5 dell’art. 73 T.U. Stup., appositamente richiamato, “per i mezzi, la modalità o le circostanze dell’azione ovvero per la qualità e quantità delle sostanze”, il reato commesso appaia di lieve entità.

Anche in questo caso, come affermato dagli Ermellini di Piazza Cavour (Cass. Pen., Sezioni Unite, 22.09.2011 nr. 34475), siamo in presenza di una fattispecie di reato autonoma, piuttosto che di una mera ipotesi attenuata dei delitti di cui ai commi 1 e 2 dell’art. 74 T.U. Stup. Orbene, ai fini del riconoscimento del reato in esame, occorre, però, che sia la complessiva attività posta in essere dalla struttura organizzativa ad essere caratterizzata dalla lieve entità, ritenendosi, al contrario, non sufficiente che tale connotato riguardi unicamente i singoli fatti criminali realizzati o semplicemente progettati. Per tale motivo, anche qualora i vari atti di produzione o commercio, osservati in via isolata, risultino essere di infima dannosità sociale, resta pur sempre necessario dimostrare anche che l’organizzazione criminosa sia effettivamente pusilla. In tale direzione, fanno da guida criteri come: l’ampiezza del territorio coperto dall’attività delinquenziale del gruppo; l’apprezzabilità del lasso di tempo in cui lo stesso è stato operativo; i caratteri qualitativi e quantitativi della struttura organizzativa; il giro d’affari che quest’ultima è stata in grado di porre in essere.

D’altra parte, ciò non deve indurre a pensare che, al cospetto di un’associazione modesta, si ricada sempre nell’ipotesi del comma 6 dell’art. 74. Invero, come detto, si richiede anche che tutti i comportamenti realizzati in attuazione del programma criminoso, a partire dal momento genetico, fino a raggiungere l’estremo della crisi del sodalizio, passando per le condotte di approvvigionamento dello stupefacente e per quelle di offerta in vendita e cessione, siano sussumibili nella fattispecie dei fatti di lieve offensività (cfr. Cass. Pen., Sez. I, 31.01.2013 nr. 4875). Pertanto, non rientra nella fattispecie dell’art. 74, comma 6 T.U.Stup. il caso in cui l’associazione, anche modesta, possa contare sulla disponibilità di un flusso continuo di sostanza stupefacente, ceduta in piccole quantità, al solo scopo di eludere il severo dettato normativo.

4. La linea di confine tra l’associazione finalizzata al traffico illecito di stupefacenti ed il concorso eventuale nei reati in materia di droga

Per poter sussumere la fattispecie concreta all’interno delle incriminazioni associative di cui all’art. 74 T.U. Stup., occorre fugare ogni dubbio sul discrimen tra tali delitti necessariamente plurisoggettivi propri ed il mero concorso eventuale ai sensi dell’art. 110 del Codice Penale nella commissione di una pluralità di reati di produzione, traffico e detenzione illeciti di stupefacenti, ovvero di commercializzazione illegale di precursori di droghe, magari avvinti dal nesso della continuazione ai sensi del capoverso dell’art. 81 del Codice Penale. Notevole è, infatti, la differenza sotto il profilo sanzionatorio, atteso che il legislatore ha ritenuto la semplice esistenza di un’associazione, avente pur sempre un fine criminoso, idonea a suscitare un’apprezzabile pericolo per la salute, l’ordine e la sicurezza pubblici, tale da determinare un giudizio di disapprovazione a prescindere dalla commissione dei reati scopo.   

Secondo un coriaceo orientamento giurisprudenziale (cfr. Cass. Pen., Sez. VI , 21/01/1997 n. 3277; Cass. Pen., Sez. V, 05.11.1997 nr. 11899; Cass. Pen., Sez. VI, 13.12.2000 nr. 10781; Cass. Pen., Sez. VI, 7387/2013), il criterio distintivo è rappresentato dal carattere dell’accordo criminoso che sorregge le attività dei concorrenti necessari od eventuali. In particolare, nel delitto associativo occorre una struttura organizzativa, sia pure rudimentale, imperniata attorno ad un pactum sceleris avente ad oggetto la consumazione di una serie indeterminata di reati, in guisa che gli associati restino vincolati al di là e a prescindere dal perfezionamento dei singoli reati fine. In questo caso, gli atti di detenzione o commercio posti in essere dai singoli costituiscono elementi meramente accidentali della partecipazione al sodalizio, il quale già presenta una vitalità operativa ex se. Nel concorso eventuale ex art. 110 del Codice Penale, invece, l’accordo presenta il connotato dell’occasionalità, essendo strumentale al compimento unicamente di uno o più reati determinati, la cui realizzazione, indispensabile, almeno sotto la forma di un tentativo punibile, onde escludere l’applicazione dell’art. 115 c.p., comporta la rottura del legame criminogeno tra i concorrenti. Qui, da un lato, il contributo dei correi è affetto da un carattere meramente episodico e, dall’altro, l’eventuale reiterazione delle condotte illecite necessiterà, di volta in volta, un’apposita deliberazione tra l’agente ed i collaboratori.

Alla luce di ciò, allora, non è scorretto sostenere che la partita venga giocata prevalentemente in ordine all’elemento soggettivo. Invero, come visto in precedenza, il delitto associativo base previsto e punito dall’art. 74 T.U. Stup. richiede in capo al concorrente necessario la coscienza e volontà di partecipare e contribuire effettivamente alla stabilità e permanenza della struttura organizzativa, nonché alla realizzazione dei reati-fine programmati.

Il singolo intende porsi stabilmente a disposizione del gruppo criminoso, conoscendo e servendosi dei suoi profili essenziali, mentre quest’ultimo, a sua volta, riconosce il primo come intraneo, sfruttandolo (cfr. Cass. Pen., Sez. I, 27.01.2010 nr. 6312).

Nel concorso eventuale, invece, il correo non assume un ruolo funzionale alle dinamiche operative di un ente precostituito (cfr. Cass. Pen., Sez. VI, 07.04.2011 nr. 16563), né reca un concreto ausilio all’attuazione di un manifesto delinquenziale perseguito da una struttura stabile di soggetti e mezzi, bensì contribuisce alla realizzazione di uno o più delitti ben individuati, ragion per cui la responsabilità penale non può andare oltre gli stessi.

Giova, infine, sottolineare che, poiché le fattispecie delittuose dell’art. 74 T.U. Stup. non richiedono che gli associati agiscano per perseguire i medesimi motivi, interessi od utilità personali, non può optarsi per la qualificazione di un concorso eventuale ex art. 110 c.p. per il solo fatto che i singoli mirino, con le loro condotte criminose, a soddisfare scopi differenti, come nel caso di ripetute operazioni economiche tra il fornitore dello stupefacente e l’acquirente che lo riceve per immetterlo al consumo (cfr. Cass. Pen., Sez. V, 11899/1997).

 

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Indice

1. Premessa: la struttura dei reati associativi ed il rispetto del principio di necessaria offensività del fatto penalmente rilevante.

2. L’associazione finalizzata al traffico illecito di sostanze stupefacenti o psicotrope.

3. Il ruolo di promotore, organizzatore o capo. La fattispecie di associazione finalizzata al traffico illecito di droga caratterizzata da lieve entità.

4. La linea di confine tra l’associazione finalizzata al traffico illecito di stupefacenti ed il concorso eventuale nei reati in materia di droga.

 

Abstract

Dopo aver esaminato i dati strutturali della categoria dei reati associativi, nonché descritto i punti di frizione che tale opzione politico-criminale presenta in relazione al principio costituzionale di offensività del fatto penalmente rilevante, l’autore analizza le fattispecie incriminatrici previste dall’articolo 74 del D.P.R. 09 Ottobre 1990, nr. 309 (Testo Unico sugli Stupefacenti).

In particolare, il contributo fornisce una dettagliata ricostruzione degli elementi costitutivi del delitto di partecipazione all’associazione dedita al traffico illecito di sostanze stupefacenti o psicotrope, anche alla luce dei recenti arresti della giurisprudenza di legittimità (Cass. Pen., Sez. III, 07.01.2016 nr. 6107) e di merito (GUP Tribunale di Napoli 27.07.2015 nr. 1396), comprendendo uno studio della casistica riguardante le posizioni verticistiche all’interno di questa struttura organizzativa criminale, più severamente punite.

Il lavoro si conclude con l’analisi del discrimen tra tali delitti associativi ed il semplice concorso eventuale nei reati di produzione, detenzione e spaccio di droga.

 

1. Premessa: la struttura dei reati associativi ed il rispetto del principio di necessaria offensività del fatto penalmente rilevante

L’articolo 74 del Decreto del Presidente della Repubblica del 09.10.1990 nr. 309 (c.d. Testo Unico sugli Stupefacenti, d’ora in poi T.U. Stup.) punisce precipuamente la creazione di un’associazione di persone finalizzata al traffico illecito di sostanze stupefacenti e c.d. precursori di droghe. Si tratta, allora, come, del resto, anticipato dalla stessa rubrica, di un delitto appartenente alla classe dei reati associativi. Pertanto, prima di procedere all’analisi di tale disposizione e di segnalare i principali arresti giurisprudenziali che l’hanno interessata, è opportuno soffermarci sulle principali caratteristiche di questa categoria, allo scopo di cogliere utili spunti per l’esegesi della norma in commento.

I delitti associativi, di cui la fattispecie punita dall’articolo 416 del Codice Penale continua a rappresentare figura emblematica e riferimento strutturale, vanno inquadrati nel più ampio genus dei reati c.d. plurisoggettivi o a concorso necessario. Di conseguenza, la prima ed essenziale caratteristica degli stessi è la previsione, da parte della medesima norma incriminatrice di parte speciale, ai fini dell’integrazione del reato, della presenza di più soggetti attivi, in numero variabile a seconda dei casi. Dunque, a differenza dei reati c.d. plurisoggettivi eventuali o a concorso eventuale, laddove non è necessario un previo accordo criminoso dei correi, limitandosi costoro ad unire le proprie forze al fine di compiere uno o più reati determinati che ben potrebbero essere realizzati da un singolo individuo, in questo caso è richiesto un vincolo stabile e permanente volto alla realizzazione di un programma criminale (rectius una pluralità di delitti più o meno specificati dal legislatore), di varia portata ed intensità, tra i partecipanti necessari.

Occorre sottolineare come, d’altronde, la concretizzazione degli obbiettivi delittuosi non sia necessaria ai fini della consumazione dei reati de quibus, essendo la singola condotta partecipativa a rappresentare, in ogni caso, il fatto tipico punibile. Va, infatti, sottolineato che il nostro sistema, a differenza di altri Paesi, non prevede i c.d. reati associativi in senso stretto (reati dell’associazione), ossia fattispecie criminose commesse da una struttura associativa preesistente, bensì una serie di reati di associazione, mediante i quali il legislatore, pur mirando ad ostacolare l’esistenza di compagini ritenute incompatibili con l’ordinamento, da un lato, colpisce i singoli per il fatto della loro semplice partecipazione al sodalizio criminale e, dall’altro, gradua la responsabilità dei primi in funzione del ruolo da ciascuno svolto nell’attività del secondo.

Questa associazione penalmente rilevante postula, per dottrina dominante e giurisprudenza granitica, una stabile organizzazione destinata a durare nel tempo, anche rudimentale, purché adeguata a realizzare gli obbiettivi criminali individuati all’atto della costituzione. La permanenza rappresenta il perno imprescindibile dell’incriminazione nelle fattispecie associative, in quanto il pericolo per l’ordine pubblico, che, come si chiarirà a breve, è il principale bene giuridico tutelato dal legislatore in questo caso, scaturisce anche e soprattutto dalla stabilità dell’organizzazione criminogena.

D’altro canto, il solo prendere parte all’organizzazione penalmente rilevante non comporta l’automatica responsabilità pure per le imprese criminali consumate dagli altri associati. Invero, l’adesione ad un’associazione criminale è un fatto del tutto distinto dal contribuire alla realizzazione del reato-scopo, talché la prima non implica di necessità il secondo. Questa conclusione è imposta dal principio di personalità della responsabilità penale di cui all’articolo 27 della Costituzione e, dunque, la responsabilità per i singoli reati va dimostrata di volta in volta. A tal fine, bisogna, allora, accertare l’esistenza dei requisiti del concorso nel reato scopo, id est un contributo morale o materiale, necessario od agevolatore, nonché il dolo di concorso. Ciò risulta di fondamentale importanza in relazione ai concorrenti situati al vertice della struttura criminale, per i quali, onde evitare di dare adito ad ipotesi di responsabilità oggettiva da mera posizione, occorre provare una loro compartecipazione almeno morale, desumibile giammai dalla sola predeterminazione di un generico programma criminale, bensì dalla definizione dei tratti essenziali dei singoli delitti poi realizzati dai compartecipi.

Orbene, è chiaro come l’eventuale commissione dei reati-scopo agevoli la prova della sussistenza del delitto associativo, per quanto resti, come sopra precisato, necessaria la dimostrazione dell’esistenza tanto di un accordo criminoso quanto di una struttura organizzativa permanente. In ogni caso, dottrina e giurisprudenza recente (non più smentite le statuizioni in merito contenute nella sentenza della Corte di Cassazione, Sez. I, 24.09.1998 – 09.03.1999, nr. 3184) ritengono di poter ricorrere alla figura della continuazione onde legare il delitto associativo ed i reati commessi in esecuzione del manifesto criminale. Un tempo, infatti, l’asserita necessità dell’indeterminatezza del programma delinquenziale delle associazioni penalmente rilevanti rappresentava una remora all’individuazione di un “medesimo disegno criminoso”, lasciando il campo unicamente alla configurabilità di un concorso materiale tra il delitto associativo ed i singoli reati scopo concretamente consumati. Oggi, invece, da un lato, si considera essenziale solo la circostanza che la struttura associativa miri a compiere una pluralità di delitti, generici (art. 416 c.p.) o indicati dalla norma speciale di riferimento (ad es. art. 74 T. U. Stup.), e, dall’altro, si reputa verosimile un nesso teleologico in grado di avvincere l’accordo criminoso ed il concreto soddisfacimento del fine delinquenziale. In particolare, è ben possibile che si configuri un unitario disegno criminoso che conduca i concorrenti, dapprima, a costituire un’associazione criminale e, successivamente, ad eseguire tutti o quasi i singoli reati parimenti prestabiliti.

In merito all’elemento soggettivo, invece, le norme che disciplinano i reati associativi richiedono, nel concorrente, la sussistenza dell’affectio societatis, ossia la specifica consapevolezza e volontà di far parte in modo stabile e duraturo della struttura criminale, condividendone il programma illecito, e di affiancare il proprio contributo a quello degli altri sodali, al fine di agevolare l’operatività dell’associazione. La scelta del legislatore appare ragionevole e coerente, in quanto il dolo specifico è in grado di evitare una sproporzionata limitazione della libertà associativa prevista dagli articoli 2 e 18 della Carta Costituzionale.

Giunti a questo punto della trattazione, è opportuno un vaglio del rispetto, da parte della categoria di delitti de qua, del principio di necessaria offensività del fatto penalmente rilevante. Come è noto, nel nostro sistema penale, il diritto alla libertà personale, in quanto bene individuale supremo protetto dall’articolo 13 della Costituzione, potrebbe subire limitazioni solo in caso di condotte pregiudizievoli di diritti, interessi ovvero libertà che la nostra grundnorm garantisce anche solo in via implicita o strumentale, laddove si ravvisi l’inefficacia o l’insufficienza di sanzioni civili od amministrative. Orbene, la categoria dei reati associativi svolge una funzione di tutela anticipata dell’ordine e della sicurezza pubblici, determinando la punibilità dei soggetti per il solo fatto di partecipare ad un’organizzazione potenzialmente perturbatrice della pace sociale, a prescindere, come già osservato, dalla consumazione dei reati-scopo. Alla luce di questo considerevole avanzamento della soglia di protezione penale, si tratterebbe di reati di pericolopresunto” (Fiandaca-Musco), per quanto diverse voci dottrinali, sempre più numerose, suggeriscono di considerarlo “concreto”, in aderenza ad un diritto penale della libertà, di guisa che sia imposto all’interprete di verificare quantomeno l’effettiva idoneità della struttura permanente a realizzare il programma criminoso, mediante un giudizio prognostico ex ante ed in concreto.

Tuttavia, secondo autorevole dottrina (Mantovani), la riconduzione dei delitti associativi nell’alveo della categoria dei reati di pericolo peccherebbe di “ottimismo” per almeno due ragioni. In primo luogo, l’ordine pubblico, che, come appena esposto, rappresenterebbe il bene-interesse tutelato dalle incriminazioni di cui qui si discorre, sarebbe o un concetto astratto e nominale, oppure una generica oggettività legale che abbraccia i vari beni giuridici protetti dalle norme incriminatrici dei reati-scopo, i quali, invero, non sarebbero neppure messi ancora in pericolo dal solo fatto dell’associazione. Neppure potrebbe ravvisarsi una lesione all’ordine pubblico nell’allarme sociale che alcune entità associative possono cagionare, poiché il pregiudizio alla sicurezza pubblica dipenderebbe giammai dalla mera costituzione dell’aggregazione criminale, la quale è generalmente sconosciuta ai consociati, quanto piuttosto dalla reiterazione dei reati-scopo programmati, idonea a determinare la convinzione che altri delitti saranno commessi.  In secondo luogo, la semplice creazione di una struttura criminosa può solo essere l’indice di una pericolosità soggettiva dei singoli concorrenti necessari, in quanto la partecipazione all’aggregazione delinquenziale potrebbe essere volano per la commissione dei vari reati-fine programmati. Insomma, a ben vedere, si tratterebbe di incriminazioni che non puniscono comportamenti lesivi di un bene costituzionalmente significativo, ma che mirano puramente a prevenire la realizzazione di condotte effettivamente lesive o pericolose. Secondo questa tesi, i delitti associativi rappresenterebbero dei meri reati ostacolo, sanzionando attività anteriori allo stesso tentativo punibile. Per tale ragione, la previsione delle fattispecie de quibus sarebbe costituzionalmente giustificata solo in caso di ossequioso rispetto di due condizioni, ossia un’adeguata descrizione della fattispecie tipica e la necessaria tutela preventiva di un bene giuridico (quello protetto dalle sanzioni dei reati-fine) di estrema importanza ordinamentale, come la vita, l’incolumità collettiva e le istituzione democratiche.

2. L’associazione finalizzata al traffico illecito di sostanze stupefacenti o psicotrope

L’articolo 74 T.U. Stup., in verità, prevede e punisce, come sarà specificato nel corso della presente trattazione, diversi delitti. In ogni caso, la fattispecie base intorno alla quale ruotano le varie incriminazioni è rappresentata dall’associazione di tre o più persone per commettere più reati tra quelli previsti dall’articolo 73 o dall’articolo 70, commi 4, 6 e 10, nell’ambito dei c.d. “precursori di droghe”, del medesimo T.U. Il mero partecipante a tale sodalizio criminogeno, ossia il semplice associato, è punito, per ciò solo, con la reclusione non inferiore a dieci anni, ai sensi del comma 2 dell’articolo 74.

Sottolineato che, come tutti i delitti associativi, si tratta di un reato permanente, i suoi elementi oggettivi fondamentali sono (cfr. Cass. Pen.,  Sez. V, 05.11.1997 nr. 11899 e Cass. Pen., Sez. IV, 02.10.2013 nr. 44183): a) la formazione di un vincolo associativo, coinvolgente almeno tre individui, che sia continuativo e diretto ad attuare il piano criminoso durevole, ossia permanga anche dopo la consumazione dei singoli reati programmati; b) l’organizzazione stabile di attività personali e di beni economici, con l’impegno di apportarli anche in futuro in funzione del perseguimento del progetto delinquenziale; c) il programma delittuoso, consistente nella commissione di una serie indeterminata di reati in materia di stupefacenti tra quelli summenzionati, per quanto non occorre l’effettiva consumazione degli stessi.

È, dunque, richiesto che la struttura organizzativa presenti un carattere stabile, tale da garantire un’apprezzabile continuità temporale e delinquenziale al conciliabolo, ed in cui ad ogni sodale vengano attribuiti compiti tipici in relazione al programma malavitoso. Invero, mancando una connotazione di sufficiente stabilità, le aggregazioni criminali non sono in grado di esprimere quel disvalore e quel connotato di pericolosità per l’ordine pubblico idonei a giustificare la severa sanzione prevista dalla legge (cfr. Cass. Pen., Sez. VI, 03.12.2013 nr. 7387). D’altra parte, sia le peculiarità criminali del mercato della droga, connesse ai diversi ambiti territoriali ed alla variabilità quantitativa e qualitativa della domanda e dell’offerta, sia lo scopo essenzialmente esclusivo dell’associazione in parola (produzione, detenzione e traffico di droga), hanno portato costante giurisprudenza (da ultimo Cass. Pen., Sez. III, 07.01.2016 nr. 6107) a ritenere che, in tale settore criminoso, non sia necessario che i concorrenti istituiscano strutture organizzative di tipo sofisticato, al pari, ad esempio, delle associazioni di cui all’art. 416 bis del Codice Penale, bastando la predisposizione di mezzi anche semplici ed elementari per una credibile attuazione del programma criminale permanente. Non è, inoltre, imprescindibile la sussistenza di formalità costitutive, come statuti, regolamenti, iniziazioni od altre manifestazioni di formale adesione, né una divisione convenzionale e predeterminata dei ruoli, purché esista pur sempre un pactum sceleris che includa i partecipi ed escluda tutti gli altri, generando così una specifica appartenenza. Tale patto può, allora, essere anche tacito, desumibile dalle modalità esecutive dei reati-scopo, dalla loro ripetizione e dai rapporti continuativi tra i concorrenti necessari.

D’altro canto, come solitamente accade nella descrizione delle fattispecie associative delittuose, la condotta partecipativa incriminata dall’art. 74 T.U. Stup. non è affatto circostanziata dal legislatore. Siamo al cospetto, dunque, di un reato a condotta libera, dove la norma, limitandosi a riferire solo lo scopo dell’associazione senza indicare specifiche qualità della stessa, si presta ad etichettare come penalmente rilevanti fenomeni, in concreto, notevolmente eterogenei. Ciò ha indotto la giurisprudenza a definire la fattispecie de qua come “aperta”, ossia idonea ad abbracciare manifestazioni delinquenziali che vanno dal grande sodalizio internazionale avente struttura imprenditoriale, preposto al controllo sia della produzione che dell’immissione sul mercato della sostanza stupefacente, al pusillo conciliabolo dedito esclusivamente alla cessione di droga a terzi in ambito locale attraverso un’organizzazione familiare, passando per la figura dello “spaccio itinerante”, di recente assurta all’attenzione della nostra giurisprudenza (cfr. sentenza GUP Tribunale di Napoli 27.07.2015 nr. 1396), in cui, al fine di ridurre il rischio di attirare l’attenzione delle forze dell’ordine e di detenere in strada un rilevante quantitativo di droga e di denaro, si dispone di diversi soggetti preposti a recarsi agli incontri con i tossicomani a seguito di telefonata ed in luoghi stabiliti di volta in volta. In ogni caso, il livello qualitativo dell’organizzazione dovrà essere valutato in sede di determinazione del trattamento sanzionatorio, poiché il contesto, le modalità lesive del bene protetto e l’intensità del legame tra gli associati incidono sulla gravità del reato di cui all’articolo 133 del Codice Penale.

L’elemento psicologico del partecipante all’associazione incriminata dall’art. 74 T.U. Stup. è costituito dalla coscienza e volontà di partecipare e contribuire concretamente alla vita durevole della suddetta struttura organizzativa, al fine di attuare il programma delittuoso per il quale la stessa è stata costituita, avente ad oggetto la commissione di più delitti tra quelli indicati dal comma 1 della medesima disposizione normativa (cfr. Cass. Pen., Sez. IV, 02.10.2013 nr. 44183). Trattasi, allora, di un dolo specifico, il quale, tuttavia, non richiede necessariamente che tutti gli associati abbiano l’intenzione di porre in essere identici fatti penalmente rilevanti, né che il singolo partecipante conosca e sia in rapporto con tutti gli altri sodali, purché abbia la consapevolezza che la propria attività si inserisce in un complesso di operazioni strumentali alla realizzazione dello spaccio e del traffico di stupefacenti. Giova, del resto, sottolineare come il dolo del delitto associativo de quo va tenuto nettamente distinto dal motivo che ha indotto il singolo a prendere parte alla struttura criminosa. In particolare, non rileva, al fine di escludere la punibilità, la circostanza che l’individuo, magari tossicodipendente, sia stato determinato a partecipare al sodalizio dalla concorrente opportunità di reperire la droga per un uso personale.

Se, dunque, non è indispensabile che tutti i concorrenti necessari agiscano per soddisfare medesimi scopi, utilità od interessi  (cfr. Cass. Pen.,  Sez. VI, 27.01.2012 nr. 3509), può rientrare nella fattispecie dell’art. 74 anche l’associazione che coinvolga in maniera durevole l’importatore dello stupefacente ed i piccoli spacciatori della medesima sostanza, il fornitore di droga ed i venditori che continuativamente la ricevono per interagire con la clientela finale nella c.d. venditaal minuto” (cfr. Cass. Pen., Sez. V, 05.11.1997 nr. 11899), ovvero il venditore al dettaglio e gli acquirenti affezionati della sostanza (cfr. Cass. Pen., Sez. III, 28.05.2014 nr. 21755). In quest’ultimo caso, però, è necessario che l’acquirente sia stabilmente disponibile a ricevere lo stupefacente, assumendo così, anche in relazione al contenuto economico delle transazioni, una funzione trascendente la qualifica di mera controparte delle singole operazioni negoziali, idonea cioè a facilitare consapevolmente lo svolgimento dell’intera attività criminale e la produzione del profitto illecito. 

Il bene giuridico tutelato dall’incriminazione dell’associazione finalizzata al traffico illecito di stupefacenti non si discosta da quello tipico dei reati in materia di droga. Anche in questo caso, infatti, si mira a proteggere la salute pubblica, per quanto entrino parimenti in considerazione l’ordine e la sicurezza pubblici e, per certi versi, la tutela dell’interesse patrimoniale del risparmio. Sennonché, la ratio giustificatrice di un’apposita previsione del delitto associativo e del più rigoroso trattamento sanzionatorio è rappresentata dall’esigenza di combattere situazioni di maggiore allarme sociale, in cui la collaborazione continuativa di più soggetti può rappresentare un volano per la maggiore diffusione di sostanze stupefacenti e, dunque, una più pericolosa aggressione alla salute individuale e collettiva (cfr. Corte Cost. 19.07.2011 nr. 231).

Circa la prova della commissione del delitto de quo, l’orientamento giurisprudenziale consolidato ritiene che la stessa vada desunta da una serie di episodi che, per quanto singolarmente non significativi, se complessivamente considerati, inducono a ritenere sussistente in concreto uno stabile vincolo associativo diretto alla realizzazione di una serie indeterminata di reati che connotano la fattispecie. Si tratta, in sostanza, di attribuire rilevanza a dei comportamenti concludenti dai quali sia possibile evincere che le singole intese dirette alla consumazione dei vari reati in materia di stupefacenti, indicati dal comma 1 dell’art. 74, costituiscono l’espressione di un più vasto piano delittuoso per perseguire il quale è stato creato il sodalizio. Stando alla casistica giurisprudenziale, tali facta concludentia possono consistere: nella predisposizione di forme organizzative, anche elementari, che attribuiscano ad ogni partecipante un ruolo, anche variabile; nell’esistenza di una rete di contatti continui tra gli spacciatori, mediante i quali si stabilisca, se del caso, anche una divisione territoriale delle aree di competenza; nell’effettuazione di continui viaggi per il rifornimento della sostanza stupefacente; nella disponibilità di basi logistiche e di mezzi materiali necessari per le operazioni delittuose (come, ad es., dei veicoli utilizzabili dai diversi sodali); nell’esistenza di una cassa comune e di specifiche forme di suddivisione dei proventi; nella sistematicità e serialità delle trattative all’interno del ciclo commerciale della droga; nel contenuto economico oltremodo rilevante delle transazioni; nella commissione di reati rientranti nel progetto delinquenziale e nelle loro specifiche modalità esecutive.

Deriva, dunque, che, onde ritenere realizzato il delitto-base punito dall’art. 74 T.U. Stup., da un lato, non occorre necessariamente accertare la commissione dei singoli reati-scopo (cfr. Cass. Pen. Sez. VI, 21/01/1997 nr. 3277) e, dall’altro, la prova dell’attuazione di una o più delle condotte incriminate dalle norme richiamate dal comma 1 di tale articolo non può portare a considerare sussistente il delitto de quo, occorrendo la concreta dimostrazione dell’accordo criminoso e della struttura organizzativa. Tuttavia, l’eventuale commissione dei reati-fine, oltre a poter agevolare la prova del delitto associativo, corrobora l’idea che, nella specie, si sia al cospetto di un’organizzazione avente un piano concreto di attività ed una risoluzione ben definita, ricorrendo, al contrario, una mera attività preparatoria, inidonea persino a costituire quel minimo richiesto dall’art. 56 del Codice Penale per la punibilità del tentativo. In merito alla commissione del singolo reato-scopo, poi, giova precisare che l’orientamento consolidato della Suprema Corte considera il delitto perfezionato in virtù della sola formazione del consenso sulla quantità e qualità della sostanza e sul prezzo, senza che occorra la concreta traditio della cosa o il pagamento del corrispettivo (cfr. Cass. Pen., Sez. IV, 44183/2013).

Dopo aver tracciato le linee essenziali della struttura del delitto partecipativo di cui all’art. 74 T.U. Stup., giova, infine, sottolineare le differenze intercorrenti tra l’associazione finalizzata al traffico illecito di droga e quella di tipo mafioso, incriminata dall’art. 416 bis del Codice Penale. Invero, l’analisi risulta pur sempre utile al fine di cogliere ulteriori aspetti caratterizzanti la struttura organizzativa che in questa sede ci riguarda. In particolare, nel caso dell’associazione finalizzata al traffico illegale di stupefacenti, mancherebbero quelle specificità sociologiche proprie del sodalizio mafioso, rappresentate dall’adesione dei concorrenti necessari, senza possibilità di pacifica uscita, ad un sistema illegale parallelo ed alternativo a quello statuale, fortemente radicato nel territorio di attività e connotato da una particolare forza intimidatrice, sfruttata per accaparrarsi potere e stabilità all’interno di vari settori della società. Questa circostanza, se, da un canto, ha indotto la Corte Costituzionale a dichiarare costituzionalmente illegittima la presunzione assoluta di adeguatezza della custodia in carcere per fronteggiare le esigenze cautelari in relazione a gravi indizi di colpevolezza in ordine ai delitti associativi di cui all’art. 74 D.P.R. 309/1990, fissata dall’art. 275 co. 3 del Codice di Procedura Penale, potendo i legami tra gli associati, in questo caso, allentarsi anche in seguito a prolungate detenzioni domiciliari od al superamento dello stato personale di tossicodipendenza (Corte Cost. 231/2011), dall’altro, ha portato gli Ermellini di Piazza Cavour a sostenere pacificamente l’ipotesi del concorso del delitto de quo con il reato di cui all’art. 416 bis c.p (Cass. Pen., Sezioni Unite, 13.01.2009 nr. 1149).

3. Il ruolo di promotore, organizzatore o capo. La fattispecie di associazione finalizzata al traffico illecito di droga caratterizzata da lieve entità

Nel precedente paragrafo, sono state illustrate le caratteristiche strutturali del delitto di partecipazione all’associazione finalizzata al traffico illecito di sostanze stupefacenti e psicotrope. Invero, al di là della collocazione topografica, la fattispecie meramente partecipativa indicata al comma 2 rappresenta l’incriminazione nucleare dei reati associativi commessi all’interno del mercato degli stupefacenti, ossia il perno attorno al quale sono costruite le altre fattispecie criminose descritte dall’art. 74 T.U. Stup. Ciò è pienamente conforme ad una scelta tradizionale del nostro legislatore, il quale, con l’obbiettivo di contrastare i fenomeni associativi ritenuti incompatibili con l’ordinamento, punisce i singoli per il semplice fatto della loro partecipazione al sodalizio criminoso, per poi modulare la loro responsabilità in funzione del ruolo svolto da ciascuno all’interno della struttura organizzativa.

Coerentemente, allora, il comma 1 dell’art. 74 colpisce con la più grave pena della reclusione non inferiore a vent’anni colui che “promuove, costituisce, dirige, organizza o finanzia” il gruppo associativo dedito ad arricchirsi col commercio di droga. Pertanto, il riferimento è a condotte in grado di accrescere la pericolosità della struttura organizzativa, o diffondendone l’affascinante programma o svolgendo una serie di razionali attività di natura gestoria che rendono più comoda ed appetibile la sottoscrizione del sodalizio.

La giurisprudenza ha chiarito come si tratti di un’autonoma fattispecie di reato, piuttosto che una circostanza aggravante (cfr. Cass. Pen., Sez. I, 27.01.2010 nr. 6312). In particolare, ciò sarebbe deducibile dal fatto che, all’interno della sistematica dell’art. 74 T.U. Stup., diverse disposizioni prevedono aumenti (commi terzo, quarto e quinto) o diminuzioni (commi secondo e settimo) di pena in rapporto alla sanzione dettata per colui che si pone al vertice dell’associazione criminale.

Occorre analizzare quali siano gli elementi che permettono di attribuire al concorrente necessario le qualifiche verticistiche catalogate dal comma 1 dell’art. 74. In via preliminare, vale la pena osservare come nel panorama giurisprudenziale si riscontri un riferimento quasi esclusivo ai ruoli di “promotore”, “organizzatore” e “capo”, frutto di un larvato riferimento all’elenco più ristretto di cui all’art. 416 bis, comma 2, del Codice Penale. Si ritiene (sentenza GUP Tribunale Napoli 27.07.2015 nr. 1396) che la condotta di “promotore” sia configurabile nei riguardi del soggetto che, raggruppando gli iniziali consensi partecipativi, conferisca lo stimolo primario alla costituzione ed all’operatività della struttura associativa. La veste di “organizzatore”, invece, appare attagliarsi nei confronti del partecipante che si occupa tanto del reperimento degli strumenti propedeutici alla realizzazione del programma delinquenziale, quanto dell’impiego ponderato delle risorse a disposizione, come nel caso di chi decide come e quale spacciatore deve recarsi in un certo luogo onde svolgere le operazioni di cessione dello stupefacente. Il ruolo di “capo”, infine, è proprio sia del soggetto che dirige, dall’alto di una posizione sovraordinata, le attività dei meri partecipanti, sia del concorrente necessario che si occupa di sovrintendere alla complessiva gestione della struttura, assumendo, eventualmente, le opportune decisioni funzionali, come nel caso di chi è legittimato a decidere quale tossico possa usufruire di cessioni della droga a credito ed in che misura.

Va, in ogni caso, precisato come il notevole divario sanzionatorio che il legislatore ha inteso stabilire, differenziando la condotta del mero partecipe da quella di chi assume una posizione verticistica all’interno dell’associazione criminosa, induce a ritenere necessario che alle condotte summenzionate si accompagnino gli attributi dell’essenzialità e dell’infungibilità relativa, ossia, in sostanza, che sia riscontrabile un contesto in cui risulti arduo, da parte degli altri associati (potenziali, nel caso del promotore), sostituire il partecipante promotore, capo od organizzatore.

Risulta, inoltre, utile analizzare gli ultimi approdi della giurisprudenza in ordine alla figura dell’associazione dedita al traffico illecito di droga caratterizzato dalla lieve entità, prevista dal comma 6 dell’art. 74 T.U. Stup. Si tratta del caso in cui, come suggerito dal comma 5 dell’art. 73 T.U. Stup., appositamente richiamato, “per i mezzi, la modalità o le circostanze dell’azione ovvero per la qualità e quantità delle sostanze”, il reato commesso appaia di lieve entità.

Anche in questo caso, come affermato dagli Ermellini di Piazza Cavour (Cass. Pen., Sezioni Unite, 22.09.2011 nr. 34475), siamo in presenza di una fattispecie di reato autonoma, piuttosto che di una mera ipotesi attenuata dei delitti di cui ai commi 1 e 2 dell’art. 74 T.U. Stup. Orbene, ai fini del riconoscimento del reato in esame, occorre, però, che sia la complessiva attività posta in essere dalla struttura organizzativa ad essere caratterizzata dalla lieve entità, ritenendosi, al contrario, non sufficiente che tale connotato riguardi unicamente i singoli fatti criminali realizzati o semplicemente progettati. Per tale motivo, anche qualora i vari atti di produzione o commercio, osservati in via isolata, risultino essere di infima dannosità sociale, resta pur sempre necessario dimostrare anche che l’organizzazione criminosa sia effettivamente pusilla. In tale direzione, fanno da guida criteri come: l’ampiezza del territorio coperto dall’attività delinquenziale del gruppo; l’apprezzabilità del lasso di tempo in cui lo stesso è stato operativo; i caratteri qualitativi e quantitativi della struttura organizzativa; il giro d’affari che quest’ultima è stata in grado di porre in essere.

D’altra parte, ciò non deve indurre a pensare che, al cospetto di un’associazione modesta, si ricada sempre nell’ipotesi del comma 6 dell’art. 74. Invero, come detto, si richiede anche che tutti i comportamenti realizzati in attuazione del programma criminoso, a partire dal momento genetico, fino a raggiungere l’estremo della crisi del sodalizio, passando per le condotte di approvvigionamento dello stupefacente e per quelle di offerta in vendita e cessione, siano sussumibili nella fattispecie dei fatti di lieve offensività (cfr. Cass. Pen., Sez. I, 31.01.2013 nr. 4875). Pertanto, non rientra nella fattispecie dell’art. 74, comma 6 T.U.Stup. il caso in cui l’associazione, anche modesta, possa contare sulla disponibilità di un flusso continuo di sostanza stupefacente, ceduta in piccole quantità, al solo scopo di eludere il severo dettato normativo.

4. La linea di confine tra l’associazione finalizzata al traffico illecito di stupefacenti ed il concorso eventuale nei reati in materia di droga

Per poter sussumere la fattispecie concreta all’interno delle incriminazioni associative di cui all’art. 74 T.U. Stup., occorre fugare ogni dubbio sul discrimen tra tali delitti necessariamente plurisoggettivi propri ed il mero concorso eventuale ai sensi dell’art. 110 del Codice Penale nella commissione di una pluralità di reati di produzione, traffico e detenzione illeciti di stupefacenti, ovvero di commercializzazione illegale di precursori di droghe, magari avvinti dal nesso della continuazione ai sensi del capoverso dell’art. 81 del Codice Penale. Notevole è, infatti, la differenza sotto il profilo sanzionatorio, atteso che il legislatore ha ritenuto la semplice esistenza di un’associazione, avente pur sempre un fine criminoso, idonea a suscitare un’apprezzabile pericolo per la salute, l’ordine e la sicurezza pubblici, tale da determinare un giudizio di disapprovazione a prescindere dalla commissione dei reati scopo.   

Secondo un coriaceo orientamento giurisprudenziale (cfr. Cass. Pen., Sez. VI , 21/01/1997 n. 3277; Cass. Pen., Sez. V, 05.11.1997 nr. 11899; Cass. Pen., Sez. VI, 13.12.2000 nr. 10781; Cass. Pen., Sez. VI, 7387/2013), il criterio distintivo è rappresentato dal carattere dell’accordo criminoso che sorregge le attività dei concorrenti necessari od eventuali. In particolare, nel delitto associativo occorre una struttura organizzativa, sia pure rudimentale, imperniata attorno ad un pactum sceleris avente ad oggetto la consumazione di una serie indeterminata di reati, in guisa che gli associati restino vincolati al di là e a prescindere dal perfezionamento dei singoli reati fine. In questo caso, gli atti di detenzione o commercio posti in essere dai singoli costituiscono elementi meramente accidentali della partecipazione al sodalizio, il quale già presenta una vitalità operativa ex se. Nel concorso eventuale ex art. 110 del Codice Penale, invece, l’accordo presenta il connotato dell’occasionalità, essendo strumentale al compimento unicamente di uno o più reati determinati, la cui realizzazione, indispensabile, almeno sotto la forma di un tentativo punibile, onde escludere l’applicazione dell’art. 115 c.p., comporta la rottura del legame criminogeno tra i concorrenti. Qui, da un lato, il contributo dei correi è affetto da un carattere meramente episodico e, dall’altro, l’eventuale reiterazione delle condotte illecite necessiterà, di volta in volta, un’apposita deliberazione tra l’agente ed i collaboratori.

Alla luce di ciò, allora, non è scorretto sostenere che la partita venga giocata prevalentemente in ordine all’elemento soggettivo. Invero, come visto in precedenza, il delitto associativo base previsto e punito dall’art. 74 T.U. Stup. richiede in capo al concorrente necessario la coscienza e volontà di partecipare e contribuire effettivamente alla stabilità e permanenza della struttura organizzativa, nonché alla realizzazione dei reati-fine programmati.

Il singolo intende porsi stabilmente a disposizione del gruppo criminoso, conoscendo e servendosi dei suoi profili essenziali, mentre quest’ultimo, a sua volta, riconosce il primo come intraneo, sfruttandolo (cfr. Cass. Pen., Sez. I, 27.01.2010 nr. 6312).

Nel concorso eventuale, invece, il correo non assume un ruolo funzionale alle dinamiche operative di un ente precostituito (cfr. Cass. Pen., Sez. VI, 07.04.2011 nr. 16563), né reca un concreto ausilio all’attuazione di un manifesto delinquenziale perseguito da una struttura stabile di soggetti e mezzi, bensì contribuisce alla realizzazione di uno o più delitti ben individuati, ragion per cui la responsabilità penale non può andare oltre gli stessi.

Giova, infine, sottolineare che, poiché le fattispecie delittuose dell’art. 74 T.U. Stup. non richiedono che gli associati agiscano per perseguire i medesimi motivi, interessi od utilità personali, non può optarsi per la qualificazione di un concorso eventuale ex art. 110 c.p. per il solo fatto che i singoli mirino, con le loro condotte criminose, a soddisfare scopi differenti, come nel caso di ripetute operazioni economiche tra il fornitore dello stupefacente e l’acquirente che lo riceve per immetterlo al consumo (cfr. Cass. Pen., Sez. V, 11899/1997).

 

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