La Criminologia occidentale e l'età dello sviluppo

La Criminologia occidentale e l'età dello sviluppo
Prospettive contemporanee
Sotto il profilo terminologico, il lemma “adolescente” deriva dal latino “adolescere”, ovverosia “crescere”. Tuttavia, a prescindere da qualificazioni definitorie retoriche e ridondanti, ciò che importa, nella Criminologia occidentale, è capire il motivo di quella che viene definita come la “crisi” adolescenziale. In effetti, nella società rurale dei primi decenni del Novecento, l'essere adolescenti non comportava dolore emotivo ed eccessivo stress pedagogico ed il passaggio all'adultità era assai veloce, come dimostra la precocità del matrimonio sino agli Anni Sessanta e Settanta del XX Secolo. A tal proposito, Pellizzari (2010)[1] parla dell'adolescenza come di una “seconda nascita” intrisa di esperienze educative drammatiche e difficili da affrontare. Le contraddizioni dell'età dello sviluppo sono state descritte pure da Ammaniti (2018)[2], a parere del quale “[l'adolescenza] è una freccia lanciata verso il futuro [che], negli ultimi anni, si è fatta sempre più lenta, fino a fermarsi […]. L'adolescente è una freccia ferma, poiché tende, in quanto costretto dalla società, a delimitare la sua vita nel qui ed ora. Il mutamento degli equilibri intergenerazionali, infatti, unitamente ai fattori socio-economici degli ultimi anni, ha portato ad un indefinito prolungamento dell'adolescenza”. A parere di chi redige, tale dilatazione dell'età adolescenziale è stata artificiosamente provocata dalla società consumistica, che offre all'ultra-13enne beni socialmente e mass-mediaticamente percepiti come irrinunciabili e di prima necessità. Nel tessuto collettivo europeo e nordamericano, il bambino e l'individuo in età post-puberale costituiscono una notevole fonte di consumi; perciò, il periodo dell'adolescenza viene prolungato al fine di appagare i desideri del mercato globale.
Tuttavia, nella realtà concreta, si tratta di oggetti e servizi non assolutamente indispensabili, come dimostra il diverso stile di vita adottato dagli adolescenti della fine dell'Ottocento e della prima metà del Novecento. In particolare, va notato che questi bisogni consumistici sono alimentati da una televisione commercial-pornografica. Di più, secondo molti Dottrinari, i genitori degli ultra-13enni manifestano un giovanilismo infantiloide ed incompatibile con il ruolo pedagogico. P.e., Bruzzone (2018)[3] nota che “gli adulti di oggi non possono, oppure non vogliono più passare il testimone. Infatti, oltre ad essere essi stessi i protagonisti di una realtà turbata, vulnerabile e precaria, sono sempre di più seguaci del mito dell'eterna giovinezza, per il quale tendono ad allontanare a tutti i costi l'immagine dell'invecchiamento, per fare spazio alla vitalità, alla seduttività ed all'esplorazione”.
Dunque, come si può notare, negli Anni Duemila sta venendo meno il necessario ruolo educativo della famiglia, la quale rinuncia ad essere la principale agenzia di controllo, delegando la formazione della figliolanza ad istituzioni esterne quali la scuola ed i luoghi ludico-ricreativi. Sta scomparendo quella pedagogia familiare che è stata alla base di cinquemila anni di storia umana, soprattutto nei casi in cui convivenza precarie, nuove famiglie e separazioni tolgono autorevolezza al ruolo dei genitori. Siffatte osservazioni sono pienamente condivise da Barone (2019)[4], il quale asserisce che “l'adolescenza si trova ad essere intrappolata in un curioso paradosso, ossia tra l'infantilismo degli adulti, che si sforzano di rimanere eternamente giovani, e l'adultizzazione dei ragazzi”. Entro tale medesima ottica, si pone pure Bauman (2002)[5], a parere del quale “[gli adolescenti] accedono sempre più precocemente ai margini della libertà e dell'autonomia, tuttavia, spesso, senza che questi abbiano prima maturato ed acquisito degli strumenti per confrontarsi con tali dimensioni”. Torna di nuovo, nei due Dottrinari summenzionati, il mito fuorviante del bimbo-consumatore, inserito all'interno di un nucleo familiare disordinato e disinteressato alle potenziali devianze etero-/auto-lesive della prole. La famiglia non svolge più alcuna funzione repressiva, soprattutto quando il giovane si avvicina al mondo dell'alcol e degli stupefacenti.
In maniera analoga, pure Cornacchia (2019)[6] condanna l'adultizzazione dell'adolescente, in tanto in quanto “[oggi] i ragazzi e le ragazze tendono ad entrare precocemente nelle vicende della quotidianità degli adulti. I giovani accedono ad immagini sessuali, intrighi sentimentali, scenate di gelosia, vendette, anche prima dei 12 anni, per esempio guardando delle serie tv o navigando nel web”. Pertanto, torna la tematica della profonda diseducatività dei mass-media e di Internet allorquando manca il debito controllo parentale. In effetti, D'Amato (2014)[7] sottolinea che “l'innocenza infantile […] viene precocemente persa perché i ragazzini entrano nelle dinamiche del mondo adulto, anche solo osservando quello che accade tra i genitori”. D'Amato (ibidem)[8] rimarca anch'egli come la famiglia, negli Anni Duemila, non sia più o, perlomeno, sia scarsamente ed insufficientemente un'agenzia di controllo.
All'opposto, nell'Europa rurale dei primi decenni del Novecento, la fase adolescenziale era vissuta senza stimoli sessuogeni eccessivi. Oppure ancora, si pensi al disinteresse pedagogico manifestato da famiglie di fatto in cui convivono figli/e di precedenti relazioni. Entro consimili contesti, la sessualizzazione del bambino e della bambina è necessariamente precoce e caotica. D'altra parte, come puntualizzato da Biasin (2019)[9], “ciò che il prolungamento dell'adolescenza ha prodotto è un assottigliamento di quella linea di confine che, sino a qualche decennio fa, tracciava quel famoso passaggio all'età adulta”. Nuovamente, il testé citato Autore denunzia quella “adultizzazione” del bambino provocata dai mezzi di comunicazione di massa, nei quali l'idolatria del consumo spinge a calpestare l'innocenza infantile tipica delle civiltà agricole. Sono stati generati, soprattutto dopo l'avvento di Internet, bisogni fatti percepire come irrinunciabili.
P.e., si ponga mente al florido mercato della contraccezione rivolto alle ultra-13-enni di sesso femminile. Si consideri pure, come riferito da Barone (ibidem)[10], che “[le difficoltà dell'età dello sviluppo] sono connesse ala progressiva scomparsa dei riti di passaggio, i quali sancivano, sino a pochi decenni fa, l'ingresso nel mondo degli adulti. Il rito di passaggio ha un'importante e specifica funzione sociale, poiché rappresenta una sorta di dramma sociale. Esso, infatti, come il dramma teatrale, istituisce un tempo ed un luogo funzionale, che permette di mettere in scena il conflitto e di ricomporlo attraverso un sofisticato quanto efficace processo simbolico-materiale. L'esito del rituale iniziatico implicato nel rito di passaggio è quello di garantire alla comunità una continuità storica che incorpori nella tradizione di quella stessa società gli elementi di innovazione emergenti dalle giovani generazioni”. P.e., l'iniziazione cristiana prevede numerosi “riti di passaggio”, i quali sono andati via via perdendo di valore a causa della neo-paganizzazione delle società occidentali.
Per il vero, molte famiglie hanno rinunciato ad una ordinaria educazione della figliolanza, con la conseguenza che la scuola deve recepire tutto il disagio giovanile; anzi, ai Docenti contemporanei vengono richieste competenze psicologiche che fanno passare in secondo piano la trasmissione di nozioni culturali. L'insegnante degli Anni Duemila, nel bene o nel male, è caricato del difficile compito di gestire le problematiche esistenziali dell'ultra-13enne. Per conseguenza, l'ambito scolastico non è più o, comunque, non è solo un luogo di cultura. Su tale tematica, Barone & Mantegazza (1999)[11] precisano che “l'adolescenza sembra essere oggi diventata una terra di molti. Questa condivisione del territorio e dei ruoli rende i rapporti tra le generazioni sempre più confusi o più liquidi. Sempre più spesso, infatti, i grandi giocano il ruolo dei giovani ed i giovani giocano il ruolo dei grandi”.
Ecco che, di nuovo, viene mostrata, nella Dottrina criminologica, la totale inadeguatezza di famiglie costruite su un erotismo sfrenata che annichilisce i doveri pedagogici dei genitori. D'altra parte, le famiglie “allargate” impediscono alla coppia di possedere e di mantenere quell'autorevolezza indispensabile per far sì che la famiglia sia, in concreto, un'agenzia di controllo. Tutto ruota attorno ad un giovanilismo ridicolo ed esasperato, ove la prole è lasciata in balia di esperienze trasgressive auto-lesive e senza i debiti freni inibitori. Entro tale medesima ottica si colloca pure Recalcati (2013)[12], il quale sottolinea il dissolvimento della famiglia tradizionale, in tanto in quanto “nell'attualità non prevale tanto il genitore-educatore, ma il suo rovescio speculare: la figura del genitore-figlio. Si tratta di quei genitori che abdicano alla loro funzione, ma non perché abbandonano i figli […], ma perché sono troppo prossimi, troppo simili, troppo vicini ai loro figli” Dunque, la Criminologia occidentale insiste sul mutamento contemporaneo delle famiglie, che non seguono più il modello rigido o, ognimmodo, maggiormente rigido tipico della pluri-millenaria civiltà mediterranea.
Il nucleo familiare non esercita più alcuna funzione di vigilanza, con la conseguenza che i figli hanno precocemente accesso alla vita notturna, alle bevande alcoliche, agli stupefacenti ed a esperienze auto-lesive. La natura non-pedagogica della vita familiare viene messa in evidenza pure da Pietropolli-Charmet (2008)[13], il quale rimarca che “la [eccessiva] vicinanza [dei genitori verso i figli] rappresenta spesso la causa delle problematiche nei ragazzi, i quali, generalmente, sono investiti, già dalla prima infanzia, da un eccesso di donazioni”. Sicché, come ribadito da Pietropolli-Charmet (ibidem)[14], è inevitabile la formazione di quello che è definito “un giovane fragile e spavaldo”, privo di quelle spinte inibitorie che la famiglia dovrebbe normalmente esercitare sulla figliolanza. Anzi, il ragazzo e, più ancora, la ragazza adolescente sfoga la propria eccessiva autonomia in una sessualità completamente disinibita e mescolata ad un'inevitabile aggressività etero-distruttiva. Entro un consimile contesto, l'istituzione scolastica deve portare il peso di sostituire i ruoli genitoriali, trasformando la formazione culturale in un'incessante opera di assistenza sociale e psicologica.
Oppure, quando la coppia decide di intervenire attivamente, l'ultra-13enne viene eccessivamente protetto; con afferenza a questa tematica, Lancini (2021)[15], con lodevole chiarezza, nota che “non di rado, i bambini crescono in un ambiente non tanto protetto, quanto troppo protettivo, I figli, quei pochi che si possono o che si decide di mettere al mondo, diventano oggetto di un eccessivo investimento per i genitori, poiché, in qualche modo, rappresentano il risultato del loro stesso successo od insuccesso sociale”.
Con un linguaggio psicanalitico, si può affermare che la prole, in molti casi, costituisce il bersaglio delle proiezioni narcisistiche del genitori. Dal canto loro, con espressioni simili, anche Scaparro & Pietropolli-Charmet (1993)[16] puntualizzano che “i figli, per essere presentati alla società, devono apparire perfettamente in linea con le aspettative dei genitori e del contesto di riferimento; dunque, essi sono progettati per non soffrire, per non fallire, per coltivare i loro talenti, che, spesso, riflettono, più che altro, i desideri dei genitori”. Come si può notare, la più recente Dottrina criminologica coglie nel segno quando presenta la famiglia alla stregua di una comunità disordinata e nevrotica nella quale l'educazione della figliolanza o è assente o, al contrario, è ipertrofica e fonte di ansia abnorme nel/nella ragazzo/a. In entrambi i casi, si tratta di approcci educativi profondamente erronei e squilibrati. Il figlio viene strumentalizzato nel nome delle aspettative sociali; altre volte, viceversa, la famiglia non pone limiti all'autonomia precoce dell'adolescente. Di nuovo, chi scrive sottolinea che la coppia maggiormente disfunzionale è quella in cui la prole proviene da relazioni precedenti del padre e/o della madre, i quali, in tal modo, difficilmente potranno educare e limitare con la necessaria autorevolezza.
Interessante è pure Bruzzone (ibidem)[17], secondo cui “affinché non incorrano nel rischio di farsi male, ai bambini molto spesso viene impedito dai genitori di fare esperienza di gioco e di socializzazione spontanea; i loro corpi vengono messi da questi ultimi quasi sotto sequestro, al sicuro, in casa, davanti ad un notebook, videogame, smartphone o TV. Sono questi gli stessi strumenti che vengono poi ritenuti dagli stessi adulti come i principali responsabili, quando gli adolescenti non incontrano le loro esigenze ed aspettative, quando smettono di frequentare luoghi per svolgere attività sportive e di incontro con altri pari, quando si ritirano da scuola, quando si isolano nella propria stanza”. Detto in altri termini, i mass-media e, più di recente, la rete web tendono a sostituire la famiglia nell'offrire gli insegnamenti indispensabili per passare dall'adolescenza all'adultità. Nuovamente, Bruzzone (ibidem)[18] insiste sull'errore genitoriale di delegare ad altri i compiti pedagogici che solo il nucleo familiare può e deve svolgere. E' ormai tramontata quella genitorialità ordinaria ed ordinata del primo Novecento. Senza dubbio, Internet reca un notevole potenziale diseducativo.
In effetti, Lancini (ibidem)[19] nota che “la colpa [dell'assenza di una pedagogia familiare, ndr] sembra essere la dipendenza da Internet […] [e] vi sono molte contraddizioni nei modelli educativi proposti dagli stessi adulti, i quali, forse spinti dal sottrarsi alla propria responsabilità, tendono a creare ulteriori etichette per una generazione adolescenziale già abbondantemente marchiata da molteplici luoghi comuni […] [Gli adolescenti] sono soggetti la cui crescita è stata quasi privata della sperimentazione protetta dell'errore, del limite e dell'insuccesso. I figli crescono nella convinzione che non vi sia al mondo cosa più bella, valida ed importante di se stessi, che non vi sia qualcosa di impossibile per loro da realizzare”. D'altra parte, è innegabile che Internet abbia allargato gli orizzonti culturali degli ultra-13enni, ma, per il vero, la rete web peggiora l'intensità dell'auto-inibizione, come dimostra l'ormai libera consultabilità della pornografia online. P.e., Gambacorti- Passerini (2021)[20] mette in risalti che, nella vita virtuale di Facebook ed Instagram, “vi è una vita dove le possibilità sono infinite, dove si può raggiungere il pieno godimento ed il piacere senza limiti, e, qualora dovessero palesarsi confini od ostacoli, questi possono e devono essere immediatamente rimossi”.
Altri, ulteriori pareri dottrinari
Molti Dottrinari occidentali hanno sottolineato che gli ultra-13enni non ricevono una formazione idonea o, meglio, abbondano le nozioni culturali ancorché non quelle esistenziali all'interno dei percorsi di crescita dell'adolescente. P.e., Gambacorti-Passerini (ibidem)[21] precisa che “gli adolescenti non vengono preparati dagli adulti ad affrontare le gioie ed i dolori della vita, tra cui gli inevitabili e realistici fallimenti, ma, piuttosto, a coltivare la cultura del narcisismo, ossia del culto del sé, della propria bellezza, del successo personale e del piacere a tutti i costi. Ecco, dunque, che si palesa il rischio di creare un'altra etichetta per una generazione, ossia il giovane narciso”. In effetti, Facebook ed Instagram esaltano gli aspetti della vita provata, amicale e familiare, senza tenere in conto le sconfitte ineludibili del vivere quotidiano.
Oppure si pensi, nella fattispecie delle ragazze, all'esposizione estetica senza limiti, nella quale il corpo appare come esente da difetti ontologicamente inevitabili.. Da ciò deriva pure il rifiuto dei coetanei diversamente abili, vittime di una civiltà che rigetta gli “scarti sociali” che inibiscono il piacere. Anche la sessualità, per conseguenza, viene completamente disgiunta dal fine procreativo. A ragion veduta, taluni Autori parlano dell'edonismo alla stregua di una caratteristica sociale e non soltanto giovanile. A tal proposito, Lasch (1979/1981)[22] nota che “il narcisismo è ormai un orientamento sociale […]. Oggi, esso non sembra tanto rappresentare una fase dello sviluppo dell'individuo, com'era stato ipotizzato da Freud, quanto, piuttosto, una direzione comune verso la concezione di sé e del mondo. [Questa è] una propensione connessa alla sensazione di essere costretti a vivere solo nel presente, poiché il futuro non esiste. In questa realtà sembra avere senso soltanto occuparsi dei propri successi e realizzazioni personali, che sembrano rappresentare, per ciascun individuo, il fine ultimo della propria esistenza. In questo mondo, sembra avere senso soltanto vivere la propria vita in modo pienamente soddisfacente”. A parere di chi commenta, il “narcisismo sociale” di Lasch (ibidem)[23] nasconde, più in profondità, un solipsismo antisociale che rigetta qualunque relazione esterna nella quale non via sia “piacere”.
L'altro, nella mentalità corrente, è accettato, frequentato ed ascoltato solamente se fornisce stimoli piacevoli. P.e., il lavoro e lo studio vengono respinti all'istante nel momento in cui la fatica cagiona un'ordinaria e fisiologica sofferenza. Sicché, le relazioni dolorose, ancorché necessarie, vengono immediatamente interrotte; e ciò vale soprattutto in ambito lavorativo, scolastico, ma anche affettivo. Come direbbe Freud, in una prospettiva psicanalitica, l'Ego smisurato ed ipertrofico prevale sull'Es, lo cancella, cagionando nell'adolescente un erroneo ritiro sociale, animato esclusivamente dalla realtà virtuale di Internet. Nella psiche del giovane non vi è spazio per tutto ciò che è “dis-abile” sotto il profilo materiale, fisico o mentale, in tanto in quanto solo la “piacevolezza” gratifica e merita accoglienza. Parimenti Bauman (2004/2005)[24] ribadisce che lo “scarto” non interessa all'ultra-13enne, poiché “ oggigiorno, vivere la propria esistenza sembra voler dire anzitutto apparire bene; significa dimostrare alla società di rispecchiare quei canoni da essa stessa approvati e richiesti; significa essere riconosciuti dagli altri come soggetti che contano e che, quindi, possono far parte della cerchia dei vincenti”.
Nuovamente, torna il rigetto competo, nell'adolescente e, più latamente, nella società contemporanea, di tutto ciò che genera problematiche eccessive. Il ragazzo minimizza lo sforzo, ma, contemporaneamente, pretende che sia massimizzata la gratificazione. Si crea, in tal modo, una società eugenetica ove non v'è spazio per alcun difetto psicofisico, come dimostra il ricorso disinibito, in Occidente, all'eutanasia, al suicidio assistito ed all'interruzione volontaria di gravidanza; trattasi di realtà già presenti nel nazionalsocialismo e nel blocco sovietico, in cui, però, la ratio non era il piacere personale, bensì l'idoneità a servire la patria. Entro tale medesima ottica, anche Gambacorti-Passerini (ibidem)[25] mette in risalto che “[oggi] il narcisismo riguarda, più che la sfera intrapsichica freudiana, la dimensione relazionale”.
Detto con termini meno tecnici, l'adolescente contemporaneo rinuncia a tutte le relazioni esterne che comportano frustrazioni; il che è evidente nell'abbandono precoce di percorsi di studio impegnativi ed esigenti. Lo “stare bene” non deve trovare ostacoli ed impedimenti. In effetti, con lodevole precisione, Ammaniti (ibidem)[26] osserva che “ i social network costituiscono un veicolo predominante nell'accelerare ed alimentare la dimensione narcisistica. Gli adolescenti, e non solo, nella ricerca di una continua approvazione ed ammirazione, trovano nel mondo dei like e dei followers un immediato riscontro di come appaiono gli altri, di quanto sono adeguati e di quanto valgono”. Di nuovo, ecco, nei social, una forma relazionale virtuale, ancorché gratificante e, soprattutto, narcisisticamente priva di sforzo. D'altra parte, anche la visione della pornografia online reca l'adolescente ad una concezione della sessualità priva di ogni socialità e di qualsivoglia regola del corteggiamento. Anche in tal caso, si massimizza il piacere negando contatti collettivi ed emotivi potenzialmente frustranti. Il/La ragazzo/a, in tale prospettiva narcisistica, espone il corpo e pretende che l'interlocutore faccia altrettanto; il tutto all'interno di un contesto a-sociale o, nel peggiore dei casi, anti-sociale e persino violento, come dimostrano i numerosi stupri agiti da ultra-13enni.
[1]Pellizzari, La seconda nascita. Fenomenologia dell'adolescenza, Franco Angeli, Milano, 2010
[2]Ammaniti, Adolescenti senza tempo, Cortina, Milano, 2018
[3]Bruzzone, Vite di flusso. Fare esperienza di adolescenza nell'epoca post-moderna, in Barone, Vite di flusso. Fare esperienza di adolescenza oggi, Franco Angeli, Milano, 2018
[4]Barone, Gli anni stretti. L'adolescenza tra presente e futuro, Franco Angeli, Milano, 2019
[5]Bauman, La società individualizzata. Come cambia la nostra esperienza, traduzione italiana Il Mulino, Bologna, 2002
[6]Cornacchia, L'evoluzione della condizione adulta: origini e motivazioni di un profilo in divenire, in Cornacchia & Tramma (a cura di), Vulnerabilità in età adulta. Uno sguardo pedagogico, Carocci, Roma, 2019
[7]D'Amato, Ci siamo persi i bambini: perché l'infanzia scompare. Laterza, Roma-Bari, 2014
[8]D'Amato, op. cit.
[9]Biasin, Emerging adulthood: la fatica di diventare adulti, in Cornacchia & Tramma (a cura di), Vulnerabilità in età adulta. Uno sguardo pedagogico, Carocci, Roma, 2019
[10]Barone, op. cit.
[11]Barone & Mantegazza, La terra di mezzo. Gli elaboratori pedagogici dell'adolescenza, Unicopli, Milano, 1999
[12]Recalcati, Il complesso di Telemaco. Genitori e figli dopo il tramonto del padre, Feltrinelli, Milano, 2013
[13]Pietropolli-Charmet, Fragile e spavaldo. Ritratto dell'adolescente di oggi, Laterza, Roma-Bari, 2008
[14]Pietropolli-Charmet, op. cit.
[15]Lancini, L'età tradita, Cortina, Milano, 2021
[16]Scaparro & Pietropolli-Charmet, Belletà. Adolescenza temuta, adolescenza sognata, Bollati Boringhieri, Torino, 1993
[17]Bruzzone, op. cit.
[18]Bruzzone, op. cit.
[19]Lancini, op. cit.
[20]Gambacorti-Passerini, Disagio e vita quotidiana: quali possibilità per l'educazione ? In Gambacorti-Passerini & Palmieri (a cura di), Disagio e lavoro educativo. Prospettive pedagogiche nell'esperienza della contemporaneità, Franco Angeli, Milano, 2021
[21]Gambacorti-Passerini, op. cit.
[22]Lasch, La cultura del narcisismo. L'individuo in fuga dal sociale in un'eta di disillusioni collettive, 1979, Traduzione italiana, Bompiani, Milano, 1981
[23]Lasch, op. cit.
[24]Bauman, Vite di scarto, 2004, Traduzione italiana Laterza, Roma-Bari, 2005
[25]Gambacorti-Passerini, op. cit.
[26]Ammaniti, op. cit.