Criminologia, Medicina forense e tossicodipendenza

Criminologia, Medicina forense e tossicodipendenza
Automedicazione e Disturbo da Uso di Sostanze (DUS)
E' utile possedere una definizione scientifica del lemma “tossicodipendenza”. P.e., Atkinson & Schuckit (1983)[1] postulano che “la dipendenza [fisica] si manifesta con un sentimento di desiderio, il craving, che comprende una componente positiva, la ricerca dell'effetto piacevole, e una componente negativa, l'ansia anticipatoria dei sintomi dell'astinenza o degli stessi sintomi in atto”. Tuttavia, i due medesimi Dottrinari anglofoni summenzionati invitano a porre attenzione pure “alla dipendenza tradizionalmente definita psichica”, la quale permane per lungo tempo nonostante gli Operatori siano riusciti a debellare l'uncinamento c.d. “fisico”. Nella Criminologia occidentale, Windle (1991)[2] riconosce anch'egli la scarsa trattabilità della dipendenza psicologica, la quale è definita alla stregua di “un substrato psicopatologico residuo alla detossificazione, che sostiene la più duratura e resistente astinenza secondaria [di matrice puramente mentale, ndr].
Si può ipotizzare che questo residuo non sia altro che il riemergere dello stato psichico anteriore all'inizio dell'abuso, ossia il terreno su cui si è sviluppata la dipendenza”. Come si nota, nel tossicofilo ultra-13enne, la cura dalle (poli)tossicodipendenze dev'essere integrale, ovvero sia fisica sia psichica, in tanto in quanto il tossicomane, anche se fisicamente “pulito”, manifesta un craving che lo accompagnerà ancora per molti anni. Siffatto desiderio potente ed irrefrenabile, se non correttamente estirpato, recherà il paziente a pericolose recidive. Ciò è vero soprattutto negli infra-18enni e nei giovani adulti caratterizzati da impulsività e fragilità mentale. La sostanza si propone, nei momenti di maggiore depressione, come una soluzione benefica che abbassa il livello dell'ansia. Anche Mehrabian & Reilly (1988)[3] esortano a non sottovalutare, durante il percorso terapeutico, “l'astinenza secondaria [dunque mentale, ndr] [che] è un disturbo psicopatologico diagnosticato nel particolare contesto della dipendenza da sostanze”.
Pertanto, tutti gli Autori ammettono che, ai fini del contrasto al DUS, la farmacoterapia dev'essere sempre e comunque congiunta tanto alla psicoterapia quanto ad un concreto sforzo personale dell'uncinato; il che vale pure per quanto attiene alle bevande alcoliche. Dal canto loro, Martin & Jasinsky (1969)[4] ammettono anch'essi che la disintossicazione non è mai né facile né automatica, poiché “la dipendenza psichica è una complicanza del disturbo primario. Il craving si manifesta in assenza della sostanza [che è o era] fonte di gratificazione”. Del pari, Martin (1972)[5] sostiene la sussistenza di un irrefrenabile desiderio giovanile di “provare” droghe, ovverosia “esiste [nell'adolescente] un disagio psichico [già preesistente, ndr] rispetto al quale la sostanza, [seppur] non ancora sperimentata, ha un virtuale effetto terapico. Il contatto [successivo] con la sostanza è l'evento con cui l'individuo predisposto apprende le proprietà auto-terapiche della stessa nei confronti del proprio disagio psichico”. Chi redige concorda appieno con Martin (ibidem)[6], giacché, nell'adolescente, ogni carriera tossicofiliaca è preceduta da un'ansia patologica; dopodiché, l'ultra-13enne è di solito indotto dal gruppo dei pari a sperimentare le sostanze, auto-percepite come la risoluzione di ogni carenza affettiva e mentale. Lo stupefacente si trasforma, almeno nella fase iniziale, in una “medicina” a buon mercato e, soprattutto, condivisa con il gruppo amicale di riferimento.
Entro tale ottica della “automedicazione illecita” si colloca pure Khantzian (1985)[7], a parere del quale “[esiste] un'auto-terapia (self-medication) del/nel DUS, con particolare riferimento all'eroina ed alla cocaina […]. Gli specifici effetti psicotropi di queste sostanze interagiscono con [pregressi] disturbi psichici e stati di sofferenza emotiva, in modo da renderle compulsivamente necessarie per individui suscettibili. Gli individui, poi, selezionano autonomamente le diverse sostanze sulla base dell'organizzazione della personalità e degli squilibri della sua struttura”. L'analisi del testé menzionato Dottrinario è perfettamente calzante. Infatti, nell'ultra-13enne che decide di entrare nel mondo degli stupefacenti, persiste sempre uno sbilanciamento emotivo che spinge a tentare la “self-medication”, ma non attraverso cure mediche tradizionali. L'adolescente che fa uso di cannabis, cocaina, eroina, allucinogeni o amfetamine giunge a consumare droghe allorquando le agenzie di controllo sono inadeguate e non intercettano per tempo il disagio del giovane, che rinviene nelle sostanze d'abuso la propria terapia farmacologica, sebbene impropria e pericolosa nel lungo periodo.
Similmente, Woody & McLellan & Luborsky (1985)[8] insistono sull'importanza di reprimere anzitutto/anche la dipendenza psicologica; ossia “in uno studio controllato farmaco versus placebo, in un gruppo di eroinomani trattati con doxepina (Sinequam), è stata riportata una significativa riduzione del craving. Questo fatto ha suggerito che quel gruppo di pazienti fosse affetto da depressione ansiosa, e che, quando la depressione andava in remissione, per effetto del trattamento, si verificasse una corrispondente riduzione dell'abuso di sostanze”. Ecco, di nuovo, la riprova della pre-esistenza di sintomi psicopatologici pregressi al DUS. Il tossicodipendente e, del pari, l'alcolista non occasionale auto-percepiscono la sostanza tossico-voluttuaria come un farmaco alternativo per la cura dei propri sintomi ansioso-depressivi. Le droghe si trasformano nel c.d. “farmaco-amico” che ripristina serenità e tranquillità, almeno prima del sorgere della dipendenza fisica. Questo è pure il parere di Rounsaville & Weissman & Crits-Cripoph & Wilher & Kleber (1982)[9], specialmente con afferenza “ad individui dipendenti da psicostimolanti, ipnotico-sedativi e oppiacei […]. Essi tentano di curare una sottostante psicopatologia […]. Infatti, il DUS risponde al trattamento con appropriati farmaci contro sindromi target quali, per esempio, fobia e depressione […]. I tossicodipendenti depressi usano gli oppiacei nel tentativo di realizzare un'auto-terapia contro uno stato di malessere psichico intollerabile”.
Nuovamente, i summenzionati Dottrinari postulano che il DUS è quasi sempre preceduto da sindromi ansioso-depressive. Il tossicodipendente s'illude di consumare stupefacenti per giungere all'auto-medicazione. In effetti, soprattutto nel mondo dell'eroinomania, un tossicofilo non distingue tra farmaci medicalmente somministrati e sostanze d'abuso e/o bevande alcoliche. P.e., Nace (1990)[10] magistralmente evidenzia che “piuttosto che la ricerca di evasione, euforia o auto-distruzione, i tossicodipendenti cercano una terapia per una serie di problemi psichici e stati emotivi che sono fonte di disagio. Nonostante questo tentativo sia alla fine destinato a naufragare dato il rischio e le complicanze a lungo termine, queste sostanze li aiutano a gestire gli stati emotivi stressanti ed una realtà altrimenti vissuta come non gestibile e soverchiante”.
Degno di menzione, in tema di malattia mentale pregressa/DUS, è l'italiofono Silvestrini (1995)[11], secondo cui “a proposito dell'interpretazione della tossicodipendenza come secondaria ad un disturbo psichico, quello che più interessa non è tanto di stabilire se la malattia mentale sia la conseguenza o la causa dell'abuso, quanto, piuttosto, riaffermare un dato di grande rilevanza pratica, oltre che teorica: la tossicomania ha spesso un'importanza del tutto secondaria rispetto al fenomeno della malattia mentale che l'accompagna. Il substrato psicopatologico si rivela più importante della sua complicanza; da un lato, sul piano ezio-pato-genetico, in termini di prevenzione; dall'altro, sul piano terapeutico, come problema che, residuo alla disintossicazione, è da essa riportato alla luce e continua ad agire da fattore predisponente alle recidive”. Dunque, anche Silvestrini (ibidem)[12] ammette che, nel DUS, la dipendenza fisica è trattabile, mentre quella psicologica rimane nel lungo periodo, specialmente nei soggetti in età giovanile, quindi con una personalità più fragile e non resiliente alle frustrazioni. E' assurdo pretendere di eliminare la recidiva, nell'ultra-13enne e nel giovane adulto, senza curare la psicopatologia che ha condotto al DUS, che è conseguenza e non causa del disagio.
Gli effetti soggettivi delle poli-tossicodipendenze
Seppur a titolo incidentale, Khantzian (ibidem)[13] ammette che le tossicodipendenze hanno effetti soggettivi variabili “sia in relazione alla struttura della personalità dell'assuntore, sia in relazione alle proprietà farmacodinamiche della sostanza”. In sintesi, ciò significa che ogni singolo caso va analizzato nella sua individualità irripetibile. Altrettanto “concretizzante” è l'analisi di Silvestrini (ibidem)[14], il quale precisa che molto dipende dal “temperamento [del tossicomane] definibile come modo di essere, di pensare, di reagire alle circostanze e verso gli altri, di rispondere ai farmaci e, quindi, anche alle droghe”. Dunque, ogni adolescente uncinato esterna sintomi e reazioni specifici, individuali, non standardizzabili in maniera generica e confusa. Ciascun tossicodipendente merita un'osservazione personologica a sé stante.
P.e., Silvestrini (ibidem)[15], con molto senso pratico, specifica che “gli effetti delle droghe possono dipendere sia dalle proprietà intrinseche delle stesse, sia dalla reattività dell'assuntore. Gli effetti sono, in altre parole, definiti dalla coppia sostanza-individuo: alcuni individui diventano dipendenti dagli effetti piacevoli di una sostanza, mentre altri non li provano, per un diverso substrato di personalità e non diventano dipendenti”. Quindi, la Criminologia esorta l'Operatore medico-forense a trattare ogni singola fattispecie nella propria unicità, in tanto in quanto ogni dipendenza varia a seconda dell'impatto psico-fisico personale della sostanza sulla mente e sul corpo del tossicofilo. Anzi, Khantzian (ibidem)[16] mette in evidenza che ciascun assuntore, anche in contesti poli-tossicomanici, ha sempre uno stupefacente “preferito” rispetto ad altri.
A tal proposito, nella Medicina Legale anglofona, la scelta della sostanza più gradita viene chiamata “self-selection … scelta della droga … uso preferenziale di una sostanza … processo di auto-selezione”. La self-selection soggettiva è riconosciuta pure da Martin (ibidem)[17], giacché “considerando, ad esempio, gli psicostimolanti, le proprietà energizzanti di queste sostanze sono dipententogene, perché aiutano a superare la stanchezza e la sensazione di svuotamento associate agli stati depressivi. In altri casi, l'uso di psicostimolanti potenzia l'autostima e la capacità di imporsi, la tolleranza alle frustrazioni, ed allontana i sentimenti di noia e la sensazione di vuoto. Alcuni individui, invece, usano la cocaina per sostenere uno stile di vita iperattivo, in modo da garantirsi un'assoluta auto-sufficienza”. Come si può notare, ogni singolo tossicodipendente sceglie una determinata sostanza reputata maggiormente idonea alle proprie esigenze. Per conseguenza, non possono esistere percorsi riabilitativi “standard” che non tengano conto della soggettività psico-fisica e caratteriale dell'individuo uncinato.
Di nuovo, è utile menzionare Khantzian (ibidem)[18], il quale nota che coloro che si decidono per la cocaina “provano disagio nei confronti di esperienze emotive intense e soggioganti […] [e] l'uso di [questa] droga di elezione li aiuta, a breve termine, a contrastare questo disagio”. Oppure, si pensi al rilassamento ipno-inducente dell'eroina. Oppure ancora, molti ultra-13enni scelgono la cannabis per sperimentare un piacevole senso di non- essere. Tuttavia, va ribadito che le summenzionate preferenze variano a seconda del carattere e delle esigenze del singolo tossicomane. Da ciò discende l'analoga necessità di una terapia altrettanto individualizzata. P.e., in tema di cocaina, Satel & Edell (1991)[19] osservano che “soggetti che hanno sperimentato la paranoia come reazione alla cocaina riportano un punteggio decisamente più deviante nella Perceptual Aberration Scale e nella Magic Ideation Scale, due misure di riferimento per valutare la tendenza psicotica.
L'esperienza paranoica non è prodotta dal semplice superamento di un certo limite di dose assunta, ma, piuttosto, riflette una predisposizione alla paranoia cocainica relativamente a cui gli individui differiscono”. Come si nota, anche Satel & Edell (ibidem)[20] mettono in risalto aspetti della “paranoia cocainica” che variano da soggetto a soggetto. Di nuovo, si osserva che ciascuna fattispecie costituisce un caso a sé e, per conseguenza, anche l'approccio terapeutico non è mai generalizzabile. Con afferenza alla marjuana, non mancano studi che sottolineano i condizionamenti genetico-ambientali che dominano nella dipendenza da THC; il tutto sempre ammesso e non concesso che esista una predisposizione di tipo “genetico-ereditario” al consumo di canapa. Taluni Dottrinari, nella Letteratura anglofona, mettono l'accento sui sintomi negativi del THC, quali confusione, sospettosità ed agitazione. Tuttavia, la maggior parte dei censimenti criminologici rimarca che la scelta della marjuana è di solito connessa, perlomeno nel breve periodo, con sensazioni gratificanti, come creatività, euforia, energia e socievolezza. Sempre con attinenza alla cannabis, Naditch (1974)[21] evidenzia che “se l'individuo prova benessere dopo aver assunto marjuana, probabilmente la riassumerà; al contrario, se gli effetti sono stati spiacevoli, la ripetizione dell'esperienza sarà meno probabile. Gli effetti soggettivi della marjuana sono correlati [nella maggior parte dei casi, ndr] con l'effetto rinforzante, che condiziona il livello di consumo”. Nuovamente, Naditch (ibidem)[22] dichiara anch'egli che ogni tossicomane o, perlomeno, ogni gruppo di tossicomani reca preferenze personali non generalizzabili.
Ciascun assuntore ha le proprie esigenze psico-fisiche. In tema di canapa, la “self-selection” è confermata pure da Fabian & Fishkin (1991)[23], in tanto in quanto “soggetti che hanno provato la marjuana senza continuare l'uso descrivono l'intossicazione acuta da marjuana come meno piacevole rispetto ai soggetti che continuano ad usarla. In definitiva, vi è una correlazione tra positività degli effetti, ripetizione dell'assunzione e livelli d'uso”. Pertanto, pure Fabian & Fishkin (ibidem)[24] confermano la “self-selection” di una sostanza personalmente più gradita delle altre. Ciò implica la necessità di un trattamento disintossicante soggettivo e calibrato sulla base delle caratteristiche psico-fisiche individuali del tossicodipendente. Tuttavia, a parere di chi commenta, oggi l'uso contestuale di più di una sostanza finisce per indebolire la “self-selection-hypothesis”, soprattutto quando il mix di stupefacenti è unito all'abuso contemporaneo di alcol. Tutto quanto or ora esposto vale pure per vini, liquori, birre e superalcolici.
P.e., De Wit & Uhlenhuth & Pierri & Johanson (1987)[25] hanno censito che “differenze individuali, in termini di effetti soggettivi, si associano con diversi livelli di consumo di alcol. In un contesto sperimentale, i soggetti che mostrano di scegliere l'alcol, con una netta prevalenza riportano un punteggio maggiore riferito al vigore ed all'allegria alcol-indotti; al contrario, soggetti che scelgono, con altrettanta decisione, la bevanda placebo riportano un punteggio più basso in riferimento agli stessi parametri. Dunque, differenze soggettive influenzano il consumo”. Ecco, di nuovo, la riprova che, nel mondo delle tossicodipendenze, si potrà riscontrare una poli-tossicomania, ma esisterà sempre una determinata sostanza “preferita”, che è quella che induce maggior piacere. Per conseguenza, non tutte le terapie saranno interscambiabili, in tanto in quanto la soggettività domina nell'ambito della “self-selection”. P.e., nell'adolescente, domina la ricerca della sostanza che garantisce esperienze estreme. Secondo Zuckermann (1988)[26], nel giovane prevale la scelta di uno stupefacente che fornisca “sensazioni forti […] [perché questo] è [nell'ultra-13enne, ndr] un bisogno legato alla personalità”.
Del pari, Cloninger (1987)[27] mette in evidenza che il “temperamento” spinge a selezionare una specifica droga il cui consumo prevale su quello delle altre sostanze. Di nuovo, chi redige non nasconde che la poli-tossicofilia induce a mescolare tra di loro varie sostanze, ma, come nota Zuckermann (ibidem)[28], nell'adolescente molto dipende “dall'intensità dello stimolo ricercato […] e dalla gratificazione”. Ora, “stimoli e gratificazioni” variano molto a seconda sia dello stupefacente assunto sia della risposta mentale soggettiva del tossico alla sostanza. P.e., molti Autori hanno censito che il tossicodipendente da oppiacei manifesta una carenza di oppioidi endogeni, il che spinge l'assuntore alla scelta dell'eroina per ri-bilanciare le carenze della dopamina e della serotonina.
L'approccio della Psicologia al Disturbo da Uso di Sostanze (DUS)
Glover (1984)[29], ai tempi dell'emergenza cagionata dall'eroinomania, sosteneva che il DUS discende da “un substrato narcisistico, [sviluppato] nei termini dell'orientamento verso il Sé come fonte di gratificazione. Dal narcisismo trae origine uno sviluppo patologico dell'Io, caratterizzato da un'evoluzione regressiva e da una successiva fissazione in uno stadio di oralità”. Da menzionare è pure Rado (1984)[30], il cui approccio si basa sulla “farmacotimia”; più nel dettaglio, questo Autore specifica che l'alcolista o, ognimmodo, il tossicofilo cerca “una fuga dal mondo reale verso il rifugio in un mondo di fantasia. La linea di evoluzione [del tossicodipendente] verso il maladattamento inizia con la frustrazione sul piano delle relazioni oggettuali, che indirizza la ricerca della gratificazione verso il Sé. Questa deviazione narcisistica dello sviluppo dell'Io si fissa attraverso la serie ripetitiva delle assunzioni [della sostanza]. A sostenere la dipendenza interviene, poi, un circolo vizioso tra comportamento autolesivo configurato dall'assunzione, feedback negativo ricevuto dall'ambiente e nuova prospettiva auto-lesiva, che prelude ad una nuova assunzione. Ad ogni assunzione si riconfigura la stessa dinamica di fuga maladattativa”.
Chi scrive apprezza molto la prospettiva delineata da Rado (ibidem)[31], poiché essa non si riduce alla sola analisi del narcisismo, bensì approfondisce anche la tossicità dei fattori ambientali, compreso il mancato funzionamento delle agenzie di controllo. Infatti, a livello di pratica terapeutica, l'interpretazione dell'ambiente circostante al tossicomane risulta assai più utile che non l'esegesi psicoanalitica dell'eventuale narcisismo che affligge il paziente. Nella prassi, la disintossicazione non passa dall'approccio della psicoanalisi, ma, piuttosto, dalla rimozione dei condizionamenti sociali negativi che stanno alla base della reiterazione del consumo della sostanza. L'essenziale, dunque, non è la cura della personalità egocentrica, ma l'eliminazione di tutto ciò che condiziona negativamente l'Io dell'assuntore.
Glover (ibidem)[32] reputa che il tossicomane”ha un substrato [mentale, ndr] definibile come tolleranza all'euforia […]. In un primo stadio, la sostanza psicoattiva agisce da regolatrice del substrato psichico scompensato in senso anti-euforico (depressivo). […]. Esiste, poi, un secondo stadio a circolo vizioso in cui il feedback negativo dell'ambiente va a rinnovare e rinforzare tale scompenso”. Di nuovo, Glover (ibidem)[33] riconosce che il fattore decisivo, nelle tossicodipendenze, non è interiore, bensì esteriore ed è costituito da un “ambiente” patogeno. Il compito del medico e dello psicologo, quindi, non è quello di trattare scompensi endogeni, quanto, piuttosto, quello di inserire il paziente all'interno di una nuova situazione ambientale (familiare, scolastica o amicale) che non induca più alla riassunzione ossessiva di sostanze stupefacenti. L'essenziale è circondare il tossicofilo di stimoli positivi, togliendo la perversa cogenza della spinta ad evadere da una situazione moralmente ed interiormente insostenibile.
In materia di alcol-dipendenza, Tiebout (1946-1947)[34] postula che, nell'alcolismo, sussiste “una barriera, che è uno strumento inconscio di risposta difensiva ad uno stato di disagio psichico caratterizzato da senso di vuoto, di vulnerabilità e di ansia panica. Mentre nei non-alcolisti le barriere sono parziali e rappresentano un meccanismo adattativo, nel futuro alcolista le barriere sono più forti, in risposta ad un substrato psichico patologico, e fondano così una condizione di disadattamento (patologia della protezione del Sé). L'assunzione di alcol genera energia e senso di pienezza, in opposizione al vuoto, [e] potenza invece di vulnerabilità, sicurezza e spinta vitale invece di paralisi ansiosa. L'alcol è uno strumento di sfida alla barriera e rappresenta una manifestazione del disadattamento psichico di base […]. L'implicazione terapeutica è l'abbattimento della barriera al fine di permettere l'identificazione dell'alcol quale fonte di danno”. Nuovamente e lodevolmente, Tiebout (ibidem)[35] non si focalizza su analisi psicoanalitiche inutili e parolaie.
Ciò che conta veramente è abituare il tossicofilo ad un approccio realistico con le realtà oggettive che non gratificano. In buona sostanza, l'essenziale è far accettare al tossicomane anche le frustrazioni della vita quotidiana. All'opposto, le sostanze illecite e le bevande alcoliche si trasformano in un piccolo paradiso artificiale finalizzato all'evasione dal dolore. L'importante, durante la disintossicazione, è mettere il paziente di fronte ai problemi concreti senza che l'ansia patologica lo spinga di nuovo nel mondo delle droghe. Similmente, Krystal & Raskin (1970)[36] ammettono anch'essi che, nel tossicodipendente, manca un'idonea resistenza alle frustrazioni, in tanto in quanto “i tossicomani soffrono di una carenza del Sé e nella gestione di emozioni verso di sé e gli altri, a causa dell'esistenza di [auto]difese rigide e massicce, espresse da comportamenti quali l'allontanamento e la negazione”.
Pertanto, anche in tali Autori, si evidenzia che la tossicofilia altro non è se non un mezzo auto-lesivo finalizzato alla fuga totale dalla realtà fattuale. Il tossicodipendente e/o l'alcoldipendente recano un'estrema fragilità del Sé enon sono capaci di gestire le problematiche ordinarie della quotidianità. Del pari, secondo Chein & Gerard & Lee (1964)[37] “il narcisismo e altre forme di psicopatologia sono stati [mentali] che inducono la comparsa di una sintomatologia ansiosa allorquando gli individui si confrontano in maniera anticipatoria con i ruoli adulti”. Dunque, al tossicomane manca la maturità indispensabile per fronteggiare gli eventi negativi senza rifugiarsi nelle sostanze tossicovoluttuarie, ivi comprese le bevande alcoliche. Entro questa medesima ottica, Gerard & Kornetsky (1955)[38], con riferimento all'eroinomania giovanile, precisano che “l'attenzione [del Criminologo] si deve spostare decisamente dai concetti di spinta e conflitto al concetto più ampio ed integrato di struttura dell'Ego e di regolazione della vita emotiva, del comportamento e della capacità adattativa alla realtà”. I due testé menzionati Dottrinari colgono nel segno quando evidenziano, nel tossicofilo, una grave carenza di “capacità adattativa alla realtà”. Il dramma delle tossicodipendenze consta nella dis-percezione della vita concreta e nell'evasione cagionata dalle sostanze psicoattive.
Assai simile è la posizione di Wurmser (1977)[39], secondo cui la tossicomania è, a tutti gli effetti, una “condizione psicopatologica” nella quale dominano “le fasi di fallimento delle relazioni oggettuali, l'investimento nel Sé di un'emotività ipertrofica in relazione ad uno stato di vuoto e la regressione affettiva realizzata attraverso l'uso di sostanze. [Tale] uso di sostanze si configura come una dinamica di auto-difesa affettiva”. Quindi, anche Wurmser (ibidem)[40] fornisce l'immagine di un tossicodipendente depresso, ripiegato su se stesso ed incapace di gestire la “emotività ipertrofica” che lo contraddistingue, specialmente di fronte alle “fasi di fallimento”. Di nuovo, la Dottrina offre l'immagine di uno stupefacente che è, in definitiva, il rifugio in cui nascondersi dalle problematiche della realtà quotidiana.
Torna alla mente Khantzian (ibidem)[41], il quale sottolinea che, per un tossicodipendente, la sostanza d'abuso altro non è che un “farmaco” non convenzionale, grazie al quale l'assuntore riesce ad abbassare il livello dell'ansia e della depressione. Più specificamente, il citato Autore asserisce che “l'uso di sostanze ha una funzione compensatoria […]. La tossicomania è una patologia della protezione del Sé […]. Le sostanze sono rimpiazzi per le carenze della struttura psichica. La genesi psicodinamica di tali carenze risale ad uno scompenso narcisistico nelle relazioni fattuali. […]. E', poi, senz'altro importante il problema delle recidive per la comprensione della patogenesi dell'addiction e la definizione degli obiettivi terapeutici. Secondo il principio di coerenza tra natura della malattia ed approccio terapeutico, il trattamento dev'essere volto ad estinguere la vulnerabilità persistente del tossicomane all'uso di droghe”. Va notato che anche Khantzian (ibidem)[42] lasca intendere il valore fondamentale dell'individualità del c.d. “approccio terapeutico”, giacché nessuna dipendenza è uguale alle altre.
Gli Operatori, soprattutto in carcere, hanno l'obbligo di personalizzare la terapia e ciò anche alla luce della specifica farmacodinamica di ciascuna droga. P.e., il tipico caso di un 15enne intossicato dal THC sarà del tutto diverso da quello di un 40enne eroinomane incallito; senza, poi, menzionare la particolarità delle alcol-dipendenze. A tal proposito, Wieder & Kaplan (1969)[43] invitano anch'essi a differenziare le sostanze, ovverosia “[esiste] una correlazione specifica tra natura della sostanza e substrato psicopatologico, che la rende appetibile come strumento di auto-medicazione. In termini psicodinamici, va affermato che la scelta della droga è espressione dello stile difensivo preferito”. D'altra parte, è pur vero, ad esempio, che i farmaci per il contrasto alla cocainomania sono del tutto diversi da quelli per la cura dell'eroinomania.
A sua volta, la de-tossificazione dal THC richiede pur'essa approcci farmacologici diversi, che, poi, s'innestano, a loro volta, sulla specifica psicopatologia di ogni paziente singolarmente analizzato. P.e., Beck & Wright & Newman & Liese (1993)[44] parlano, con afferenza all'alcolista non occasionale, di “mal-adattamento [alla realtà] come patologia del rapporto tra il Sé e l'ambiente […] . L'uso di sostanze è il risultato di una patologia della [rectius: nella] capacità di gestire le situazioni difficili. L'apprendimento di strategie corrette è la chiave terapeutica per ri-programmare la strategia adattativa di gestione dei problemi”. Molti Dottrinari anglofoni ribadiscono, anche negli Anni Duemila, che gli stupefacenti assumono il ruolo di veri e propri “farmaci” per allontanarsi dalla dolorosa realtà quotidiana. Ove domina l'ansia anticipatoria, trovano spazio sostanze illecite o semi-lecite che aiutano la fuga dalla vita ordinaria.
[1]Atkinson & Schuckit, Geriatric alcohol and drug misuse and abuse, Adv. Subs. Abuse, 3/1983
[2]Windle, The difficult temperament in adolescence: associations with substance use, family support, and problem behaviors, Journal of Clinical Psychology, 47/1991
[3]Mahrabian & Reilly, Personality correlates of habitual alcohol use, International Journal of Addiction, 23/1988
[4]Martin & Jasinsky, Physiological parameters of morphine dependence in man, early abstinence, procracted abstinence, Journal Psychiatric Res., 7/1969
[5]Martin, Pathophysiology of narcotic addiction: possible role of protracted abstinence in relapse, in Zarafonetis CJD, ed. Drug abuse. Proceedings of the International Conference. Philadelphia: Lea and Febiger, 1972
[6]Martin, op. cit.
[7]Khantzian, The self-medication hypotesis of addictive disorders: focus on heroin and cocaine dependence, American Journal of Psychiatry, 142/1985
[8]Woody & McLellan & Luborsky, Sociopathy and psychotherapy outcome, Arch. Gen. Psychiatry, 42/1985
[9]Rounsaville & Weissman & Crits-Crispoph & Wilher & Kleber, Diagnosis and symptoms of depression in opiate addicts, Arch. Gen. Psychiatry, 39/1982
[10]Nace, Personality disorder in the alcoholic patient, Psychiatric Annals, 19/1990
[11]Silvestrini, Malati di droga. Le sostanze d'abuso; danni fisici e psichici, reazione individuale, difese, Sperling & Kupfer, Milano, 1995
[12]Silvestrini, op. cit.
[13]Khantzian, op. cit.
[14]Silvestrini, op. cit.
[15]Silvestrini, op. cit.
[16]Khantzian, op. cit.
[17]Martin, op. cit.
[18]Khantzian, op. cit.
[19]Satel & Edell, Cocaine.induced paranoia and psychosis pronenees, American Journal of Psychiatry, 148/1991
[20]Satel & Edell, op. cit.
[21]Naditch, Acute adverse reaction to psychoactive drugs, drug use and psychopathology, Journal Abnorm. Psychol., 83/1974
[22]Naditch, op. cit.
[23]Fabian & Fishkin, Psychological absorption: affect investment in marijuana intoxication, Jounal Nerv. Ment. Disorders, 179/1991
[24]Fabian & Fishkin, op. cit.
[25]De Wit & Uhlenhuth & Pierri & Johanson, Individual differences in behavioral and subjective responses to alcohol, Alcohol Clinical Exp. Res., 11/1987
[26]Zuckermann, Sensation seeking, risk taking and health, in Janisse, Individual differences, stress and health, Springer Verlag, New York, 1988
[27]Cloninger, A systematic method for clinical description and classification of personality variants, Arch. Gen. Of Psychiatry, 44/1987
[28]Zuckermann, op. cit.
[29]Glover, On the aetiology of alcoholism, Journal Subt. Abuse Treat., 1/1984
[30]Rado, The psychoanalysis of pharmacothymia (drug addiction), Journal Subst. Abuse Treat., 1/1984
[31]Rado, op. cit.
[32]Glover, op. cit.
[33]Glover, op. cit.
[34]Tiebout, Psychology and treatment of alcoholism. Quarterly Journal of Study on Alcohol, 7/1946-1947
[35]Tiebout, op. cit.
[36]Krystal & Raskin, Drug Dependence Aspects of Ego Function, Wayne State University Press, Detroit, 1970
[37]Chein & Gerard & Lee, The road to H: narcotics, delinquency and social policy, Basic Books, New York, 1964
[38]Gerard & Kornetsky, Adolescent opiate addiction: a study of control and addict subjects, Psychoanal. Q., 19/1955
[39]Wurmser, in Baine & Julius, eds., Psychodynamics of drug dependence, Rockville MD, US Dept. Of Health Education Welfare, 1977
[40]Wurmser, op. cit.
[41]Khantzian, op. cit.
[42]Khantzian, op. cit.
[43]Wieder & Kaplan, Drug use in adolescents: psychodynamic meaning and pharmacogenic effect., Psychoanal. Study Child., 24/1969
[44]Beck & Wright & Newman & Liese, Cognitive Therapy of Substance Abuse, Guilford Press, New York, 1993