La “ingente quantità” di stupefacenti nel TU 309/90

ingente quantità di stupefacenti
ingente quantità di stupefacenti

La “ingente quantità” di stupefacenti nel TU 309/90

 

I fondamenti giuridici dell'ingente quantità

Ex comma 2 Art. 80 TU 309/90, “se il fatto riguarda quantità ingenti di sostanze stupefacenti o psicotrope, le pene sono aumentate dalla metà a due terzi; la pena è di trenta anni di reclusione quando i fatti previsti dai commi 1, 2 e 3 dell'Art. 73 riguardano quantità ingenti di sostanze stupefacenti o psicotrope e ricorre l'aggravante di cui alla lett. e) del comma 1 [in tema di sostanze tagliate male, ndr]”. In Dottrina, Mazzanti (2020)[1] critica negativamente l'applicazione caotica e non coerente dell'aggravante di cui al comma 2 Art. 80 TU 309/90. Similmente, Bray (2020)[2] mette in risalto che tale comma 2 Art. 80 TU 309/90 è “ormai cliente abituale delle Sezioni Unite”, nel senso che, sulla tematica dell'ingente quantità, si è stratificata una Giurisprudenza ipertrofica e preponderante, che ha trasformato l'intero TU 309/90 in un testo normativo simile a quelli della Common Law. Dunque, in epoca attuale, la ratio dell'ingente quantità è ormai frutto di un'onnipresente attività nomogenetica di matrice giurisprudenziale, senza alcun opportuno intervento specificativo del Legislatore, il cui vuoto precettivo, come sempre nell'Ordinamento italiano, viene inesorabilmente supplito dalle integrazioni della Magistratura. A ben vedere, in ogni caso, nel comma 2 Art. 80 TU 309/90, l'attributo “ingenti” è e rimane ontologicamente nebuloso ed indeterminato.

Siffatta inadeguatezza semantica è stata rilevata pure da Leo (2011)[3], a parere del quale “l'aggettivo ingenti [è] evocativo di un concetto [troppo, ndr] elastico, che non trova un riferimento verificabile nella realtà fenomenica e che è rimesso, in definitiva, all'incontrollabile apprezzamento degli organi giudicanti di volta in volta chiamati a giudicare sui casi concreti posti alla loro attenzione. Ciò perché manca, nel testo della norma, qualsiasi riferimenti a criteri di valenza oggettiva, cui ancorare la valutazione giudiziale; il che ha comportato seri dubbi […]. [Manca, nel comma 2 Art. 80 TU 309/90] un relativo termine di riferimento”. Come si può notare, Leo (ibidem)[4] contesta, giustamente, un concetto di ingente quantità con afferenza al quale il legislatore affida, più o meno volontariamente, alla Magistratura qualsivoglia potestà ermeneutica, senza apportare alcuna novellazione e senza indicare salvifiche ed oggettive interpretazioni autentiche. Parimenti, sempre nella Dottrina penalistica, pure Chibelli (2017)[5] parla di una imprecisione, nel comma 2 Art. 80 TU 309/90, “dalla quale discendono, a cascata, tutti i dubbi applicativi ai quali, ormai da anni, la Giurisprudenza cerca di dare risposta”. Pertanto, gli Autori censurano negativamente una ratio dell'ingente quantità eccessivamente indeterminata e priva di ancoraggi numerico-oggettivi. Tutta l'attività esegetica è lasciata nelle mani di una Suprema Corte che sovente muta il proprio orientamento interpretativo.

Anzi, secondo svariati Dottrinari, il comma 2 Art. 80 TU 309/90 non rispetta il principio costituzionale della legalità, che, ex comma Art. 25 Cost., si deve sostanziare nella precisione, determinatezza e tassatività delle norme incriminatrici. Del resto, sotto il profilo sovrannazionale, anche l'Art. 7 CEDU condanna disposizioni giuridiche incerte od indeterminate. Si calcoli pure che l'Art. 117 Cost proibisce, nell'Ordinamento italiano, una produzione common lawyer del Diritto, ove la Magistratura venga a prevalere sul Legislatore. A tal proposito, Marinucci & Dolcini & Gatta (2023)[6] hanno osservato che la ratio della “stretta legalità”, anche con attinenza al comma 2 Art. 80 TU 309/90, “impone al Legislatore un triplice ordine di obblighi: lo vincola a formulare le norme penali nella forma più chiara possibile (principio di precisione), ad incriminare solo fatti suscettibili di essere provati nel processo (principio di determinatezza), […] a formulare le norme incriminatrici in modo rispettoso del divieto di analogia (principio di tassatività)”.

Orbene, nell'ottica di Marinucci & Dolcini & Gatta (ibidem)[7], il criterio dell'ingente quantità di sostanze stupefacenti o psicotrope non è preciso, né determinato, né tassativo, in tanto in quanto il comma 2 Art. 80 TU 309/90 viene eccessivamente integrato, senza alcuna coerenza, da una disordinata e mutevole Giurisprudenza di legittimità, poiché il Legislatore ha rinunziato alle proprie prerogative supreme di cui all'Art. 117 Cost. . Con lemmi analoghi, pure Fiandanca & Musco (2014)[8] criticano norme incriminatrici, come il comma 2 Art. 80 TU 309/90, prive di una corretta “legalità”, constante, in definitiva, nella “tassatività e determinatezza” che debbono sostenere l'intero Diritto Penale. Kelsen direbbe che il parametro dell'ingente quantità viene a violare la ratio fondamentale della “certezza del Diritto”, soprattutto in ambito penale. Oltretutto, a parere di chi redige, i limiti edittali oltremodo elevati ex comma 2 Art. 80 TU 309/90 impongono una determinatezza completa anche alla luce degli Artt. 13 e 111 Cost in tema di tutela delle libertà personale e di giusto processo. Su questa medesima tematica, Marinucci & Dolcini & Gatta (ibidem)[9] hanno dichiarato, senza mezzi termini, che i lemmi “ingente quantità”, nel comma 2 Art. 80 TU 309/90, sono “connotati da un'irrimediabile imprecisione” anti-costituzionale nonché illogica. Fa eccezione, tuttavia, Cass., sez. pen. IV, 10 luglio 2008, n. 40792, la quale ha negato che il comma 2 Art. 80 TU 309/90 possa violare gli Artt. 3, 24 comma 2, 25 comma 2 e 111 comma 6 Cost., ovverosia, nel dettaglio, Cass., sez. pen. IV, 10 luglio 2008, n. 40792 ha sorprendentemente dichiarato che “la scelta del Legislatore di evitare più specifiche indicazioni e più precisi parametri valutativi e di limitarsi al richiamo del principio di ingente quantità, e, dunque, ad un concetto volutamente ampio, risponde chiaramente all'esigenza di evitare l'introduzione di parametri legali precostituiti che finirebbero con l'impedire al giudice di apprezzare, caso per caso, la ricorrenza dell'aggravante, e, quindi, di determinare la pena in termini di coerente proporzionalità rispetto alla natura e gravità dei fatti accertati ed alla personalità dei soggetti coinvolti”.

Chi scrive non concorda con Cass., sez. pen. IV, 10 luglio 2008, n. 40792, in tanto in quanto una maggiore determinatezza oggettiva del parametro legale dell'ingente quantità non escluderebbe per  nulla il libero e prudente apprezzamento del Magistrato. Non si può e non si deve difendere una grave lacuna de jure condito nel nome della ratio della contestualizzazione giurisprudenziale, giacché il giudice rimane pur sempre in grado di apprezzare ogni specificità soggettiva ed oggettiva della fattispecie valutanda ex Art. 133 CP. D'altronde, pure Leo (ibidem)[10] non ha nascosto “la necessità di riportare la norma [ex comma 2 Art. 80 TU 309/90] nel perimetro della compatibilità con il principio di legalità. Il cammino, però, si è rivelato tutt'altro che agevole, e l'aggravante dell'ingente quantità si è trovata ben presto al centro di una lunga e vorticosa querelle giurisprudenziale, culminata in ben tre pronunzie della Cassazione a Sezioni Unite”.

 

Gli interventi delle Sezioni Unite della Cassazione

Nei primi anni dopo l'entrata in vigore del TU 309/90, la Suprema Corte aveva elaborato una nozione “mercantilistica” dell'ingente quantità. P.e., Cass., sez. pen. IV, 17 maggio 1996, n. 5865 affermava che, alla luce del comma 2 Art. 80 TU 309/90, “sono da definire ingenti i quantitativi che possono soddisfare un elevato numero di consumatori e che hanno la possibilità di saturare il mercato”. A parere di chi scrive, non è chiaro, tuttavia, su quali basi un Magistrato sia in grado di misurare la “saturazione” di un mercato “nero” quale quello degli stupefacenti. Altrettanto nebulosa è pure Cass., sez. pen. VI, 2 ottobre 1997, n. 2868, secondo cui “la nozione di quantità ingente è da intendersi in senso relativo, dovendo essere rapportata all'area di mercato considerata in un determinato momento storico e al periodo di tempo necessario, per quel mercato, di assorbire o di esaurire la quantità destinata allo spaccio […] spettando, pertanto, al giudice del merito stabilire, di volta in volta, le condizioni in base alle quali può dirsi realizzata tale saturazione del mercato”.

Di nuovo, Cass., sez. pen. VI, 2 ottobre 1997, n. 2868 pretende dal Magistrato un'attività di contestualizzazione illogica ed impossibile nella realtà concreta. Similmente, la ratio mercantilistica è adottata pure da Cass., sez. pen. IV, 26 marzo 1996, n. 5007, a norma della quale “[ex comma 2 Art. 80 TU 309/90] la capacità della quantità di stupefacente di saturare il mercato […] [corrisponde] all'idoneità di soddisfare le esigenze di un numero assai elevato di tossicodipendenti per un periodo prolungato”. Come si può notare, Cass., sez. pen. IV, 26 marzo 1996, n. 5007 appoggia il falso mito di un giudice-criminologo in grado di misurare, in modo utopistico ed irrealistico, le disponibilità di droghe in capo ai tossicomani del proprio distretto. Le summenzionate Sentenze confondono il potere giurisdizionale con l'impossibile allestimento di statistiche di breve periodo, afferenti, tra l'altro, ad un'attività completamente sommersa quale lo smercio di sostanze illecite.

Il criterio della saturazione del mercato è stato superato da Cass., SS.UU., 21 giugno 2000, n. 17, Primavera (Sezioni Unite Primavera), ai sensi delle quali “l'aggravante di cui al comma 2 Art. 80 TU 309/90 è integrata tutte le volte in cui il quantitativo di sostanza oggetto d'imputazione, pur non raggiungendo valori massimi, è tale da creare condizioni di agevolazione del consumo nei riguardi di un rilevante numero di tossicofili, secondo l'apprezzamento del giudice del merito, che, vivendo la realtà sociale del comprensorio territoriale nel quale opera, è da ritenersi in grado di apprezzare specificamente la ricorrenza di tale circostanza”. Ad onor del vero, dodici mesi prima, le Sezioni Unite Primavera erano state anticipate da Cass., sez. pen. IV, 23 giugno 1999, n. 11244. Inoltre, giustamente, Leo (ibidem)[11] nota che “le Sezioni Unite Primavera, di fatto, non hanno realmente abbandonato il criterio mercantilistico, sancendo solo il passaggio dalla concezione astratta del mercato (come gli operatori immaginano che sia) ad una concreta, limitata all'esperienza giudiziale del mercato medesimo”. A parere di chi commenta, ognimmodo, è ben difficile fattualizzare la “esperienza giudiziale del mercato” degli stupefacenti, in tanto in quanto il giudice non è un istituto di statistica o un ente di ricerca.

Le Sezioni Unite Primavera del 2000 sono state accolte acriticamente sino al pronunciamento di Cass., sez. pen. VI, 2 marzo 2010, n. 20119, la quale ha asserito, dopo dieci anni di prevalenza delle Sezioni Unite Primavera, che “la quantità ingente [coincide con] il valore ponderale, considerato in relazione alla qualità della sostanza, e specificato in ragione del grado di purezza, e, quindi, delle dosi singole aventi effetti stupefacenti che, in assoluto, può dirsi tale nel senso di una sua eccezionale dimensione rispetto alle usuali transazioni del mercato clandestino”. Finalmente, dopo una ventina d'anni, il criterio ponderale faceva uscire da ogni incertezza astratta il comma 2 Art. 80 TU 309/90. Del pari, Cass., sez. pen. VI, 2 marzo 2010, n. 20120 si dichiara favorevole alla centralità, nel comma 2 Art. 80 TU 309/90, del “valore ponderale della sostanza, [esaminato] proprio al fine di garantire la compatibilità dell'aggravante in questione con il principio di legalità, presidiato dal comma 2 Art. 25 Cost.”. Anche Cass., sez. pen. VI, 22 giugno 2010, n. 34370, Cass., sez. pen. VI, 5 novembre 2010, n. 9029 nonché Cass., sez. pen. VI, 9 febbraio 2011, n. 21869 salutavano con favore la ratio del valore ponderale, poiché essa aumentava la determinatezza, la chiarezza e la prevedibilità dell'aggravante di cui al comma 2 Art. 80 TU 309/90. Dopo vent'anni, l'ingente quantità non era più un elemento normativo “fuzzy”, dunque contrario al principio di legalità e di precisione delle norme incriminatrici. Più specificamente, tra il 2010 ed il 2011, la Sezione VI della Cassazione qualificava come “ingenti” più di 2 Kg di droghe pesanti e più di 50 Kg di sostanze leggere, ovverosia di cannabis.

Ciononostante, sussisteva un contrasto tra la Sezione VI e la Sezione IV della Suprema Corte. P.e., Cass., sez. pen. IV, 1 febbraio 2011, n,. 9927 (ripresa in maniera assai simile da Cass., sez. pen. IV, 29 settembre 2011, n. 38794), alla luce dell'Art. 117 Cost, sosteneva che “in tema di reati concernenti il traffico illecito di sostanze stupefacenti, non è consentito, pena l'invasione del campo di azione riservato al Legislatore [ex Art. 117 Cost.], di predeterminare i limiti quantitativi minimi che consentono di ritenere configurabile la circostanza aggravante prevista dal comma 2 Art. 80 TU 309/90”.

A parere di chi redige, suona come ipocrita lo scrupolo della Sezione IV della Cassazione, alla luce della ben nota lentezza del Legislatore italiano, il quale lascia aperte lacune ed antinomie necessariamente e costantemente risolte dal provvidenziale e, fors'anche, necessario intervento della Giurisprudenza di legittimità. In ogni caso, ex Art. 618 Cpp, il contrasto tra le Sezioni IV e VI della Suprema Corte venne rimesso alla cognizione risolutoria delle Sezioni Unite. Nello specifico, Cass., sez. pen. IV, 11c ottobre 2011, n. 38748, con Ordinanza, pose il seguente quesito: “se, per il riconoscimento della circostanza aggravante speciale dell'ingente quantità, nei reati concernenti il traffico illecito di sostanze stupefacenti, si debba fare ricorso al criterio quantitativo, con individuazione di limiti ponderali minimi per tipo di sostanza, ovvero debba aversi riguardo ad altri indici, che, al di là di soglie quantitative prefissate, valorizzino il grado di pericolo per la salute pubblica, derivante dallo smercio di un elevato quantitativo, e la potenzialità di soddisfare i numerosi consumatori per l'alto numero di dosi ricavabili”. A parere di chi scrive, Cass., sez. pen. IV, 11 ottobre 2011, n. 38748 è assai apprezzabile per aver contemperato, nel quesito ex Art. 618 Cpp, la ratio quantitativa e quella qualitativa, come scelto dal Legislatore federale elvetico negli Artt. 19 bis e seguenti schwBetmG.

D'altra parte, l'inscindibile binomio quantità/qualità è presente nello stesso testo normativo di cui all'ultimo capoverso comma 2 Art. 80 TU 309/90; ovverosia la pena è aumentata “[...] [anche] quando ricorre l'aggravante di cui alla lett. e) del comma 1 [ossia le sostanze stupefacenti o psicotrope sono adulterate o commiste ad altre in modo che ne risulti accentuata la potenzialità lesiva]”. Ecco, nuovamente, la ratio della tutela della salute collettiva ex comma 1 Art. 32 Cost. (“La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell'individuo ed interesse della collettività [...]”).

Il predetto contrasto tra la Sezione IV e la VI della Cassazione venne risolto, a favore della Sezione VI, da Cass., SS.UU., 24 maggio 2012, n. 36258, Biondi (Sezioni Unite Biondi), a parere delle quali “l'aggravante dell'ingente quantità non è di norma ravvisabile quando la quantità sia inferiore a 2000 volte il valore massimo in milligrammi (valore-soglia), determinato, per ogni sostanza, nella tabella allegata al DM 11 aprile 2006, ferma restando la discrezionale valutazione del giudice del merito, quando tale quantità sia superata [ma il tenore drogante sia scarso o nullo, ndr]”. Nello specifico, ex DM 11 aprile 2006,, il comma 2 Art. 80 TU 309/90 diventa precettivo allorquando la quantità sequestrata supera i limiti di

  1. 750 mg per la cocaina

 

  1. 250 mg per l'eroina

 

  1. 1000 mg per la canapa

Per la verità, Sezioni Unite Biondi hanno erroneamente utilizzato un moltiplicatore di 2000 per la cannabis, con il risultato di fissare l'ingente quantità oltre 1 Kg; tuttavia, nella tabella allegata al DM 11 aprile 2006, il moltiplicatore era di 4000, con una conseguente fissazione del limite “ingente” oltre i 2 Kg. Ne è nato, con attinenza alla marjuana ed all'haschisch, un dubbio ermeneutico risolto dalle Sezioni Unite Polito del 2020, le quali hanno statuito che la quantità non ingente non deve superare i 2 Kg. Inoltre, molti, in Dottrina, hanno giustamente messo in evidenza che il DM 11 aprile 2006 era già stato utilizzato, in tema di “uso personale”, nel comma 1 bis Art. 73 TU 309/90, novellato con la L. 49/2006, successivamente dichiarato incostituzionale da Consulta 32/2014. In ogni caso, tanto in Sezioni Unite Biondi del 2012, quanto nel comma 1 bis Art. 73 TU 309/90, il criterio ponderale è stato impiegato al fine di determinare una quantità massima detenuta (QMD) “non grave/non ingente”, dunque non sussumibile entro l'aggravante di cui al comma 2 Art. 80 TU 309/90.

Tuttavia, il panorama precettivo si è complicato a causa di Consulta 32/2014, la quale ha dichiarato incostituzionale l'unificazione normativo-sanzionatoria delle droghe pesanti e di quelle leggere, con la conseguente reviviscenza della normativa previgente alla c.d. “Legge Fini-Giovanardi”. Provvidenzialmente, il caos ermeneutico cagionato da Corte Costituzionale 32/2014 è stato sanato dal DL 36/2014, convertito nella L. 79/2014, che ha ripristinato il DM 11 aprile 2006, contenente i parametri posti a fondamento delle Sezioni Unite Biondi del 2012.

Nella realtà concreta, per il vero, Sezioni Unite Biondi 2012 non è pacificamente applicata nella Giurisprudenza di legittimità. In particolar modo, nella Sezione III, Cass., sez. pen. III, 21 maggio 2014, n. 25176 ha contestato la ratio troppo “algebrica” delle SS.UU. Biondi, ovverosia “va auspicata una rimeditazione dei principi ivi enunziati [in SS.UU. Biondi], in considerazione dell'accresciuto tasso di modulazione normativa, difficilmente compatibile con un'interpretazione tendenzialmente soltanto aritmetica, e dunque automatica, dell'aggravante dell'ingente quantità”. P.e., il criterio “rigoristicamente quantitativo” va rigettato se non è congiunto anche alla ratio della pericolosità del tenore drogante della sostanza (v., a tal proposito, nella Sezione III, Cass., sez. pen. III, 1 ottobre 2014, n. 46172, Cass., sez. pen. III, 1 ottobre 2014, n. 46172, Cass., sez. pen. III, 3o ottobre 2014, n. 5907, Cass., sez. pen. III,  29 gennaio 2015, n. 12532 nonché Cass., sez. pen. III, 27 maggio 2015, n. 1609). Da segnalare, nella Sezione IV, è pure Cass., sez. pen. IV,  2 luglio 2014, n. 41779, che contesta anch'essa la riduzione della valutazione dell'ingente quantità ad un calcolo matematico privo di contestualizzazione, come se il Magistrato fosse riducibile ad un doganiere munito del solo bilancino di precisione. Torna, dunque, la altrettanto importante centralità del “tenore drogante”, alla luce del principio della tutela  della salute ex comma 1 Art. 32 Cost. .

Questo filone esegetico della Sezione III si pone in contrasto con il parere dominante nella Sezione IV. P.e., Cass., sez. pen. IV, 20 giugno 2014, n. 32126 sostiene che “per effetto della reintroduzione della nozione di QMD [ex DM 11 aprile 2006] [e] ai sensi del comma 1 bis Art. 75 TU 309/90, restano [rectius: tornano, ndr] pienamente validi i criteri enunziati dalle Sezioni Unite Biondi”. La predominanza della ratio numerico-ponderale è ribadita pure da Cass., sez. pen. IV, 2 luglio 2014, n. 43465, Cass., sez. pen. IV, 3 ottobre 2014, n. 1817, Cass., sez. pen. VI, 15 ottobre 2014, n. 46301, Cass., sez. pen. VI; 14 novembre 2014, n. 47907, Cass., sez. pen. VI, 14 novembre 2014, n. 47907, Cass., sez. pen. IV, 5 dicembre 2014, n. 3799, Cass., sez. pen. VI, 4 febbraio 2015, n. 6331, Cass., sez. pen. III, 28 settembre 2016, n. 47978, Cass., sez. pen. IV, 12 ottobre 2016, n. 49619, Cass., sez. pen. VI, 16 febbraio 2018, n. 18820 nonché da Cass., sez. pen. IV, 18 giugno 2019, n. 35671: In effetti, pure a parere di chi commenta, la ratio numerico-ponderale di Sezioni Unite Biondi del 2012 reca il pregio di togliere il Magistrato da inutili aporie qualificatorie. Utilizzare un criterio matematico rinvigorisce quella certezza e quella determinatezza che sovente manca al comma 2 Art. 80 TU 309/90. SS.UU. Biondi, nell'applicare i parametri algebrici del DM 11 aprile 2006, prevengono contrasti giurisprudenziali ex Art. 618 Cpp. Certamente, va sempre bilanciato il binomio qualità/quantità, ma sicuramente impiegare cifre numeriche pre-costituite aumenta la legalità e la prevedibilità precettiva dell'aggravante di cui al comma 2 Art. 80 TU 309/90. Entro tale medesima ottica “numerica” e “certa”, Cass., SS.UU., 30 gennaio 2020, n. 14722, Polito (Sezioni Unite Polito) hanno ribadito la bontà applicativa di SS.UU. Biondi, in tanto in quanto “a seguito della riforma introdotta nel sistema dalla Legislazione in tema di stupefacenti dal DL 36/2014, convertito, con modificazioni, dalla L. 79/2014, mantengono validità i criteri [ponderali, ndr] fissati dalla Sentenza delle Sezioni Unite n. 36258 del 24 maggio 2012, Biondi, per l'individuazione della soglia oltre la quale è configurabile la circostanza aggravante dell'ingente quantità prevista dal comma 2 Art. 80 TU 309/90”. Probabilmente non è erroneo, a parere di chi redige, predicare pure la maggior “comodità” dei parametri ponderali utilizzati da Sezioni Unite Biondi del 2012 e ripristinati da Sezioni Unite Polito 2020.

Anche molte Sentenze delle Sezioni semplici della Suprema Corte lodano la natura “aritmetica” e, dunque, automatica della ratio ponderale, con la precisazione, ciononostante, che nulla toglie al giudice del merito il dovere di contestualizzare ex Art. 133 CP ogni singola fattispecie, anche sotto il profilo della qualità drogante della sostanza. Pure in Dottrina, Chibelli (ibidem)[12] sottolinea che “la Sentenza Biondi […] si fonda su parametri oggettivi, razionali e controllabili e restituisce determinatezza e ragionevolezza alla disciplina dettata dal comma 2 Art. 80 TU 309/90 e, per tal via, assicura la certezza del Diritto e la prevedibilità dell'applicazione della fattispecie criminosa”.

 

Corollari

Le Sezioni Unite Biondi del 2012, riconfermate da Sezioni Unite Polito del 2020, hanno il pregio di ripristinare la certezza del Diritto attraverso un'interpretazione quasi “aritmetica” del comma 2 Art. 80 TU 309/90. Ciononostante, non va dimenticato che, ex comma 2 Art. 59 CP, “le circostanze che aggravano la pena sono valutate a carico dell'agente soltanto se da lui conosciute, ovvero ignorate per colpa, o ritenute inesistenti per errore determinato da colpa”. Va, inoltre, precisato, anche se in tale sede non è determinante, che l'aggravante dell'ingente quantità è una circostanza “oggettiva”, poiché, ex n. 1) Art. 70 CP, concerne “ […] l'oggetto e […] la gravità del danno [e] del pericolo”. Nella Giurisprudenza di legittimità, il comma 2 Art. 80 TU 309/90 viene connesso alla “conoscenza/conoscibilità” dell'aggravante, alla luce del comma 2 Art. 59 CP, in molti Precedenti, tra cui, a titolo emblematico Cass., sez. pen. VI, 15 ottobre 2009, n. 44492, Cass., sez. pen. VI, 24 settembre 1999, n. 12530 nonché Cass., sez. pen. VI, 13 ottobre 2016, n. 52321.

Tale comma 2 Art. 59 CP è stato introdotto, con la L. 19/1990, come osservano Fiandanca & Musco (ibidem)[13], “al fine di superare il concetto, previsto nel testo originario del Codice Penale del 1930, del versari in re illicita, in forza del quale il reo doveva rispondere oggettivamente per tutte le conseguenze derivanti dal reato, così rendendo la disciplina, in materia di imputabilità soggettiva delle aggravanti, compatibile con il principio costituzionale di colpevolezza”. D'altra parte, anche Consulta 364/1988, anticipando di tre anni la predetta L. 19/1990, aveva dichiarato incostituzionale l'Art. 5 CP nella parte in cui ipostatizza la c.d. “ignoranza inevitabile”. In buona sostanza, il comma 2 Art. 59 CP, unitamente a Corte Costituzionale 364/1988, reca la ratio di aumentare il garantismo nell'applicazione delle aggravanti “potenzialmente e verosimilmente ignorabili”, ivi compresa l'aggravante dell'ingente quantità ex comma 2 Art. 80 TU 309/90. Anche a parere di chi commenta, la soggettivizzazione di cui al comma 2 Art. 59 CP risulta assai ragionevole e democratico-sociale, soprattutto perché attenua la ratio istituzionalizzante e rigoristica di cui all'Art. 5 CP.

Tuttavia, il comma 2 Art. 59 CP non è stato unanimemente apprezzato dalla Dottrina. P.e., taluni Autori proposero di applicare la ratio della non conoscibilità scusabile delle aggravanti per le sole circostanze dolose e non per quelle colpose. Ma, negli Anni Duemila, tanto la Dottrina quanto la Giurisprudenza hanno statuito che il comma 2 Art. 59 CP è precettivo tanto per i reati dolosi quanto per le circostanze colpose. Più sfumata è la posizione di Cass., sez. pen. IV, 14 aprile 2022, n. 18049, a parere della quale “le circostanze aggravanti [compresa quella ex comma 2 Art. 80 TU 309/90, ndr] possono essere poste a carico del reo solo nel caso in cui gli si possa muovere almeno un rimprovero di colpa”. In maniera bizantinistica, Cass., sez. pen. I, 27 ottobre 1997, n. 9958 (anticipata da Cass., sez. pen. VI,  6 dicembre 1994) ha affermato che “va esclusa l'incompatibilità logica tra l'imputazione a titolo di dolo della fattispecie criminosa-base e quella, a titolo di colpa, di una circostanza aggravante”; quindi, non manca chi oggettivizza il reato-base ex Art. 5 CP e soggettivizza la circostanza aggravante ex comma 2 Art. 59 CP; il che è una probatio diabolica difficilmente praticabile.

Tant'è che, in Dottrina, Vallini (2000)[14] ha sentenziato che “quella introdotta dalla riforma del 1990 [nel comma 2 Art. 59 CP] è una formulazione rivelatasi alquanto infelice, che ha posto un rilevante problema ermeneutico”. Tale è pure, in Giurisprudenza, il parere di Cass., sez. pen. V, 16 gennaio 1999, a norma della quale “vi è la possibilità di addivenire, nell'applicazione concreta [anche del comma 2 Art. 80 TU 309/90, ndr] alla combinazione di un rimprovero doloso (per la fattispecie-base) e di un rimprovero a titolo di colpa (in ordine alle circostanze che aggravano la pena). Il che, tuttavia, porta con sé il rischio di una pericolosa deriva, ovvero che la colpa richiesta dal comma 2 Art. 59 CP si tramuti in un'ipotesi di responsabilità oggettiva, con un ritorno al versari in re illicita voluto dal Legislatore del 1930”.

Provvidenzialmente, questo caotico contesto interpretativo è facilitato dall'Art. 43 CP, che aiuta il Magistrato a non incorrere in una valutazione troppo astratta del c.d. “elemento psicologico del reato”. D'altra parte, anche Consulta 364/1988 parla, con afferenza al comma 2 Art. 59 CP, di una “prevedibilità ed evitabilità concreta dell'evento”, il che vale anche nel contesto applicativo del comma 2 Art. 80 TU 309/90. Similmente, nella Giurisprudenza di merito, Corte d'Appello Roma, Sezione IV, 17 maggio 2023, n. 4085 invita a valutare la “credibilità concreta” dell'ignoranza delle circostanze aggravanti. P.e., nella contestazione dell'aggravante del “metodo mafioso”, è ben difficile che il reo ignorasse di appartenere ad una cellula di criminalità organizzata. A parere di chi redige, occorre una rilettura meno oltranzista e rigoristica o formalistica dell'Art. 5 CP, anche con attinenza al criterio dell'ingente quantità nel TU 309/90.

 

 

 

[1]Mazzanti, Il perimetro del diritto penale degli stupefacenti nelle recenti tendenze giurisprudenziali, in Diritto Penale e Procedura, 8/2020

 

[2]Bray, La sopravvivenza dell'aggravante dell'ingente quantità di sostanza stupefacente ex comma 2 Art. 80 TU 309/90 rimessa al vaglio di Sezioni Unite, in Sistema Penale, 28 gennaio 2020

 

[3]Leo, Osservatorio contrasti giurisprudenziali – La nozione di ingente quantità in materia di stupefacenti, in Diritto Penale e Procedura, 6/2011

 

[4]Leo, op. cit.

 

[5]Chibelli, L'ingente quantità di stupefacenti: la storia senza fine di un'aggravante al bivio tra legalità in the books e legalità in action, in Diritto Penale contemporaneo, 3/2017

[6]Marinucci & Dolcini & Gatta,  Manuale di Diritto Penale, parte generale, Milano, 2023

 

[7]Marinucci & Dolcini & Gatta, op. cit.

 

[8]Fiandanca & Musco,  Diritto Penale, parte generale, Bologna, 2014

 

[9]Marinucci & Dolcini & Gatta, op. cit.

 

[10]Leo, op. cit.

 

[11]Leo, op. cit.

 

[12]Chibelli, op. cit.

 

[13]Fiandanca & Musco, op. cit.

 

[14]Vallini, voce Circostanze del reato, in Digesto discipline penali, Aggiornamento, Torino, 2000