Analisi medico-legale delle tossicodipendenze

tossicodipendenze
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Analisi medico-legale delle tossicodipendenze

 

Profili di psicopatologia forense

Il sistema d'analisi “Multiple Affect Adjective Check List” (MAACL) ha messo in luce le devastanti conseguenze psico-fisiche dell'eroina. P.e., Haddox & Jacobson (1972)[1] hanno rilevato che “gli eroinomani presentano elevati livelli di ansia, depressione, ostilità, anedonia, con forte incapacità di provare piacere da stimoli fisici o relazioni interpersonali” Dunque, l'ordinaria affettività (extra-)familiare è la prima, triste e drammatica vittima degli oppiacei. Del pari, Platt & Scurra (1975)[2] evidenziano che, utilizzando il Tennesse Self Concept Scale (TSCS), si può notare che l'eroinomane non ha autostima “e risulta caratterizzato da una concezione di sé orientata in senso depressivo”. Di nuovo, come si nota, la Dottrina medico-forense non fa mistero della natura devastante dell'eroina, il cui uso sta tornando a causa del forte abbassamento del costo dell'oppio negli Anni Duemila. Eccezionalmente, Burger & Collins (1982)[3] affermano che “depressione e bassa autostima” sono conseguenze comuni nel mondo della tossicofilia e non si tratta di sintomi esclusivamente o primariamente connessi alle sostanze di tipo oppiaceo. Analogo ottimismo è manifestato pure da McLellan & Woody & Brien (1979)[4], a parere dei quali “le valutazioni compiute con la Beck Depression Inventory (BDI) hanno confermato la presenza significativa di sintomi depressivi, [ma] sensibili alla terapia metadonica, in circa il 50 % dei soggetti esaminati”. In buona sostanza, pure la BDI non esclude la trattabilità farmacologica dell'eroinomania, pur se il metadone risulta oggi ampiamente superato dalla buprenorfina e da compliances di farmaci non tradizionali. Non apodittici sono anche Steer & Schut (1981)[5], i quali non divinizzano la terapia metadonica ed osservano che “con il Profile of Mood States (PMS), astenia ed inerzia sono risultate le caratteristiche principali durante la pratica tossicomanica, mentre pazienti in trattamento metadonico mostrano elevati livelli di aggressività e di acting-out”.

Come si può notare, nella Dottrina medico-forense, il metadone può aiutare, ma esso non costituisce la soluzione della dipendenza. La disintossicazione metadonica va sempre congiunta ad un ampio e variegato trattamento farmacologico. Provvidenzialmente, secondo Craig (1979)[6] dissocia l'utilizzo di oppiacei da potenziali parafilie, nel senso che “per quanto riguarda la sessualità, molti studi hanno riferito punteggi nella norma per i tossicodipendenti riguardo all'identità ed agli interessi sessuali, salvo un maggior bisogno di rapporti eterosessuali”. A parere di chi redige, Craig (ibidem)[7] commette l'errore di scindere l'impulso erotico dall'affettività, la quale viene gravemente alterata dall'abuso di sostanze illecite. Per cui, poco contano gli “interessi sessuali” se poi, per causa della tossicomania, essi non sono canalizzati all'interno di una sessualità matura non limitata al solo profilo della genitalità. P.e., un tossicomane tenderà a commettere stupri di gruppo, ma ciò nulla ha a che fare con una sessualità moderata e non di tipo maniacale. P.e., De Leon & Rosenthal & Brodney (1971)[8] invitano l'operatore a coniugare farmacoterapia e spinte auto-motivazionali, in tanto in quanto, specialmente nella fattispecie dell'eroina, “i sintomi d'ansia, mediamente rappresentati durante il trattamento di mantenimento metadonico, risultano sensibili ad interventi di ordine ambientale e riabilitativo”. Pertanto, come messo in rilievo dai tre summenzionati Autori anglofoni, occorre che la terapia farmacologica sia strettamente unita a sforzi “di ordine ambientale e riabilitativo”, ossia necessita un'auto-motivazione personale del paziente, al quale dev'essere richiesta sempre e comunque una buona volontà di uscire dalla tossicofilia.

P.e., Jacobs & Doft & Koger (1981)[9] descrivono il tossicodipendente alla stregua di un soggetto estremamente ansioso, poiché “le tipologie di disagio psichico prevalente in tossicomani esaminati con la Symptom Distress Checklist 90 items (SCL-90) sono quelle somatoforme, fobica e di ansia generalizzata”. In effetti, ogni ex eroinomane riconosce di aver iniziato a fare uso di sostanze nel tentativo di placare le proprie ansie. Fa eccezione il parere di Maremmani & Daini (à paraitre)[10], secondo cui l'eroinomania non è l'unica dipendenza cagionata da una personalità ansiosa; detto in altri termini, tutte le sostanze d'abuso, comprese le bevande alcoliche, sono precedute ed alimentate da ansia, fobie e depressione. Sovente, la psicopatologia apre la strada ad una forte (poli)tossicodipendenza.

 

La personalità del tossicodipendente

Pure Rothaizer (1980)[11] mette in luce che l'ansiogenesi molto spesso avvicina il soggetto giovane al mondo delle droghe; più nel dettaglio, il predetto Autore specifica che “a livello prettamente personologico, il Minnesota Multiphasic Personality Inventory (MMPI) permette di evidenziare come i tratti ansiosi, insieme ad altri tipi di personalità abnorme, prevalgono nettamente sui tratti psicotici”. Quindi, è assai probabile che l'adolescente iper-ansioso cerchi conforto nell'ambito degli stupefacenti. A tal proposito, da menzionare è pure Reid (1978)[12], secondo il quale le tossicofilie sono più frequenti “in profili personologici di tipo patologico […] con una maggiore tendenza all'isolamento sociale ed alla perdita di autonomia”. Dunque, anche in Reid (ibidem)[13], si sottolinea che l'ultra-13enne ansioso e borderline ricerca nelle sostanze d'abuso una via di fuga dalla propria ansia patologica. Maggiormente cauto è Craig (ibidem)[14], che nega una credibilità cieca e totale al “Minnesota” (MMPI), ovverosia “l'introversione sociale” non è un predittore matematico della tossicomania, in tanto in quanto molto varia a seconda di altre variabili, quali il controllo genitoriale, il carattere e l'adesione positiva alle agenzie di controllo. Non esiste una predisposizione algebrica all'uso di droghe e/o di alcol.

Dal canto loro, sempre con afferenza all'MMPI, Gay & Sheppard (1972)[15] asseriscono che “è possibile comunque identificare due sotto-gruppi personologici secondo il MMPI: il gruppo 1 si caratterizza per anticonformismo, distimia, disagio soggettivo ed anomalie dell'ideazione, ma la devianza non è spiccata. Il gruppo 2 ha punteggi elevati nella sola Pd, ma la devianza è marcata. Il MMPI è in grado di distinguere gli eroinomani, che hanno punteggi elevati nella scala Hy, dagli alcolisti, che hanno, invece, punteggi elevati in Pd, Ma, Hy e Pt”. Come si nota, il MMPI non viene considerato, nella Medicina Legale, come uno strumento assolutamente certo, ma esso può aiutare nell'analisi dei tratti personologici del tossicodipendente.

P.e., Craig (ibidem)[16], con il MMPI, è giunto alla conclusione che “la addictive personality femminile ha il suo tratto-cardine nell'impulsività, mentre la forma maschile è incentrata su dipendenza, spiccata autocritica e timidezza”. Ecco, di nuovo, un invito alla non-assolutizzazione del MMPI e di tutti gli altri sistemi diagnostico-personologici. Da menzionare, per una compiuta analisi personologica del tossicomane, sono pure Lefcourt & Telegdi (1971)[17], i quali ipotizzano che “la tossicodipendenza è legata alla ricerca di oggetti esterni come fonte di sicurezza, come espressione di un assetto psicologico secondo cui il controllo sugli eventi è attribuito a fattori esterni piuttosto che alla propria volontà. In termini psicologici, [i tossici] hanno un locus of control (LOC) esterno […] [Essi] hanno un atteggiamento esistenziale fatalistico e pensano che le proprie azioni non siano correlate con l'esperienza”. Quindi, anche Lefcourt & Telegdi (ibidem)[18] precisano che, nel tossicodipendente, si indebolisce la variabile della volontà personale. Solo rafforzando l'autostima, il tossicomane potrà e dovrà cooperare con il personale sanitario per porre fine alle proprie dipendenze.

Nella Letteratura anglofona si auspica, durante la terapia metadonica, la c.d. “internalità del LOC”, ma, a parere di chi scrive, qualsivoglia terapia farmacologica ha un effetto positivo nella misura in cui sussiste una collaborazione non passiva del tossicofilo. Sempre Lefcourt & Telegdi (ibidem)[19] insistono pure sull'importanza di auto-controllare “il livello di aggressività, il tono dell'umore disforico-irritabile, l'iper-criticismo eterodiretto e le condotte sociopatiche”. Tuttavia, nuovamente torna la perenne necessità di non disgiungere mai la farmacoterapia da un concreto sforzo personale del paziente.

 

Le psicopatologie congiunte al disturbo da abuso di sostanze (D.U.S.)

Da sempre, la Criminologia, in maniera unanime, sottolinea che il DUS non occasionale è sempre accompagnato da altri disturbi mentali. P.e., agli inizi del Novecento, Felix (1944)[20] notava che “il riscontro, nel tossicomane, di relazioni interpersonali precarie e deficitarie e di una identità instabile e scarsamente coerente, oppure di comportamenti sociopatici, con frequenza di atti impulsivi e di coinvolgimento in attività criminali, ha da sempre posto il problema delle relazioni tra uso di droghe e quadri personopatici”. Come si può notare, la Medicina forense sostiene che la tossicomania sia preceduta e, sovente, cagionata da psicopatie di matrice sociopatica. A ciò si aggiunga pure la frequente disfunzionalità delle agenzie di controllo. Anche negli Anni Cinquanta del Novecento, Glover (1956)[21] sottolineava che “[il DUS] è un aspetto frequentemente presente nei quadri di psicopatia, talora con valore diagnostico, come nei disturbi di personalità borderline ed antisociale”. Dunque, anche Glover (ibidem)[22] riconosce che le tossicodipendenze discendono da un quadro clinico composto da patologie mentali. Per conseguenza, la cura della tossicomania impone di rimuovere, anzitutto, le psicopatologie che hanno recato all'abuso di sostanze illecite e/o di bevande alcoliche. Il tossicofilo tende sempre a manifestare una sociopatia marcata che poi lo spinge al DUS, punto finale e non iniziale della propria malattia psichica. Sino al DSM-III, in Dottrina si confondeva il DUS con il Disturbo Antisociale di Personalità (DPAS). In effetti, come osservato nei Lavori Preparatori al DSM-III (1980)[23] “alcuni tratti tradizionalmente associati al DUS, come l'impulsività, possono appartenere ad Altri Disturbi della Personalità”. La conseguenza fu che, sino al DSM-V, non era contemplata e postulata l'autonomia psicopatologica della tossicodipendenza cronica.

P.e., il tossicomane è sempre borderline, ma ciò non autorizza a negare la precettività e la consistenza autonoma del DUS. La tossicomania cronica, in sostanza, è, a tutti gli effetti, una patologia a sé stante, collegata ancorché non coincidente con le semplici sindromi sociopatiche. Del pari, molti Autori anglofoni rimarcano che il DUS si manifesta sempre legato o preceduto da sindromi borderline, ma l'errore del DSM-III consisteva nel non affermare la specificità della tossicofilia acuta, la quale reca profili specifici non totalmente sussumibili all'interno della categoria dei generici Disturbi della Personalità. Curare soltanto le condotte borderline significa non sradicare appieno e definitivamente l'abuso di sostanze per fini tossicovoluttuari. P.e., Clerici & Carta & Cazzullo (1989)[24] non riducono il DUS ad una semplice sindrome borderline, tuttavia riconoscono che “almeno un disturbo in asse II è diagnosticabile nel 25-91 % dei tossicomani […] con una netta predominanza dei Disturbi Borderline e Istrionico, presenti, rispettivamente, nel 5-65 % e nel 12-64 %”. Di nuovo, come si nota, il DUS, già ai tempi del DMS-III veniva confuso e sovrapposto ad altre patologie ed esso non possedeva la debita autonomia diagnostica. Parimenti, pure Nace (1990)[25] confondeva la tossicofilia con l'antisocialità patologica.

A loro volta, Arntz & Merckelbach & De Jong (1993)[26] commettevano l'errore di far rientrare il DUS nel Disturbo Passivo-Aggressivo. Oppure ancora, si pensi a Zimmerman & Coryell (1989)[27], che, nell'ottica del DSM-III, descrivevano il tossicodipendente come un “soggetto evitante”, senza tener compiutamente in conto i tratti specifici che connotano la tossicofilia non occasionale. Entro tale ottica si colloca pure Kraepelin (1921)[28], secondo cui “nonostante il cluster A sia il meno rappresentato, è assai significativa la comorbidità tra problemi tossico-correlati e Disturbo Schizotipico di Personalità (fino al 41 % di prevalenza)”. Tuttavia, a parere degli Autori degli Anni Duemila, un conto è parlare di “comorbidità”, mentre un altro conto è procedere ad una sbagliata sussunzione del DUS entro altre categorie patologiche, che accompagnano le tossicomanie, ma non costituiscono la malattia principale cui applicare la terapia. D'altra parte, giustamente, Skodol & Oldham & Gallagher (1999)[29] ribadiscono che, nel tossicomane, la compresenza di altre malattie psichiche non deve far passare in secondo piano l'uso di stupefacenti. Egualmente, Arntz & Merckelbach & De Jong (ibidem)[30] evidenziano che un Disturbo di Personalità Boderline non è la causa unica, bensì la con-causa del DUS, il quale ha caratteristiche tutt'affatto particolari e, specialmente, diverse da ogni altra patologia contemplata nel DSM-V. Molto, ognimmodo, dipende pure dalla tipologia delle sostanze assunte. P.e.,Yates & Fulton & Gabel & Brass (1989)[31] mettono in risalto che le psico-patologie collaterali, di tipo borderline e/o sociopatico, sono più gravi nei cocainomani e meno incisive negli alcolisti acuti. Tuttavia, a parere di chi commenta, oggi non è possibile costruire modelli differenziati, in tanto in quanto prevalgono le poli-tossicofilie, ovverosia l'utilizzo contestuale di più di una sostanza d'abuso. Non esiste più la figura dell'eroinomane degli Anni Ottanta del Novecento, dedito al solo uso di oppiacei per via endovenosa. Anche l'alcol ormai è divenuto il pericoloso compagno di assunzione di quasi tutti gli stupefacenti. Tuttavia, non mancano studi e censimenti criminologici ove si distingue tra il diverso grado di uncinamento delle varie sostanze, comprese le bevande alcoliche. In ogni caso, è innegabile che il DUS, pur mantenendo una propria fisionomia tecnica specifica, è preceduto, in età giovanile, da tutta una serie di altri disturbi della psiche. P.e., Kosten & Rounsaville & Kleber (1982)[32], ai tempi del DSM-III, affermavano che il narcisismo patologico è il prodromo dell'eroinomania, mentre gli alcolisti “presentano per lo più tratti di tipo schizoide e/o borderline”. Parimenti, Dulit & Fyer & Haas & Sullivan & Frances (1990)[33] mettono in evidenza che le sindromi borderline sono perennemente congiunte all'abuso di alcol e sostanze sedativo-ipnotiche. Infine, molti Dottrinari, nella Criminologia anglofona, hanno osservato che un DUS precoce nell'ultra-13enne è solitamente associato a psicopatologie altrettanto precoci.

 

Anti-socialità patologica (DPAS) vs. DUS

La compresenza tra DUS e Disturbo della Personalità Antisociale (DPAS) è stata censita, in modo molto approfondito, da Grande & Wolf & Schubert (1984)[34]. Del pari, negli Anni Novanta del Novecento, pure Kessler & McGonagle & Zhao & Nelson & Hughes & Eshleman (1994)[35] hanno rilevato che assai frequentemente un soggetto affetto da DPAS giunge facilmente alla tossicomania cronica. In effetti, anche Luthar & Anton & Merinkangas & Rounsaville (1992)[36] hanno osservato che “degli individui con diagnosi di DUS, il 20-40 % ha comorbidità per DPAS, con prevalenza maggiore nei casi di poli-abuso. Non esistono altri disturbi della personalità per cui sia stata individuata una così forte associazione con il DUS”. Da notare, a parere di chi redige,  che il DPAS s'innesta soprattutto nelle poli-tossicomanie, dunque non va sottovalutata la maggior gravità dell'utilizzo contestuale di più di una sostanza tossicovoluttuaria, compreso l'alcol. Analogo è il parere di Ross & Glasser & Germanson (1988)[37], per i quali “i DUS [diagnosticati a partire dall'edizione del DSM-IV, ndr] sono più strettamente associati con il DPAS che con qualsiasi altro disturbo di asse I preso in considerazione”.

D'altra parte, il DPAS, nel mondo delle tossicofilie, è evidente alla luce dell'estrema marginalità socio-affettiva in cui vivono i tossicodipendenti, specialmente quelli uncinati da oppioidi sintetici o semi-sintetici. Entro tale ottica,  si pongono pure Bellodi & Battaglia & Migone (1993)[38], che sottolineano la notevole comorbidità tra DPAS e DUS, anche negli abusatori di bevande alcoliche. Pertanto, l'antisocialità patologica è la caratteristica più frequentemente riscontrabile nei tossicomani, auto-emarginati e tendenzialmente privi di supporti familiari o amicali. Quindi, è evidente che le sostanze d'abuso travolgono e distruggono, anzitutto e soprattutto,  il nucleo familiare. Tale quadro desolante è ribadito da Zanarini & Gunderson & Fraenkenberg (1989)[39], ovverosia “degli individui con DPAS, il 93 % ha comorbidità per DUS e, in oltre il 90 % degli antisociali abusatori, figura l'alcol come unica sostanza o una delle sostanze d'abuso e il legame DPAS/DUS sarebbe significativo per l'alcol e meno per gli psicostimolanti amfetaminici. Tuttavia, in questo disturbo di personalità, non sembra esistere [alemno per taluni Dottrinari, ndr] una specificità per l'alcol.

Per alcuni Autori, infatti, il DPAS sarebbe maggiormente rappresentato negli abusatori di cocaina rispetto agli abusatori di alcol. In ogni caso, gli individui con DPAS sono concentrati tra gli abusatori, e, in particolare, tra gli abusatori di alcol”. Siffatto scenario è aggravato, in epoca odierna, dal basso costo delle bevande alcoliche, spesso distribuite senza remore anche agli infra-18enni. L'alcol, a prescindere per un momento dalla connessione DPAS/DUS, è una sostanza d'abuso legale e di facile reperibilità. Dunque, la bevanda alcolica diviene facilmente la consolazione a buon mercato di chi manifesta un tratto patologicamente antisociale di personalità. Parimenti, la comorbidità frequente tra DPAS e DUS è postulata anche da Altermann & Gerstley & Strohmez & McKay (1991)[40], i quali hanno censito che l'”alcolista antisociale” portatore di DPAS, soprattutto se maschio, scivola facilmente nel DUS cronico. Si tratta, per lo più, di uomini o giovani uomini “con esordio precoce dell'alcolismo e rapido sviluppo della dipendenza”. Per la maggior parte, l'alcolista con DPAS e DUS non ha una famiglia stabile e manifesta forti tratti di emarginazione sociale. Sempre con afferenza all'abuso di alcol non occasionale, Mehrabian & Reilly (1988)[41] hanno censito che “gli aspetti tipici del DPAS appaiono correlati all'abuso alcolico anche al di fuori della categoria diagnostica del DSM: in uno studio compiuto su utilizzatori di alcol con quantità e campioni variabili, è emersa una correlazione diretta con il grado di ipoforia e inversa con la docilità ed i livelli di ansia”. Come si può notare, l'alcolismo costituisce una piaga non indifferente nel mondo della tossicofilia; ciononostante, i mass media proseguono indisturbati nel proporre il consumo indiscriminato di bevande alcoliche, le quali vengono presentate come simbolo di virilità, emancipazione e svago. Notevoli e degni di menzione sono pure Luthar & Anton & Merinkangas & Rounsaville (ibidem)[42]; secondo i predetti Dottrinari, la correlazione DPAS/DUS/Alcol inerisce pure gli oppiacei, in tanto in quanto “tra le sostanze diverse dall'alcol che sono oggetto di abuso in individui con DPAS, sono inclusi gli oppiacei. Il DPAS rappresenta un fattore di rischio per l'uso di oppiacei in soggetti già abusatori di alcol.

Infatti, in soggetti passati dall'alcolismo all'uso di oppiacei, o all'uso misto di alcol e oppiacei, è stato dimostrato che la maggior parte di essi aveva una diagnosi di DPAS. Gli alcolisti senza diagnosi di DPAS sembrano meno predisposti al passaggio agli oppiacei. In più, la frequenza di uso di oppiacei senza uso precedente o contemporaneo di alcol in soggetti con DPAS è bassa (minore del 10 %). Diventa, perciò, difficile stabilire il rischio per l'uso di oppiacei associato al DPAS in assenza di alcolismo”. Ecco, di nuovo, il problema dell'estrema dannosità dell'alcol, che, essendo in vendita libera, può sovente trasformarsi in una vera e propria droga legale. Naturalmente, rimane fondamentale la corretta gestione del disagio giovanile. Ossia, come evidenzia Windle (1991)[43] “nella maggior parte degli studi, l'associazione tra DPAS e DUS passa per la presenza del Disturbo della Condotta nell'infanzia e nell'adolescenza, che può essere considerato, quindi, equivalente del DPAS prima dei 18 anni”. In effetti, sarebbe riduttivo pensare ad un binomio DPAS/DUS che affligga la sola popolazione dei maggiorenni. Anzi, il DPAS ed il Disturbo della Condotta precoci recano spesso al DUS o, quantomeno, a periodi in cui l'ultra-13enne sperimenta le varie sostanze d'abuso, compreso l'alcol.

A tal proposito, Windle (ibidem)[44] precisa che “il rischio di tossicodipendenz[e] associato al Disturbo della Condotta dimostra una sostanziale sovrapposizione con i risultati relativi al DPAS [in età adulta, ndr], con l'aggiunta, per il Disturbo della Condotta, di un rischio significativo anche per abuso di nicotina e di cannabinoidi, oltre che per l'alcol”. Anzi, in maniera decisamente drastica, Bernstein & Cohen & Skodol & Beziganian & Brook (1996)[45] postulano che “il Disturbo della Condotta rappresenta un predittore del DPAS ed è comunque predittore dell'uso di sostanze in età adulta”. Pertanto, la Dottrina criminologica invita a non sottovalutare i primi segni di condotte antisociali nell'infanzia e nella prima adolescenza. Dal canto suo, Atkinson & Schuckit (1983)[46] notano che “studi sulla familiarità dell'alcolismo mostrano come gli alcolisti con familiarità per alcolismo abbiano una maggiore prevalenza di tratti antisociali”. Chi scrive si dissocia dalle tendenze lombrosiane e deterministiche dei due testé menzionati Autori anglofoni, in tanto in quanto le devianze tossicomaniacali non sono sempre e matematicamente ereditarie. Purtroppo, invece, nella Criminologia anglofona, si crea spesso lo stereotipo dell'alcolista affetto da DPAS figlio e nipote di altrettanti alcolisti anch'essi affetti da DPAS. Chi commenta preferisce dare rilievo alle variabili socio-ambientali ed all'eventuale disfunzionalità delle agenzie di controllo, tra cui la famiglia, ma anche la scuola ed il gruppo dei pari eventualmente criminogeno.

 

 

[1]Haddox & Jacobson, Psychological adjustement, mood and personality fluctuations in long term methadone maintenance patients, International Journal Addiction, 7/1972

 

[2]Platt & Scurra, Peer adjustement of parole success in istitutionalized heroin addicts: personality correlates and validity, Journal Consult Clinical Psychologic, 21/1975

 

[3]Burger & Collins, Relationship between MMPI and CPI Types of Male Heroin Abusers, Am. Journal Drug Alcohol Abuse, 9/1982

 

[4]McLellan & Woody & Brien,  Development of psychiatric illness in drug abusers: Possible role of drug preference, New England Journal Med., 1979

 

[5]Steer & Schut, Affect dimension of male heroin addicts admitted for inpatient detoxifdication, International Journal Addict., 1/1981

 

[6]Craig, Personality characteristics of heroin addicts: A review of the empirical literature with critique – Part II International Journal Addict, 14/1979

 

[7]Craig, op. cit.

[8]De Leon & Rosenthal & Brodney, Therapeutic Community for drug addicts, long term measurement of emotional changes, Psychological Report, 29/1971

 

[9]Jacobs & Doft & Koger, A study of SCL-90 scores of 264 methadone patients in treatment, in International Journal Addiction, 16/1981

 

[10]Maremmani & Daini, Sintomi di Comorbità Psichiatrica durante il trattamento della dipendenza da eroina, Bollettino per le Farmacodipendenze e l'Alcolismo, à paraitre

 

[11]Rothaizer, Typological study of substance abusers using the MMPI, British Journal Clinical Psychology, 36/1980

 

[12]Reid, The psychopathology: a comprehensive study of antisocial disorders and behavior, New York, 1978

 

[13]Reid, op. cit.

 

[14]Craig, op. cit.

 

[15]Gay & Sheppard, Sex in the drug culture. Med. Aspects Human Sex, 6/1972

 

[16]Craig, op. cit.

 

[17]Lefcourt & Telegdi, Perceived locus of control and field dependence as predictors of cognitive activity, Journal Consult Clin. Psychol., 37/1971

 

[18]Lefcourt & Telegdi, op. cit.

 

[19]Lefcourt & Telegdi, op. cit.

 

[20]Felix, An appraisal of the personality types of the addict, American Journal of Psychiatry, 100/1944

 

[21]Glover, On the etiology of drug addiction (1932), in Glover, On the Early Development of the Mind, New York, International Universities Press, 1956

 

[22]Glover, op. cit.

 

[23]Lavori Preparatori al DSM-III, Diagnostic and Statistical Manual, 3d ed., Washington DC, Americam Psychiatric Association, 1980

 

[24]Clerici & Carta & Cazzullo, Substance Abuse and Psychopatology: a diagnostic screening of italian narcotic addicts, Soc. Psychiatry, 24/1989

 

[25]Nace, Personality disorder in the alcoholic patient, Psych. Annals, 19/1990

 

[26]Arntz & Merckelbach & De Jong, Opioid antagonist affects behavioral effects of exposure in vivo, Journal Consultr Clin. Psychol., 61/1993

 

[27]Zimmerman & Coryell, DSM-III Personality Disorder diagnoses in a non patient sample: demographic correlates and comorbidity, Arch. Gen. Psychiatry, 46/1989

 

[28]Kraepelin, Manic-Depressive Illness and Paranoia. Edinburgh, UK, E&S Livingstone 1921

 

[29]Skodol & Oldham & Gallagher, Axis II comorbidity of substance abuse disorders among patients referred for treatment of personality disorders, American Journal of Psychiatry, 156/1999

 

[30]Arntz & Merckelbach & De Jong, op. cit.

 

[31]Yates & Fulton & Gabel & Brass, Personality risk factors for cocaine abusers. Am. Journal Public Health, 79/1989

 

[32]Kosten & Rounsaville & Kleber, DSM-III Personality Disorders in opiate addicts, Compr. Psychiatry, 23/1982

 

[33]Dulit & Fyer & Haas & Sullivan & Frances, Substance use in Borderline Personality Disorders, American Journal of Psychiatry, 147/1990

 

[34]Grande & Wolf & Schubert, Association among alcoholism, drug use and antisocial personality: a review of the literature, Psychological Report, 55/1984

 

[35]Kessler & McGonagle & Zhao & Nelson & Hughes & Eshleman, Lifetime and 12-month prevalence of DSM-III-R psychiatric disorders in the United States: Results from the National Comorbidity study, Arch. General Psychiatry, 51/1994

 

[36]Luthar & Anton & Merinkangas & Rounsaville, Vulnerability to substance abuse and psychopathology among siblings of opioid abusers, Journal Nerv. Mental Disorders, 180/1992

 

[37]Ross & Glasser & Germanson, The prevalence of psychiatric disorders in patients with alcohol and other drug problems, Arch. General of Psychiatry, 45/1988

 

[38]Bellodi & Battaglia & Migone, Disturbo di Personalità Antisociale, Masson, Milano, 1993

 

[39]Zanarini & Gunderson & Fraenkenberg, Axis II phenomenology of Borderline Personality Disorder, Compr. Psychiatry, 30/1989

 

[40]Altermann & Gerstley & Strohmez & McKay, Psychiatric Heterogeneity in antisocial alcoholics: relation to familiar alcoholism, Compr. Psychiatry, 32/1991

 

[41]Mehrabian & Reilly, Personality correlates of habitual alcohol use. International Journal of Addiction, 23/1988

 

[42]Luthar & Anton & Merinkangas & Rounsaville, op. cit.

 

[43]Windle, The difficult temperament in adolescence: associations with substance use, family support, and problem behaviors, Journal Clin. Psycol., 47/1991

 

[44]Windle, op. cit.

 

[45]Bernstein & Cohen & Skodol & Beziganian & Brook, Childhood antecedents of adolescent personality disorders, American Journal of Psychiatry, 153/1996

 

[46]Atkinson & Schuckit, Geriatric alcohol and drug misuse and abuse. Adv. Substances Abuse, 3/1983