Adolescenza e criminologia

Adolescenza e Criminologia
Adolescenza e Criminologia

Adolescenza e criminologia

 

L'interpretazione criminologica dell'adolescenza

Nella Dottrina italiofona, molti Dottrinari preferiscono non fornire definizioni onnicomprensive e meta-geografiche del lemma “adolescenza”. P.e., Palmieri (2013)[1] puntualizza che “l'adolescenza evoca in modo immediato l'idea di complessità. Questa può essere ricondotta alle molteplici rappresentazioni e teorie, spesso divergenti, che sono state formulate nel corso dei decenni: biologiche, psicologiche, cognitive, culturali e sociali […] [Bisogna] riportare l'attenzione sugli adolescenti non come oggetti di un discorso e racchiusi dentro una certa categoria sociale, bensì come soggetti abitanti di un mondo preparato dagli adulti, ma che gli stessi adulti faticano a riconoscere”. Chi redige concorda sulla predetta impossibilità di rinvenire una qualificazione universale dell'adolescenza, soprattutto perché, anche negli Anni Duemila, esistono società economicamente poco sviluppate nelle quali non esiste la fase adolescenziale e l'infante viene da subito introdotto nel mondo adulto, come dimostra la maturità precoce dei/delle ragazzi/e di etnia rom. Tale è pure il parere di Ammaniti (2018)[2], che, anziché definire l'età dell'adolescenza, afferma, in modo franco e diretto, che “[occorre spostare l'attenzione dai vari tentativi di teorizzazione e rappresentazione dell'adolescenza all'importanza di rinnovare lo sguardo su di essa, per poter comprendere le molte adolescenze”. Di nuovo, dunque, la Criminologia italiofona non insiste su problemi definitori inadeguati ed inevitabilmente parziali, in tanto in quanto ciascun ultra-13enne reca peculiarità personali non generalizzabili.

Similmente, Barone (2009)[3] invita il Criminologo ad adoperare “uno sguardo che sia capace di leggere l'adolescenza come un sistema complesso di mutazione”. Anzi, in maniera ancor più esplicita, Barone (2019)[4] evita di perdersi in analisi meta-temporali e meta-geografiche, nel senso che, nella pratica quotidiana, definire è superfluo, giacché “[l'adolescenza] è caratterizzata da momenti cruciali che istituiscono le basi per diventare adulti; tutto ciò implica il porre l'attenzione non sul che cos'è l'adolescenza, bensì su quali sono i modi di fare esperienza di adolescenza nella realtà contemporanea”. Nuovamente, si assiste ad un approccio empirico assai pragmatico ove non v'è spazio per elucubrazioni intellettualoidi generiche e prive di un effettivo riscontro pedagogico. Con lodevole pertinenza, Lutte (1986)[5] asserisce che “oggi, l'adolescenza è considerata da alcuni Autori come una costruzione culturale e sociale, poiché derivante dalle trasformazioni della società e dalle metamorfosi culturali del Novecento”. In effetti, Lutte (ibidem)[6] coglie nel segno, poiché, ai tempi della civiltà rurale pre-novecentesca, l'ultra-13enne non sperimentava alcuna età adolescenziale, il che vale tutt'oggi negli Ordinamenti sociali dell'Africa o del Sudamerica.

Quindi, si comprende agevolmente che l'adolescenza, specialmente in Occidente, non è una variabile fisiologica, ma sociologica. Tale impostazione anti-biologista è condivisa pure da Savage (2007/2012)[7], secondo il quale “alcune principali teorie che si sono susseguite nel corso del XX Secolo hanno favorito la nascita e lo sviluppo del costrutto dell'adolescenza, spesso facendo di questa un oggetto di teorizzazioni soprattutto di stampo universalistico”. Come si può notare, anche Savage (ibidem/ibidem)[8] mette in risalto che l'età adolescenziale costituisce una struttura socio-psicologica connessa al bambino-consumatore e prescindente da variabili psico-fisiche necessarie ed incontrovertibili. Essere adolescente è una condizione imposta dalle società capitalistiche, le quali alimentano bisogni che, sino alla prima metà del Novecento, non erano nemmeno immaginabili. Entro questa ottica non biologistica si colloca pure Ammaniti (ibidem)[9], a parere del quale “l'interesse verso l'adolescenza come oggetto di studio è abbastanza recente. E', infatti, a partire dalla fine del XIX Secolo che, nelle società occidentali, l'adolescenza inizia ad essere considerata come una fase della vita distinta da quella infantile e adulta”. Ancora una volta, nella Dottrina criminologica, si percepisce l'età adolescenziale alla stregua di una sovra-struttura non fisica o psichica, bensì sociale.

In Europa e, ancor di più, negli USA, la collettività teledipendente ha deciso di prolungare l'epoca del consumo infantile di beni fittiziamente qualificati come “di prima necessità”; il che, viceversa, non è accaduto nei sistemi sociali meno abbienti. P.e., l'età del matrimonio è stata rinviata, in Occidente, nel nome di una prolungata scolarizzazione che ritarda la responsabilità genitoriale, ma che, specularmente, alimenta i consumi non primari. Ora, l'artificiosità ad eziologia sociologica dell'adolescenza è magistralmente ribadita pure da Bruzzone (2018)[10], la quale nota che “[l'origine dell'adolescenza] va rintracciata nei profondi mutamenti economici e sociali che interessarono [il Novecento] e, di conseguenza, nel miglioramento delle condizioni di vita della classe lavoratrice. Infatti, proprio tale condizione di maggiore agio, la regolamentazione e, poi, l'abolizione del lavoro minorile e l'istituzione dell'istruzione obbligatoria (scolarizzazione di massa) nelle società occidentali permisero l'interruzione del brusco passaggio dalla condizione di bambino a quella di adulto (età in cui ci si poteva dedicare all'attività lavorativa e/o familiare, prevista dalla propria classe sociale) e, dunque, la scoperta dell'adolescenza”. Nuovamente e giustamente, Bruzzone (ibidem)[11] rimarca l'eziologia socio-consumistica e non bio-psichica dell'adolescenza, che, come pocanzi ricordato, è un “costrutto sociologico” non necessariamente presente in tutte le società. In effetti, anche in epoca contemporanea, le regioni globali maggiormente povere non conoscono alcuna “età di mezzo” tra l'infanzia e l'adultità. All'inverso, in Europa e nel Nordamerica, i mezzi di comunicazione di massa hanno voluto generare un periodo intermedio nel quale far proseguire esigenze di acquisto non strettamente necessarie.

Ciò vale pure nell'ambito della sessualità non riproduttiva. Infatti, in epoca contemporanea, l'erotismo giovanile di matrice ludico-ricreativa è innestato anch'esso all'interno di un circuito commerciale che vede protagonista l'adolescente. Al contrario, nella prima metà del Novecento, l'esercizio della sessualità era connesso solamente ad una meno dispendiosa genitorialità, che, peraltro segnava la fine totale dell'età infantile. P.e., si ponga mente al ricco mercato della contraccezione indirizzato agli adolescenti. Analoga osservazione vale pure per le strutture e le sovra-strutture dedicate alle coppie etero-sessuali in età post-puberale. Tutto ruota attorno a necessità commerciali di tipo non primario.

 

L'adolescenza nelle Teorie criminologiche del Novecento e degli Anni Duemila

Nella Dottrina statunitense del Novecento, Hall (1904)[12] è stato il primo ad esaminare la problematica dell'adolescenza, soffermandosi, in particolar modo, sui temi dell'analisi antropologica, sociologica, sessuologica, criminologica, religiosa e pedagogica. Da subito, va, tuttavia, notato che il testé menzionato Autore era molto influenzato dal biologismo determinista di Lombroso e dei suoi seguaci. D'altra parte, anche il meno noto Haeckel presentava l'età dello sviluppo umano in chiave darwiniana, ossia senza distinzione tra l'uomo e gli “altri” animali meno evoluti. Più specificamente, Hall (ibidem)[13] “animalizzava” il giovane, sostenendo che “nello sviluppo psicologico di una persona si ripetono le varie fasi dell'evoluzione della specie umana […]. L'adolescenza è un qualcosa che va oltre la definizione di pubertà, soprattutto negli aspetti emotivi […]. l'adolescenza va considerata come una nuova nascita in cui hanno origine i tratti umani più completi. Le qualità del corpo e dell'anima che emergono sono di gran lunga le più nuove”.

Chi scrive non concorda con siffatta degradazione dell'adolescente al livello di un essere semi-bestiale che si distinguerebbe solamente per via del possesso di un linguaggio interpersonale maggiormente evoluto. In effetti, anche Cambi (2018)[14] nega l'animalizzazione interpretativa dell'ultra-13enne e specifica che “con l'adolescenza avviene un totale rinnovamento di tutti gli aspetti della mente e della personalità del soggetto, e il mondo appare a lui strano e nuovo”. Dunque, nella Criminologia post-lombrosiana, viene, finalmente, rigettato quel positivismo estremista dei primi del Novecento e viene riconosciuto il libero arbitrio dell'individuo durante l'età dello sviluppo, giacché non sussiste, nella pratica, alcuna “tara ereditaria” in grado di scemare grandemente la capacità d'intendere e di volere del/della giovane.

Entro tale medesima ottica anti-deterministica ed anti-eugenetica si colloca pure Fass (2016)[15], secondo cui “l'adolescente, rispetto al bambino, non è più tanto interessato al mondo esterno, quanto, piuttosto, egli è proteso a sviluppare una vita interiore, grazie ad una maturata capacità di introspezione”. Tuttavia, Hall (ibidem)[16] non cade in errore allorquando mette in evidenza che l'ultra-13enne patisce un notevole stress pedagogico, in tanto in quanto “il passaggio dall'infanzia all'adolescenza, che fa apparire il mondo diverso da com'era prima, avviene in maniera drammatica, il che rende quest'ultima una fase della vita caratterizzata da tensioni spesso contrastanti e contraddittorie”. Ciò che Hall (ibidem)[17] definisce come “storm and stress” è percepito dalle agenzie di controllo, perlomeno se esse sono funzionali; in special modo, la famiglia e la scuola sono tenute a gestire lo stress educativo, ma, in epoca contemporanea, il nucleo familiare tende a delegare questo compito ad enti esterni di tipo non domestico. Similmente, in forma chiara e schietta, lo “Sturm und Drang” giovanile è descritto molto bene da Palmonari (1993/2011)[18], il quale afferma che l'adolescenza è “l'età delle tempeste emozionali, degli innamoramenti irrazionali e degli odi ciechi, delle prese di posizione estremistiche, della fiducia smisurata nelle proprie forze e della disperazione per i propri limiti, della voracità intellettuale e sentimentale, e della rinuncia romantica sino all'auto-distruzione, dei continui conflitti con i genitori e della propensione al rischio”. Tuttavia, va notato che Palmonari (ibidem)[19], a differenza di Lombroso e dei lombrosiani, non nega la “umanizzazione” dell'adolescente, che non è ridotto ad una serie di secrezioni ormonali.

All'opposto, anche negli Ani Duemila, l'approccio meramente neuro-scientifico si limita ad una lettura psico-forense fuorviante, ove l'analisi delle devianze giovanili è percepita come lo studio di una serie di patologie mentali indelebili ed inevitabili. Altrettanto rigettabile è la posizione di Ariès (1960/1968)[20], il quale postula, nell'ultra-13enne, la cogenza matematica di “fattori psicologici geneticamente [pre]determinati […] che non risentono affatto delle variabili ambientali e culturali”. Si tratta, anche in questo caso, di un approccio profondamente erroneo, poiché esso riconduce il soggetto ad una presunta animalità perennemente escludente la capacità d'intendere e di volere dell'adolescente. L'individuo in fase evolutiva viene ridotto, nelle Dottrine positivistiche, ad un semi-deviante affetto da malattie  comunque e sempre invalidanti. Tale è pure la via scelta dall'aberrante eugenetica nazista degli Anni Venti e Trenta del Novecento.

Provvidenzialmente, sempre nel XX Secolo, la statunitense Mead (1928/1964)[21] rigettò l'interpretazione patologico- deterministica degli altri Autori, grazie ad un censimento criminologico avente ad oggetto le ultra-13enni dell'isola Tau, nell'arcipelago di Samoa. Più nel dettaglio, Mead (ibidem)[22] notava che “la cultura svolge un ruolo centrale nei cambiamenti che avvengono in adolescenza. Gli abitanti di Tao, infatti, ricevono, sin da bambini, un'educazione alla sessualità ed alla relazioni sociali e di gruppo molto diversa da quella delle società occidentali, come quella degli USA […] L'adolescente è preparato a ricevere maggiori responsabilità rispetto al bambino, ma non ad ottenere vlo status di adulto, ossia ad essere riconosciuto tale dalla società […] In questo modo l'adolescenza [a Samoa] è un periodo di transizione, tanto a livello culturale quanto a livello fisiologico, [ma] l'essere stati preparati a questo fin dalla prima età consente un passaggio non caratterizzato, necessariamente, da tensioni e turbamenti”. A parere di chi commenta, a prescindere dalla presunta natura paradisiaca dell'isola di Tao, Mead (ibidem)[23] ha avuto il merito di negare qualunque approccio eugenetico e di rimettere in primo piano il ruolo pedagogico delle agenzie di controllo. Le devianze dell'adolescente, dunque, hanno un'eziologia cultural-educativa e non genetica. Il ragazzo in età evolutiva è figlio del proprio ambiente familiare, scolastico, valoriale ed abitativo. A tal proposito, Barone (2019)[24] ha rimarcato che “il lavoro di Mead […] ha rappresentato un importante cambio di sguardo sull'adolescenza, avendo posto in primo piano la stretta dipendenza tra la forma e la durata dell'adolescenza e la cultura nella quale questo fenomeno si situa”.

P.e., Mead (ibidem)[25] manifesta una posizione definibile come “basagliana” quando sostiene che “dobbiamo rivolgere tutti i nostri sforzi a preparare i ragazzi per le scelte che dovranno affrontare. L'educazione, invece di essere la difesa di un sistema, il tentativo disperato di formare una particolare mentalità che resista a tutte le influenze dal di fuori, dev'essere una preparazione proprio per quelle influenze. Ai bambini si deve insegnare a saper pensare e non ciò che devono pensare”.

Tra la fine dell'Ottocento e l'inizio del Novecento, il disagio adolescenziale iniziò ad essere interpretato anche in chiave psicanalitica. Secondo l'analisi di Freud, riproposta da Palmonari (ibidem)[26], “la pubertà è la ricapitolazione del periodo sessuale infantile, che può essere considerato come l'inizio della vita sessuale […]. Durante questo momento di ricapitolazione, nasce un conflitto tra l'Es, particolarmente potente, e un Io ancora relativamente debole. Nella lotta nel frenare gli impulsi istintivi sessuali (condizionati dal processo fisiologico della pubertà), l'Io, rafforzato durante il periodo di latenza insieme al Super-Io, si oppone in maniera rigida, attuando dei meccanismi di difesa”. A parere di chi redige, le analisi di matrice psicanalitica non sono totalmente fuorvianti; ciononostante, va evidenziato che l'istintività erotica, benché inevitabile, non costituisce un ambito psico-criminologico assoluto ed assolutizzante. Ciò detto, ognimmodo, è innegabile che lo sviluppo sessuale del/della adolescente riveste un ruolo primario e veicola nel giovane energie psichiche assai potenti.

A tal proposito, Pellizzari (2010)[27] precisa che l'erotismo adolescenziale, se non auto-controllato, reca a “ eccessi istintuali, solitudine […] ed a-socialità […] [perché] l'adolescenza è una fase di tumulto in cui l'individuo è scombussolato dalle forze provenienti dal risveglio del mondo pulsionale [che è], allo stesso tempo, soggetto al controllo dell'Io, che intensifica l'impegno nel controllare queste forze”. E' evidente, nella Letteratura d'impronta psicanalitica,  che una sessualizzazione dell'ultra-13enne non guidata e moderata dalle agenzie di controllo reca, nella giovane donna, ad un erotismo sfrenato ed auto-distruttivo, mentre, nel maschio, un esercizio abnorme della sessualità cagiona devianze aggressive etero-lesive. Negli Anni Duemila, la pornografia, liberamente consultabile via Internet, ha acuito la gravità del mancato contenimento degli impulsi, con conseguenze catastrofiche sotto il profilo pedagogico. Degni di menzione sono pure Benesayag & Schmit (2004)[28], per i quali, sempre all'interno di una prospettiva psicanalitica, molto dipende dalla variabile personale del “carattere [che è] un aspetto della personalità che modella le risposte di ogni individuo agli stimoli che provengono sia dall'ambiente sia dal sé”. E' basilare questa attenzione alla ratio del “carattere”, ovverosia ciascun adolescente fornisce all'Es risposte specifiche e non standardizzabili.

Dunque, di nuovo, parlare di un “carattere” individuale significa che ogni ultra-13enne merita un'analisi differenziata, in tanto in quanto ogni adolescente vive la propria sessualizzazione in modo specifico ed irripetibile. Viceversa, Lombroso e Ferri “bestializzavano” il soggetto presumendo reazioni predeterminate dal punto di vista psico-biologico. Interessante è pure Ammaniti (ibidem)[29], che differenzia tre fasi distinte nel percorso pedagogico, ossia “l'adolescenza è un percorso dinamico, caratterizzato da fasi temporali specifiche, ovvero: la prima adolescenza, durante la quale ci si confronta con i cambiamenti del corpo e con la maturazione sessuale; l'adolescenza vera e propria, quando avviene il distacco psicologico dal mondo familiare; la tarda adolescenza, in cui si determinano le scelte e gli orientamenti personali sulla base di identificazioni mature. Al termine di questo percorso, il carattere del soggetto acquisisce una struttura stabile, grazie al superamento di alcune sfide evolutive”. Quanto asserito da Ammaniti (ibidem)[30] è vero, in particolar modo, per le adolescenti femmine, la cui sessualizzazione precoce, indotta dai mass-media, rischia di provocare conseguenze drammatiche, come dimostra la notevole frequenza odierna dei disturbi alimentari e dell'udo di alcol e di stupefacenti presso le ragazze in età adolescenziale. Nuovamente, ciò che manca è una costante supervisione delle tre agenzie di controllo di base, ossia la famiglia, la scuola ed il gruppo religioso di appartenenza. Esistono troppi modelli televisivi e online che inducono l'adolescente ad una sessualità disinibita e ludico-ricreativa, il che costituisce il prodromo di condotte auto-distruttive nel lungo periodo. In ogni caso, è sempre necessario moderare le interpretazioni psicanalitiche, che, come notato da Barone (2009)[31] “hanno anche supportato lo sviluppo di un'interpretazione eccessivamente patologizzante dell'adolescenza”. In effetti, esiste, anche negli Anni Duemila, la tendenza ad una visione neuroscientifica della pubertà, la quale presenta il ragazzo come un soggetto affetto da secrezioni ormonali disfunzionali. La psichiatria contemporanea insiste eccessivamente su un'analisi psico-patologica di esuberanze adolescenziali perfettamente normali in un individuo non ancora totalmente formato.

D'altra parte, anche Erikson (in Palmonari, ibidem)[32] contesta la “patologizzazione” tassativa e deterministica dell'adolescente, poiché “lo sviluppo umano è una continua ricerca di integrazione tra la maturazione biologica e l'appartenenza al sistema sociale, il che costituisce l'unicità di ogni soggetto”. Come si può notare, Erikson (ibidem)[33] invita il Criminologo a non ipostatizzare quella psichiatria onnipresente ed onnipotente che postula la costante, algebrica, ossessiva presenza di patologie mentali in capo al deviante. L'esuberanza dell'ultra-13enne è fisiologica e  non integra necessariamente gli estremi della malattia psichica. La Dottrina deve abbandonare l'immagine dell'adolescente perennemente (semi)infermo e non responsabile delle proprie intemperanze. Erikson (ibidem)[34] sostiene che, nella vita umana, sono perfettamente normali “periodi critici dello sviluppo che determinano un conflitto, il quale dev'essere risolto per poter accedere agli altri stadi [evolutivi]”. Del pari, Barone (2009)[35] parla dell'adolescenza non come di una fase deterministicamente patologica, bensì come di “un periodo di ricerca e di costruzione della propria identità, grazie a varie sperimentazioni ed esplorazioni”. Anche a parere di chi scrive, va abbandonato l'approccio dogmatico delle neuroscienze, che, in maniera apodittica, presentano qualunque individuo alla stregua di un animale evoluto da curare e da reputare tassativamente incapace di intendere e di volere. P.e., negli USA, la Dottrina psichiatrica tende a patologizzare l'ultra-13enne, soprattutto allorquando egli pone in essere infrazioni anti-giuridiche; il risultato è quello di reputare la società intera come un grande ospedale a cielo aperto ove l'infrattività viene confusa con la anormalità psichica. Sicché, anche in ambito carcerario, la cura medica dell'ultra-13enne viene ad essere più importante della rieducazione e della risocializzazione.

 

Altri pareri dottrinari

Lo statunitense Havighurst (1952)[36] postula che l'adolescenza altro non è che lo svolgimento necessario di un “compito di sviluppo che l'individuo deve affrontare. Esso è il presupposto di una crescita sana e soddisfacente della nostra società […] Un compito di sviluppo è un compito che si presenta in un determinato periodo della vita di un individuo e la cui buona risoluzione conduce alla felicità ed al successo nell'affrontare i problemi successivi, mentre il fallimento di fronte ad esso conduce all'infelicità, alla disapprovazione da parte della società ed a difficoltà di fronte ai compiti che si presentano di seguito. Da notare, in Havighurst (ibidem)[37], è l'approccio dinamico-sociale all'adolescenza; tale interpretazione eminentemente sociologica dell'età dello sviluppo deve sempre prevalere sulle teorie deterministiche e neuroscientifiche, che riducono l'ultra-13enne ad un individuo il cui cervello secerne ormoni sbagliati. L'adolescenza, a differenza di quanto affermato dai lombrosiani contemporanei, non è un problema psico-patologico, bensì socio-pedagogico. Vanno condannate quelle posizioni eugenetiche nelle quali prevale sempre una medicina onnipotente che attribuisce a qualunque soggetto una perenne infermità o semi-infermità mentale. L'ultra-13enne va educato, non curato. Anche Palmonari (ibidem)[38] concorda con Havighurst (ibidem)[39] e precisa che “[è importante] l'influenza delle aspettative sociali circa le competenze che un soggetto deve avere in base ad uno specifico stadio di sviluppo. Esse, se non soddisfatte, hanno delle ripercussioni sul benessere [psichico, ndr] dello stesso soggetto. Infatti, […] molteplici sono i compiti che si susseguono nella vita di ciascun individuo, i quali devono essere risolti in tempi opportuni [poiché] sono socialmente attesi. [Sono compiti] socio-culturalmente stabiliti, come , per esempio, l'imparare ad essere cittadini responsabili”.

Quello che più conta, nella summenzionata analisi di Palmonari (ibidem)[40] è il fatto che i “compiti di sviluppo” non recano una base bio-psichica, bensì socio-culturale. Pertanto, l'adolescente, di nuovo, viene sottratto ad una psichiatria ipertrofica ed apodittica che estremizza ed assolutizza la ratio della “malattia mentale”. L'adolescenza viene ad essere concepita alla stregua di un passaggio socialmente condizionato e non necessariamente e tassativamente “patologico”. All'opposto, negli Anni Duemila, la medicina forense mette ossessivamente in dubbio la “capacità d'intendere e di volere” dell'ultra-13enne. Dunque, la devianza è percepita come una patologia e non come un incidente di percorso. La dimensione culturale dell'essere adolescenti, in Palmonari (ibidem)[41], è qualificata come “determinata dalle richieste sociali”; quindi, quel che accade no che, perlomeno, dovrebbe accadere dopo la pubertà non si risolve in una mera serie di cambiamenti psico-fisiologici o, peggio, psico-patologici. Addirittura, il predetto Havighurst (ibidem)[42] giunge ad elencare espressamente un elenco dei “compiti di sviluppo”, ma si tratta sempre e comunque di modificazioni “socialmente determinate” in maniera non automatica e non eugenetica. Analogamente, Barone (2009)[43] asserisce che l'adolescenza “è un intreccio tra le componenti sociali e culturali e [non solo, ndr] quelle biologiche e personali [...]”.

Ecco un'altra riconferma della natura profondamente sociale e dinamica dello sviluppo, che non è solo una questione fisica e statica. Tuttavia, può anche darsi che il/la giovane non corrisponda a queste istanze sociali. P.e., Galimberti (2007/2008)[44] evidenzia, giustamente, che “i compiti di sviluppo non sono difficoltà che esistono per ogni adolescente, sempre uguali ed inevitabili. Bensì si definiscono nel rapporto tra l'individuo, la sua appartenenza sociale e l'ambiente in cui è inserito: in certe condizioni sono numerosi, ma possono essere affrontati senza drammi; in altre, appaiono particolarmente difficili, creando frustrazioni, angoscia, senso di impotenza, che portano irrequietezza, aggressività e, al limite, apatia”. Detto ciò, a parere di chi commenta, rimane comunque fondamentale, in Dottrina, il rigetto dell'assolutizzante ed onnipotente determinismo fisiologico di Lombroso. P.e., Bauman (2001/2002)[45] ribadisce che “sono fondamentali le variabili sociali e culturali nella definizione di una teoria [corretta, ndr] dell'adolescenza”. Come si nota, pure tale Autore non estremizza la lettura neuroscientifica della pubertà, né, tantomeno, cita categorie psico-patologiche che concepiscono l'ultra-13enne come un portatore costante di malattie mentali. Anche Barone (2009)[46] rigetta espressamente “modelli psicologici patologizzanti, che sono, tuttavia, ancor oggi molto diffusi”. In buona sostanza, un conto è il disagio giovanile, un altro conto è la categoria dell'infermità mentale.


[1]Palmieri, Disagio e quotidianità, in Palmieri (a cura di), Crisi sociale e disagio educativo. Spunti di ricerca pedagogica, Franco Angeli, Milano, 2013

 

[2]Ammaniti, Adolescenti senza tempo, Cortina, Milano, 2018

 

[3]Barone, Pedagogia dell'adolescenza, Guerini, Milano, 2009

 

[4]Idem, Gli anni stretti. L'adolescenza tra presente e futuro. Franco Angeli, Milano, 2019

 

[5]Lutte, Psicologia degli adolescenti e dei giovani, Il Mulino, Bologna, 1986

 

[6]Lutte, op. cit.

 

[7]Savage, L'invenzione dei giovani, Trad. italiana Feltrinelli, Milano, 2007/2012

 

[8]Savage, op. cit.

 

[9]Ammaniti, op. cit.

 

[10]Bruzzone, Vite di flusso. Fare esperienza di adolescenza nell'epoca post-moderna, in Barone (a cura di), Vite di flusso. Fare esperienza di adolescenza oggi, Franco Angeli, Milano, 2018

 

[11]Bruzzone, op. cit.

 

[12]Hall, Adolescence: its psychology and the relation to physiology, anthropology, sociology, sex, crime, religion and education, Apleton, New York, 1904

 

[13]Hall, op. cit.

 

[14]Cambi, Prefazione, in Mancaniello, Per una pedagogia dell'adolescenza. Società complessa e paesaggi della metamorfosi identitaria. Pensa Multi Media, Lecce, 2018

 

[15]Fass, The end of American Childhood. Princeton University Press, Princeton-Oxford, 2016

 

[16]Hall, op. cit.

 

[17]Hall, op. cit.

 

[18]Palmonari, Psicologia dell'adolescenza, Il Mulino, Bologna, 1993/2011

 

[19]Palmonari, op. cit.

 

[20]Ariès, Padri e figli nell'Europa medievale e moderna, Traduzione italiana Laterza, Roma-Bari, 1960/1968

 

[21]Mead, L'adolescenza in Samoa, Traduzione italiana Giunti, Firenze, 1928/1964

 

[22]Mead, op. cit.

 

[23]Mead, op. cit.

 

[24]Barone (2019), op. cit.

 

[25]Mead, op. cit.

 

[26]Palmonari, op. cit.

 

[27]Pellizzari, La seconda nascita. Fenomenologia dell'adolescenza, Franco Angeli, Milano, 2010

 

[28]Benesayag & Schmit, l'epoca delle passioni tristi, Traduzione italiana Feltrinelli, Milano, 2004

 

[29]Ammaniti, op. cit.

 

[30]Ammaniti, op. cit.

 

[31]Barone (2009), op. cit.

 

[32]Erikson, in Palmonari, op. cit.

 

[33]Erikson, op. cit.

 

[34]Erikson, op. cit.

 

[35]Barone (2009), op. cit.

 

[36]Havighurst, Development Tasks and Education, David McKay, New York, 1952

 

[37]Havighurst, op. cit.

 

[38]Palmonari, op. cit.

 

[39]Havighurst, op. cit.

 

[40]Palmonari, op. cit.

 

[41]Palmonari, op. cit.

 

[42]Havighurst, op. cit.

 

[43]Barone (2009), op. cit.

 

[44]Galimberti, L'ospite inquietante. Il nichilismo e i giovani, Feltrinelli, Milano, 2007/2008

 

[45]Bauman, La società individualizzata. Come cambia la nostra esperienza. Traduzione italiana Il Mulino, Bologna, 2001/2002

 

[46]Barone (2009), op. cit.