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Recidiva: sbagliata l’applicazione per la sola presenza di precedenti penali

Nota a Cassazione penale sez. III, 14/03/2019 (dep. 12/04/2019), n.16047
recidiva
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Il caso

La Corte di Cassazione interviene ancora una volta su una questione di stretta attualità per chi ha a che fare quotidianamente con procedimenti penali, ossia delineare in termini corretti quanto e come deve essere riconosciuta la recidiva.

Nel caso di specie, il difensore ricorre avverso sentenza di condanna che applicava l’aumento di pena per la recidiva reiterata specifica, lamentando, per quanto qui a noi interessa, la violazione dell’articolo 99 Codice Penale, stante l’illogicità e la contraddittorietà della motivazione, nella parte in cui il Collegio non avrebbe operato un concreto accertamento sul fatto costituente oggetto del procedimento ed una verifica in merito ad elementi, in fatto ed in diritto, su cui individuare una maggior pericolosità sociale tale da giustificare l’aumento di pena per l’effetto della recidiva, applicando sic et simpliciter l’aumento della pena.

La Corte d’Appello aveva infatti motivato il riconoscimento della recidiva per la presenza di precedenti penali, ritenendo corretta la definizione del Giudice di primo grado, che li aveva ritenuti indice ed espressione di una maggior pericolosità.

 

La soluzione giuridica della Cassazione

La III Sezione della Suprema Corte, accogliendo il ricorso, ripercorre quella che è stata l’evoluzione giurisprudenziale più recente, partendo da un principio, ossia che ai fini del riconoscimento della sussistenza della recidiva, non è sufficiente indicare la mera presenza di pregresse sentenze di condanna.

In primis, la Corte riprende quanto nel 2011 le SS.UU. avevano enunciato (sentenza n. 20798 del 24.02.2011). Quella decisione evidenziava che il giudizio sulla recidiva ex articolo 99 Codice Penale non riguarda l’astratta pericolosità della commissione di nuovi reati, in presenza di precedenti condanne per delitti non colposi; è necessaria una attenta valutazione della gravità dell’illecito commesso in relazione alla maggior attitudine a delinquere manifestata dal reo, nonché la valutazione sulla continuità con le precedenti condanne. Solo così è giustificato un maggior intervento punitivo da parte del giudicante.

Secondo la pronuncia in commento, va da sé che l’applicazione dell’aumento di pena, per la sola presenza di precedenti condanne, anche alla luce della dichiarazione di legittimità costituzionale dell’articolo 99 comma 5 Codice Penale con la sentenza della Corte Costituzionale n. 185/2015 (nella parte in cui “impone” al Giudice l’aumento di pena escludendo discrezionalità) sia motivo di censure, anche perché, se si sposasse la tesi opposta, il giudicante verrebbe “spogliato” dalla discrezione ex articolo 133 Codice Penale

La sentenza evidenzia altresì che, tra gli elementi da tenere in considerazione per i motivi di cui sopra, vi è anche l’eventuale lasso di tempo trascorso tra le pregresse fattispecie e quella attualmente giudicata, certamente indice di una relazione qualificata.

Proseguendo, in motivazione viene indicato che già precedentemente la III Sezione si era espressa in questi termini (sentenza n. 33299 del 16.11.2016), in quanto la valutazione ex articolo 133 Codice Penale operata dal giudice dovrà fondarsi su un dato criminologico, ossia se, ed in quale misura, la pregressa condotta delittuosa dimostri una inclinazione a delinquere ed in che modo abbia influenzato la condotta oggi giudicata.

Tutto ciò al fine ultimo di verificare (con conseguente riscontro nella motivazione) se tra le pregresse condotte e quella sub iudice vi sia un legame tale da giustificare una maggior severità nella commisurazione della pena.

 

Conclusioni

Come detto, la III Sezione della Suprema Corte si pone in conformità con l’orientamento delle Sezioni Unite e di altre pronunce a seguire.

Ed infatti, la giurisprudenza di legittimità dal 2010 in poi (e quindi post riforma del 2005) si è sempre orientata verso un divieto di applicazione della recidiva per il solo fatto sic et simpliciter della presenza di precedenti condanne per delitti non colposi.

Si è visto come la Cassazione sia sempre intervenuta accogliendo i ricorsi quando il giudice di merito aveva omesso una motivata disamina sul collegamento tra le pregresse condotte e quella attualmente giudicata. Si è visto altresì che non sono mancati annullamenti di sentenza nelle quali veniva riconosciuta la recidiva per la sola presenza di diverse (anche alle volte numerose) precedenti condanne definitive.

Questo indirizzo è condiviso dalla Corte Costituzionale quando, come noto, con la sentenza n. 185 del 2015 ha ritenuto incostituzionale l’obbligo in capo al giudice di applicare l’aumento di pena in determinare situazioni, senza alcun margine di valutazione e discrezione.

Va da sé che questo principio trova fondamenta proprio in una valutazione costituzionalmente orientata, non solo perché altrimenti si spoglierebbe il giudice di quei poteri discrezionali conferiti agli organi giudiziari dalla Costituzione, ma anche e soprattutto perché l’applicazione per la sola presenza di precedenti, e quindi senza vaglio del giudicante, sarebbe in violazione degli articoli 3, 111 della Costituzione, in quanto creerebbe una ingiustificata disparità nel trattamento sanzionatorio.

Resta da definire quali siano i criteri valutabili per giustificare l’aumento (considerevole in talune situazioni) della pena per l’effetto della recidiva.

La sentenza in commento individua un criterio c.d. temporale tra le condotte. Ciò è certamente apprezzabile, in quanto il decorso del tempo può essere un importante indice di dedizione a delinquere.

Negli anni, dottrina e giurisprudenza hanno individuato elementi sintomatici, nonostante stabilire a priori criteri affidabili sia estremamente complesso, vista la natura strettamente soggettiva.

Secondo alcuni, le condizioni di vita del soggetto agente possono essere alla base del riconoscimento della recidiva, come anche le condizioni parapatologiche (in particolare in materia di sostanze stupefacenti). Contemporaneamente, la modifica delle condizioni personali, intervenuta in epoca successiva alla pregressa condanna, può essere alla base dell’esclusione della recidiva.

Non mancano interventi dalla dottrina circa il riferimento alla gravità del precedente reato ed alla tipologia della nuova condanna.

Secondo alcuni (su tutti Bianchi), ad esempio, una sentenza di patteggiamento con pena sospesa, intervenuta ad anni di distanza dalla precedente condanna, non necessiterà di aumenti di pena ex articolo 99 Codice Penale, anche per la natura particolarmente premiale.

 

Sentenze conformi:

Cass. Pen., SS.UU, 27.05.2010 (dep. 05.10.2010), n. 35738.

Cass. pen., SS.UU, 24.02.2011 (dep. 24.05.2011), n. 20798.

Cass. pen., Sez. VI, 28.06.2016 (dep. 06.08.2016), n. 34670.

Cass. Pen., Sez. III, 16.11.2016 (dep. 10.07.2016), n. 33299.

Letture consigliate:  

BIANCHI, Sub articolo 99, in Forti - Seminara - Zuccalà, Commentario breve al codice penale, Cedam, 6^ edizione;

PACICH, Il calcolo della pena, Giuffrè, 2015;

FIANDACA – MUSCO, La recidiva, Zanichelli, 7^ edizione, p. 468;

ANTOLISEI, La recidiva, Giuffrè, 1975, p.535.