L'alcolismo cronico nella Criminologia anglofona

L'alcolismo cronico nella Criminologia anglofona
La nozione tossicologico-forense di “craving”
Nella Criminologia e nella Medicina forense europea e nord-americana, il concetto di craving è assai utilizzato, ma manca una definizione tecnica pacifica ed unitaria. A tal proposito, Sitharthan & McGrath (1992)[1] hanno precisato che “il termine craving, inizialmente, era usato dai soggetti dipendenti da sostanze per descrivere una forte ed irrefrenabile voglia di oppiacei che si manifestava durante l'astinenza. Successivamente, esso ha assunto il significato di desiderio di usare qualsiasi sostanza psicotropa, in qualunque situazione”. A parere di chi redige, è utile sottolineare che, anche in Sitharthan & McGrath (ibidem)[2], si postula l'invincibilità del craving, il quale annichilisce qualsivoglia sforzo della volontà dell'individuo uncinato. Interessanti, in tema di bevande alcoliche, sono von Knorring L. & von Knorring A.L. & Smigan & Lindberg & Edholm (1987)[3], secondo cui “in riferimento specificamente al decorso della dipendenza da alcol, possono essere differenziati due tipi di craving. Il craving fisico (non simbolico) che si manifesta in alcolisti che smettono di bere dopo un lungo periodo di consumo eccessivo di alcolici. Questo tipo di craving è per lo più associato a sintomi fisici di tipo astinenziale, come aumento della frequenza cardiaca, sudorazione, nausea, ansietà, agitazione psicomotoria e tremori.
[Esiste poi] il craving psicologico (simbolico) che si manifesta durante l'astensione e spesso conduce alla ricaduta”. Come si nota, in definitiva, la dinamica del craving nell'alcol è molto simile a quella tipica dell'eroina, ove la dipendenza fisica si unisce sempre all'uncinamento psicologico. Infatti, anche nella fattispecie degli oppiacei, la sostanza è mentalmente percepita alla stregua di una risolutoria fuga dalla realtà. Nella vita concreta, il craving è una vera e propria ossessione distruttiva ed invalidante.
P.e., Modell & Glaser & Cyr & Mountz (1992)[4] affermano che “il craving condivide alcune specifiche caratteristiche con il disturbo ossessivo compulsivo (DOC) […]. [Pertanto] la presenza del craving dipende dalla presenza di pensieri ossessivi relativi al bere”. Del pari, pure Anton & Moack & Latham (1995)[5] reputano che il DOC sia l'essenza ontologica del craving negli alcolisti, in tanto in quanto “il comportamento compulsivo che si manifesta nel bere è generato dal tentativo di neutralizzare tali pensieri ossessivi opponendovi delle resistenze”. Dunque, anche nel caso delle bevande alcoliche, il Disturbo da Uso di Sostanza (DUS) è connesso al DOC e, perciò, non possiede, nel DSM-V, una rilevanza assolutamente autonoma, poiché sussistono notevoli elementi di comorbidità psico-patologica. Diversa è l'opinione di taluni altri Dottrinari, che presuppongono un forte “condizionamento ambientale”. P.e., Littleton (1995)[6] asserisce che “il craving è indotto da fenomeni di condizionamento con meccanismi di rinforzo. Quando un individuo ha ricevuto ripetutamente ed in situazioni ambientali simili (bar, ristoranti …) la sensazione di gratificazione che si associa all'assunzione di alcol (rilassamento, euforia, eccitazione …), per un meccanismo di condizionamento classico, si può predire che il soggetto tenderà a ripetere l'esperienza connessa a tali sensazioni positive, in risposta a questi stimoli condizionanti. Così, le situazioni associate al bere, andare al bar, vedersi offerta una bevanda alcolica […] producono un'anticipazione di sensazioni gratificanti simili agli effetti dell'alcol stesso”.
Quindi, è evidente che il “fattore ambientale” delineato da Littleton (ibidem)[7] si manifesta in maniera molto vigorosa sugli alcolisti in età giovanile, ovverosia su quegli assuntori che sono maggiormente fragili di fronte ai condizionamenti del c.d. “gruppo” amicale. Oppure, si ponga mente al ruolo patogeno di certuni locali situati in zone residenziali predisponenti alla devianza. Oppure ancora, l'abuso di alcol è agevolato da “ambienti” nei quali non sono precettive le ordinarie agenzie di controllo. Nell'ultra-13enne, è raro il consumo solitario di bevande alcoliche, giacché l'adolescente è sempre spinto al bere all'interno del gruppo dei pari o in contesti criminogeni quali discoteche, pubs e locali notturni. Sempre con afferenza all'alcolismo cronico, Chutuape & Mitchell & De Wit (1994)[8] parlano di una progressiva “perdita del controllo sul comportamento del bere”. Più nel dettaglio, i tre menzionati Autori hanno censito che il craving “si impara” iniziando da piccole dosi e via via consumando quantità sempre maggiori di etanolo. Dunque, torna la ratio del “condizionamento ambientale”, in tanto in quanto, spesso, la dipendenza psicologica incide più di quella fisica.
P.e., in Chutuape & Mitchell & De Wit (ibidem)[9], anche i pazienti trattati con un placebo manifestavano craving nel lungo periodo, segno che il sistema nervoso centrale non è attinto soltanto dall'uncinamento fisico. Ognimmodo, senza dubbio, come notano Paille & Guelfi & Perkins & Royer & Steru & Parot (1995)[10], “è opinione discretamente condivisa che ci sia una correlazione positiva tra l'intensità del craving e la severità della ricaduta. Ciò è stato anche dimostrato da alcuni studi che valutavano longitudinalmente e prospetticamente l'efficacia di specifiche terapie nella dipendenza da alcol”. Siffatta affermazione, perfettamente condivisibile, nuovamente consente di accostare il craving delle bevande etiliche a quello cagionato dagli oppioidi. In effetti, anche nell'eroino-dipendenza, l'eventuale recidiva ha conseguenze devastanti. All'opposto, O'Malley & Adam & Chang & Schottenfeld & Meyer & Rounsaville (1992)[11] reputano che il craving può essere diminuito, durante la disintossicazione, con farmaci che si sono dimostrati ben efficaci, come l'acamprosato. Chi scrive diffida da una consimile fiducia cieca nella terapia farmacologica, perché la dipendenza mentale non è estirpabile nel breve periodo. Su tale tematica, va apprezzata l'onestà scientifica di Volpicelli & Alterman & Hayashida & O'Brien (1992)[12], i quali diffidano dai presunti miracoli della farmacoterapia e chiariscono, con lodevole sincerità, che “una probabile spiegazione di tali evidenti discrepanze tra studi diversi è che, di fatto, il craving è tutt'ora suscettibile di interpretazioni e misure molto diverse e non standardizzate”. Dunque, manca una definizione tecnica univoca, che non è, al momento, rinvenibile nemmeno nel DSM-V, unica fonte attendibile di definizioni autentiche.
Tale è pure il parere di Sass & Soyka & Mann & Zieglgansberger (1996)[13], per i quali “l'introduzione di nuovi farmaci […] per il trattamento dell'alcolismo, come l'acamprosato, il naltrexone, i serotoninergici ed il GHB, ha accentuato la necessità di reperire nuovi criteri di efficacia di una terapia, oltre alla misura del numero di ricadute. Da qui la necessità di reperire una definizione chiara ed il più possibile univoca del craving [...]”. A parere di chi commenta, il DSM-V è e rimane la sede migliore per l'esplicitazione definitoria del craving. Sino ad ora, si è dimostrata insufficiente la qualificazione tecnica espressa dal National Institute of Alcohol Abuse and Alcoholism (NIAA). Detta Istituzione statunitense si è limitata a denotare che, sotto il profilo sintomatologico, il craving è “uno stato emozionale-motivazionale, un'urgenza appetitiva, come una fame, caratterizzata da sintomi simil-astinenziali. Tale sintomatologia è sollecitata da stimoli interni od esterni che evocano alla memoria gli effetti euforizzanti dell'alcol o il disagio legato all'astinenza” (NIAA, 1989[14]). Né, tantomeno, si sono dimostrate risolutorie le definizioni dottrinarie. Silente, a tal proposito, è purtroppo anche il DSM-V. Gli unici Dottrinari apprezzabili sono stati Modell & Glaser & Cyr & Mountz (ibidem)[15], ai quali va riconosciuto il merito di aver accostato il craving da alcol al DOC. Nella Criminologia europea, da menzionare è la Plinius Maior Society (1994)[16], secondo la quale il craving è “uno stato emozionale e motivazionale caratterizzato da sensazioni soggettive di desiderio o di bisogno di assumere sostanze [anche] alcoliche”.
I profili impulsivo-compulsivi dell'alcolismo (DOC vs. DUS)
E' innegabile che l'alcolismo non occasionale risulta profondamente legato al disturbo ossessivo compulsivo (DOC) ad eziologia ansiosa. L'alcol diviene una vera e propria ossessione traumatofiliaca. P.e. Hollander & Kwon & Stein & Broatch & Clayton & Rowland & Himelein (1996)[17] sostengono che “la compulsività e l'impulsività rappresentano gli estremi di un continuum che va da una tendenza alla sovrastima del pericolo ed all'evitamento del rischio, da un lato, ad una ridotta percezione della pericolosità di determinati comportamenti e ad un'elevata ricerca del pericolo, dal lato opposto. I disturbi compulsivi si caratterizzano, fenomenologicamente, per un'elevata tendenza all'evitamento del pericolo, una spiccata avversione del rischio ed alti livelli di ansia anticipatoria. Questi disturbi includono il disturbo ossessivo compulsivo (DOC), il disturbo da dismorfismo corporeo, l'anoressia nervosa, il disturbo di depersonalizzazione, l'ipocondria e la sidrome di Tourette”. Come si può notare, quindi, l'alcolismo è, a tutti gli effetti, un disturbo da uso di sostanze (DUS) unito quasi sempre ad una personalità fortemente ansiosa e, solitamente, affetta da un grave DOC, che viene placato attraverso l'assunzione di bevande alcoliche.
Anzi, sovente l'alcol-dipendenza s'inserisce in un contesto di poli-tossicomania ove l'alcol è contestualmente mescolato ad altre sostanze, sia leggere sia pesanti, ma ciò che importa, in questa sede, è rimarcare che l'alcolismo reca una frequente comorbidità con il DOC o, ognimmodo, con altre sindromi alla cui base sta un'ingestibile ansia anticipatoria. Sicché, la bevanda alcolica diviene un mezzo di automedicazione alternativa. Liquori, birre e vini rappresentano una sorta di “consolazione” che abbassa il tenore della paura per determinate situazioni quotidiane che il tossicodipendente non sa gestire a causa dell'ansiogenesi ipertrofica. La mancata padronanza sulla realtà che circonda l'alcolizzato è ribadita pure da McElroy & Phillips & Keck (1994)[18], i quali sottolineano anch'essi lo stretto legame tra alcol-dipendenza/ansia anticipatoria/DOC. Più nel dettaglio, questi tre Dottrinari postulano che “la compulsività e l'impulsività possono rappresentare differenti dimensioni psicopatologiche e tali dimensioni si possono intersecare o essere ortogonali l'una con l'altra […].
Anche se i sintomi compulsivi sono generalmente considerati egodistonici, legati ad una sopravvalutazione della minaccia, laddove i sintomi impulsivi sono considerati egosintonici e legati ad una sottovalutazione della minaccia, vi sono numerosi elementi comuni, quali la riduzione dell'ansia, la presenza di risposte perseveranti che ostacolano il raggiungimento di obiettivi e l'effettiva compresenza, in entrambi i tipi di disturbi, di elementi egodistonici ed egosintonici. I disturbi da uso di sostanze (DUS) sono tradizionalmente considerati come manifestazioni di un ridotto controllo degli impulsi “. Pertanto, anche McElroy & Phillips & Keck (ibidem)[19] mettono in evidenza che l'abuso di alcol è, a tutti gli effetti, un DUS ed esso va a sovrapporsi, in regime di comorbidità, ad altre patologie ad eziologia ansiosa, tra cui, massimamente, il DOC, che si esplicita in un'oscillante sopravvalutazione/sottovalutazione del pericolo. Per conseguenza, nell'alcolizzato, manca un ordinario contatto con la realtà circostante e ciò spiega, come in tutti i DUS, la fuga nelle bevande etiliche, che, perlomeno nel breve periodo, tengono sotto controllo gli stimoli dolorosi di tipo ansioso.
Chi commenta intende far notare che, non solo nel caso dell'alcol-dipendenza, l'abuso patologico di sostanze è sempre preceduto, specialmente in età giovanile, da altre devianze mentali, tra cui spiccano il DOC ed il disturbo antisociale di personalità (DAP). In buona sostanza, chi si avvicina al mondo delle droghe e dell'alcol è già portatore di patologie latenti nell'adolescenza. Dunque, un'analisi corretta dei fattori predittori, da parte delle agenzie di controllo, potrebbe evitare o, quantomeno, ridurre il DUS, soprattutto evitando la cronicizzazione dell'ansia anticipatoria in ambito scolastico e familiare. Esiste sempre, infatti, una motivazione psichica che, successivamente, reca l'individuo ansioso ultra-13enne all'extrema ratio della tossicofilia. Del pari, anche Skodol (1989)[20] mette in risalto il nesso pressoché algebrico tra alcolismo e DOC, in tanto in quanto l'alcoldipendente manifesta “una natura compulsiva dell'assunzione della sostanza, che si associa ad un inadeguato controllo dell'uso della sostanza stessa […].
Quindi, i concetti di compulsività ed impulsività si vengono a sovrapporre, o, meglio, a confondere: il comportamento compulsivo può essere visto come una perdita del controllo in relazione all'uso della sostanza o, al contrario, un ridotto controllo degli impulsi si può manifestare con comportamenti compulsivi. Appare necessario […] tentare di definire il contesto fenomenologico del craving tra impulsività e compulsività, tenendo presente che esso può situarsi in ben differenti posizioni dello spettro a seconda della sostanza che ne è l'oggetto” Come si osserva, pure Skodol (ibidem)[21] insiste, giustamente, sulla comorbidità tra dipendenza da alcol e DOC, giacché nessuna tossicomania è priva di uan causa psicopatologica pregressa. Dunque, l'alcolismo e, più latamente, ogni DUS è l'effetto e non la causa di disturbi psichici post-infantili. Tuttavia, chi redige reputa che l'ansia anticipatoria abnorme, se non corretta in età adolescenziale, predispone facilmente all'uso “auto-medicativo” dell'alcol e/o di ogni altra sostanza psicoattiva.
P.e., un sistema scolastico eccessivamente ansiogeno può essere il prodromo di una “fuga” dalla realtà attraverso l'uso di droghe, legali o illegali che esse siano. Parimenti, una famiglia tossica agevola non poco il DUS dopo la fase dell'infanzia. Oppure ancora, l'ansia di essere accettato da un gruppo amicale criminogeno può essere il fattore scatenante di un'alcol-dipendenza. In tutti i casi summenzionati, le agenzie di controllo dovrebbero avere un corretto ruolo preventivo, il che è ben difficile nella caotica società globalizzata e post-industriale. Dal canto suo, il legame tra DOC ed alcol-dipendenza è asserito pure da Tiffany (1990)[22], che, già prima del DSM-V, affermava che “il craving per l'alcol può essere visto come un segnale associato ad un comportamento automatico [di matrice ossessivo-compulsiva, ndr]”.
Interessante è l'approccio neuroscientifico di Edwards & Gross (1976)[23], secondo i quali “il craving [per le bevande alcoliche] esiste ad un livello non cosciente (impulso), con una possibile origine sotto-corticale, [ma] a questo viene a sovrapporsi un craving di origine anche corticale, cognitiva, cosciente, che si manifesta in pensieri persistenti e ricorrenti legati all'alcol (ossessioni), comportamenti ripetitivi volti ad assumere l'alcol (compulsioni) e nello sforzo di controllare sia i pensieri sia le azioni”. Nuovamente, Edwards & Gross (ibidem)[24] ripetono che l'alcol-dipendenza è quasi sempre preceduta o accompagnata da un DOC di origine ansiosa. La sostanza giunge a scandire l'intera giornata del tossicomane, che non sa gestire le frustrazioni di un'ordinaria vita quotidiana. Per conseguenza, il bere diventa un farmaco non convenzionale, che sospende le problematiche esterne. Entro tale medesima ottica, Modell & Glaser & Cyr & Mountz (ibidem)[25] confermano, di nuovo, che “il craving per l'alcol si manifesta nell'ormai acquisita forma ossessivo-compulsiva e, talvolta, anche in una forma impulsiva”. Assai pertinenti, con afferenza al nesso tra DOC ed alcolismo, sono pure Marlatt & Baer & Donovan & Kivlahan (1988)[26], secondo cui le ossessioni sono la base psichica di ogni tossicofilia, poiché “[in Dottrina] emerge la tendenza a generalizzare il fenomeno del craving a tutto un insieme di altri disturbi [legati al DUS, ndr]. [Ovvero] costituiscono comportamenti potenzialmente addictive tutti gli atti ripetitivi la cui sospensione provoca l'accumulo di una tensione crescente e la cui esecuzione produce piacere e sollievo”.
Ecco, ancora una volta, la comorbidità tra dipendenze ed ansia ossessivo-compulsiva. Tale prospettiva, ognimmodo, induce a non sottovalutare i segnali predittori che si manifestano tipicamente nel giovane ultra-13enne. Intercettare adeguatamente il DOC è assai utile nella prevenzione dell'abuso di sostanze tossico-voluttuarie. Forse, è utile menzionare anche Marks (1990)[27], la cui analisi è che “il craving è un segnale associato al raggiungimento di una soglia di tensione ed alla memoria delle precedenti esperienze di gratificazione. I comportamenti tossicofiliaci tendono, quindi, ad auto-mantenersi nonostanti gli sforzi di interromperli o moderarli, e spesso producono effetti deleteri sulla salute del soggetto. Lo spettro degli addictive disorders/behaviors include comportamenti ai limiti della normalità (le cosiddette dipendenze socialmente condivise, quali quelle da stress, da lavoro o da esercizio fisico), comportamenti francamente patologici (anche se non disturbi nosograficamente individuabili), e disturbi veri e propri. Tutti sono caratterizzati da un insufficiente o problematico controllo degli impulsi, da un'inadeguata autoregolazione del funzionamento individuale, nonché da fenomeni comuni a tutte le condizioni di addiction”. Senza dubbio, la legalità dell'alcol diminuisce, purtroppo, la percezione sociale del problema, che, come sottolineato da Marks (ibidem)[28], “include comportamenti ai limiti della normalità (le cosiddette dipendenze socialmente condivise [...]”.
Le motivazioni medico-legali del rapporto DOC vs. DUS
Come noto, le eventuali disfunzioni della serotonina stanno alla base della maggior parte dei disordini mentali censiti nel DSM-V. P.e., Marks (ibidem)[29] reputa che “numerosi studi sperimentali hanno rilevato che una disfunzione del sistema serotoninergico è implicata nella neurobiologia sia dei disturbi compulsivi sia dei disturbi impulsivi e che, rispettivamente, vi è un aumento ed una riduzione del tono serotoninergico”. Gli asserti di Marks (ibidem)[30] comportano che, nella disintossicazione dell'alcolista, uno dei compiti più delicati del medico curante sarà quello di ripristinare, con mezzi farmacologici, l'idoneo equilibrio della serotonina. In effetti, Insel &Mueller & Alterman (1985)[31] entrano molto approfonditamente nel dettaglio, precisando che “l'attività del sistema serotoninergico può essere misurata attraverso il dosaggio, nel fluido cerebrospinale (CSF), dei metaboliti della serotonina (5-HT), come l'acido 5-idrossidolacetico (5-HIAA), attraverso la risposta comportamentale e neuroendocrina ad agenti serotoninergici (m-CPP) e attraverso la risposta al trattamento con inibitori del reuptake della serotonina (p.e., fluoxetina, clorimipramina, fluvoxamina e altri”.
Chi redige qualifica come oltranziste le posizioni di Insel & Mueller & Alterman (ibidem)[32], in tanto in quanto la detossificazione dell'alcoldipendente non è solo una questione fondata sulle secrezioni ormonali del cervello. L'alcolista necessita, anzitutto e soprattutto, di un percorso di ascolto ri-umanizzante e ri-abilitante. La cura di una tossicomania non possiede aspetti solamente farmacologici, ma anche etici e rieducativi. Il farmaco non può sostituire la riflessione interiore ed il desiderio di interrompere l'abuso di alcol. Viceversa, anche Thoren & Asberg & Bertilsson (1980)[33] insistono sulla presunta centralità onnipotente della farmacoterapia ed asseriscono che “i disturbi compulsivi come il DOC e l'anoressia nervosa sono caratterizzati da un'aumentata concentrazione di 5-HIAA”. Nuovamente, il farmaco viene proposto come la soluzione di ogni male. Il tossicodipendente viene spersonalizzato e non gli viene richiesto alcuno sforzo morale personale. Parimenti, per Kaye & Gwirstman & George (1991)[34], ciò che conta, nel percorso riabilitativo, è solo e riduttivamente “una buona risposta agli inibitori del reuptake della serotonina”. A sua volta, Linnoila & Virkkunen & Scheinen (1983)[35] specificano che “[grazie alla sola farmacoterapia, ndr] è stata riscontrata una diminuzione del 5-HIAA nel CSF dei pazienti impulsivi, aggressivi e con condotte suicidiarie violente”.
Sempre dal punto di vista farmaco-terapeutico, Asberg & Traskman & Thoren (1976)[36] asseriscono che “[nell'alcolismo] il DOC sembra rispondere al trattamento con gli inibitori selettivi del reuptake della serotonina, probabilmente attraverso la stimolazione presinaptica dei neuroni serotoninergici nei disturbi compulsivi”. Il ruolo centrale della serotonina è ribadito anche da Coccaro & Astill & Herbert (1990)[37], ovverosia “analogamente a ciò che è stato evidenziato circa i rapporti tra DOC e sistema serotoninergico, è opinione condivisa che possa esserci una base psico-biologica comune allo spettro degli addictive behaviors.
Per il suo ruolo strategico nella regolazione a più livelli del comportamento e dell'emotività […] l'attenzione degli studiosi si è, anche in questo caso, rivolta alla serotonina. A conferma di ciò, è stata dimostrata l'efficacia terapeutica dei farmaci serotoninergici”. Tuttavia, i testé menzionati Dottrinari auto-limitano la prepotente onniscienza della psicopatologia forense e precisano che “è prevedibile che, in un prossimo futuro, si giunga alla formulazione di un nuovo nosografismo”. Ecco, pertanto, un lodevole esempio di rigetto nei confronti di una psichiatria che pretende di ridurre il tossicodipendente ad una serie di ormoni cerebrali mal-funzionanti. L'approccio umano da parte del medico è fondamentale e stimola il rafforzamento della volontà soggettiva del paziente, che non è solo un assuntore di molecole a fini terapeutici.
L'alcolismo di Cloninger
Esistono varie tipologie di alcolismo. Secondo Cloninger & Sigvardsson & Gilligan & von Knorring & Reich & Bohman (1988)[38], “possiamo individuare, su base neurobiologica, almeno tre distinti sistemi comportamentali da seguire nella descrizione delle caratteristiche della personalità [dell'alcolizzato]. Il primo, Behavioral Activation System (BAS), ha la funzione di incentivare l'esplorazione attiva dell'ambiente, alla ricerca di obiettivi di gratificazione; ad esso corrisponde la ricerca di novità. Al secondo, Behavioral Maintenance System (BMS), è demandato il compito di mantenere il comportamento di ricerca per mezzo di rinforzi positivi (premi) o negativi (assenza di punizioni); esso è correlato alla dipendenza dalla gratificazione. Il terzo, behavioral Inhibition System (BIS), è deputato ad evitare rischi e pericoli di eventi negativi (punizioni) mediante il confronto tra situazioni attese e reali; attraverso tale sistema, si realizza il cosiddetto evitamento del pericolo”.
A sua volta, Cloninger, sempre negli Anni Ottanta del Novecento, ha distinto tra due tipi di alcoldipendente. Il tipo 1) è l'alcolista con una personalità iper-ansiosa, il quale placa la propria angoscia anticipatoria attraverso le bevande alcoliche. Il tipo 2), invece, è il soggetto traumatofiliaco che cerca nell'alcol piacere, euforia e nuove esperienze. Sempre secondo Cloninger, il Tipo 1) si manifesta sotto il 25 anni d'età, mentre il Tipo 2) oltre i 25 anni circa. In entrambe le fattispecie, l'alcolista di Cloninger è caratterizzato da personalità antisociale, basso grado di evitamento del pericolo ed incapacità di provare piacere con stimoli benefici ordinari.
L'alcolismo di Lesch
Nella prospettiva di Lesch (1991)[39] vanno distinti quattro sotto-gruppi di alcolisti non occasionali:
- Tipo I: a tale tipologia appartengono gli alcoldipendenti che sono spinti al bere quando si trovano in gruppo. In tal caso, si avvia il craving ed inizia la ricerca dello stato di ebbrezza. Si tratta di soggetti caratterialmente deboli e tendenzialmente epilettici
- Tipo II: si tratta di pazienti che si abbandonano all'alcol per gestire meglio i conflitti inter-personali. Sono, solitamente, individui passivi con un convivente o coniuge dominante. Frequente è pure la tendenza all'aggressività dopo l'assunzione della bevanda etilica
- Tipo III: rientrano in questo tipo soggetti con grave insonnia, i quali non sanno come gestire gli equilibri familiari senza la “medicina” non convenzionale di vini, birre e liquori. Anche in tal caso, nel lungo periodo, le problematiche si acuiscono
- Tipo IV: trattasi di persone già affette da un grave DOC prima di diventare alcoldipendenti. Hanno avuto precedenti danni cerebrali o condizioni familiari molto difficili già dall'infanzia. L'eziologia di questo tipo di dipendenza viene fatta risalire al sottostante disturbo del controllo degli impulsi e della mancanza di una capacità critica nei confronti della condotta verso l'alcol.
[1]Sitharthan & McGrath, Meaning of craving in research addiction, Psychological Reports, 71/1992
[2]Sitharthan & McGrath, op. cit.
[3]Von Knorring L. & von Knorring A.L. & Smigan & Lindberg & Edholm, Personality traits in subtypes of alcoholics, Journal of Studies on Alcohol, 48(6), 1987
[4]Modell & Glaser & Cyr & Mountz, Obsessive and compulsive characteristics of craving for alcohol in alcohol abuse and dependence, Alcoholism: Clinical and Experimental Research 16/1992
[5]Anton & Moack & Latham, The Obsessive-Compulsive Drinking Scale: a self-rated instrument for the quantification of thoughts about alcohol and drinking behavior, Alcoholism: Clinical and Experimental Research, 19/1995
[6]Littleton, Acamprosate in alcohol dependence: how does it work ? Addiction 90, 1995
[7]Littleton, op. cit.
[8]Chutuape & Mitchell & De Wit, Ethanol preloads increase ethanol preference on a concurrent random-ratio schedule in social drinkers, Experimental and Clinical Psychopharmacology, 2/1994
[9]Chutuape & Mitchell & De Wit, op. cit.
[10]Paille & Guelfi & Perkins & Royer & Steru & Parot, Double-blind randomized multicentre trial of acamprosate in maintaining abstinence from alcohol, Alcohol and Alcoholism, 30/1995
[11]O'Malley & Adam & Chang & Schottenfeld & Meyer & Rounsaville, Naltrexone and coping skills therapy for alcohol dependence. A controlled study. Archives of General Psychiatry, 49/1992
[12]Volpicelli & Alterman & Hayashida & O'Brien, Naltrexone in the treatment of alcohol dependence, Archives of General Psychiatry, 49/1992
[13]Sass & Soyka & Mann & Zieglgansberger, Relapse prevention by acamprosate. Results from a placebo-controlled study on alcohol dependence, Archives of General Psychiatry, 53/1996
[14]NIAA, Newsletter, October 1989; Alcohol Alert & PH, 1989
[15]Modell & Glaser & Cyr & Mountz, op. cit.
[16]Plinius Maior Society, Guidelines on evaluation of treatment of alcohol dependence, Alcoholism, Journal on Alcoholism and Related Addictions, 30/1994
[17]Hollander & Kwon & Stein & Broatch & Clayton & Rowland & Himelein, Obsessive-Compulsive and spectrum disorders: overview and quality of life issues, Journal of Clinical Psychiatry, 57 (suppl. 8), 1996
[18]McElroy & Phillips & Keck, Obsessive Compulsive Spectrum Disorder , Journal Clinical Psychiatry, 55 (suppl. 10), 1994
[19]McElroy & Phillips & Keck, op. cit.
[20]Skodol, Problems in differenzial diagnosis: from DSM-III to DSM-III R in clinical practice. Washington DC, American Psychiatric Press, 1989
[21]Skodol, op. cit.
[22]Tiffany, A cognitive model of drug urges and drug-use behavior: role of automatic and non automatic processes, Psychological Review, 97/1990
[23]Edwards & Gross, Alcohol dependence: provisional description of a clinical syndrome, British Medical Journal, 1/1976
[24]Edwards & Gross, op. cit.
[25]Modell & Glaser & Cyr & Mountz, op. cit.
[26]Marlatt & Baer & Donovan & Kivlahan, Addictive behaviors: etiology and treatment, Annual Reviews of Psychology, 39/1988
[27]Marks, Behavioral (non-chemical) addictions, British Journal of Addiction, 85/1990
[28]Marks, op. cit.
[29]Marks, op. cit.
[30]Marks, op. cit.
[31]Insel & Mueller & Alterman, Obsessive-compulsive disorder and serotonine: is there a connection ? Biological Psychiatry, 20/1985
[32]Insel & Mueller & Alterman, op. cit.
[33]Thoren & Asberg & Bertilsson, Clomipramine treatment of absessive-compulsive disorder, II. Biochemical aspects, Archives of General Psychiatry, 37/1980
[34]Kaye & Gwirstman & George, Altered serotonin activity in anorexia nervosa after long-term weight restoration: does elevated cerebrospinal fluid 5-hydroxyndolacetic acid level correlate with rigid and absessive behavior ? Archives of General Psychiatry, 48/1991
[35]Linnoila & Virkkunen & Scheinen, Low cerebrospinal fluid 5-HIAA concentration differentiates impulsive from non-impulsive violent behavior, Life Sciences, 33/1983
[36]Asberg & Traskman & Thoren, 5-HIAA in the cerebrospinal fluid: a biochemical suicide predictor ? Archives of General Psychiatry, 33/1976
[37]Coccaro & Astill & Herbert, Fluoxetine treatment in impulsive aggression in DSM-III-R personality disorder patients, Journal of Clinical Psychopharmacology, 10/1990
[38]Cloninger & Sigvardsson & Gilligan & von Knorring & Reich & Bohman, Genetic heterogeneity and the classification of alcoholism, Advances in Alcohol and Substance Abuse, 7(3-4), 1988
[39]Lesch, Chronic alcoholism: subtypes useful for therapy and research, in Palmer, Alcoholism: A molecular perspective. Nato Asi Series A, Life Sciences, Vol. 206, Plenum Press, New York, 1991