Stalking e molestie: Cassazione penale sez. I, 05/05/2023, n.39675
Stalking e molestie: Cassazione penale sez. I, 05/05/2023, n.39675
Premessa.
La recente sentenza in commento riprende, senza stravolgere alcun precedente arresto, la definizione di molestia, prescindendo dall’offensività degli episodi, presi singolarmente, quale elemento costituivo della fattispecie di cui all’art. 612 bis c.p. e l’evento conseguenziale, nel caso specifico, la modifica delle abitudini di vita ai danni della vittima, con onere di verificazione e motivazione da parte del giudice.
La Cassazione riprende il concetto di molestia, a prescindere dall’offensività degli episodi, presi singolarmente
Inquadramento generale.
Fattispecie introdotta nel nostro ordinamento nel 2009, trae origine, come si è osservato in dottrina (Fiandaca-Musco, Diritto penale, parte speciale, vol. 2 tomo primo) da altri sistemi tra cui Gran Bretagna, Germania, Belgio.
Considerato un comportamento di grave allarme sociale è spesso inserito nel contesto della violenza di genere (spesso anticamera di fatti ancora più gravi o comunque collocabile all’interno di un climax di atti sempre più minatori), basti pensare ai frequenti casi di chi, spinto dall’unilateralità dell’approccio sentimentale, compie sistematici atti intrusivi ed assillanti.
Come ripreso nella sentenza in commento, il comportamento incriminato è costituito da reiterate minacce o moleste. Ci si è interrogati in dottrina se il reato in questione debba essere inteso come reato a forma libera o vincolata; stante le molteplicità di condotte non prevedibili a priori, la soluzione sembrerebbe quella di orientare la fattispecie verso la condotta libera. Tuttavia, vista la reiterazione delle condotte, da intendersi come elemento costitutivo del reato, la soluzione individuata in dottrina è quella della forma parzialmente vincolata.
Gli elementi strutturali del reato.
Riprendendo quanto già detto, il reato di atti persecutori prevede due “fasi”: le condotte reiterate, il danno alla persona offesa nelle forme previste dal primo comma.
Se sulla definizione di minacce dubbi non ve ne sono, occorre spendere qualche parola in più sull’ipotesi, forse più frequente, delle molestie.
Così come la minaccia rientra nell’ipotesi dell’art. 612 c.p., le molestie dovrebbero rientrare nella contravvenzione prevista dall’art. 660 c.p. Tuttavia, a differenza dell’ipotesi contravvenzionale, nell’art. 612 bis non vi è alcun esplicito richiamo al luogo pubblico o aperto al pubblico, oltre al fatto che nell’ipotesi punita dall’art. 660 basta anche solamente un episodio.
Nella sentenza in commento, riprendendo principi consolidati, si è precisato che “l'intrinseca assenza di offensività dei singoli comportamenti, dedotta dalla difesa con il ricorso, è circostanza irrilevante ai fini della sussistenza della condotta materiale del reato contestato”.
In altri termini, le condotte, prese singolarmente, non devono necessariamente, per quanto concerne la sussistenza del reato, avere la connotazione offensiva. Anzi, andando oltre, possono ben essere, sempre presi singolarmente e posti fuori dal contesto invasivo ed opprimente, atti con carattere apparentemente lecito. Si pensi, a titolo esemplificativo, all’invio di e-mail o di messaggi a mezzo social con contenuto irrilevante, ma posti in un contesto di stillicidio persecutorio ed assillante.
Da qui si può riprendere quanto detto prima, ossia la non prevedibilità a priori delle condotte punibili che, giocoforza anche con il progresso della tecnologia, possono trovare nuove manifestazioni.
In assenza di indicazioni normative, ci si è posti il problema se è possibile individuare un numero approssimativo di condotte moleste. In sede di giurisprudenza di legittimità si è detto che, partendo dalla scelta del legislatore di far riferimento a condotte, ipoteticamente e ragionando in astratto, bastano anche solamente due episodi, purchè idonei a generare pericolo e sofferenza ai danni della vittima.
Il secondo elemento necessario per la configurazione del delitto in esame è, come già ripreso, l’evento direttamente consequenziale dalle minacce o molestie. L’art. 612 bis prevende, in via alternativa, tre eventi:
- un perdurante e grave stato di ansia o di paura; in questo caso parliamo della c.d. “sindrome traumatica di stalking”. Per essere apprezzata dal giudicante, la norma parla di situazione perdurante e grave.
Occorre domandarsi se questa valutazione debba esser accertata utilizzando parametri scientifici, quindi tramite ausilio medico, oppure se sia sufficiente un criterio di senso comune.
Nella sentenza in commento, riprendendo arresti pregressi, la Suprema Corte così motiva: “la prova dell'evento del delitto, in riferimento alla causazione nella persona offesa di un grave e perdurante stato di ansia o di paura, deve essere ancorata ad elementi sintomatici di tale turbamento psicologico ricavabili dalle dichiarazioni della stessa vittima del reato, dai suoi comportamenti conseguenti alla condotta posta in essere dall'agente ed anche da quest'ultima, considerando tanto la sua astratta idoneità a causare l'evento, quanto il suo profilo concreto in riferimento alle effettive condizioni di luogo e di tempo in cui è stata consumata”.
- un fondato timore per l'incolumità propria o di un prossimo congiunto o di persona al medesimo legata da relazione affettiva; la peculiarità di questa condizione, da intendersi diretta conseguenza della condotta molesta, è tutta nella scelta lessicale del legislatore, che ha optato per una maggior concretezza del fatto, non limitandosi a far riferimento a ipotetiche o meramente supposte situazioni di timore per la propria (od altrui) incolumità.
Per fondato timore dobbiamo intendere infatti una situazione di ragionevole pericolo dal punto di vista della vittima. Sulla ragionevolezza occorre domandarsi se debba essere intesa in senso oggettivo o soggettivo. La soluzione più corretta pare essere la seconda, basti pensare ad ipotesi di persone offese maggiormente vulnerabili.
- la costrizione ad alterare le proprie abitudini di vita; anche in questa ipotesi va precisato che la prova dell’alterazione deve essere qualitativamente apprezzabile, anche in forma transitoria ma non occasionale.
In altri termini, sarà necessario un mutamento significativo e protratto per un lasso di tempo apprezzabile (da qui la non occasionalità).
In conclusione, si riporta la massima della sentenza in commento.
“Non scatta il reato di atti persecutori per un insieme di condotte descritte come “idonee a cagionare una continua fonte di disturbo, disagio, fastidio”. Serve infatti “quello specifico stato d'ansia grave, anche sotto il profilo della idoneità a compromettere la libertà psichica della persona offesa”, che la norma incriminatrice esplicitamente richiede”.