150 anni dalla morte di Alessandro Manzoni
150 anni dalla morte di Alessandro Manzoni
È inutile girarci attorno: da quando, volenti o nolenti (sicuramente la seconda opzione), durante il periodo delle scuole superiori viene letta l’opera “I promessi sposi”, l’idea comune che balza alla menta quando si pensa alla figura dell’avvocato, è quella dell’Azzeccagarbugli.
Si pensa quindi all’avvocato come un soggetto cinico, legato solamente alla conoscenza delle grida (oggi si sarebbe detto, giurisprudenza di merito e di legittimità), con lo specifico ed unico scopo di “cavalcare imbrogli” e di farla fare franca, con astuzia quasi maligna, a grandi e i piccoli delinquenti.
Questo, del resto, il ritratto che esce dal capitolo terzo, ossia un soggetto poco sveglio, dal momento che non capisce all’inizio le vere intenzioni del potenziale cliente, per poi ammettere senza alcun problema di operare fuori dal mondo della legalità (Manzoni fa dire all’Azzeccagarbugli che si rende disponibile a chiedere la protezione del mandante e che all’occorrenza c’è modo di intervenire anche contro la testolina che non vuol tacere).
Senza entrare nel pensiero manzoniano, la conclusione non potrà mai essere quella che l’avvocato, in quanto tale, sia sempre e comunque quello descritto nel capitolo terzo.
La sinistra figura che ci viene descritta è quella piuttosto del professionista che spende il suo ruolo di avvocato per concorrere in scopi illeciti; anzi, oggi potremmo dire che, stante lo stretto rapporto con il prepotente locale Don Rodrigo (vedi capitolo quinti) o come andrebbe meglio detto, con il mafioso locale, l’Azzeccagarbugli fa parte di quel sistema criminale.
Ben diverso dall’idea costituzionale che oggi abbiamo del ruolo dell’avvocato, attore principale nella tutela delle garanzie difensive necessarie sia per gli umili che per i facoltosi, pena la deriva autoritaria dello Stato.