Il lungo cammino della monocommittenza tra gli avvocati
Il lungo cammino della monocommittenza tra gli avvocati
È un tema antico, sin qui mai risolto.
E’ un problema politico/economico perché la élite forense, senza la monocommittenza a basso costo, si troverebbe in difficoltà ad andare avanti anche per la contrazione del numero dei praticanti.
Le istituzioni forensi rappresentano l’élite perché al voto, in tutte le varie espressioni, vanno i soliti noti mentre la base sa solo rumoreggiare, ogni tanto, sui social e, quando viene chiamata in piazza … non si presenta, lasciando i temerari da SOLI!
Il fatto è che la stragrande maggioranza degli studi in Italia ha fatto della subordinazione contrattuale un meccanismo consolidato e accettato anche da coloro i quali finiscono, inevitabilmente, per subirlo.
Abuso di dipendenza economica? (art. 9 della legge 192/1998)
Forse che i sindacati si sono occupati del problema?
Poco, per l’intensità trasversale del fenomeno.
Si veda “La tutela del lavoro non subordinato in Italia”, M.Lai, Centro studi CISL/Università di Firenze.
L’avvocatura sì, da almeno un lustro.
MGA ha cercato di smuovere sul tema la CGIL
Il Consiglio Nazionale di ANF il 26-27 marzo 2022 ha adottato un deliberato in tema di avvocato collaboratore e in regime di monocommittenza.
L’Organismo Congressuale Forense sulla monocommittenza ha esaminato i progetti di legge presentati nella XVII Legislatura dedicandovi un convegno il 4 marzo 2022.
Il tema è ovviamente all’attenzione del Consiglio Nazionale Forense.
Vi è anche un deliberato del Congresso Nazionale Giuridico Forense di Catania.
Io me ne sono occupato su Diritto e Giustizia il 20.03.2018 L’avvocato Monocommittente
Le condizioni economiche, sociali e politiche che, in passato, hanno reso necessario il riconoscimento giuridico delle libertà e dei diritti sindacali nel lavoro subordinato, si manifestano oggi specialmente nel lavoro autonomo. (Organizzazione e azione collettiva nei lavori autonomi in Politiche sociali, 2921 n.1 pag. 45-68 di Orsola Razzolini).
Si veda per i principi affermati Cassazione Civile, Sez. Lav., 24 gennaio 2020, n. 1663 - Applicabile la disciplina sul lavoro subordinato ai riders. Etero-direzione
Vi è poi il paradosso che ora vado a citare:
“Il divieto di prestare attività professionale in conflitto di interessi anche solo potenziale (art. 24 CDF) risponde all’esigenza di conferire protezione e garanzia non solo al bene giuridico dell’indipendenza effettiva e dell’autonomia dell’avvocato ma, altresì, alla loro apparenza (in quanto l’apparire indipendenti è tanto importante quanto esserlo effettivamente), dovendosi in assoluto proteggere, tra gli altri, anche la dignità dell’esercizio professionale e l’affidamento della collettività sulla capacità degli avvocati di fare fronte ai doveri che l’alta funzione esercitata impone, quindi a tutela dell’immagine complessiva della categoria forense, in prospettiva ben più ampia rispetto ai confini di ogni specifica vicenda professionale”. E questo non lo dico io ma è il principio espresso dal Consiglio Nazionale Forense nella sentenza n. 25.07.2023, n. 165 (Altalex, Avvocati: vietata l’attività professionale in conflitto di interessi anche solo potenziale di Giuseppina Mattiello, pubblicato il 16.11.2023).
La solita medaglia, a due facce: ciò che dovrebbe essere e ciò che è nella realtà, ma una faccia fa finta che l’altra non esista e si rinvia.
La sessione straordinaria del Congresso Nazionale Forense del prossimo dicembre, potrebbe essere la volta buona per quello scatto di fantasia auspicato dal Ministro Nordio. Al tavolo 4 vi è appunto il tema della monocommittenza.
Questa è la fotografia dello stato dell’arte.
L’élite forense, pari grosso modo all’8% del totale, detiene però il 50% dell’intero PIL della avvocatura italiana e allora non ci si deve stupire se il nuovo regolamento dell’assistenza di Cassa Forense abdica alla sua funzione primaria, per privilegiare i cd regolari dal punto di vista dichiarativo e contributivo!
Una piramide a base molto larga può rappresentare efficacemente la distribuzione del numero degli iscritti per classi di reddito. Il 58,1% delle posizioni, pari a poco più di 140mila avvocati, non raggiunge la soglia dei 20mila euro e in questa parte sono comprese 32mila posizioni con reddito pari a zero o addirittura negativo o, ancora, le posizioni con reddito non comunicato pervenuto (corrispondono al 13,2% sul totale). Il 27,0% si colloca all’interno della classe compresa fra i 20mila e i 50 mila euro, mentre in cima alla piramide (oltre i 50mila euro) si posiziona il 14,8% degli avvocati – poco meno di 36mila posizioni – di cui il 6,5% con redditi superiori ai 100mila euro.(dal rapporto Censis 2022).
Non a caso si parla della “proletarizzazione di molti liberi professionisti“. (Francesco Ricciardi, Le partite Iva e i nuovi confini dello sfruttamento, 29 marzo 2018).
Il fenomeno delle false partite iva, inteso come tutti quei rapporti di lavoro che, pur essendo inquadrati nell’ambito del lavoro autonomo, in realtà celano delle forme di collaborazione subordinata, del tutto priva di tutele (False partite iva e presunzione di lavoro subordinato in Fiscomania.com di Marco Corti, giugno 2023).
Il 22 novembre 2023 Cassa Forense ha presentato lo studio della Fondazione Luigi Einaudi sulla monocommittenza tra gli avvocati.
Com’è noto ci muoviamo su un sentiero impervio, tra lavoro autonomo e lavoro subordinato.
Vediamo di fare il punto.
Nella passata legislatura sono state presentate due proposte di legge per cercare di disciplinare il fenomeno, proposte che però non sono approdate ad alcun risultato, salvo stimolare il dibattito dottrinale.
«Le proposte di legge C. 428 (Gribaudo) e C. 2272 (D'Orso) sono volte a disciplinare la collaborazione professionale esclusiva (c.d. monocommittenza), ossia quella che un avvocato presta nei confronti di un unico studio legale, indipendentemente dal fatto che si tratti di una società tra avvocati, di una associazione professionale o di uno studio che fa capo ad un singolo avvocato. La proposta C. 428 è in primo luogo volta a rimuovere l'incompatibilità tra l'esercizio della professione di avvocato in monocommittenza e lo svolgimento di lavoro subordinato o parasubordinato, demandando poi al Ministro del lavoro e delle politiche sociali la disciplina, con propri decreti, della definizione dei parametri attraverso i quali determinare la natura della monocommittenza come lavoro subordinato, parasubordinato o autonomo. La proposta C. 2272 regolamenta invece, direttamente e con un approccio organico, il contratto di monocommttenza, quale collaborazione professionale dell'avvocato, non configurabile quale lavoro subordinato e del quale vengono disciplinati altresì gli aspetti previdenziali, fiscali e assicurativi.
Quadro normativo
La professione di avvocato, attualmente regolamentata dalla legge 31 dicembre 2012, n. 247, che reca "nuova disciplina dell'ordinamento della professione forense", si inquadra storicamente tra i lavori di tipo autonomo, il cui fondamento giuridico si rinviene nell'art. 2222 c.c. sui contratti d'opera. Secondo la definizione ivi contenuta il lavoratore autonomo è colui che dietro corrispettivo si impegna a compiere un'opera o un servizio, con lavoro prevalentemente proprio, a favore di un terzo committente, al quale non è legato da vincolo di subordinazione. In questo senso il lavoratore autonomo si contrappone al lavoratore subordinato, definito invece dall'art. 2094 c.c. come colui che presta la propria attività lavorativa, manuale o intellettuale, alle dipendenze e sotto la direzione di un datore di lavoro privato a fronte della corresponsione di una retribuzione.
La Corte di Cassazione (si veda in particolare Cass. 7024/2015) ha contribuito a delineare la linea di demarcazione tra lavoro autonomo e lavoro subordinato, individuando i c.d. "indici di subordinazione" ovvero retribuzione fissa mensile in relazione sinallagmatica con la prestazione lavorativa; orario di lavoro fisso e continuativo; continuità della prestazione lavorativa, in funzione di collegamento tecnico organizzativo e produttivo con le esigenze dell'azienda; limitazione dell'autonomia del lavoratore e soggezione al potere direttivo del datore di lavoro; inserimento nell'organizzazione aziendale.
Per quanto riguarda in particolare la professione di avvocato, è proprio l'art. 18, comma 1, lettera d), della citata legge 31 dicembre 2012, n. 247, a stabilire che la stessa non è compatibile «con qualsiasi attività di lavoro subordinato anche se con orario di lavoro limitato».
La professione forense non è neppure inquadrabile nell'ambito di una particolare fattispecie di lavoro parasubordinato, ovvero quello delle collaborazioni organizzate dal committente (di cui all'art. 2, comma 1, del D. Lgs. n. 81/2015, come modificato dal D.L. n. 101/2019), che si concretano in prestazioni di lavoro prevalentemente personali, continuative e le cui modalità di esecuzione sono organizzate dal committente, per l'espressa esclusione delle «collaborazioni prestate nell'esercizio di professioni intellettuali per le quali è necessaria l'iscrizione in appositi albi professionali» contenuta nel comma 2, lett. b), del medesimo art. 2 del D. Lgs. n. 81/2015.
È opportuno sul punto richiamare l'orientamento della giurisprudenza di legittimità (Cass. 3594/2011, recentemente ribadita in Cass. 22634/2019) in relazione alla sussistenza o meno della subordinazione con riferimento alle prestazioni rese da un professionista in uno studio professionale, che deve essere verificata in relazione alla intensità della etero-organizzazione della prestazione (fattispecie relativa ad un consulente fiscale in uno studio legale tributarista).
Negli ultimi anni, oltre alle due tipologie tradizionalmente riconosciute di lavoro autonomo e lavoro subordinato, è venuta sempre più in evidenza quella del c.d. lavoro parasubordinato, ovvero un rapporto di collaborazione che si sostanzia in una prestazione d'opera coordinata e continuativa prevalentemente personale, anche se non a carattere subordinato. Secondo la definizione data dall'art. 409 c.p.c. (come modificato dalla legge 81/2017), al fine di delineare gli ambiti di applicazione delle disposizioni sulle controversie di lavoro proprie dei rapporti di lavoro subordinato anche ai rapporti di collaborazione, la collaborazione si intende coordinata quando, nel rispetto delle modalità di coordinamento stabilite di comune accordo dalle parti, il collaboratore organizza autonomamente l'attività lavorativa.
Più in dettaglio, l'attività di collaborazione coordinata e continuativa si riferisce a prestazioni d'opera prevalentemente personali, svolte senza vincolo di subordinazione in un rapporto unitario e continuativo, senza impiego di mezzi organizzati e con retribuzione periodica prestabilita. Tali rapporti, pur non svolgendosi alle dipendenze e sotto la direzione del datore di lavoro, hanno caratteristiche di continuità e di coordinamento rispetto alla complessiva attività del committente cui i lavoratori prestano la propria collaborazione. Si tratta, dunque, di una prestazione soggetta alle direttive di quest'ultimo, seppure nell'ambito di una certa autonomia professionale. Allo stesso tempo, essi sono accomunati al lavoro autonomo da caratteristiche specifiche, quali l'assenza di un corrispettivo diretto tra retribuzione e disponibilità temporale del lavoratore, nonché la mancanza del vincolo di esclusività del rapporto.
Il legislatore è intervenuto a più riprese al fine di estendere ai lavoratori parasubordinati alcune tutele tradizionalmente previste per i lavoratori subordinati, trattandosi di collaborazione che può determinare una soggezione socio-economica del lavoratore rispetto al committente.
E, infatti, il D. Lgs. n. 81/2015 ha disposto l'applicazione della disciplina del rapporto di lavoro subordinato ai rapporti di collaborazione che si concretano in una prestazione di lavoro esclusivamente personale, continuativa e le cui modalità di esecuzione siano organizzate dal committente, anche con riferimento ai tempi e al luogo di lavoro. A tali rapporti è stata successivamente estesa l'applicazione delle disposizioni sul processo del lavoro (ad opera della L. n. 533/1973); sono stati poi ritenuti applicabili l'art. 2113 c.c. (che prevede l'invalidità delle rinunzie e delle transazioni del lavoratore) e l'art. 429 c.p.c., che prevede, in caso di condanna del datore di lavoro al pagamento di crediti di lavoro, anche quella al risarcimento del danno da svalutazione monetaria e agli interessi nella misura legale.
Sono state in seguito introdotte ulteriori forme di tutela per i lavoratori parasubordinati, tra le quali: la tutela previdenziale (l'apposita gestione c.d. separata che opera presso l'INPS, di cui alla L. n. 335/1995); la tutela derivante dall'assicurazione contro gli infortuni e le malattie professionali (D. Lgs. n. 38/2000); il diritto all'indennità di maternità indipendentemente dalla effettiva astensione dall'attività lavorativa; la normativa in materia di congedi parentali (cfr. art. 2- bis del D. Lgs. n. 81/2015 e artt. 13 e 26 L. n. 81/2017)». ( Fonte Camera deputati 17 Legislatura).
In occasione del Congresso Nazionale Forense di Catania io avevo inviato una mozione, che peraltro non ha avuto il sostegno e quindi non è approdata alla discussione in assemblea, che cercava di risolvere rapidamente il problema, senza scomodare il legislatore nazionale, modificando esclusivamente l’art. 6 del vigente codice deontologico forense nei seguenti termini:
«art. 6 Dovere di evitare incompatibilità
1. L’avvocato deve evitare attività incompatibili con la permanenza dell’iscrizione all’albo.
L’incompatibilità non si verifica per gli avvocati che svolgono attività di lavoro in via esclusiva presso lo studio di un altro avvocato, di un’associazione professionale ovvero una società tra avvocati o multidisciplinare, purché la natura dell’attività svolta dall’avvocato riguardi esclusivamente quella riconducibile all’attività propria della professione forense, secondo un emanando regolamento.
2. L’avvocato non deve svolgere attività comunque incompatibili con i doveri di indipendenza, dignità e decoro della professione forense».
La strada mi sembra ancora la più praticabile nel sentiero stretto di cui si è detto più sopra.
Ma veniamo ora allo studio della Fondazione Einaudi. La anteprima:
«Cassa forense: 13.500 avvocati dipendono da un collega (il 5,63%) di Francesco Machina Grifeo, Il Sole 24Ore
Sul numero totale di avvocati iscritti all’albo nel 2022, pari a 240.019, ben 13.518, pari al 5,63%, hanno dichiarato alla Cassa Forense in sede di “Modello 5/2022” di conseguire tra il 91% ed il 100% del proprio reddito da un altro avvocato. Il dato viene fuori dallo studio di Cassa forense sulla “Monocommittenza”, realizzato in collaborazione con la Fondazione Luigi Einaudi, che verrà presentato il 22 novembre prossimo alle 16.30 presso l’Auditorium dell’Istituto di previdenza alla presenza del Ministro della Giustizia, Carlo Nordio. Non si tratta più peraltro di un fenomeno circoscritto agli avvocati all’inizio del proprio percorso professionale, sottolinea l’istituto di previdenza, infatti l’età media dei professionisti monocommittenti è di 39,21 anni, con dato sostanzialmente immutato tra uomini e donne e in lieve aumento nel 2022, con un + 2,51 rispetto al 2020, e un +1,27 rispetto al 2021. Ancora, il 20,4% degli studi legali più grandi (quelli con 5 persone e oltre), nel corso del 2022 ha aumentato il numero delle persone occupate, a fronte di un sostanziale stazionamento del settore nel suo complesso, sia in termini di personale impiegato che di fatturato».
Nella sua relazione introduttiva al Convegno del 22 novembre , il Presidente di Cassa Forense ha fatto presente che il tema è assai rilevante e che Cassa Forense non fa politica ma fotografa lo spaccato della tematica per la ponderazione di un intervento legislativo.
Sul numero totale di avvocati iscritti all’albo, pari a 240.019 nel 2022, i monocommittenti, cioè coloro che in sede di Modello 5/2022 dichiaravano di conseguire tra il 91% e il 100% del proprio reddito da un altro avvocato, sono 13.518, pari al 5,63%.
Il reddito medio dell’avvocatura in generale si assestava, nell’anno 2021, a € 42.386 e circa il 28% dei monocommittenti percepiva un reddito superiore a tale somma.
Un ulteriore 27,73% del totale dichiarava redditi compresi tra € 20.000,00 e € 40.000,00.
Secondo ASLA, gli studi legali associati iscritti all’associazione stessa sono circa 100 e negli stessi svolgono l’attività professionale circa 5.000 professionisti di cui circa il 90% in regime di monocommittenza, in parte quale socio o associato degli stessi.
Considerato questo dato che contempla l’esistenza di 100 studi rappresentati da ASLA che impiegherebbero circa 4.500 monocommittenti, si potrebbe supporre che il numero dei professionisti inseriti nei 7.000 studi associati potrebbero essere superiori ai 13.518 che hanno dichiarato tale stato alla Cassa nel Modello 5.
Questo numero, inoltre, si dovrebbe comunque sommare agli avvocati che prestano attività in regime di monocommittenza in favore di singoli avvocati sul piano fiscale o di enti o società che perseguono attività diversa da quella degli studi legali.
Dal punto di vista territoriale, le strutture organizzate nel settore legale sono tutte collocate nelle grandi città, mentre nelle altre regioni, in cui sono assenti strutture metropolitane paragonabili, le realtà professioni hanno mantenuto una diversa dimensione.
I dati offerti dallo studio della Fondazione Einaudi certificano che gli avvocati monocommittenti non sono quelli della prima fase della professione dato che l’età media dei monocommittenti è di 39,21 anni.
Il Ministro Carlo Nordio, dopo aver premesso che l’avvocato monocommittente si trova in una posizione intermedia tra il lavoro subordinato e il lavoro autonomo, ha affermato la necessità di una normativa adeguata che deve comunque ispirarsi ai principi fondamentali dell’avvocatura che deve essere libera, autonoma e indipendente, anche sotto il profilo economico.
La rivoluzione che vi è stata esige un adeguamento normativo non facile, il Ministro si aspetta delle proposte concrete, fattibili, attuabili, in linea con i principi di cui sopra e compatibili con i vari interessi che si confrontano, lavorando anche di fantasia.
Il Ministero non ha preclusioni o pregiudizi ostativi.
Il Presidente del Consiglio Nazionale Forense, intervenuto sull’argomento, ha affermato che il problema della monocommittenza è un problema complesso, per le sue ricadute normative e previdenziali, da discutere sicuramente nella sessione straordinaria del Congresso di dicembre ma da riscrivere all’interno della nuova legge professionale per la quale ha istituito i tavoli di lavoro.
Ora tocca alle Istituzioni forensi lavorare di FANTASIA.