(Ri)conciliarsi con l’uomo attraverso il legal design
(Ri)conciliarsi con l’uomo attraverso il legal design
Chi, come me, sta muovendo i primi passi da avvocato, è spinto dal fascino vivo ed ardente della scoperta e della comprensione del mondo di cui è entrato a far parte: è questo lo spirito che mi fa porre molte domande sulla realtà giuridica che vivo, con la consapevolezza di entrare in un mondo le cui logiche, consolidatesi nel tempo, sono storicamente accettate e talvolta non più attuali.
Questa percezione è immediata se si pensa al linguaggio, strumento principale del giurista, che utilizza le parole non solo per comunicare ma anche per esprimere giudizi ed interpretare norme e concetti.
Ogni giorno scriviamo in un (para)linguaggio giuridico – comprensibile esclusivamente ai giuristi – perché così ci hanno insegnato e, lentamente, smettiamo di preoccuparci che l’interlocutore capisca, limitandoci a concentrare le nostre attenzioni su quello che diciamo, senza metterci dalla parte di chi riceve la comunicazione.
Il linguaggio – espressione della società e dei valori ad essa sottesi – diventa così uno strumento occulto che mira a celare piuttosto che a disvelare e, perdendo la sua funzione comunicativa, diventa, come dice Carofiglio, “una lingua oscura e antidemocratica”: uno strumento esclusivo per gli addetti ai lavori, i giuristi, ma non per tutti gli altri (che poi sono i reali destinatari del nostro servizio).
La conseguenza di questo disallineamento comunicativo è la creazione di un sistema chiuso, autoreferenziale, che allontana il diritto dalla realtà (e dunque dall’uomo stesso): ma a che serve il diritto se non ha a che fare con l’umano e la realtà viva?
Da qui nasce l’esigenza di andare oltre le dinamiche tradizionali, di rinnovarsi a partire dal contesto che oggi viviamo e dalle continue sollecitazioni che esso ci offre: cambiando prospettiva e cercando di comprendere i nuovi fenomeni sociali ci rendiamo così conto che si può evolvere il modo di fare diritto, con una traiettoria che (ri)trova il suo baricentro nell’uomo.
Oggi, sempre di più, stiamo convertendo il nostro modo di pensare (e quindi di apprendere, comunicare): la repentina evoluzione digitale e l’esponenziale diffusione dei social network (fatti di icone, immagini, tools tecnologici) sta rafforzando l’avvento di una nuova modalità di apprendimento, attraverso un linguaggio visuale che, tramite il legal design, si sta affermando anche nel campo giuridico.
Questa disciplina innovativa – scaturita proprio dalla necessità di soddisfare le esigenze dell’uomo – pone l’attenzione sull’uso più efficace del linguaggio, il cui pregio fondamentale è la chiarezza, e si traduce quindi nella semplificazione e immediatezza della comunicazione senza, con ciò, banalizzarne i contenuti.
D’altronde il diritto è una lingua tecnica e sarebbe impossibile eliminare la complessità né, tanto meno, sarebbe corretto farlo (essendo sinonimo di ricchezza); significa piuttosto creare un accesso adeguato alla conoscenza, tramite l’utilizzo di un linguaggio che non sia, riprendendo Carofiglio, “deliberatamente oscuro”.
In altre parole: se esiste la possibilità di esprimersi in modo chiaro con un linguaggio accessibile a tutti dovremmo scegliere di farlo.
Da queste premesse, il legal design trova nella interdisciplinarità e nella tecnica della visualizzazione – intesa come punto fondamentale di connubio tra immagine e scrittura – lo strumento che risponde meglio alle esigenze di accessibilità e comprensibilità.
Assistiamo così ad un meccanismo virtuoso che, grazie anche all’affermarsi del digitale, predilige un linguaggio visivo travolgendo il concetto stesso di scrittura, ampliandone i confini sulla base delle dinamiche che regolano gli stessi media: chiarezza, velocità, multidisciplinarietà, interattività, essenzialità.
Il giurista – che da anni si è concentrato esclusivamente sul pensiero verticale, caratterizzato da un approccio rigoroso e sequenziale – ha ignorato a lungo l’importanza dell’interdisciplinarità, trascurando il fatto che la contaminazione con altre discipline può offrire nuove prospettive.
Il “nuovo” avvocato, se non vuole correre il rischio di essere lasciato indietro, deve evolversi ed arricchirsi di competenze anche trasversali (linguistiche, informatiche, comunicative).
Così – esplorando percorsi alternativi – si scoprono soluzioni innovative.
Si pensi ad un contratto, il solito “muro di parole” (ostico da leggere e da comprendere) che può essere sostituito da un contratto smart in cui l’utilizzo del grassetto, delle immagini, di numeri, di colori diversi e di collegamenti ipertestuali lo rende più fruibile, in grado di essere letto con più facilità, compreso con più agilità e in minor tempo: in poche parole, l’attrattività genera efficacia.
Certo, questo cambiamento implica fatica.
Le ragioni per farlo però – a mio avviso – valgono lo sforzo:
- stando al passo con la realtà in continuo divenire, ci si arricchisce personalmente e professionalmente;
- si riduce la distanza con il cliente (e, in generale, con l’uomo);
- un lavoro efficiente comporta risparmio di tempo (e quindi di costi).
Questo nuovo mindset risulta particolarmente utile nel contesto giuridico moderno, dove le sfide sono complesse e spesso richiedono risposte che vanno oltre i confini tradizionali del diritto, raramente inquadrabili dentro categorie nette e predefinite.
Riprendendo Bauman e la sua illuminante intuizione sulla “modernità liquida”, per essere moderni bisogna essere “in divenire”, non corriamo il rischio di farci scappare questa opportunità.