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Batti… un segno!

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Batti… un segno!

Levando dagli scatoloni gli addobbi di Natale ho ritrovato un biglietto di auguri, di qualche anno fa, da parte di un carissimo zio, che non mancava mai di accompagnare il regalino con due righe scritte a mano, oltretutto con una calligrafia che, per quanto ormai tremante, era e rimane sempre elegantissima.

Ora, a distanza di tempo, è evidente come il vero regalo fosse il biglietto, oggi ancora più apprezzato dell’oggetto che accompagnava.

Questo mi ha fatto riflettere sulla bellezza della scrittura e sui rischi, di perdere questa preziosa forma di espressione, che collega direttamente la mente alla mano e che traduce i pensieri in simboli sul foglio di carta.

La grafia, in un’asettica definizione, è la conversione dei fonemi in grafemi ordinati nella norma ortografica di una data lingua. Ma in realtà ciascuno di noi sa bene che un manoscritto, che sia una lettera o un quaderno delle elementari, è molto più di un metodo codificato di comunicazione; ha un valore inversamente proporzionale alla sua grande semplicità.

Certo i vantaggi della scrittura mediante tastiera o altri strumenti, sono innegabili perché si riducono tempi e sforzi, ma questi strumenti non regaleranno mai le stesse emozioni della scrittura chirografa.

La sfida da perseguire, senza demonizzare pc, tablet e smartphone è farli convivere con la tradizione.

Sull’argomento mi hanno suggerito e condivido con grande piacere, il recente ed interessante saggio sul Valore imprescindibile di carta e penna nei processi di apprendimento che evidenzia, tra l’altro, l’importanza di questo metodo anche ai fini dello studio. Nel testo si spiega come prendere appunti con carta e penna porti ad un maggiore apprendimento, rispetto a farlo su un dispositivo elettronico e che “ogni tipo di scrittura (stampatello e corsivo) è associata a schemi cerebrali differenti e diversi stati emotivi”.

Anche Emanuela Fanton, grafologa e specializzata in evoluzione del gesto grafico, in un’ intervista di qualche anno fa sul Sole 24 ore, parla dell’importanza di potenziare la capacità della scrittura manuale: “scrivere vuol dire organizzare il pensiero; scrivere in corsivo, poi, a differenza dello stampato, obbliga ad un gesto grafico più raffinato, più organizzato e dunque richiama funzioni neurologiche più complesse. Il corsivo attiva aree del sistema nervoso decisive e fondamentali, che saranno alla base di tutti gli apprendimenti. Spesso le disgrafie sono conseguenti a problemi della sfera emozionale e affettiva. I bambini che hanno difficoltà a scrivere, o scrivono male, spesso presentano di pari passo, difficoltà di concentrazione o difficoltà nella sfera degli affetti e delle emozioni”.

Inoltre, osserva su Adnkronos lo storico della lingua italiana e filologo Rosario Coluccia, professore emerito di linguistica italiana dell'Università di Salerno e Accademico della Crusca, se nessuno scrivesse più con carta e penna, il correttore automatico degli strumenti digitali a lungo andare svilirebbe le nostre competenze ortografiche.

Per “imprinting” scolastico, quando penso alla scrittura manuale penso subito al corsivo, che indubbiamente è lo stile più raffinato e che, come suggerisce il suo nome, sembra davvero correre sulla carta tutto d’un fiato, visto che la mano si stacca pochissimo dal foglio. Nella scrittura in corsivo, l’inchiostro segue i pensieri li riorganizza e ne è spesso sfogo, revisione e a volte conforto e catarsi, tenuto conto dei noti poteri terapeutici della scrittura.

Quello che non sapevo è che questo stile viene anche chiamato stile “aldino” proprio dal nome del suo ideatore, il designer editoriale Aldo Manuzio che alla fine del Quattrocento, lo commissionò al tipografo Francesco Griffo. Non solo. Mentre noi definiamo il “corsivo”, il resto del mondo lo chiama “italico” proprio in onore di Manuzio.

Mentre penso alla fluidità della scrittura, mi viene in mente la difficoltà del compagno di banco mancino, che trascinava con sé sul lato della mano parte dell’inchiostro, applicandolo poi come un timbro nelle parole successive, con buona pace della maestra che, comprendendo questo disagio, gli suggeriva di allungare il polsino del grembiule per coprire la mano lasciando fuori solo le dita.

Anni dopo, da mamma, ho vissuto con grande emozione quel momento in cui le manine impugnano per la prima volta la penna (all’inizio cancellabile) e tracciano i segni, ancora incerti, di un codice secolare che sembra avere sempre la saggezza di aspettare che quel tratto diventi più sicuro, per poter correre insieme.

Ho curiosato ancora un po’ sul tema e ho scoperto che questo gesto antico è ancora molto attuale e pare che “carta, penna e calamaio” recuperino terreno, nonostante gli incalzanti tablet e tastiera strizzino l’occhio ai nativi digitali.

Esistono dei veri e propri corsi di calligrafia, manuali di hand lettering e persino un Handwriting day per commemorare il 23 gennaio la “Giornata Mondiale della scrittura a mano”. In questa data infatti nacque John Hancock, primo firmatario della Dichiarazione di Indipendenza degli Stai Uniti d’America. Se ci riflettiamo, quella firma epocale non avrebbe avuto lo stesso fascino se fosse stata apposta, al giorno d’oggi, con firma digitale, decisamente più “impersonale” (anche se di medesima efficacia e peraltro comodissima).

E’ proprio così, la penna, oggetto umile e alla portata di tutti, è stata testimone e strumento di storia e progressi, come ci racconta Jake Weidmann nel video Ode alla penna. Ode all’uomo che esordisce con un paradosso spiazzatene, che nasce dal contrasto tra la semplicità della penna e la sua potenza nel contribuire a creare il mondo in cui viviamo: scoperte scientifiche, esplorazioni, guerre, religioni, opere d’arte e amori tutto è stato segnato su carta, da una penna.

Forse dovremmo dedicare alla scrittura manuale una “nicchia speciale”, in cui lasciare un segno, un’impronta che vincerà il tempo.

Per esempio, gli scritti di valore affettivo sono carezze per l’animo. Un biglietto scritto a mano ha lo stesso sapore di premura e attenzione, che può avere preparare una dolce a casa per un amico, piuttosto che comprarlo in pasticceria. È un dono fatto con le nostre mani e richiede impegno e cura perché mettiamo molto di noi nella scrittura.

La grafia ancora oggi rimane un segno di riconoscimento importante della persona, come confessa la poesia di Anna Maria CarpiCara scrittura a mano… Dicevi chi eravamo, ci svelavi: estroverso, introverso, pavido, megalomane…”.

Certo le grafie non sono tutte calligrafie, ma il manoscritto ha una suggestione personale, soprattutto se chi lo riceve è affettivamente legato al mittente. In questo caso la scrittura è nota, familiare e sarà sicuramente gradita e pregiata agli occhi del destinatario al pari della voce, sarà un dialogo che resta.

Oppure in quella “nicchia speciale” potremmo dedicare uno spazio per noi. Ad esempio iniziare un diario, confidente silenzioso, ma utilissimo, per riordinare le idee e i moti interiori, o ancora in vista del nuovo anno, scoprire la bellezza dell’agenda cartacea, sulla quale scrivere i progetti (io la chiamo “l’agenda dei buoni propositi”) e con una gestualità quasi rituale celebrare l’inizio del nuovo anno, scegliendo il tipo di carta e di penna da utilizzare per inaugurare la prima solenne pagina bianca, nelle cartolerie c’è letteralmente da perdersi dietro a questi dettagli.

Insomma, la scrittura manuale ha una magia che sicuramente tutti condividiamo, allora buona scrittura a tutti noi!