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Detto… fatto

Marina di Ravenna
Ph. Alessandro Saggio / Marina di Ravenna

Detto… fatto

Oggi mi sento un pesce fuor d’acqua, mi sono alzata con la luna storta ed ho passato una notte in bianco forse… ho troppi grilli per la testa.

Tranquilli non serve che attiviate un TSO per me… o almeno non per quanto avete appena letto!

Nella frase un po’ sconclusionata scritta in apertura, ho provato a giocare un po’ utilizzando alcuni dei tantissimi detti della lingua italiana d’uso comune.

Le “frasi fatte” nascono dalla meravigliosa forma di comunicazione che è il linguaggio umano, dallo spirito di osservazione, a volte dall’ironia ma, soprattutto, dalla capacità di rielaborazione unica della mente umana, dotata di un’originalità che… IA “spostati proprio” (tanto per citare una nuova espressione in voga da qualche anno).

Queste locuzioni idiomatiche, ci aiutano a descrivere un concetto in maniera tanto efficace e fantasiosa quanto utile, andando oltre il significato letterale delle parole. Tuttavia, non tutti le apprezzano anzi, a qualcuno possono risultare anche sgradite. Umberto Eco suggeriva ad esempio di evitare le frasi fatte perché sono una “minestra riscaldata” ed infatti vengono rigorosamente evitate da chi non vuole apparire banale e prevedibile.

Ma c’è anche chi le difende come ad esempio Paolo Squillacioti, direttore dell’Istituto Opera del vocabolario italiano del CNR, che nel suo “frasi fatte bene” spiega perché i luoghi comuni siano tanto diffusi, sia a livello colloquiale, sia in altri ambiti, per esempio quello politico o letterario. Non si tratterebbe quindi di mere banalità: “il concetto di luogo comune è proprio dell'impianto aristotelico e in particolare della dialettica… e non bisogna fare l’errore di sottovalutarne la funzione argomentativa: in quanto arsenale indispensabile al quale, chi vuole persuadere altri, dovrà per forza attingere… per convincere occorre farsi capire e per farsi capire conviene ricorrere a un lessico che suoni familiare.” Allora? Conclude l’autore “Una delle caratteristiche peculiari dei grandi scrittori è proprio quella di gestire i luoghi comuni linguistici e concettuali, rivitalizzandoli e facendoli sentire meno banali.”

Di molti modi di dire spesso non conosciamo nemmeno l’origine, sulla quale magari ci sarà anche capitato di interrogarci per curiosità. Come ha fatto con grande immaginazione Bianca Pitzorno, nel libro “Parlare a vanvera” consigliato a tutte le età, che dà una spiegazione fantasiosa all’etimologia di molte frasi famose.

Ma, qualunque sia la loro genesi, metafora, aneddoto o leggenda, sono parte integrante, familiare e spontanea del nostro codice comunicativo ed è inevitabile per tutti noi ricorrere a qualche luogo comune linguistico e come si legge in questo divertente articolo “non c’è nulla di male, sappiamo che li avete usati anche voi!.

A volte senza nemmeno saperlo facciamo delle vere e proprie citazioni d’autore!

A tal proposito vorrei condividere con voi lo stupore nella scoperta della nobile origine dell’espressione “Stanno freschi”, che io attribuivo ai vini lasciati al fresco in cantina… povera me ignorante! Questa frase nasce un po’ più giù della cantina, niente di meno che nell’Inferno dantesco. Infatti, nella Divina Commedia vengono descritti i dannati che si trovano presso il lago di Cocito e che stanno tanto più immersi nell’acqua fredda, quanto più gravi sono stati i loro peccati in vita. Questo è il motivo per cui Dante descrive il luogo come quello in cui “i peccatori stanno freschi”. Altro che cantina!

Ai linguisti più attenti non sfuggirà che c’è comunque una distinzione per tipologie, anche se va detto che non ci sono dei confini ben definiti né una definizione precisa di “modo di dire” e che queste locuzioni figurate sono state spesso considerate, lato sensu, esempi di espressioni idiomatiche convenzionali.

Senza addentrarci nel voler determinare le differenze tra le varie classificazioni, che pure ci sono, potremmo quindi più genericamente ricomprenderci frasi fatte, proverbi, massime, espressioni idiomatiche che, anche allontanandosi dal proprio significato letterale, riescono ad esprimere concetti, descrivere situazioni, persone e che in breve “rendono l’idea” ed hanno senso grazie all’interpretazione che siamo abituati a trarne.

A voler però comunque dare delle coordinate di base, giusto per orientarci un po’, potremmo dire che le frasi fatte che contengono una morale e descrivono situazioni che si ripetono nel tempo, consentendoci di far tesoro di esperienze passate, generalmente prendono la forma dei proverbi, che descrivono situazioni per l’appunto proverbiali.

Un posto speciale si può poi dedicare ai modi di dire più aulici come i detti latini. Chi non ha precisato almeno una volta durante una riunione che “verba volant…”? O in caso di una grande delusione un amarissimo “tu quoque…”? Sono espressioni tanto famose che ormai vengono utilizzate anche nella loro forma abbreviata. Personalmente le vedo come ornamenti linguistici che, inseriti in contesti informali, risultano anche divertenti! Oramai quando devo far capire a mia figlia che sta esagerando la chiamo “Catilina”, perché le ho ripetuto una marea di volte il monito ciceroniano “Quousque tandem abutere, Catilina, patientia nostra”, in realtà non sempre funziona, ma non credo sia colpa di Cicerone!

Tra le massime in latino una categoria e sé è rappresentata dai brocardi giuridici, che oltretutto ho scoperto non sono solo latini ma anche germanici o anglosassoni; summe sintesi che dopo millenni si rivelano tutt’oggi tanto incisive ed efficaci quanto eleganti e suggestive: per gli appassionati del genere, qui un elenco approfondito, anche se probabilmente non esaustivo, ma d’altronde… ad impossibilia nemo tenetur.

Ci sono poi le espressioni meno solenni, ma altrettanto valide e diffuse in quanto frutto della saggezza popolare. In molti casi sono nate dalla quotidianità dei nostri avi, da abitudini, tradizioni o eventi passati poi, con il tempo, sono rimaste nel linguaggio comune.

Ho trovato diversi siti che contengono le spiegazioni e l’origine delle più note locuzioni perfino divise in ordine alfabetico; da quando li ho letti ogni volta che ne uso una mi sovviene in automatico il significato d’origine.

Ma i modi di dire non derivano solo dal passato, se ne creano ogni giorno di nuovi.

Un risultato che ci sorprende, oggi, potrebbe suscitare un bel “clamoroso al Cibali” di origine calcistica.

O ancora, chissà quante volte davanti ad alcuni discorsi pomposi ma insensati, ci è venuta in mente la frase cultfare una supercàzzola” per indicare appunto l’abilità di parlare utilizzando parole a caso sia reali che inesistenti, in modo ingannevole ma veloce, forbito e sicuro, come insegna Ugo Tognazzi nel film “Amici miei”.

Per chiudere nell’attualità non possiamo non ricordare le massime “bersaniane” come “smacchiare i giaguari”; “pettinare le bambole” e “asciugare gli scogli”, che strappano sicuramente un sorriso, ma al contempo ci consentono di dare un massaggio chiaro e forte.

Ai giorni nostri sono arrivati però anche i detti falsi come il famoso “elementare, Watson” in realtà mai scritto da Doyle nei suoi romanzi.

Falsi o inventati che siano, fatto sta che i modi di dire sono patrimonio comune della cultura di un paese e generalmente sono così legati alla loro lingua d’origine dal non poterne essere sradicati, se non a rischio di renderli assolutamente incomprensibili. Se c’è una cosa difficile da spiegare a chi non è madrelingua sono proprio le espressioni idiomatiche. Ne sa qualcosa chi ha provato a tradurre alla lettera espressioni tipo:

“estar hasta en la sopa”, “everything but the kitchen sink” o “en faisant tout un fromage”.

A volte però le esigenze espressive internazionali convergono nello stesso significato, cambiano scenari e parole, ma il senso è sempre quello! La nostra “botte piena e moglie ubriaca” in Germania sarebbe “du kannst nicht auf zwei Hochzeiten gleichzeitig tanzen” non si può ballare contemporaneamente a due matrimoni, a Madrid “no se puede estar en misa y repicando” non si può assistere alla messa e suonare le campane, mentre lungo la Senna “vouloir le beurre et l’argent du beurre” volere il burro e i soldi del burro.

In alcuni casi invece, passaporto alla mano, i modi di dire superano confini e culture e si trovano praticamente uguali in lingue o dialetti diversi, fratelli dello stesso antico padre.

Come nella colorita espressione relativa al “lato B” di una persona irrequieta: in sassarese si definisce “culo di malassentu”, in spagnolo “culo de mal asiento” ed è praticamente identico anche nella versione partenopea “culo ‘e mal’assietto”.

Non sempre però il significato delle pittoresche locuzioni è intuibile e collegato alla realtà.

Ad esempio, mentre sono facilmente immaginabili e reali le conseguenze dello “svegliare il cane che dorme” (che peraltro in Francia è un gatto!); è invece assolutamente scollegato dalla realtà e privo di riscontri obiettivi il pianto del coccodrillo, che non piange certo per pentimento, ma solo per mantenere il suo bulbo oculare pulito e lubrificato come spiega bene quest’articolo “i coccodrilli piangono in tutte le lingue”.

Al contrario un reale collegamento di natura non scientifica ma storica, si ha invece nell’espressione “anche i muri hanno le orecchie”; di origine francese e risalente al XVI secolo, si può attribuire a Caterina de’ Medici, che fece installare un sistema di condotti acustici, per ottenere informazioni in merito alla cospirazione che sospettava.

In Italia possiamo vantare un panorama florido di detti, variabile non solo da regione a regione, ma anche da città a città.

Nella mia città (Sassari) ad esempio, se sento dire che una persona è “legna verde” certo non mi aspetto che mi offra l’aperitivo e quando uno è un “pidocciu azzaddu” (pidocchio alzato) so che è una persona che, dimenticandosi delle sue origini, si dà tante arie, come il pollo che non vola e fa solo aria muovendo le ali… ed ecco che ho spiegato un modo di dire con un altro modo di dire.

In chiusura mi piace ricordare qualche proverbio regionale che infonde sempre grande saggezza ed aspettare le vostre graditissime integrazioni nei commenti:

Sicilia: “Quannu si' a cavaddu saluta lu piduni” - quando sei a cavallo saluta il pedone. Tratta bene chi è sotto di te quando ti trovi in una posizione di superiorità.

Lazio: “Chi tte fa più de mamma, o tte finge o tt’inganna.” - chi fa più di tua madre, o finge o ti frega. Attenzione a chi si finge eccessivamente gentile.

Lombardia: “Laurà cun legria, l'è 'l mej mestéè che ga si” - lavorare con allegria, è il più bel mestiere che ci sia.