Sguardo
Quando si parla di comunicazione nella didattica, ad esempio, si mette in evidenza l’importanza del modo in cui è svolta e delle tecniche espositive, nonché della finalità dell’apprendimento cognitivo, della durata dell’attenzione e così via; quando si discute della comunicazione nelle relazioni interpersonali non può essere trascurata la capacità di empatia, come pure quella di esprimere emozioni, senza esagerare, e di partecipare affettivamente all’incontro.
L’aspetto cognitivo, la parola, il linguaggio e le doti e lo stile espressivo costituiscono gli elementi principali d’ogni argomentazione a questo riguardo.
Non va però sottovalutata un’altra componente essenziale di ogni comunicazione e di tutte le relazioni, ovvero la mimica e la gestualità che sono utilizzate dall’oratore, strumenti e modalità indicanti la qualità del suo aprirsi e il porgere le sue conoscenze agli altri.
La parola sguardo è sicuramente una di quelle che ci introduce a questa dimensione preverbale, di grande valore nell’incontro interpersonale ed in quelli con un gruppo.
A proposito dell’aspetto preverbale del contatto, è sufficiente pensare agli sguardi dei ritratti e ad alcuni quadri di grandi pittori, come Antonello da Messina, Leonardo, Raffaello, Van Gogh, Vermeer, per citarne solo alcuni, che ci trasmettono intensamente, mediante le loro opere, con lo sguardo i moti dell’animo del personaggio rappresentato.
Per non parlare poi dei fotografi: come possiamo dimenticare la “ragazza afghana” di Steve McCurry, impasto di emozioni drammatiche di vicende personali dolorose, lo sguardo obliquo, furtivo e d’intesa del bambino nella foto “Provence” di Elliot Erwitt, che ci trasmette una sensazione di muto dialogo con l’autore. Infine, l’intensità espressiva della bambina con il pallone della fotoreporter Letizia Battaglia, che condensa in uno scatto un coacervo di sentimenti di diffidenza e rabbia. In tutte queste fotografie gli occhi hanno una prevalenza comunicativa che cattura l’osservatore.
Questi brevissimi cenni solo per rammentare quanto la mimica facciale, pur essendo pietrificata in una fotografia o in un ritratto (ma anche in una scultura come l’Estasi di Santa Teresa d’Avila del Bernini), possa creare un passaggio di stati d’animo, magari anche differenti da persona a persona, perché sono possibili svariate interpretazioni del messaggio veicolato dall’autore.
Se tutto questo accade di fronte ad un quadro o ad una fotografia, non vi è alcun dubbio che altrettanto succeda negli incontri di persona, senza che magari abbiamo una consapevolezza completa di questo transito di emozioni.
Proprio per quanto detto, non a caso lo sguardo è definito come “l’atto di guardare”: quindi trattasi di un’azione, che, come tutte le azioni, produce delle contro-reazioni singole o collettive, in base al sentimento che viene trasmesso oppure è percepito.
Si può dire, infatti, che uno stesso segnale può avere più significati allo stesso tempo: per l’assenza di un chiarimento verbale, lo sguardo può risultare carico di un’ambiguità, che ci può lasciare spiazzati. A tal proposito è sufficiente ricordare, qui, lo sguardo/sorriso della Gioconda di Leonardo, oggetto di tante interpretazioni nei secoli.
Quando lo sguardo è più esplicito può trasmettere benevolenza, dolcezza, disprezzo, pietà, fierezza, arroganza, timidezza, compassione e così via. “Parlare con gli occhi” è un’espressione ampiamente usata, che sottolinea proprio questa capacità e specificità di esprimersi senza parlare. Lo sguardo poi non ha solo una funzione attiva, ma pure quella recettiva di raccogliere informazioni dal mondo esterno, ad es. per avere un feed-back dei propri comportamenti o delle proprie parole.
Nella vita di gruppo poi, qualsiasi attività svolga, gli sguardi d’intesa sono normali, presupponendo una condivisione di giudizio, di parere, di approvazione o meno su quanto sta accadendo o quanto qualcuno sta facendo/dicendo in quel momento. Ci ricordano, rinviando alla nostra infanzia, che il contatto visivo e lo sguardo hanno avuto un ruolo centrale nello sviluppo dell’attaccamento a chi ci ha accudito e di conseguenza poi agli altri, e nella crescita delle competenze sociali.
Vorrei qui estremizzare il senso dello sguardo in due situazioni: lo sguardo che accoglie trasmette disponibilità con il sorriso, l’attenzione e l’interesse all’altro e lo sguardo invece che evita il contatto visivo, negando addirittura l’esistenza dell’altro per i motivi più diversi. L’inclusione/esclusione in un gruppo di lavoro passa ancor prima dell’interlocuzione verbale da quella preverbale dello sguardo.
Nelle attività a distanza, che riguardino la didattica o riunioni di lavoro, il contatto visivo, atomizzato in una serie ritagli del video, quanto può consentire di valutare l’efficacia della comunicazione mediante l’osservazione degli sguardi, della postura, dei movimenti, che riflettono il grado di attenzione e di comprensione?
Lo sguardo dello studente comunica l’interesse, quindi un giudizio valoriale, sulla materia ed il docente, così come lo sguardo del docente rimanda all’allievo un suo interesse, quindi una sua attenzione alla persona che si nutre di questo rinforzo. Come scrive Enrico Galiano “gli sguardi degli adulti per gli adolescenti sono necessari come l’acqua nel deserto”.
Riflessioni su questi temi, senza giudizi a priori sugli strumenti tecnici che via via utilizziamo sempre di più nella nostra attività, saranno oggetto di discussione nel 1° meeting annuale di Umanesimo Manageriale, La persona al centro dell’agire del Manager etico, che si svolgerà a Como il prossimo 18 novembre.