Mass media e corruzione: percezione e strumenti preventivi
Mass media e corruzione: percezione e strumenti preventivi
ABSTRACT
Nell’era della cosiddetta “informazione veloce”, i mass media si rivolgono sempre più ad un pubblico vasto e diversificato: si ritrovano a ricoprire un ruolo cruciale nell’indirizzare quelle che sono le opinioni pubbliche; da qui nasce, dunque, la necessità di trasmettere le informazioni rendendole accessibili ai più.
Molto spesso però, ci si trova davanti ad un’asimmetria informativa: chi legge o ascolta non è a conoscenza dei fatti realmente accaduti, riponendo di conseguenza una totale fiducia in ciò che viene detto o scritto dai principali mezzi di comunicazione.
La premessa dalla quale è opportuno partire è che il giornalista è un soggetto fondamentale per porre luce sulla fenomenologia corruttiva; difatti diversi studi, dei quali si dirà, evidenziano come un sistema d’informazione libero ed indipendente sia la chiave principale per contrastarne gli effetti.
Il presupposto dal quale questi studi partono è che il giornalista svolga il suo ruolo con una connotazione positiva, cioè metta in atto quello che è definito watchdog journalism, letteralmente tradotto “giornalismo da cane da guardia”, stando a sottolineare che la sua funzione principale è quella di indagare e successivamente denunciare comportamenti illeciti, fungendo da deterrente per il protrarsi di episodi di malaffare.
Essi, dunque, in base al loro approccio, sono in grado di influenzare la percezione che il pubblico ha rispetto a queste tematiche, rendendo, di conseguenza, l’opinione più sensibile. Ecco perché il presente articolo è dedicato all’analisi del ruolo che i mass media rivestono, alla luce dei principali strumenti normativi in materia di contrasto alla corruzione, mettendo in relazione il rapporto che intercorre tra la responsabilità di informare, la tutela della privacy e la presunzione di innocenza.
CORRUZIONE E CONTESTO INTERNAZIONALE: I REPORT DEL TRANSPARENCY INTERNATIONAL COME CARTINA DI TORNASOLE DEL FENOMENO CORRUTTIVO
A più di trent’anni dalla vicenda “Mani Pulite”, una delle affermazioni che si sente più spesso in ordine al nostro Paese è che la corruzione continua ad essere una piaga dilagante; essendo un’attività illegale, come è possibile misurarla?
La risposta a questa domanda è fornita dai report redatti a cura del Transparency International. Come noto, si tratta di un’organizzazione non governativa che si occupa di redigere rapporti sul tema della corruzione, non solo in ambito politico. Secondo questi rapporti, che misurano la percezione della corruzione, basandosi su domande poste a uomini d’affari, analisti ed esperti internazionali, l’Italia – per un lungo periodo di tempo – non si è diffusamente interessata al tema, fino al 2019, quando durante l’VIII Conferenza Onu contro la corruzione ad Abu Dhabi, presentò una risoluzione con l’obbiettivo di promuovere indicatori oggettivi per misurare il fenomeno della corruzione.
Episodio che ha ricordato il Ministro Nordio durante la X Conferenza degli Stati parte della Convenzione Onu contro la corruzione, tenutasi ad Atlanta pochi giorni fa.
Il Ministro durante l’evento ha colto l’occasione di sottolineare come siano necessari dei metodi “obiettivi e scientifici” per misurare tali pratiche corruttive, arrivando così ad “acquisire una conoscenza migliore ed affidabile e una comprensione basata sull’evidenza della corruzione e delle relative tendenze”.
È risaputo da chi si occupa di fenomeni sociali, come le percezioni possano essere distanti dalla realtà: si pensi al processo Eni-Nigeria per corruzione internazionale, dove, secondo la narrazione giornalistica, si trattava di una delle più grandi tangenti della storia. Alla fine però, tutti gli imputati vennero assolti.
Quanto questa discrepanza possa essere profonda lo dimostra un altro indice, sempre di TI sopra citato, che prende il nome di “Barometro globale della corruzione”.
Si tratta di un sondaggio che domanda ai cittadini se ritengono la corruzione un grave problema; dai dati che emergono lo è per l’85% degli italiani; se però viene chiesto loro se è capitato di compiere un pagamento illegale per ottenere un servizio, solo il 3% degli intervistati ha risposto di sì.
Ora, tornando al report di TI sulla percezione della corruzione, il nostro Paese si classifica al 41esimo posto, con un punteggio di 56/100, guadagnando una posizione, rispetto all’anno precedente, nella classifica globale dei 180 Paesi oggetto della misurazione.
Questo indice di percezione, attraverso l’utilizzo di strumenti di analisi, classifica i vari Paesi in base al livello di corruzione percepita nel settore pubblico. Il punteggio finale viene determinato da una scala che va da 0 (alto livello di corruzione) a 100 (basso livello di corruzione).
Il report del 2022 sottolinea come l’alto tasso di corruzione sia una delle principali minacce alla stabilità economica, sociale e politica di un Paese, in quanto questo fenomeno concorre all’erosione delle risorse del benessere comune, creando terreno fertile per innumerevoli attività illecite.
Con un voto di 66/100, l’UE ottiene uno dei punteggi più alti nell’Indice di Percezione della Corruzione (CPI); invece l’Italia si classifica al 17esimo posto su 27 tra i Paesi membri dell’Unione europea.
IL CONTESTO DOMESTICO
La progressiva attenzione domestica al fenomeno corruttivo è frutto della sempre più spiccata attenzione al tema nonché alla corretta applicazione delle misure normative, molte delle quali preventive, come il nuovo Codice dei contratti pubblici, il D.lgs. 36/2023 il quale, grazie all’implemento della digitalizzazione dell’intero processo d’appalto, ha contribuito a raggiungere una maggiore trasparenza in materia.
Ma non solo. Quanto qui espresso - prevenzione e contrasto alla corruzione - rappresenta altresì un’imposizione di legge, operata dall’art. 2086 c.c. così come novellato dal D.lgs. 12 gennaio 2019, n. 14 (il cd. Codice della Crisi d’impresa e dell’Insolvenza). La norma codicistica, al II comma, così recita: “L’imprenditore, che operi in forma societaria o collettiva, ha il dovere di istituire un assetto organizzativo, amministrativo e contabile adeguato alla natura e alle dimensioni dell'impresa, anche in funzione della rilevazione tempestiva della crisi dell'impresa e della perdita della continuità aziendale, nonché di attivarsi senza indugio per l'adozione e l'attuazione di uno degli strumenti previsti dall'ordinamento per il superamento della crisi e il recupero della continuità aziendale”.
Intento ultimo del Legislatore è porsi come obiettivo primario la valorizzazione della capacità di auto-organizzazione dell’impresa in un’ottica di prevenzione, premiando l’Ente che abbia adottato i presidi necessari per salvaguardare la propria continuità operativa e minimizzare il rischio di cattive pratiche.
Gli Enti risultano essere più incentivati a porre rimedio alle lacune organizzative (per il passato, riparando, e per il futuro adottando moduli organizzativi non di carattere palliativo) quanto più possano avere una fondata aspettativa che questi sforzi vengano “premiati” sul piano sanzionatorio, evitando un’inutile duplicazione della portata afflittiva della pena loro applicata: la pratica professionale registra un'crescente adeguamento alla norma settoriale proprio in ragione della sempre più presente giurisprudenza orientata a valorizzare la presenza di assetti organizzativi adeguati.
MASS MEDIA, PERCEZIONE PUBBLICA DELLA CORRUZIONE E TUTELA DELLA PRESUNZIONE DI INNOCENZA
Il giornalista può giocare un ruolo attivo o passivo nei confronti di questo fenomeno: nel primo caso si parlerà di “Initiator”, cioè, sono quei soggetti che scoprono il caso e ne parlano per primi, avviando in autonomia un giornalismo d’indagine, volto a scoprire e sradicare il fenomeno, dall’altro lato si parlerà invece di “Actively corrupt”.
Un dato è chiaro: il giornalismo d’inchiesta richiede infatti un enorme dispendio di risorse, necessita di un team qualificato ed esperto, in grado di muoversi in quelli che sono tutti gli ambiti che vengono toccati durante un’inchiesta, ed inoltre produce i suoi risultati sul medio-lungo periodo, sottraendo risorse preziose al lavoro quotidiano di una redazione.
Un ulteriore aspetto che influisce sulle scelte di trattare o meno questi argomenti, è il recepimento da parte dell’audience. Per portare un esempio, in alcuni paesi del Sudamerica, dove il tasso di corruzione e disonestà politica è molto più alto rispetto ad altre zone, si rischia di avere sul pubblico un impatto minore attesa una certa (marcata) assuefazione verso queste pratiche.
Si possono evidenziare due effetti consequenziali, quelli definiti tangibili e quelli intangibili.
I primi sono quelli che producono degli effetti diretti, ad esempio l’inizio di un’inchiesta giornalistica, la quale può azionare a cascata un’inchiesta giudiziaria, inducendo le forze politiche ad emanare dei provvedimenti legislativi ad hoc, rafforzando le autorità anti-corruzione.
Nel secondo caso, tra gli effetti intangibili, invece, è l’opinione pubblica ad essere chiamata in causa, la quale aziona dei meccanismi che accrescono la soglia di accountability richiesta ai soggetti che hanno l’onere di scoraggiare queste pratiche.
È pacifico dunque affermare, alla luce di quanto detto fin qui, che se le informazioni vengono divulgate in maniera diligente, i mass media possono essere un valido alleato nella guerra alla corruzione. Sorge però automatico domandarsi quale sia il limite invalicabile tra la responsabilità d’informazione in relazione alla presunzione d’innocenza.
Un’importante svolta in questo campo arriva con il D.lgs. n.188/2021, che recependo una Direttiva UE, introduce delle nuove disposizioni per rafforzare la presunzione d’innocenza.
Quest’ultima trova una salda tutela all’interno della nostra Costituzione, nello specifico all’art. 27, comma 2. Questo principio, assicurando la tutela di chiunque sia sottoposto ad un procedimento penale è confermato altresì nei consessi internazionali: anche la CEDU, al suo art. 6, la Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo all’art. 11 e la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea ribadiscono il concetto.
Il punto cardine del suddetto decreto 188/2021, a garanzia della presunzione d’innocenza, risiede nella circostanza che solamente il Procuratore della Repubblica può ritenersi legittimato a divulgare informazioni sulle indagini e sui procedimenti penali in corso, pur sempre però nei casi, modi e nelle forme previste dall’ordinamento e dal Codice di rito. Tale innovazione risultava già contenuta all’interno di una precedente e risalente normativa (D.lgs. n. 106 del 20 febbraio 2006), recepita essa stessa all’interno del codice di procedura penale, a mente della quale solamente il Procuratore Capo è titolato ad avere rapporti con la stampa. Questa stessa legge, prevede, infatti, che a gestire i rapporti con i mezzi d’informazione vi sia un magistrato delegato, ed impone il divieto ai singoli magistrati di rilasciare loro sponte informazioni sull’attività giudiziaria dell’ufficio.
Inoltre anche nel corso delle conferenze stampa occorre seguire un preciso limite oggettivo-funzionale alla divulgazione di notizie nell’ambito di un procedimento penale in corso: le informazioni possono essere rese note solo se sussistono delle ragioni d’interesse pubblico o se strettamente necessarie per la prosecuzione delle indagini.
Il decreto, sempre sull’impronta Ue, vieta poi “alle autorità pubbliche di indicare pubblicamente come colpevole la persona sottoposta alle indagini o l’imputato”, sottolineando uno dei principi cardine della nostra Costituzione.
DE JURE CONDENDO: L’EMENDAMENTO DELL’ON.LE COSTA
A fronte di un tale quanto mai necessario garantismo prudenziale è doveroso, però, chiedersi se non vi sia il rischio che si alimentino dei canali non legittimi pur di reperire notizie, essendo pericoloso rimettere a un solo soggetto il potere di decidere cosa comunicare e cosa no, limitando di conseguenza il diritto e la libertà di stampa, rendendo difficile al giornalista la ricerca di un riscontro dalla parte pubblica, finendo così per fornire una narrazione parziale dei fatti.
Ci si domanda, quindi, se il risultato non si trasformi in una beffa all’art. 21 Cost., il quale difende la libertà di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto ed ogni altro mezzo di comunicazione.
Tematica controversa attorno alla quale orbita l’ultima proposta del deputato Enrico Costa.
Già nel marzo del corrente anno, in un incontro tenutosi presso il Municipio di Asti, il parlamentare aveva sottolineato come il punto cruciale del nostro ordinamento sia il principio di presunzione d’innocenza, il quale viene sempre più frequentemente eluso da un sistema di incontrollata pubblicità, già a partire dalle indagini preliminari, prima che sia possibile agli accusati una qualunque forma di difesa.
Il deputato ha proposto un emendamento alla legge di delegazione europea, con lo scopo di evitare, fino alla conclusione delle indagini o l’inizio del processo, la pubblicazione dell’ordinanza di custodia cautelare, l’unico atto che, una volta conosciuto dall’indagato, poteva essere reso noto sui giornali.
Si tratta di provvedimenti che molto spesso contengono una quantità significativa di carte d’inchiesta, incluse le intercettazioni, non sempre solo quelle pertinenti a sostenere l’arresto, ma talvolta possono contenere delle conversazioni intrattenute con dei soggetti terzi estranei ai fatti.
Per Costa è dunque necessario impedire che gli atti in questione e conseguentemente queste informazioni sensibili vengano diffuse, a discapito della reputazione dei coinvolti. La soluzione starebbe dunque nell’impedire la totale pubblicazione di questi atti, ma sempre con un occhio di riguardo all’ art. 21 Cost..
Allo stato attuale il suddetto emendamento è stato approvato alla Camera e dovrà quindi ottenere il vaglio definitivo del Senato.
Il progetto in questione è del tutto lineare con quella che è la visione del Ministro della Giustizia, Carlo Nordio, il quale, già nei mesi scorsi, dialogando con i vertici di alcune forze politiche, si è dimostrato favorevole a una modifica che andasse in tal senso.
CONCLUSIONE
In conclusione, a fronte di quanto trattato nel presente articolo è doveroso sottolineare come il dibattito pubblico sia fortemente stimolato dall’azione dei media, i quali possono influenzare i processi di riforma, spingendo il direttivo verso sostanziali cambiamenti legislativi e miglioramenti nelle Istituzioni preposte al controllo della corruzione