Lobbying e corruzione in Italia: un vuoto normativo da colmare per trasparenza e prevenzione dal rischio di influenza illecita

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Lobbying e corruzione in Italia: un vuoto normativo da colmare per trasparenza e prevenzione dal rischio di influenza illecita
 

Abstract: Il seguente contributo analizza il fenomeno del lobbying in Italia, mettendo in risalto come l’assenza di una disciplina comporti rischi in termini di conoscibilità delle attività presso i decisori pubblici.

Questo vuoto normativo comporta, inevitabilmente, problemi in ordine alla distinzione tra attività lecita e illecita. In particolare, labile è il confine con la fattispecie di traffico di influenze illecite ex art. 346-bis c.p. ove, forme di intermediazione opaca, si sovrappongono alla legittima rappresentanza di interessi.

Il confronto con altri ordinamenti, interni ed esterni all’Unione Europea, evidenzia come sia necessaria l’introduzione di una regolamentazione trasparente, in grado di individuare con precisione i confini entro cui le lobby – componenti strutturali delle democrazie moderne e riconosciute dalla nostra Costituzione – possano operare legittimamente.  

Si sottolinea, infine, l’urgenza di introdurre strumenti come registri pubblici e codici di condotta, in un’ottica di prevenzione degli abusi, di rafforzamento della trasparenza e di tutela dell’integrità del processo decisionale: un adeguato assetto, senza il quale è impossibile operare.

 

 

  1. Introduzione al fenomeno

In Italia il fenomeno del lobbying – inteso come mezzo di rappresentanza politica [A. G. Massimo, L’attività di lobbying in Italia: i flebili tentativi di una possibile regolamentazione, in Diritto.it, 24 settembre 2009, consultabile al seguente link: https://www.diritto.it/l-attivita-di-lobbying-in-italia-i-flebili-tentativi-di-una-possibile-regolamentazione/] – è ampiamente diffuso, ma resta in gran parte opaco. La sua presenza è indiscutibile; tuttavia, riconoscere con esattezza il perimetro di esercizio, i soggetti coinvolti, con quali strumenti e a quale scopo, è ancora oggi un’ardua opera, a causa della mancanza di regole chiare e di strumenti efficaci di trasparenza.

Nelle democrazie più avanzate, il lobbying costituisce una componente importante del processo decisionale: consente ai gruppi di interesse – economici, sociali, territoriali o professionali che siano – di far valere le proprie esigenze presso i decisori pubblici, contribuendo, qualora esercitato nel rispetto di regole trasparenti, a rendere più informate ed equilibrate le scelte delle istituzioni.
Questa attività è particolarmente diffusa nei sistemi a economia di mercato, dove le politiche pubbliche incidono profondamente sugli equilibri economici e regolatori. Tuttavia, in un contesto normativo incerto, la rappresentanza di interessi può sfociare in pratiche elusive, come il cosiddetto influence peddling – la strumentalizzazione delle proprie relazioni privilegiate con politici o funzionari per ottenere vantaggi indebiti a beneficio di terzi –. In tale contesto, diventa essenziale tracciare con precisione i limiti leciti dell’attività di lobbying, così da distinguere la partecipazione legittima da condotte illecite, meritevoli di sanzione [M. D. Rienzo, A. Ferrarini, Un viaggio tra i fenomeni che mettono a rischio l’integrità, in Azienditalia, n. 3, 2024, p. 473 ss.].

 

 

  1. Lobbying e ordinamento italiano

In Italia, il lobbying presenta caratteristiche particolari. Pur essendo una pratica ampiamente diffusa, continua a mancare una normativa organica che ne disciplini ambiti, limiti e modalità di esercizio con chiarezza. Questa assenza di regole favorisce una zona grigia, nella quale la legittima rappresentanza di interessi può facilmente sovrapporsi a condotte illecite, come la corruzione o il traffico di influenze, compromettendo la trasparenza e la fiducia nel processo decisionale pubblico.

Nel corso di più di 50 anni, sono state presentate più di 100 proposte di legge alla Camera, con l’intento di disciplinare il fenomeno delle lobby anche in Italia, sulla scorta di ciò che avviene negli altri Paesi europei [A che punto è la legge sul lobbying?, in Transparency, International Italia, 14 febbraio 2025, consultabile al seguente link https://www.transparency.it/informati/news/legge-lobbying-lettera-pagano-lobbying4change].

Nel 2022, con il Governo Draghi, il 22 settembre presso la Camera dei Deputati veniva approvata la proposta di legge che prevedeva l'istituzione del “Registro per la trasparenza dell'attività di rappresentanza di interessi” presso l'Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato, che – a causa della caduta del Governo – ebbe vita breve.

Un nuovo tentativo è stato avviato l’8 febbraio 2024, su iniziativa di alcuni Deputati, data in cui si depositava alla Camera la proposta di “Disciplina dell’attività di relazioni istituzionali per la rappresentanza di interessi”, con l’obiettivo – concordemente con l’OCSE – di fornire definizioni univoche dei soggetti e delle attività coinvolte, imporre obblighi di trasparenza su finalità, interlocutori e risorse impiegate, stabilire standard etici e meccanismi di prevenzione dei conflitti di interesse, affiancati da sistemi di controllo e da una strategia volta a promuovere integrità e partecipazione consapevole nei processi decisionali [Camera dei deputati, Proposta di legge n. 1700 dell’8 febbraio 2024, Disciplina dell’attività di rappresentanza di interessi, d’iniziativa dei Deputati Zanella, Bonelli, Zaratti, Dori].

L’attività di lobbying, intesa come rappresentanza organizzata di interessi, trova legittimazione nella nostra Costituzione, che promuove la partecipazione dei cittadini e delle formazioni sociali ai processi decisionali pubblici. Diversi articoli della nostra Carta costituzionale – tra cui gli artt. 2, 3, 18, 49, 50, 71 e 75 – riconoscono e garantiscono tale partecipazione, sia in forma individuale sia attraverso corpi intermedi, nella convinzione che essa rappresenti una componente essenziale del pluralismo democratico e del buon funzionamento delle istituzioni rappresentative. Uno tra tutti: l'art. 18 della Costituzione italiana che garantisce il diritto di associarsi liberamente, il quale costituisce una base fondamentale per la partecipazione dei cittadini attraverso formazioni sociali, come le associazioni e i gruppi di interesse.

 

 

  1. Confine sottile con il traffico di influenze illecite, ex 346-bis c.p.

Sebbene la rappresentanza di interessi costituisca un’attività pienamente legittima nel nostro ordinamento, è importante sottolineare come essa possa, talvolta, avvicinarsi a condotte che rischiano di sconfinare in fattispecie penalmente rilevanti.

In questo senso, il confine con il delitto di traffico di influenze illecite – introdotto dall’art. 346-bis c.p. – può risultare particolarmente sfumato. La norma penale non intende criminalizzare la rappresentanza di interessi in sé, ma colpisce le condotte in cui un soggetto si fa promettere o dà indebitamente denaro o altra utilità al fine di remunerare l'intermediazione illecita verso un pubblico ufficiale, mediante l’uso di relazioni personali o abusi di posizione. Si tratta dunque di distinguere chiaramente tra forme lecite di advocacy e condotte opache che compromettono l’imparzialità della decisione pubblica [D. Tarantino, Il traffico di influenze illecite nel contesto della frammentata regolamentazione italiana del lobbying, in Le Società, n. 4, 2018, p. 497.].

Quando, nel 2012, è stata introdotta la fattispecie del traffico di influenze illecite, il Legislatore ha mostrato consapevolezza della necessità di non ostacolare le dinamiche fisiologiche del processo decisionale pubblico. Durante i lavori parlamentari, il Ministro della Giustizia dell’epoca, Prof. Paola Severino, aveva infatti riconosciuto i potenziali rischi connessi all’assenza di una regolamentazione del lobbying, accogliendo l’impegno a predisporre un intervento normativo in materia.

Sebbene tale intervento non sia stato ancora realizzato, questa attenzione si è comunque riflessa nella formulazione della norma, che ha previsto quindi requisiti di illiceità specifica, riferiti sia alla promessa o alla dazione indebita sia alla mediazione illecita, e ha circoscritto l’ambito dell’accordo agli atti contrari ai doveri d’ufficio [E. Scaroina, Lobbying e rischio penale, in Diritto Penale e Processo, n. 6, 2016, p. 824 ss.].

A dimostrazione di quanto si calpesti un terreno delicato, la normativa in oggetto è giunta – nel 2024 – alla sua terza formulazione. Infatti, la Legge Nordio, entrata in vigore il 25 agosto 2024, è intervenuta nuovamente sull’articolo 346-bis c.p., cercando di individuare confini più precisi, restringendo il perimetro entro cui si muove la fattispecie.  

La Relazione Illustrativa che accompagna la riforma del 2024 evidenzia espressamente come non sia più configurabile la mera millanteria: affinché si configuri il reato, è necessario che il soggetto faccia un uso effettivo delle relazioni intrattenute con il pubblico agente.

Dato lo stretto rapporto tra traffico di influenze illecite e rappresentanza di interessi presso i decisori pubblici, l’attività di lobbying, qualora esercitata in modo irregolare, può quindi alterare la presa di decisioni in seno al pubblico, erodendo quei principi di trasparenza, di pari accesso e imparzialità delle deliberazioni pubbliche [V. Mongillo, Il nuovo traffico di influenze illecite: evoluzione e dilemmi di un nodo irrisolto, in Diritto Penale e Processo, n. 9, 2024, p. 1125].

 

 

  1. Confronto con altri ordinamenti

L’Unione Europea ha, da tempo, adottato un “Registro per la trasparenza”, allo scopo di mettere a disposizione dei Cittadini UE le informazioni relative alle attività di rappresentanza di interessi svolte proprio all’interno delle medesime istituzioni.

Tale registro – predisposto a cura del Parlamento europeo, del Consiglio dell’Unione europea e della Commissione europea – contiene dati statistici sui componenti dello stesso. I partecipanti devono altresì rispettare un apposito Codice di condotta.

Nonostante si tratti di una registrazione volontaria, le singole istituzioni hanno la facoltà di prevedere la stessa come requisito per compiere determinate attività di rappresentanza di interessi.

Ciò non è bastato a far sì che si predisponesse una regolamentazione univoca in Europa.

Tra i Paesi europei che hanno adottato un registro di tale portata, spiccano i Paesi Bassi, luogo in cui l’iscrizione è obbligatoria.

In Francia, ad esempio, la legge n. 2016-1691 ha affidato a un'autorità indipendente – la Haute Autorité pour la transparence de la vie publique – la tenuta di un repertorio digitale nazionale dei rappresentanti di interessi, imponendo obblighi di dichiarazione periodica e regole deontologiche vincolanti.

Volgendo l’occhio oltreoceano, negli Stati Uniti è stata predisposta una normativa destinata ai soggetti che abbiano occupato cariche elettive o abbiano svolto il ruolo di funzionari o dirigenti in ambito di pubblico impiego, per poi – cessato il rapporto – ricoprire di incarichi in aziende private o società di consulenza in attività di lobbying.

Tale normativa pone un divieto al fenomeno delle cosiddette “revolving doors”, che definisce la situazione in cui un soggetto sfrutta le sue competenze e conoscenze dell’ambiente e dei processi interni, nonché le relazioni personali, acquisiti nell’ambito del precedente impiego pubblico. La normativa agisce in un’ottica di trasparenza e riduzione della corruzione, contrariamente a quanto avviene in Unione Europea, in cui l’obiettivo è essenzialmente la promozione dello sviluppo economico. Analogamente ha legiferato la Gran Bretagna. [G. G. Trosio, Lobbying: Comparazione fra USA, UE e Italia, in Platform Europe – Risk & Compliance, 25 settembre 2020, disponibile al seguente indirizzo: https://www.riskcompliance.it/news/lobbying-comparazione-fra-usa-ue-e-italia-numeri-e-legislazione/].

Tuttavia, tale normativa non è stata ancora pienamente recepita nei singoli Paesi dell’Unione Europea, nonostante – come risulta dal report di Transparency International EU del 2017 – questo problema sia largamente presente: infatti, una volta terminato il mandato, più del 50% degli ex-Commissari e più del 30% dei politici avviano attività di lobbying in organizzazioni iscritte al menzionato Registro [S. Rotella, Lobby in Italia e nell’Unione Europea, in Orizzonti Politici, 3 novembre 2022, visionabile al link: https://www.orizzontipolitici.it/lobbying-italia-ue-regolamentazione-attivita-di-pressione/].

Anche in Italia, al fine di contrastare il fenomeno del “pantouflage”, il D.lgs. 30 marzo 2001, n. 165, modificato dalla Legge Severino, ne ha previsto il divieto. L’art. 53, comma 16-ter, stabilisce che i dipendenti che negli ultimi tre anni abbiano esercitato poteri autoritativi o negoziali per conto delle pubbliche amministrazioni non possono svolgere, nei tre anni successivi alla cessazione del rapporto di pubblico impiego, attività lavorativa o professionale presso soggetti privati destinatari dell’attività svolta attraverso i medesimi poteri.

Con la Delibera n. 493 del 25 settembre 2024, l’ANAC ha emanato apposite Linee Guida – a integrazione del Piano Nazionale Anticorruzione 2022 –, al fine di fornire indirizzi interpretativi e operativi sui profili sostanziali e sanzionatori relativi a tale ipotesi di impossibilità successiva.

 

 

  1. Conclusioni

È importante sottolineare che, rispetto alle implicazioni penali di una futura regolamentazione del lobbying, l’aspetto più rilevante non riguarda esclusivamente (o principalmente) l'introduzione di registri che documentino le attività dei rappresentanti di interessi, né tanto meno gli obblighi di trasparenza, che si concentrano principalmente sugli aspetti “formali” dell'attività.

Ciò che riveste una maggiore rilevanza, invece, sono le regole di legittimità sostanziale, ossia la definizione di un codice di condotta, le modalità operative e le previsioni concrete da seguire nei rapporti tra i rappresentanti di interessi e i decisori pubblici, che garantiscano un equilibrio tra trasparenza, correttezza e legittimità sostanziale delle interazioni [V. Mongillo, op. cit, p. 1133 ss.].

In conclusione, una regolamentazione efficace del lobbying potrebbe rappresentare un’occasione per il Legislatore non solo per colmare un vuoto normativo, ma anche per distinguere in modo più chiaro i confini tra la rappresentanza legittima di interessi e le condotte penalmente rilevanti. In particolare, anziché mantenere una fattispecie generica e di difficile applicazione come quella attualmente prevista per il traffico di influenze illecite, sarebbe stato opportuno differenziare le situazioni in cui il mediatore agisce da privato rispetto a quelle in cui è un pubblico agente a strumentalizzare la propria carica (attualmente la normativa fa genericamente riferimento a «chiunque […]»). La mancanza di tale distinzione rischia di confondere due fenomeni diversi sia sotto il profilo della gravità, che sotto quello delle finalità perseguite.

Solo una chiara disciplina del lobbying – fondata su trasparenza, responsabilità e limiti operativi – consentirebbe di valorizzare l'attività legittima di rappresentanza degli interessi, prevenendo al contempo derive opache o illecite, e assicurando una più corretta applicazione delle norme penali nei casi in cui l’influenza si traduca in indebita pressione o in vero e proprio mercimonio della funzione pubblica [F. Cingari, La riforma del delitto di traffico di influenze illecite e l’incerto destino del millantato credito, in Diritto Penale e Processo, n. 6, 2019, p. 754 ss.].

L’introduzione di una disciplina in materia apporterebbe anche benefici in termini di fiducia tra Stato e cittadini, siccome la mancanza di regolamentazione è da taluni interpretata nella volontà di mantenere nell’ombra rapporti clientelari ancora oggi diffusi, dei quali solo una frazione agisce alla luce del sole, tramite la partecipazione attiva di aule e uffici parlamentari [E. Scaroina, op. cit., p. 827 ss.].

A testimoniarlo è il recente scandalo Qatargate, che ha dimostrato quanto profonde possano essere le distorsioni causate da relazioni opache tra interessi privati e istituzioni pubbliche, mettendo in crisi la fiducia dei cittadini nei processi democratici europei (un approfondimento sul tema è disponibile in un altro contributo all'interno della presente rubrica).

In questo contesto, un primo passo in avanti verso una maggiore trasparenza può essere individuato nella crescente attenzione al rispetto degli adeguati assetti organizzativi, amministrativi e contabili da parte delle imprese, così come previsto dall’art. 2086, comma 2, del Codice civile. Tale disposizione – introdotta dal D.lgs. 12 gennaio 2019, n. 14 – impone all’imprenditore di dotarsi di strumenti in grado di rilevare tempestivamente segnali di crisi, ma anche di prevenire situazioni di rischio, ivi comprese eventuali condotte illecite nei rapporti con la pubblica amministrazione.

Pur trattandosi di una norma civilistica, essa rappresenta una forma indiretta di pressione verso l’adozione di modelli organizzativi improntati alla legalità e alla responsabilità, che possono incidere anche sulle modalità con cui si svolge l’attività di lobbying.