Le prime applicazioni del modificato art. 10 ter del d.lgs. 74/2000 sull’Omesso versamento di IVA. Nota a una recente sentenza del Tribunale penale di Torino

Nota a una recente sentenza del Tribunale di Torino, Sez. VI Penale, 26 giugno 2025, n. 2710, Giudice Dott. Del Colle
Vasto, 2017
Ph. Alessandro Saggio / Vasto, 2017

Le prime applicazioni del modificato art. 10 ter del d.lgs. 74/2000 sull’Omesso versamento di IVA. Nota a una recente sentenza del Tribunale penale di Torino

 

Tribunale di Torino, Sez. VI Penale, 26 giugno 2025, n. 2710, Giudice Dott. Del Colle

 

Il giudice prende atto del piano di rateazione in corso – che risulta regolarmente rispettato – che comporta l’applicazione della sostanziale causa di punibilità introdotta nella norma in contestazione, per l’appunto operante in caso di rateazione del debito tributario”.

Tale passaggio motivazionale accompagna la pronuncia della sentenza n. 2710/2025, con la quale il Tribunale di Torino ha affrontato il tema dell’omesso versamento dell’IVA in presenza di un piano di rateizzazione, regolarmente adempiuto.

La questione oggetto della pronuncia concerne l’applicazione dell’art. 10-ter del D.lgs. 74/2000, come modificato da poco più di un anno dal d.lgs. 14 giugno 2024, n. 87, art. 1, co. 1 lett. c).

Prima di passare alla disamina di quanto sopra, è opportuno ripercorrere brevemente l’evoluzione normativa dell’articolo oggetto della sentenza, norma centrale nella disciplina penal-tributaria.

Nella sua formulazione originaria, applicabile fino alla recente riforma del 2024, la disposizione puniva chiunque non corrispondesse, entro il termine per il versamento dell’acconto relativo al periodo d’imposta successivo, l’IVA dovuta in base alla dichiarazione annuale, a condizione che l’ammontare dell’imposta non versata fosse superiore alla soglia di 250.000 euro per ciascun periodo d’imposta.

In tale contesto, l’adesione a un piano di rateizzazione del debito tributario non aveva incidenza alcuna sull’integrazione della fattispecie penale, rilevando semmai soltanto in termini di attenuazione del trattamento sanzionatorio o, nei limiti dell’art. 13 del medesimo decreto, come causa di non punibilità subordinata all’integrale pagamento del debito prima dell’apertura del dibattimento.

Sul punto, la giurisprudenza di legittimità aveva chiarito che: “la causa di non punibilità […] non consegue al mero accordo intervenuto tra debitore e amministrazione finanziaria per la rateizzazione del debito e la rimodulazione della sua scadenza atteso che tale accordo riveste efficacia novativa nel solo ambito tributario, ma non produce conseguenze sul piano penale dove il reato si è perfezionato per effetto dell'inadempimento nei termini previsti dalla norma penale e, dunque, nel caso di specie con il mancato versamento dell'imposta sul valore aggiunto dovuta in base alla dichiarazione annuale nel termine previsto per il versamento dell'acconto relativo al periodo di imposta successivo” (Cass. pen., Sez. III, Sent., 27 dicembre 2022, n. 49236).

Tale assetto è stato significativamente modificato dal D.lgs. 14 giugno 2024, n. 87, il cui art. 1, comma 1, lett. c), ha novellato la disposizione, introducendo una rilevante novità strutturale: l’omesso versamento dell’IVA è ora punibile solo se “il debito tributario non è in corso di estinzione mediante rateazione, validamente richiesta e regolarmente adempiuta”. Si tratta di una modifica sostanziale, che incide direttamente sulla struttura della fattispecie, subordinando la rilevanza penale del mancato pagamento dell’IVA alla condizione che non sia in corso un piano di rateazione.

Questa cornice normativa è stata oggetto di applicazione da parte del Tribunale di Torino, con la sentenza n. 2710/2025, che riveste particolare importanza trattandosi di una delle prime pronunce in materia successivamente alla riforma. Nel caso oggetto della decisione, l’imputato, legale rappresentante di una società, era stato chiamato a rispondere del reato di omesso versamento IVA relativo all’anno d’imposta 2019, sulla base di quanto risultante dalla dichiarazione annuale.

Come documentato dalla difesa, il contribuente aveva tempestivamente aderito a un piano di rateizzazione del debito, richiesto e ottenuto anteriormente alle comunicazioni di irregolarità dell’Amministrazione, emesse a seguito di controllo automatizzato da parte del sistema informatico dell’Agenzia delle Entrate, fondate sulla c.d. “lettera di invito alla regolarizzazione”, rinvenibile all’interno del cassetto fiscale.

A fronte di tale situazione, la difesa ha eccepito l’insussistenza del reato, mediante il deposito di memoria difensiva ex art. 121 c.p.p., richiedendo la declaratoria di non luogo a procedere ex art. 129 c.p.p., sulla base della formula “il fatto non sussiste” o, in subordine, “il fatto non è previsto dalla legge come reato”.

La sentenza assume rilievo in quanto, condivisa la prospettazione difensiva, il Giudice ha preso atto del piano di rateazione regolarmente rispettato e ha pronunciato sentenza di non luogo a procedere ex art. 554-ter c.p.p., sul presupposto che fosse operante una causa di non punibilità [cfr. passaggio motivazionale].

Tale pronuncia, pur condivisibile nell’esito, solleva rilevanti questioni sistematiche in ordine alla qualificazione giuridica della circostanza rappresentata dall’esistenza di un piano di rateizzazione attivo. Il nodo centrale è comprendere se tale elemento debba essere inquadrato come causa di non punibilità, condizione obiettiva di punibilità oppure elemento negativo della fattispecie.

Va preliminarmente osservato che i reati tributari – incluso quello previsto dall’art. 10-ter – hanno natura istantanea: si consumano nel momento in cui scade il termine per il versamento dell’imposta dovuta, generalmente coincidente con il 27 dicembre dell’anno di presentazione della dichiarazione annuale IVA. In tal senso, la Relazione Illustrativa della riforma dell’art. 10-ter, d.lgs. 74/2000, chiarisce che, pur mantenendo ferma la natura istantanea dei reati tributari, è stato previsto un differimento convenzionale del momento consumativo al 31 dicembre dell’anno successivo a quello di presentazione della dichiarazione, al fine di consentire l’accesso alla rateizzazione e verificare l’effettiva volontà del contribuente di adempiere, condizionando così la punibilità alla sussistenza di specifici presupposti obiettivi [M. Riverditi, I reati di omesso versamento post riforma: un esempio di fattispecie a tipicità variabile, in Giurisprudenza Penale, n. 2, 2025, pag. 2].

Ne deriva che, ai fini dell’integrazione della fattispecie incriminatrice, occorre valutare la situazione del contribuente al momento della scadenza del termine: qualora, a tale data, il debito tributario risulti in corso di definizione mediante un piano di rateizzazione validamente attivato e regolarmente rispettato, il reato non può dirsi consumato.

A tal fine, s’impone un’analisi sistematica fondata sulla teoria tripartita della struttura del reato – tipicità, antigiuridicità e colpevolezza – per accertare a quale dei suddetti ricondurre la circostanza rappresentata dal perfezionamento di un piano di rateizzazione.

 

Come chiarito dalla Relazione Illustrativa che accompagna la Riforma, l’intervento legislativo è finalizzato a “introdurre […] una condizione obbiettiva di punibilità, costituita dalla manifestazione inequivoca della volontà del contribuente di sottrarsi, sin dal principio, al pagamento dell’obbligazione tributaria, da ritenersi integrata allorquando, all'atto della consumazione del reato, siano decorsi i termini per la rateizzazione delle somme dovute senza che la stessa sia stata richiesta (a), ovvero vi sia stata decadenza dalla rateizzazione già concessa (b)”.

Tuttavia, ad avviso di chi scrive, la qualificazione della mancata rateizzazione come condizione obiettiva di punibilità non risulta sistematicamente corretta. Per come strutturata, la nuova formulazione dell’art. 10-ter pone l’accento sulla situazione del contribuente al momento della scadenza del termine di versamento: ciò che rileva è la presenza o l’assenza di un piano di rateizzazione attivo e regolarmente rispettato. In questa prospettiva, la rateizzazione costituisce un elemento negativo della fattispecie: la sua esistenza impedisce la perfezione del reato, escludendone la tipicità.

Le condizioni obiettive di punibilità, nel senso tecnico del termine, si configurano invece come presupposti ulteriori, estranei alla condotta dell’agente, richiesti affinché un reato – già perfezionato in tutte le sue componenti (tipicità, antigiuridicità e colpevolezza) – possa dirsi penalmente rilevante.

Emblematica, in tal senso, è la giurisprudenza in materia di bancarotta: la Suprema Corte ha chiarito che “la sentenza dichiarativa di fallimento costituisce una condizione obbiettiva di punibilità, poiché si pone come evento estraneo all’offesa tipica e alla sfera di volizione dell’agente” (Cass. pen., Sez. V, sent. 2 ottobre 2018, n. 2899).

Nel caso dell’art. 10-ter, invece, la condotta del contribuente – in particolare la scelta di attivare o meno tempestivamente una rateizzazione – è parte integrante del giudizio sulla sussistenza della fattispecie penale. Non si è, quindi, in presenza di un reato già perfezionato che diviene punibile per effetto di un elemento esterno, bensì di una condotta che non integra il reato laddove risulti in corso una regolare definizione tributaria.

Alla stessa stregua, si deve escludere che la presenza di un piano di rateazione costituisca una causa di non punibilità in senso proprio, come ritenuto dal giudice nella sentenza oggetto di analisi. Essa incide infatti direttamente sulla struttura della fattispecie, negandone la tipicità, quindi, sull’esistenza stessa del reato.

A titolo esemplificativo, si può richiamare il caso del consenso all’ingresso nel domicilio altrui: la mancanza di tale consenso rappresenta un elemento costitutivo positivo della fattispecie penalmente rilevante. Analogamente, nella disciplina in esame, la presenza di un piano di rateizzazione tempestivo e rispettato esclude la configurabilità stessa del reato.

Sulla base di tale ricostruzione, come anticipato, la difesa ha richiesto la declaratoria ai sensi dell’art. 129 c.p.p., prospettando l’assenza del fatto tipico, o la sua non riconducibilità a fattispecie incriminatrice. A tale conclusione si è associato anche il Pubblico Ministero.

A questo punto, si impone una distinzione fondamentale: le cause di non punibilità presuppongono l’avvenuta commissione di un reato completo, cioè tipico, antigiuridico e colpevole. Solo in tale ipotesi può valutarsi l’operatività di ragioni che, pur in presenza di un illecito, ne escludono la punibilità.

Diversamente, quando un elemento richiesto dalla norma incriminatrice non si verifica, o – nel caso di elementi negativi – se ne verifica uno che la norma richiede non essere presente, non si è di fronte a un reato non punibile, ma a un fatto che non integra la fattispecie penale, non sussistente.

Tale è la struttura dell’art. 10-ter del d.lgs. 74/2000 nella sua formulazione attuale. Il Legislatore, intervenendo dapprima con il d.l. n. 124/2019 e successivamente con il d.lgs. n. 87/2024, ha configurato una fattispecie complessa, nella quale il debito IVA scaduto e non versato assume rilevanza penale solo in assenza di una procedura di definizione in corso ovvero se sia intervenuta la decadenza da un piano già ottenuto.

Un utile termine di paragone può essere rinvenuto nella diversa ipotesi in cui il debito tributario venga estinto mediante l’integrale pagamento degli importi dovuti: in tal caso, l’art. 13 del d.lgs. 74/2000 individua chiaramente una causa di non punibilità. Tale disposizione si inserisce in una logica premiale introdotta con la riforma del 2015, la quale ha inteso favorire il ravvedimento operoso e il risarcimento del danno erariale, escludendo la punibilità per quei contribuenti che provvedano al pagamento integrale del debito – comprensivo di sanzioni e interessi – entro un termine definito, coincidente con l’apertura del dibattimento di primo grado (art. 492 c.p.p.).

L’art. 13, pertanto, presuppone l’integrale sussistenza del reato, che resta tipico, antigiuridico e colpevole, ma la cui punibilità viene esclusa in ragione di un comportamento riparatorio successivo [M. Di Francescantonio, L’omesso versamento delle ritenute dovute o certificate tra cause di non punibilità e scriminanti: le maglie strette della giurisprudenza di legittimità, in Diritto e Pratica Tributaria, n. 2, 2021, p. 970].

Ciò che emerge con evidenza da tale ricostruzione è la differenza strutturale rispetto alla situazione attualmente disciplinata dall’art. 10-ter, come riformulato: in quest’ultimo caso, la tempestiva attivazione di un piano di rateazione regolarmente adempiuto esclude ex ante la rilevanza penale del fatto, incidendo direttamente sulla tipicità della condotta. Si tratta, dunque, di un elemento costitutivo in senso negativo, la cui presenza impedisce la consumazione del reato, e non di una causa sopravvenuta di non punibilità, non trattandosi di una condizione che agisce ex post sulla stessa.

Risulta pertanto improprio qualificare la situazione come un reato perfezionato ma non punibile.

Ad avvalorare tale ricostruzione, la Suprema Corte – in linea con un orientamento ormai consolidato – ha affermato che: “Nel caso in cui manchi un elemento costitutivo, di natura oggettiva, del reato contestato, l'assoluzione dell'imputato va deliberata con la formula "il fatto non sussiste", non con quella "il fatto non è previsto dalla legge come reato", che riguarda la diversa ipotesi in cui manchi una qualsiasi norma penale cui ricondurre il fatto imputato” [Cassazione penale, Sez. Unite, 25 maggio 2011, n. 37954]. Pur non affrontando in modo diretto il tema delle cause di non punibilità, tale pronuncia attribuisce rilievo alla mancanza di un elemento costitutivo della fattispecie, confermando l’impostazione qui accolta.

La distinzione ha riflessi rilevanti anche sul piano processuale: la carenza di tipicità, ai sensi dell’art. 129 c.p.p., impone al giudice l’emissione di una sentenza di assoluzione (in fase dibattimentale) o di declaratoria di non luogo a procedere (nella fase predibattimentale) con la formula “perché il fatto non sussiste”.

In conclusione, pur condividendosi l’esito di proscioglimento del caso di specie, si ritiene necessario – anche in vista delle future applicazioni della novella – un maggiore rigore nell’inquadramento giuridico di situazioni analoghe, affinché siano pienamente rispettati i principi di legalità e tipicità che permeano l’intero sistema del diritto penale tributario.