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Efficacia esimente da crisi di liquidità: stato dell’arte e proposta di legge n. 3024/2021

Artt. 10-bis, 10-ter d.lgs. 74/2000
Prospettiva
Ph. Paolo Panzacchi / Prospettiva

Abstract

Il presente contributo intende riflettere su un tema che la pandemia da Covid-19 ha inevitabilmente (ri)portato all’attenzione dell’operatore del diritto: quello concernente la riconoscibilità, per i reati di omesso versamento di ritenute certificate e di omesso versamento di IVA, di un’efficacia esimente giustificata dalla sopravvenuta ed incolpevole crisi di liquidità dell’imprenditore-contribuente, tale da non consentirgli di adempiere all’obbligazione tributaria.

Ferma una rapida illustrazione delle fattispecie, si procederà dapprima ad analizzare gli orientamenti della giurisprudenza di merito e di legittimità per poi concludere con l’analisi – non senza evidenziare le criticità palesate dai primi commentatori – della proposta di legge n. 3024 del 16 aprile 2021, la quale, lo si anticipa, ratificando quello che sembrerebbe essere l’orientamento giurisprudenziale dominante, vorrebbe introdurre nelle sopra citate disposizioni tanto il “fine di evadere” ai fini della consumazione delle stesse, quanto l’esimente da crisi di liquidità.

 

Premessa

Il periodo emergenziale da Covid-19 ha influito notevolmente sulla capacità delle imprese di far fronte alla grave recessione economica imposta dalla pandemia e dalle misure imposte a contrasto della stessa.

In modo particolare, si è presentato sin da subito il problema di come adempiere alle obbligazioni tributarie, a fronte di una diffusa difficoltà nel reperimento di capitali tale da rendere notevolmente complesso, quando non già impossibile, un simile onere, inducendo l’imprenditore di fronte ad una scelta secca che, come si vedrà infra, è una “non-scelta”: assolvere il debito tributario, ovvero prediligere la continuità aziendale.

Il dibattito, non nuovo al nostro ordinamento, riguarda più nel dettaglio il rapporto tra le fattispecie di cui agli artt. 10-bis e 10-ter del D. Lgs. 74/2000, che puniscono rispettivamente l’omesso versamento di ritenute certificate e l’omesso versamento dell’IVA, e una possibile, ipotizzata, configurabilità di un’esimente nei casi di incolpevole, oggettiva, crisi di liquidità del contribuente, ovvero di un ripensamento dell’elemento soggettivo che caratterizza tali fattispecie.

 

Artt. 10-bis e 10-ter D. Lgs. 74/2000

Le fattispecie di reato di cui agli artt. 10-bis e 10-ter D. Lgs. cit. sono state introdotte, rispettivamente, con la legge “finanziaria” del 2005 (art. 1, c. 414, L. n. 311/2004) e con il decreto “Bersani” del 2006 (art. 35, c. 7, d.l. 4.7.06 conv. in L. n. 248/2006).

Originariamente, però, limitatamente alla fattispecie di cui all’art. 10-bis, la punibilità di tali condotte era già prevista dall’art. 2, c. 3, del d.l. 429/82 (conv. in L. 516/82), poi abrogato con l’introduzione del D. Lgs. 74/2000, in quanto ritenuta sufficiente, ai fini della scarsa lesività delle condotte, la previsione di cui all’art. 13 D. Lgs. 417/97 che punisce in via amministrativa gli omessi versamenti periodici.

Merita da subito evidenziare che l’introduzione nel 2005 e nel 2006 dei reati in esame si è distaccata dai tratti ispiratori della riforma del 2000: basti osservare come, per le fattispecie de qua – a differenza che per tutte le altre contemplate nel medesimo corpus legislativo – non è prevista ai fini della consumazione la finalità di evadere (dolo specifico) in favore di un più “sicuro”, ai fini di una pronta ed efficace riscossione, dolo generico.

Proprio l’interpretazione di quest’ultimo e la sua permanenza nell’impianto codificato dalle disposizioni in esame costituisce oggetto di acceso dibattito, tanto da portare il Legislatore ad ipotizzare l’introduzione della finalità di evadere l’obbligazione tributaria (dolo specifico).

Allo stato, dunque, ai fini della consumazione dei reati è sufficiente, sotto il profilo dell’elemento psicologico, la mera coscienza e volontà di omettere il versamento dovuto; dunque, un reato omissivo proprio, a consumazione istantanea.

Non pare inconferente osservare, anche per anticipare concetti che verranno in seguito ripresi e contestualizzati, come attenta dottrina e parte della giurisprudenza di legittimità enfatizzino con la stessa intensità la presenza di entrambi i requisiti soggettivi richiesti ai fini dell’integrazione del dolo generico (l’omesso versamento): coscienza, cioè consapevolezza dell’agire illecito ed anti doveroso, ma anche, e soprattutto, volontà, cioè la “scelta” di non versare quanto dichiarato fedelmente; lapidaria su questo aspetto la Cassazione la quale testualmente afferma che “la scelta di non pagare prova il dolo” (Cass. pen., sez. III, n. 8352/15, Schirosi).

Dunque, riassumendo, il dolo richiesto dalle fattispecie di cui agli artt. 10-bis e 10-ter, benché generico, non sembrerebbe comunque potersi esaurire sic et simpliciter nella mera omissione, richiedendo, invece, che il soggetto agente oltre ad essersi rappresentato l’illiceità della condotta l’abbia anche voluta, nei termini di un omesso versamento del quantum debeatur (di questo avviso è Cass. pen., sez. III, n. 6737/2018).

Oltre all’elemento soggettivo di cui si è detto, che deve sorreggere tutti gli elementi costitutivi del fatto, occorre che:

  • con riferimento all’art. 10-bis D. Lgs. cit.: (i) le ritenute effettuate ma non versate siano state correttamente certificate ai sostituiti; (ii) l’omesso versamento di ritenute certificate superi i 50 mila euro per periodo d’imposta; (iii) l’omissione si sia protratta oltre i termini previsti per i versamenti periodici e il termine lungo previsto per la presentazione della dichiarazione annuale, ritualmente presentata;
  • con riferimento all’art. 10-ter D. Lgs. cit.: (i) il contribuente abbia presentato nei termini la dichiarazione annuale attestante un debito IVA; (ii) il debito IVA dichiarato e non versato superi i 50 mila euro per periodo d’imposta; (iii) l’omissione si sia protratta oltre i termini previsti per i versamenti periodici e il termine lungo previsto per il versamento dell’acconto relativo al periodo di imposta successivo.

Va osservato che le condotte di omesso versamento suesposte vanno tenute distinte da quelle, Meno gravi e punibili con sanzione amministrativa, stabilite dall’art. 13, comma 1, D. Lgs. 471/97 in materia di omessi versamenti periodici.

La relazione tra le due categorie di illeciti è stata identificata dalle sentenze “gemelle” Cass. pen., SS.UU., nn. 37424 e 37425 del 2013, nei termini di una “progressione criminosa”, poiché fondata su un rapporto tra di esse non del tutto paritetico, permanendo infatti importanti elementi di distinzione con riferimento ai requisiti necessari per configurare, da un lato, l’illecito amministrativo (art. 13, c. 1, D. Lgs. cit.), dall’altro, i due illeciti penali (artt. 10-bis e 10-ter), tra i quali: (i) la superfluità, ai fini dell’integrazione dell’illecito amministrativo, tanto dell’avvenuta certificazione delle ritenute quanto la presentazione della dichiarazione annuale IVA; (ii) l’assenza di soglie di rilevanza ai fini della punibilità, richieste invece per la sussistenza delle fattispecie penali; (iii) non da ultimo, come già detto, il diverso termine previsto dalla normativa tributaria per effettuare i versamenti (i.e. la condotta doverosa).

Dunque, potenzialità e intensità lesive differenti a seconda del momento in cui e delle modalità con le quali avviene l’omissione.

La giurisprudenza in materia: sulla configurabilità di un’efficacia esimente e sul dolo delle fattispecie in esame

Come anticipato nella breve premessa di cui sopra il tema sulla valenza scriminante della crisi di liquidità nei reati di omesso versamento di ritenute certificate e di omesso versamento di IVA non è “nuovo” neanche in giurisprudenza.

Diversi, col tempo, gli orientamenti cui si è addivenuti, alcuni più rigorosi e granitici che escludono tout court una tale efficacia esimente, altri più moderati che la contemplano richiedendo però a carico del contribuente complessi oneri probatori e di allegazione.

Si tenterà qui di ripercorrere brevemente tale evoluzione giurisprudenziale sottolineando, sin d’ora, come non sembra allo stato potersi ravvisare un orientamento consolidato ed univoco su tale materia (per maggiori approfondimenti, si veda A. VALSECCHI, Omesso versamento delle ritenute certificate e dell’IVA (Artt. 10-bis e 10-ter, D. lgs. 74/00) per insolvenza del contribuente, in Dir. pen. cont., 2013).

Un primo orientamento della giurisprudenza di legittimità, cui aderisce una parte di quella di merito, ferma restando la mera coscienza e volontà di omettere il versamento delle imposte ai fini della consumazione dei reati (dolo generico), dà preminente rilievo al comportamento – eventualmente commissivo – tenuto dal contribuente prima della scadenza del termine lungo previsto dalle norme oggetto di analisi, che se superato perfeziona l’omissione penalmente rilevante.

In modo particolare, si osserva che gravando sull’imprenditore l’obbligo di procedere a scadenze fisse all’accantonamento delle risorse, vuoi per il versamento delle ritenute certificate vuoi per il versamento dell’IVA, configurerebbe un’ipotesi di mala gestio non scusabile il caso in cui con lo spirare del termine lungo il contribuente, invocando una sopravvenuta crisi di liquidità, omettesse i versamenti dovuti prediligendo la continuità aziendale; in tale situazione, infatti, la giurisprudenza ritiene pacifico che se il soggetto obbligato avesse correttamente assolto ex ante all’obbligo di accantonamento avrebbe avuto la possibilità, in ipotesi, di far fronte alla lamentata crisi.

Pertanto, ai fini assolutori, soltanto un’oculata e prudente gestione delle risorse nel corso dell’intera annualità – nei termini di un corretto accantonamento delle stesse e contestuale loro periodico versamento – e l’insorgere di un’improvvisa e non altrimenti prevedibile impossibilità di adempiere entro il termine lungo, non imputabile in alcun modo ad operazioni commerciali avventate del contribuente, consentirebbe di veder eccezionalmente applicata l’esimente della forza maggiore di cui all’art. 45 c.p., ovvero di vedere riconosciuta l’assenza dell’elemento soggettivo; al contrario, nessun rilievo lato sensu scriminante quando l’omesso versamento per “sopravvenuta” crisi di liquidità sia stato ingenerato dall’incapacità di non aver saputo prevedere per tempo l’impossibilità di adempiere o, pur avendola saputa prevedere, di aver riposto eccessiva fiducia in merito alla possibilità futura di reperire tempestivamente le risorse.

Numerose, in tal senso, le pronunce di legittimità, tra cui: Cass. pen., sez. III, n. 37528/2013, Corlianò, la quale, con riferimento all’art. 10-bis D. Lgs. 74/2000, esclude categoricamente che la difficoltà finanziaria possa costituire esimente per causa di forza maggiore poiché il pagamento dei tributi prescinderebbe dalle vicissitudini finanziarie dell’impresa in difficoltà; Cass. pen., n. 8352/2015 e Cass. pen., sez. III, n. 20266/2014, le quali escludono la configurabilità dell’esimente della forza maggiore in tutti quei casi in cui l’obbligo periodico di accantonamento per il versamento dell’imposta non sia stato assolto non già a seguito di un’improvvisa ed imprevista situazione di illiquidità bensì a fronte di una consapevole scelta dell’imprenditore che trovandosi in condizioni di difficoltà, a lui imputabili, decida di anteporre volontariamente il pagamento dei fattori produttivi rispetto al pagamento dell’Erario.

E Ancora. Si rammenti la pronuncia Cass. pen., sez. n. 50007/19, la quale sottolinea, da un lato,  come l’obbligo di accantonamento sia strettamente legato alla natura di profitto del reato delle somme non versate a titolo di IVA, dall’altro, l’impossibilità di configurare la sopravvenuta crisi di liquidità come esimente per causa di forza maggiore poiché quest’ultima, per sua natura, andrebbe intesa come un avvenimento imponderabile, ineluttabile, sul quale il soggetto non può avere alcun tipo di controllo della volontà, situazione del tutto opposta ai casi di omesso versamento sin qui considerati in cui il contribuente scientemente sceglie di non adempiere in favore del soddisfacimento di altri interessi, ritenuti primari.

A fronte di questo primo orientamento una parte della dottrina (A. VALSECCHI, cit., suggerisce di limitare la responsabilità penale “ai soli casi in cui l’omissione per impossibilità di adempiere sia concretizzazione di un rischio previsto e, quanto meno, accettato dal soggetto” - dolo eventuale) e alcune sparute pronunce di merito (Trib. Pordenone, sez. pen, 16.12.2016) hanno – opportunamente, a parere di chi scrive – paventato il rischio di possibili contrasti con il principio di legalità.

Questo perché la giurisprudenza sin qui analizzata pretende di sanzionare l’omesso versamento di cui agli artt. 10-bis e 10-ter (fattispecie dolose) anche quando questo sia scaturito da comportamenti colposi, negligenti, imprudenti, di carente organizzazione interna (omessi versamenti periodici e mancati accantonamenti), che possono anche aver contribuito causalmente a provocare o a non impedire quello stato di crisi di liquidità che ha indotto il contribuente a non tenere la condotta doverosa, ma che tuttavia si pone in contrasto con i fondamentali principi alla base del rimprovero per colpa, che, come noto, deve essere espressamente previsto dalla norma incriminatrice.

Un secondo orientamento della giurisprudenza di legittimità, a partire da due “storiche” sentenze gemelle a Sezioni Unite (Cass. pen., SS.UU., nn. 37424 e 37425/2013, Favellato e Romano; per un commento delle sentenze si veda: A.  VALSECCHI, Le sezioni unite sull’omesso versamento delle ritenute per il 2004 e dell’IVA per il 2005: applicabili gli artt. 10-bis e 10-ter, ma con un’interessante precisazione sull’elemento soggettivo, in Dir. pen. cont., 2013), ha aperto la strada ad un possibile riconoscimento, a seguito di una sopravvenuta crisi di liquidità, previo accertamento in capo al contribuente della sussistenza di rigide condizioni, all’operatività dell’esimente per forza maggiore ovvero alla declaratoria di insussistenza dell’elemento soggettivo richiesto dalle fattispecie incriminatrici.

Fermo restando il dovere da parte del contribuente di accantonare diligentemente nel corso dell’anno le somme dovute all’Erario nonché di riscuotere l’IVA, di modo da procedere ad una corretta pianificazione delle risorse che poi andranno versate nel termine lungo previsto dalle rispettive fattispecie incriminatrici, le Sezioni Unite hanno formulato il seguente principio di diritto: “Non può […] essere invocata, per escludere la colpevolezza, la crisi di liquidità del soggetto attivo al momento della scadenza del termine lungo, ove non si dimostri che la stessa non dipenda dalla scelta […] di non far debitamente fronte alla esigenza predetta”.

Secondo tale orientamento, pertanto, il dolo delle fattispecie può ritenersi escluso nel caso in cui la mancata organizzazione delle risorse da parte del contribuente per l’adempimento degli obblighi di versamento derivi da fatti o eventi per lui del tutto imprevedibili e sottratti alla sua conoscibilità.

La giurisprudenza di legittimità successiva si è premurata di perimetrare più dettagliatamente le indicazioni fornite dalle sentenze ‘gemelle’ testé citate.

In particolare, ai fini del riconoscimento in concreto dell’esimente della causa per forza maggiore, si è ritenuto essere onere del soggetto obbligato assolvere specifici oneri di allegazione - che taluni non mancano di qualificare come una probatio diabolica - tanto ai fini della dimostrazione della non imputabilità a costui dell’impossibilità di adempiere dovuta ad una sopravvenuta crisi di liquidità quanto in merito a tutte le possibili azioni messe in campo per far fronte alla improvvisa carenza di risorse, come l’eventuale ricorso al credito bancario o al sacrificio di parte del proprio patrimonio personale, i quali ciò nonostante si siano rivelati insufficienti, per cause indipendenti dalla sua volontà, ai fini del tempestivo versamento delle ritenute e dell’IVA alle scadenze previste dalle rispettive norme incriminatrici (ex multis Cass. pen., sez. III, n. 5467/2013; Cass. pen., sez. III, n. 20266/2014; Cass. pen., n. 10813/2014).

Altrettanto significativa la pronuncia Cass. pen., sez. III, n. 5905/2014, Maffei, la quale, facendo da apripista sul tema, ha ammesso l’efficacia esimente della crisi di liquidità per i reati di cui agli artt. 10-bis e 10-ter D. Lgs. 74/2000, ancorando l’esclusione dell’elemento soggettivo a seguito della ritenuta impossibilità oggettiva del versamento sulla scorta del principio di inesigibilità della condotta anti doverosa omessa e di quello ad impossibilia nemo tenetur.

Gli arresti della giurisprudenza più recente non solo sembrano confermare in linea teorica questo secondo orientamento, ma anche nel senso di una sua applicazione fattuale.

Attenta dottrina osserva, infatti, come sempre più spesso i giudici di merito, nelle loro decisioni assolutorie, cerchino di calarsi nella singola realtà del giudicabile valorizzando, ove possibile, le condizioni in cui ha operato il contribuente nonché in qualche modo il suo animus.

Questo perché, in molti casi, benché l’imprenditore abbia la consapevolezza, la coscienza, che omettendo di eseguire i versamenti alle scadenze del termine lungo commetterà un reato, non altrettanto può dirsi in ordine all’elemento della volontarietà di tenere tale condotta, la quale ultima diviene una (non) scelta necessitata e grandemente condizionata da cause esterne, non governabili dal contribuente (si vedano, a titolo d’esempio: Trib. Pordenone, sez. pen., 2016; Trib. Campobasso, sez. pen., 29/2017; Trib. Brindisi, sez. pen., 21/2017).

Anche la più recente giurisprudenza di legittimità (Cass. pen., sez. III, n. 15235/2017; Cass. pen., sez. III, n.12906/2018, Canella; Cass. pen., sez. III, n.42522/19; Cass. pen., ord. n. 15415/2021) sembra ormai attestarsi nel senso di un possibile riconoscimento di efficacia esimente, alle condizioni di cui si è detto, alla crisi di liquidità arrivando persino a giustificare in determinati casi - a detta della Corte, secondo una lettura costituzionalmente orientata - la scelta dell’imprenditore-contribuente in carenza di risorse per un’improvvisa congiuntura economica di posporre il pagamento del debito tributario per soddisfare primariamente le esigenze di continuità aziendale (Cass. pen., sez. III, n. 6737/2018, ove si legge espressamente come: “non potrebbe che configurarsi un contrasto con la carta costituzionale laddove dovesse ritenersi la punibilità del soggetto imprenditore che omette il versamento delle ritenute fiscali, a causa di una crisi finanziaria e per far fronte ad improcrastinabili adempimenti verso altri creditori, quali i lavoratori dipendenti, pure tutelati dalla Costituzione, con particolare riferimento al diritto al lavoro e alla conseguente retribuzione”).

 

La proposta di legge n. 3024/2021 e alcune criticità sollevate dai primi commentatori

Proprio sulla scorta di quanto sin qui detto, e, in particolare, in ragione dell’assenza di un orientamento univoco e consolidato da parte della giurisprudenza nella materia de qua, si colloca la proposta di legge cui si è accennato in esordio.

Attualmente, infatti, è in attesa di assegnazione ad una commissione la proposta di legge n. 3024 del 16 aprile 2021 della Camera dei Deputati (Varchi et al.) la quale, anche a causa della devastante crisi economica generata dalla pandemia, si propone di intervenire sugli artt. 10-bis e 10-ter del D. Lgs. 74/2000 al dichiarato fine di andare incontro alle imprese che, trovandosi in crisi di liquidità, non riescono ad adempiere alle obbligazioni tributarie (per un primo commento si veda, R. LUCEV, Codificare un’esimente da crisi di liquidità nei reati di omesso versamento?, in Giurisprudenza Penale Web, 2022, 1).

La proposta di legge, uguale e parallela per entrambe le fattispecie, interverrebbe su due fronti: da un lato, inserendo nel comma 1 come presupposto per l’incriminazione il “fine di evadere l’obbligazione tributaria”; dall’altro, introducendo un comma 1-bis, il quale escluderebbe la punibilità per “chi ha commesso il fatto di cui al comma 1 [omesso versamento di ritenute certificate ovvero omesso versamento IVA] per impossibilità sopravvenuta della prestazione a lui non imputabile”.

Il legislatore, dunque, mostrando quasi di voler codificare l’orientamento giurisprudenziale più ‘garantista’, illustrato poc’anzi, confermerebbe innanzitutto la volontà di allineare tali fattispecie, per ciò che concerne l’elemento soggettivo del dolo specifico, con le altre di cui al D. Lgs. 74/2000.

Non più, dunque, la punibilità sulla base di una condotta meramente omissiva, bensì la necessaria dimostrazione che l’agente, a fronte di una maggiore o minore disponibilità di liquidità, abbia scelto di tenere tale condotta, si sia cioè rappresentato e abbia voluto specificamente l’evasione del tributo. Scelta che, al contrario, non sembrerebbe poter integrare i delitti in questione se compiuta al fine esclusivo di salvaguardare la continuità aziendale dei fattori produttivi (es. pagamento degli stipendi, dei fornitori, etc…).

Oltre a ciò, tuttavia, ancora più dirompente parrebbe essere l’introduzione di un comma 1-bis.

Fosse anche solo per ratificare il diritto vivente, obiezione mossa da alcuni critici, ci si troverebbe di fronte ad un’autentica esimente da crisi di liquidità, ricollegabile al genus della forza maggiore (art. 45 c.p.), per tutte e solo quelle volte in cui l’omesso versamento sia dipeso da una oggettiva, assoluta e imprevedibile impossibilità di adempiere, per incolpevole mancanza delle risorse, tale da rendere inesigibile la condotta doverosa omessa.

Anche e soprattutto in un’ottica di prevenzione speciale positiva, non pare inconferente notare come parrebbe contrastare con la finalità rieducativa della pena (art. 27 Cost., comma 3) la perseguibilità di un soggetto quando non in grado di essere destinatario del rimprovero, dunque non meritevole di pena.

Come accennato, non sono mancate alcune obiezioni in merito a tale proposta di legge, tanto con riferimento all’inserimento della finalità di evadere quanto con l’introduzione del comma 1-bis.

Con riferimento all’introduzione del dolo specifico, si evidenzia l’imprecisione della terminologia impiegata: più che di “evasione” dovrebbe parlarsi di inadempimento dell’obbligazione tributaria dato che, a monte, l’obbligo dichiarativo (vuoi come certificazione delle ritenute, vuoi come dichiarazione annuale delle operazioni imponibili effettuate) è stato correttamente assolto.

Perplessità, poi, anche dal punto di vista sistematico: sembrerebbe, infatti, volersi delineare un soggetto metà contribuente (fedele) e metà evasore (infedele), poiché, come già detto, prima si adempierebbe correttamente all’onere dichiarativo successivamente si ometterebbero i versamenti dovuti, allo scopo di evadere.

Ancora. Si evidenzia come non parrebbe opportuno lasciare alla libera discrezionalità dei singoli organi giudicanti delineare il perimetro, più o meno ampio, di quali comportamenti possano dirsi tenuti con finalità ‘evasive’ e quali no (R. LUCEV, cit., prospetta verosimilmente due possibili orientamenti contrapposti che potrebbero svilupparsi in giurisprudenza: “chi riterrà che il fine di evasione (rectius) di inadempimento dell’imposta sia ipso facto escluso dalla precedente condotta fedele del contribuente e chi riterrà che tale dolo debba invece leggersi in re ipsa nel dato obiettivo del mancato versamento”).

Non da ultimo, è sembrata inopportuna - e probabilmente altresì discriminatoria nei confronti di quegli imprenditori scrupolosi disposti a sacrificare anche parte del patrimonio aziendale pur di adempiere il debito tributario - la scelta di ‘premiare’ in qualche modo il contribuente-imprenditore che, pur scevro da qualsivoglia intento evasivo, animato soltanto dalla volontà di non compromettere la continuità aziendale, ometta i versamenti alle scadenze previste dalle norme penal-tributarie.

Con riferimento all’introduzione di un’esimente da crisi di liquidità per impossibilità sopravvenuta di adempiere e non imputabile al contribuente, fermo restando il dibattito sull’inquadramento teorico di tale causa di non punibilità - se idonea ad eliminare ab origine la stessa suitas ovvero, al contrario, soltanto ad escludere la colpevolezza - si osserva l’inutilità di un tale intervento di riforma poiché gli esiti cui perverrebbe costituiscono già diritto vivente.

A parere di chi scrive, a maggior ragione se tale affermazione corrispondesse a verità, proprio l’applicazione del principio di legalità in materia penale (art. 25 Cost.) e dei suoi sotto principi, in primis quelli di tassatività e determinatezza, ‘imporrebbe’ necessariamente un tale intervento.

Anche qui poi, come sopra, si ripropone la delicata questione circa la possibilità che ciascun giudice possa discrezionalmente, a rischio arbitrarietà, decidere ad esempio quando l’impossibilità di adempiere è sopravvenuta, quando quest’ultima possa dirsi non imputabile al contribuente, etc…

 

Riflessioni conclusive

Volendo giungere a delle considerazioni conclusive pare condivisibile quella dottrina che, non potendo dimenticare l’excursus che ha caratterizzato l’introduzione di tali delitti nel nostro ordinamento, si propone di superare le novità che verrebbero introdotte esortando il Legislatore a considerare la possibilità di depenalizzare tali fattispecie di reato (artt. 10-bis e 10-ter).

Ritenendo quest’ultime prive di quel disvalore tale da giustificare l’intervento della più severa delle risposte sanzionatorie, quella penale, si suggerisce infatti di sostituire quest’ultime con quelle più moderate, ma non meno incisive, a carattere amministrativo.  

In alternativa, volendo tener ferma la risposta penale-punitiva si sollecita un intervento riformatore che tuttavia affidi la valutazione circa la meritevolezza di pena - e, di riflesso, la valutazione in merito al riconoscimento di una possibile esimente per le ipotesi di crisi di liquidità - a dati obiettivi, verificabili in concreto.