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il principio di capacità contributiva nell'ordinamento costituzionale italiano

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il principio di capacità contributiva nell'ordinamento costituzionale italiano

 

La capacità contributiva e l’universalità dell’imposta

 

La Costituzione è la fonte del diritto[1] di rango più elevato all’interno del nostro ordinamento ed è anche la massima fonte sulle fonti, in cui trovano legittimità e fondamento tutti i processi di produzione del diritto.

Le disposizioni costituzionali operanti in materia tributaria sono riconducibili ai principi fondamentali sanciti dagli artt. 3, 23, 53, 75, 81 e 119 ed in particolare[2]:

  • la riserva di legge (art. 23);
  • la capacità contributiva (art.53);
  • l’universalità dell’imposta (art. 53);
  • l’uguaglianza e la ragionevolezza dell’onere tributario (art. 3);
  • la progressività del sistema tributario (art. 53);
  • il divieto di referendum abrogativo per le leggi tributarie (art. 75);
  • il divieto di stabilire con la legge di approvazione del bilancio nuovi tributi e nuove spese (art. 81);
  • l’autonomia finanziaria degli enti territoriali (art. 119).

Tra gli articoli ut supra indicati di particolare importanza risulta l'articolo 53[3] della Costituzione che statuisce quanto segue: «Tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva» e aggiunge «Il    sistema     tributario      è      informato      a      criteri      di      progressività». Nella norma de qua sono contenuti due   principi basilari del   sistema   tributario: l’universalità dell’imposta e capacità contributiva e la progressività.

Per comprendere il principio della capacità contributiva occorre rilevare che all’art. 2 vengono riconosciuti dalla Repubblica i diritti inviolabili dell’uomo che è, però, tenuto ad adempiere ai «doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale».

Il dovere di pagare i tributi si pone come un dovere di solidarietà in ragione, appunto, della capacità contributiva.

Il principio contributivo non si fonda sul fatto che le spese pubbliche sono a carico di chi ne usufruisce secondo una logica commutativa, quanto piuttosto si basa sul dovere di   solidarietà   nei    confronti    della    comunità    di    cui    ciascuno    fa    parte.

In sostanza ogni individuo ha l’obbligo di contribuire alle spese pubbliche non in ragione di quanto riceve dallo Stato, ma in ragione della sua appartenenza alla collettività e deve provvedere in misura corrispondente alla sua capacità contributiva.

Il prelievo tributario non ha il solo scopo di assicurare entrate allo Stato per garantire il libero e normale svolgimento della vita economica e sociale (finalità fiscale), ma serve ad assicurare allo Stato stesso un ruolo attivo (finalità extrafiscale) per garantire l’azione pubblica specialmente in campo economico rimuovendo, in primo luogo, gli ostacoli che limitano     la      libertà      e      l’uguaglianza      dei      cittadini (art. 3 Cost.).

Il fatto che tutti siano tenuti a concorrere alle spese pubbliche può far pensare che si tratti                                                                                                                               di una norma programmatica che abbia bisogno di concretizzarsi con apposite disposizioni legislative.

I primi studi sull’art. 53 Cost. attribuirono al concetto di capacità contributiva un significato                                piuttosto vago e indeterminato riservando al legislatore il compito di spiegare il significato di tale espressione.

Da tale interpretazione derivava, di fatto, che la legittimità di norme, ritenute lesive del principio della capacità contributiva, non potesse formare oggetto di valutazione da parte della Corte costituzionale.  

La Consulta, al contrario, affermò sin dalle prime decisioni la sindacabilità di leggi ed atti aventi valore di legge in relazione a norme della Costituzione di natura programmatica.  Da qui si impose la necessità di determinare il significato di capacità contributiva.

Dottrina e Giurisprudenza sono decisamente orientate a ritenere la capacità contributiva come l’idoneità economica dell’individuo a    concorrere    alle spese pubbliche.

In base al principio della capacità contributiva, il pagamento dei tributi deve essere basato sulla possibilità economica dei cittadini; il presupposto di imposta deve essere ricollegato a dati oggettivi come il reddito, il patrimonio, i consumi e i trasferimenti di ricchezza.

Il rispetto di questo principio è previsto per garantire una giusta una ripartizione del carico fiscale, escludendo dalla tassazione chi non ha capacità contributiva.

In altri termini, la capacità contributiva di un soggetto esprime la forza economica quale presupposto cui commisurare la ripartizione della spesa pubblica, che può essere individuata in base ad indici rivelatori di ricchezza.

Ai sensi dell’art. 53 Cost., infatti, la capacità contributiva è il presupposto e il limite del potere impositivo dello Stato e, al tempo stesso, del dovere del contribuente di concorrere alle spese pubbliche, dovendosi interpretare detto principio come specificazione settoriale del più ampio principio di uguaglianza di cui all’art. 3 Cost[4].

Vero è che la Corte costituzionale ha ripetutamente rimarcato che «la Costituzione non impone affatto una tassazione fiscale uniforme, con criteri assolutamente identici e proporzionali per tutte le tipologie di imposizione tributaria»; piuttosto essa esige «un indefettibile raccordo con la capacità contributiva, in un quadro di sistema informato a criteri di progressività, come svolgimento ulteriore, nello specifico campo tributario, del principio di eguaglianza, collegato al compito di rimozione degli ostacoli economico-sociali esistenti di fatto alla libertà ed eguaglianza dei cittadini-persone umane, in spirito di solidarietà politica, economica e sociale (artt. 2 e 3 della Costituzione)»[5].

Pertanto, secondo gli orientamenti costantemente seguiti della Corte, non ogni modulazione del sistema impositivo per settori produttivi costituisce violazione del principio di capacità contributiva e del principio di eguaglianza.

Tuttavia, ogni diversificazione del regime tributario, per aree economiche o per tipologia di contribuenti, deve essere supportata da adeguate giustificazioni, in assenza delle quali la differenziazione degenera in arbitraria discriminazione.

In ordine ai principi di cui agli artt. 3 e 53 Cost., la Corte è, dunque, chiamata a verificare che le distinzioni operate dal legislatore tributario, anche per settori economici, non siano irragionevoli o arbitrarie o ingiustificate[6]: cosicché il giudizio di legittimità costituzionale deve vertere «sull’uso ragionevole, o meno, che il legislatore stesso abbia fatto dei suoi poteri discrezionali in materia tributaria, al fine di verificare la coerenza interna della struttura dell’imposta con il suo presupposto economico, come pure la non arbitrarietà dell’entità dell’imposizione»[7].

In proposito va rilevato che la giurisprudenza costituzionale è costante nel ritenere che «gli elementi indefettibili della fattispecie tributaria sono tre: la disciplina legale deve essere diretta, in via prevalente, a procurare una (definitiva) decurtazione patrimoniale a carico del soggetto passivo; la decurtazione non deve integrare una modifica di un rapporto sinallagmatico; le risorse, connesse ad un presupposto economicamente rilevante e derivanti dalla suddetta decurtazione, devono essere destinate a sovvenire pubbliche spese»[8].

Si deve, cioè, trattare di un «prelievo coattivo che è finalizzato al concorso alle pubbliche spese ed è posto a carico di un soggetto passivo in base ad uno specifico indice di capacità contributiva[9].

Tale indice deve esprimere l’idoneità di tale soggetto all'obbligazione tributaria»[10].

In questa sede occorre rammentare che «al legislatore spetta un’ampia discrezionalità in relazione alle varie finalità alle quali s’ispira l’attività di imposizione fiscale»[11] con il solo il limite della non arbitrarietà e della non manifesta irragionevolezza e sproporzione[12].

Secondo la Corte di Cassazione in relazione all'art. 53 della Cost., tutti sono tenuti a concorrere alla spesa pubblica in ragione della rispettiva capacità contributiva e secondo il criterio della progressività dell'imposta.

Pertanto, il sacrificio economico derivante dal pagamento del tributo, e cioè la riduzione patrimoniale conseguente all'adempimento deve essere sopportato definitivamente dal soggetto alla cui capacità contributiva riferisce l'obbligazione, e non già da altri soggetti.

Sempre secondo, la Corte di Cassazione l'articolo 53 Cost., esige che ad una determinata capacità contributiva faccia seguito l'adempimento del dovere di concorrere alla spesa pubblica e, quindi, si deve escludere che tale obbligo possa sorgere in capo a soggetto privo di capacità contributiva; come pure che un soggetto possa accollarsi  -  anche di fatto  -  il carico contributivo altrui, essendo contrario all'interesse della collettività che il concorso alla spesa pubblica gravi anche di fatto su soggetto diverso da colui che vi è tenuto ex lege, in quanto ogni soggetto dotato di capacità contributiva deve in misura corrispondente e contribuire personalmente al costo dei servizi e dei vantaggi sociali[13].

La Corte di cassazione nel tempo ha confermato «il carattere di centralità che il dovere tributario è venuto assumendo nella Costituzione repubblicana», il cui art. 53 «si pone come fonte immediata ed imperativa la cui violazione può comportare la sanzione della nullità delle manifestazioni di autonomia negoziale con esso confliggenti».

I giudici hanno sottolineato che l'«autonomia privata non può alterare i connotati dei tributi diretti, strutturati in modo che "ad ogni capacità contributiva debba corrispondere inderogabilmente una riduzione del patrimonio del titolare della capacità contributiva stessa" (per mutuare l'espressione alla sentenza n. 5 del 1985), poiché, alla stregua dei principi scaturenti dal coordinamento degli artt. 2 e 53 la Costituzione esige che quel concorso, imposto al contribuente, incida sul suo patrimonio».

Hanno ulteriormente posto in rilievo che nel «vigente sistema costituzionale tributario non basta oggettivamente che sia soddisfatta l'obbligazione verso il fisco, ma occorre altresì che tale obbligazione sia adempiuta dal soggetto tenuto a corrisponderla a cui carico gli artt. 53 e 2 Cost. pongono un dovere ribadito dall'art. 1 della legge sul contenzioso tributario[14].

La prestazione imposta di carattere tributario postula infatti che «una quota di ricchezza sia sottratta a quel determinato soggetto» individuato dalla legge come «soggetto passivo del tributo», con «correlativo sacrificio personale»[15].

 

Gli indici della capacità contributiva

Dall’articolo 53 della Costituzione si desumono due ulteriori corollari: l’attualità e l’effettività della capacità contributiva del singolo, proprio in considerazione del fatto che il contribuente è tenuto a partecipare e concorrere alla spesa pubblica proporzionalmente alla propria capacità economica[16].

Da una parte, l’attualità impone che il prelievo fiscale avvenga sulla base della ricchezza che, nel momento in cui il medesimo si verifica, quel singolo individuo possiede[17], dall’altro, l’effettività richiede una valutazione di criteri indicativi della capacità economica effettiva del contribuente, così da assicurare che ogni prelievo abbia una causa giustificatrice indici concretamente rivelatori di ricchezza[18].

Il reddito complessivo delle persone fisiche, considerato al netto dei costi di produzione,                                                                  rappresenta l’espressione più evidente di capacità contributiva che serve poi a determinare l’imposta progressiva.

Secondo una costante giurisprudenza della Corte costituzionale, il legislatore gode di un’ampia discrezionalità nell’individuare «i singoli fatti espressivi della capacità contributiva che, quale idoneità del soggetto all’obbligazione di imposta, può essere desunta da qualsiasi indice rivelatore di ricchezza e non solamente dal reddito individuale»[19].

Infatti, la capacità contributiva non presuppone l’esistenza necessariamente di un reddito o di un reddito nuovo, ma è sufficiente che vi sia un collegamento tra prestazione imposta e presupposti economici presi in considerazione, in termini di forza e consistenza economica dei contribuenti o di loro disponibilità monetarie attuali, quali indici concreti di situazione economica degli stessi contribuenti[20].

Accanto al reddito sono indici diretti di capacità contributiva il patrimonio e gli incrementi di valore del patrimonio mentre possono considerarsi indici indiretti i consumi ed i trasferimenti di ricchezza[21].

La capacità contributiva deve essere effettiva e non ipotetica nonché attuale, ovvero deve essere riferita al presente e non al passato o al futuro.

Ne consegue che un tributo retroattivo si pone in contrasto con questo principio, tuttavia,                                                                                             non sempre è incostituzionale ma solo quando al momento dell’imposizione del tributo il  soggetto gravato sia privo di capacità contributiva.

Il precetto enunciato nell'art. 53, primo comma, della Costituzione, per cui tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche, in ragione della loro capacità contributiva, va interpretato quale specificazione del generale principio di uguaglianza (art. 3 Cost.), nel senso che a situazioni uguali devono corrispondere uguali regimi impositivi e, correlativamente, a situazioni diverse un trattamento tributario disuguale.

Sul piano garantistico costituzionale esso deve essere inteso come espressione dell’esigenza che ogni prelievo tributario abbia causa giustificatrice in indici concretamente rivelatori di ricchezza.

In riferimento a tali indici, costituenti il presupposto dell'imposizione tributaria, i soggetti rivelano, come la Corte ha più volte affermato, capacità contributiva e idoneità all’obbligazione d'imposta, deducibile esclusivamente dal collegamento fra i soggetti medesimi e le fattispecie cui la norma tributaria attribuisce tale efficacia, secondo valutazioni riservate al legislatore.

Il che, secondo il disposto dell'art. 53, comma primo, Cost., cui deve riconoscersi valore precettivo e non meramente programmatico è applicabilità anche in materia d'imposte indirette, non esclude tuttavia il controllo della legittimità della norma sotto il profilo dell'assoluta arbitrarietà ed irrazionalità[22].

In materia di imposte indirette, in particolare, il necessario collegamento con la capacità contributiva non esclude che la legge stabilisca prestazioni tributarie a carico solidalmente oltre che del debitore principale, anche di altri soggetti, non direttamente partecipi dell'atto assunto come indice di capacità contributiva.

In tali casi, peraltro, occorre che una siffatta imposizione risulti legittimata da rapporti giuridico-economici, intercorrenti fra i soggetti predetti, rapporti idonei alla configurazione di unitarie situazioni che possano giustificare razionalmente il vincolo obbligatorio e la sua causa.

 

Il principio di progressività del sistema tributario

Il principio di progressività è figlio delle teorie utilitaristiche che risalgono a Jeremy Bentham, per il quale l’utilità che ciascun individuo può trarre cresce con il reddito, ma con una utilità marginale positiva decrescente. Il che significa che il sacrificio del pagamento dell’imposta sarà tanto minore, quanto maggiore sia il reddito e viceversa[23].

La maggioranza dei Paesi europei fonda il proprio sistema di tassazione del reddito delle persone fisiche sul principio di progressività che in Italia trova realizzazione nella Costituzione.

L’art. 53 recita: «Il sistema tributario è informato a criteri di progressività».

Un’imposta viene definita progressiva quando l’aliquota media aumenta all’aumentare della base imponibile ossia quando l’aliquota marginale è maggiore dell’aliquota media[24].

La progressività è ispirata ai seguenti principi:

  • limitare il divario economico fra le classi sociali;
  • raggiungere il massimo grado di utile per la collettività con il minor sacrificio per ciascuno;
  • ridistribuire i redditi a favore dei meno abbienti.

Il principio di progressività cristallizzato nell’art. 53 Cost., deve informare l’intero sistema tributario nel suo complesso e non il singolo tributo.

Il principio di progressività continua a rispondere ad una importante logica di equità in quanto mira a realizzare quell’uguaglianza sostanziale che la Costituzione si pone come obiettivo al secondo comma dell’art. 3: «È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese».

In questa sede va precisato che la progressività delle imposte[25] può essere tecnicamente attuata:

Per detrazione: La progressività per detrazione colpisce con la stessa aliquota la base imponibile     dopo aver detratto da questa un ammontare fisso.

Per classi: Si realizza associando un'aliquota ad ogni classe di reddito. Il salto di aliquota che si ha, passando da una classe all'altra, genera un aumento dell'imposta che può risultare notevole rispetto all'effettivo aumento della capacità contributiva[26].

Per scaglioni: Questo sistema nasce per risolvere gli inconvenienti della progressività per classi. Ogni classe di imponibile ha un’aliquota e solo l’eccedenza è sottoposta all’aliquota maggiore. Il sistema della progressività per scaglioni è applicato in Italia per le imposte dirette.

Continua: Con questo sistema l’aliquota aumenta in misura continua con l’aumentare della base imponibile fino a raggiungere un massimo e da quel momento rimane costante, altrimenti si trasformerebbe in un’operazione di confisca del reddito o del patrimonio gravato di imposta.

Orbene, al di là di ogni altra considerazione, occorre evidenziare che il criterio di progressività è finalizzato a una forma di giustizia e di riequilibrio sociale in quanto garantisce ai cittadini i diritti e i servizi sociali fondamentali sui quali si basa lo Stato.

 

[1] Sono fonti del diritto gli atti o i fatti considerati dall'ordinamento giuridico idonei a creare, modificare o estinguere norme giuridiche. Cfr. P. PERLINGIERI, Manuale di diritto civile, Edizioni Scientifiche Italiane, Napoli, 2022.

[2] Cfr. F. TESAURO, Compendio di diritto tributario, Utet Giuridica, Milano, 2020; L. DE RENTIIS, Compendio di Diritto Tributario, Neldiritto Editore, 2023; F. AMATUCCI, Principi e nozioni di diritto tributario, Giappichelli, Torino, 2023.

[3] ON. RUINI, Assemblea Costituente, seduta del 23 Maggio 1947, p. 4203 e ss; G. FALSITTA, Storia veridica, in base ai “lavori preparatori”, della inclusione del principio di capacità contributiva nella Costituzione, in Riv. Dir. Trib., n. 2, 2009, pag. 116 e ss; Si vedano a tal proposito: F. MOSCHETTI, Il principio della capacità contributiva, Cedam, Padova, 1973, pp. 59 e ss; I. MANZONI, Il principio della capacità contributiva nell’ordinamento costituzionale italiano, Giappichelli, Torino, 1965, pp. 185; F. GAFFURI, L’attitudine alla contribuzione, Giuffrè, Milano, 1969, p. 88 e ss.

L’Assemblea costituente dei 75 dovette provvedere all’individuazione del compito che le norme tributarie erano chiamate ad assolvere, allontanandosi dalla disposizione dello Statuto Albertino. Nella seduta del 23 maggio 1947 si convenne di superare tutte le proposte, sintetizzandole in un’unica formulazione; venne così definito, dal punto di vista contenutistico, l’art. 53: «Tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva. Il sistema tributario è informato a criteri di progressività».

L’Assemblea costituente si adoperò su due fronti, tra loro strettamente correlati: da un lato si esclusero dall’imposizione i redditi minimi, dall’altro si mantennero tali limiti elevati così da consentire il miglioramento delle condizioni di vita delle classi meno abbienti, tenendo conto di indici ulteriori, tra i quali vi rientra il carico di famiglia del contribuente.

[5] Cort. Cost., sent. n. 341/2000, ripresa sul punto dalla sentenza n. 223/2012.

[7] Cort. Cost., sent. n. 111/1997; ex plurimis, sentenze n. 116 del 2013 e n. 223 del 2012.

[8] Cort. Cost., sent. n. 70/2015.

[10] Cort. Cost., sent. n. 70/2015.

[11] Cort. Cost., sent. n. 240/2017.

[12] Cort. Cost., sent. n. 269/2017.

[13] Cass., Sez. un., n. 5/1985.

[14] Decreto Legislativo 31 dicembre 1992, n. 546 e Codice del processo tributario.

[15] Cass., Sez. un., n. 6882/2019 e n. 17453/2019.

[16] C. ADAMO, La capacità contributiva: teorie e limiti, in Riv. Cammino Diritto, 2021.

[17] P. RUSSO, Manuale di diritto tributario. Parte generale, Milano, 2007.

[18] G. MELIS, Manuale di diritto tributario, Torino, 2019; L. DE RENTIIS, Compendio di… op.cit, p. 25.

[20] In realtà, per capacità contributiva, deve intendersi l’idoneità soggettiva alla obbligazione di imposta, deducibile dal presupposto economico, al quale la prestazione è collegata (sentenze n. 62 del 1977; n. 92 del 1972), ossia l'esistenza di causa giustificativa del prelievo sulla base di indici concretamente rivelatori (sentenza n. 201 del 1975).

[21] Cort. Cost., sent. n. 155/2001.

[23] P. CECCHINATO, Il senso costituzionale del principio di progressività, in la Costituzione.info, 2022. Cfr. Adam Smith, Indagini sulle cause della ricchezza delle nazioni, Cugini Pomba editore, Torino, 1851, p. 580

[24] L’aliquota media rappresenta quanto è dovuto in media dal contribuente per ogni unità di base imponibile. L’aliquota marginale rappresenta quanto è dovuto dal contribuente per un’unità aggiuntiva di base imponibile.

[25] V. VISCO, Sulla progressività delle imposte, Il Mulino, 2014, pp. 206-214.

[26] https://www.dirittoeconomia.net/