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No taxation without representation

La convinzione secondo cui un governo non debba tassare una popolazione a meno che quella popolazione non sia rappresentata politicamente ha molteplici precedenti storici
No taxation without representation
Ph. Ermes Galli / No taxation without representation

Rifiutarsi di pagare le tasse è uno dei metodi più rapidi

per sconfiggere un governo

(Mahatma Ghandi)


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La convinzione secondo cui un governo non debba tassare una popolazione a meno che quella popolazione non sia rappresentata politicamente ha molteplici precedenti storici.

L’articolo 12 della Magna Charta Libertatum (provvedimento che il re d’Inghilterra noto come “Giovanni Senzaterra” fu costretto a concedere ai baroni del Regno il 15 giugno 1215) recitava: “No scutage not aid shall be imposed on our kingdom, unless by common counsel of our kingdom”, ovvero: “Nessuna imposta può essere applicata dal Re se non è stata approvata dal concilio del Regno”.

Circa quattrocento anni più tardi, durante la guerra civile inglese (1642 – 1651), il parlamentare John Hampden [1]  si rifiutò di pagare le tasse destinate alla flotta da guerra.

Lo slogan politico utilizzato durante la rivoluzione americana (1765 – 1783) No taxation without representation (“nessuna tassazione senza rappresentanza”) è il motto con cui le Tredici colonie esprimevano il loro malcontento nei confronti del Regno di Gran Bretagna. I coloni americani ritenevano di non essere rappresentati dal Regno Unito e che, quindi, tutte le tasse loro imposte dagli inglesi (come, per esempio, lo Stamp Act ed il Townshend Acts) fossero incostituzionali e costituissero una negazione dei diritti, in quanto inglesi di origine. 

Quando gli Stati Uniti d’America erano ancora un insieme di tredici piccole colonie inglesi situate nella parte nord-orientale del continente americano, infatti, l’Inghilterra, dissanguata economicamente dalla ‘Guerra dei sette anni,’ impose ai sudditi americani una serie di tasse per rimpinguare le casse statali. Intrise di cultura illuministica e consapevoli che il consenso dei contribuenti nella determinazione delle imposte fosse uno dei cardini tradizionali della libertà inglese fin dai tempi della Magna Charta [2], le tredici colonie rifiutarono il pagamento delle tasse e posero l’alternativa di inviare i propri rappresentanti al Parlamento di Londra o di essere esonerati da ogni tassa non approvata dai loro rappresentanti.

La frase No taxation without representation venne riportata per la prima volta sulla prima pagina di un volume del London Magazine nel febbraio del 1768, e dedicata a un discorso su un disegno di legge inerente il potere che deteneva il Regno Unito sulle colonie tenuto da Charles Pratt I, conte Camden, nel parlamento britannico.

Questo principio ha dato poi il via alla guerra d’indipendenza che culminò, il 4 luglio del 1776, nella Dichiarazione d’Indipendenza degli Stati Uniti d’America.

Da allora questo principio ha permesso la nascita dapprima dello Stato liberale e poi di quello democratico e sociale.

In altre parole: molti in quelle colonie credevano che la mancanza di diretta rappresentanza nel lontano Parlamento britannico fosse una lesione dei propri diritti come inglesi e quindi che le leggi che tassavano i coloni, e altre leggi che si applicavano solo alle colonie, fossero incostituzionali. Tuttavia, durante il periodo della rivoluzione americana, solo 1 su 20 cittadini britannici aveva rappresentanza in Parlamento, e nessuno di questi faceva parte delle colonie.

Il motto “No taxation…” coglie un sentimento fondamentale per la causa della guerra civile inglese, così come articolata dal John Hampden che disse: “Ciò che un re inglese non ha alcun diritto di chiedere, un soggetto inglese ha il diritto di rifiutare”.

La situazione che da marzo 2020 riguarda pressoché tutto il mondo attualmente conosciuto e che verrà qui indicata per semplicità con il termine “pandemia” ha evidenziato come in tutti gli stati, in media circa il 20% dei cittadini non si ritrova nelle cosiddette politiche sanitarie varate dagli stati stessi. In Italia questa osservazione è all’evidenza di tutti. Così come lo è l’assoluta mancanza di rappresentanza parlamentare di quella che è stata definita una “minoranza rumorosa”.

Parte di questa minoranza, dal 15 febbraio 2022, è stata estromessa dal mondo del lavoro, sebbene in salute ed “abile” allo stesso, per il semplice fatto di non essersi sottoposta ad una inoculazione divenuta obbligatoria in Italia per gli over 50. Precedente unico nella storia.

Sono inoltre molteplici le restrizioni imposte a coloro che sono sprovvisti di certificato che comprovi l’avvenuta somministrazione di almeno tre dosi dello stesso o due dosi più l’avvenuta guarigione (che ammalarsi dopo essersi inoculati ad un siero che dovrebbe proteggere dal virus per il quale si viene sottoposti ad apposito trattamento lascia alquanto perplessi, ma si lasciano queste osservazioni ai medici esperti del tema), ivi compreso l’accesso alla posta o in banca per poter quindi accedere a servizi essenziali o disporre dei propri denari. È inoltre stata prevista una sanzione pari ad una somma di 100Euro una tantum per colpire tutti i “renitenti” (indipendentemente dalle ragioni, siano esse ideologiche o cliniche).

Nonostante l’estromissione da molti servizi essenziali, nonostante la totale impossibilità di godere di qualsiasi attività pubblica o ricreativa, nonostante addirittura la minaccia di poter godere e disporre dei frutti pensionistici, frutto di un accantonamento e di un sacrificio che nulla dovrebbe avere a che spartire con norme successive e per di più incostituzionali, tutti questi individui restano ovviamente a pieno titolo soggetti di imposta.

Ne discende che per costoro, e per chiunque nel mondo per motivi anche differenti gravi nella stessa condizione, è di primaria importanza essere a conoscenza del fatto che: “i cittadini che non hanno rappresentanza parlamentare hanno il diritto di rifiutare il pagamento delle imposte che uno stato vuole imporre loro”.

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[1] John Hampden (nato 1594, Londra-morto 24 giugno 1643, Thame, Oxfordshirem, Eng.) divenne rapidamente uno specialista in materia di tassazione e un caro amico di Sir John Eliot, uno dei principali critici puritani della corona. Nel 1627 Hampden fu imprigionato per quasi un anno per aver rifiutato di contribuire con un prestito forzato richiesto dal re Carlo.  Hampden resistette per principio al pagamento del denaro della nave, un prelievo raccolto dal re per l’allestimento della sua marina. Tuttavia, solo il Parlamento aveva il potere di riscuotere le tasse e Hampden pensava che, poiché il Parlamento poteva riunirsi solo su convocazione del re, Carlo stava, in effetti, eliminando la necessità di chiamare il Parlamento se poteva imporre lui stesso le tasse. Il re sosteneva, tuttavia, che il denaro delle navi fosse un tipo di tassa che per consuetudine non necessitava dell’approvazione del Parlamento. Nel 1635 Hampden si rifiutò di pagare 20 scellini in denaro per le navi e il caso fu sottoposto ai 12 giudici della Corte dello Scacchiere. Sebbene sette dei giudici sostenessero Carlo e cinque si schierassero con Hampden (1638), la stretta maggioranza ricevuta dal re potrebbe essere stata un fattore che ha incoraggiato una diffusa resistenza all’imposta.

[2] Vedi supra.