Double taxation dei dividendi inbound percepiti da persone fisiche non imprenditori

il dono del giorno
Ph. Ermes Galli / il dono del giorno

Double taxation dei dividendi inbound percepiti da persone fisiche non imprenditori

 

Abstract

 I dividendi inbound scontano due livelli impositivi, l’uno all’estero e l’altro in Italia, e il contribuente rimane definitivamente inciso da tale doppia imposizione. Nel regime vigente i dividendi di fonte estera percepiti da persone fisiche fuori dal regime d’impresa sono soggetti a ritenuta alla fonte a titolo sul “netto frontiera”, se riscossi tramite intermediari residenti, ovvero ad imposta sostitutiva sul provento lordo qualora incassati direttamente all’estero….distorsione da correggere

Premessa

I dividendi corrisposti da un soggetto residente in uno Stato (i.e. lo Stato della fonte del reddito) a favore di un soggetto residente in un altro Stato (i.e. lo Stato di residenza del percettore), richiedono particolare attenzione nel delineare il relativo regime di tassazione: è possibile, oltre che probabile, che gli stessi vengano assoggettati a tassazione concorrente, sia nello Stato della fonte del reddito sia in quello della residenza del socio dando luogo al fenomeno della doppia imposizione. Per quest’ultimo fenomeno, il singolo Stato adotta, di regola, rimedi interni alla doppia imposizione, comunemente attraverso la previsione e concessione al contribuente del foreign tax credit come avviene nel nostro ordinamento tributario.

Tuttavia, per i dividendi di fonte estera percepiti da soci che detengono le partecipazioni al di fuori del regime di impresa vi è un ambito in cui la doppia imposizione internazionale rimane palesemente irrisolta.

Attuale assetto impositivo

A livello domestico, per i dividendi percepiti dal 2018, gli articoli 44 e 45 del TUIR prevedono una tassazione dei dividendi percepiti da soggetti privati mediante l’applicazione di una ritenuta alla fonte del 26%, indipendentemente dalla partecipazione “qualificata” o meno nell’ente di diritto estero che eroga il dividendo. Gli utili e gli altri proventi di fonte estera (provenienti da società residenti in Paesi o territori a fiscalità privilegiata) derivanti da partecipazioni di natura qualificata, formatisi con utili prodotti dall’esercizio successivo a quello in corso al 31 dicembre 2017, sono assoggettati a tassazione come le partecipazioni non qualificate, pertanto, non devono più essere assoggettati a tassazione ordinaria mentre gli utili e gli altri proventi di natura qualificata derivanti dalla partecipazione al capitale di società ed enti esteri di ogni tipo, formatisi con utili prodotti fino all’esercizio in corso al 31 dicembre 2017, deliberati dal 1° gennaio 2018 al 31 dicembre 2022, continuano ad essere assoggettati al regime previgente che prevedeva una tassazione ordinaria parziale del dividendo (40%, 49,72% e 58,14%).

L’attuale assetto impositivo nega ai percettori di fonte estera il credito d’imposta per le imposte pagate all’estero di cui all’art. 165 del TUIR, quindi, la detrazione delle imposte estere come convenzionalmente pattuito: nella sostanza, i dividendi esteri percepiti tramite intermediari residenti sono soggetti ad una ritenuta a titolo d’imposta ex art. 27, comma 4, DPR n. 600/1973 sul cd. “netto frontiera” previsto dal successivo comma 4-bis mentre per i dividendi esteri percepiti direttamente all’estero il lordo frontiera sconterà l’imposta sostitutiva del 26% prevista dall’art. 18 del TUIR. In entrambe le fattispecie descritte il percettore italiano rimane inciso sia dall’imposta estera sia da quella italiana e non viene eliminata la doppia imposizione. Diverso appare il caso dei dividendi provenienti da Paesi a fiscalità privilegiata, i quali non sono soggetti a ritenuta a titolo d’imposta o imposizione sostitutiva ma vengono tassati ordinariamente e astrattamente concesso il foreign tax credit.

Proviamo a tradurre tali concetti con un esempio numerico:

Esempio

Dividendo derivante da società USA di 10.000 euro percepito da contribuente residente in Italia con applicazione di withholding tax del 10% (prevista dalla Convenzione contro le doppie imposizioni):

  1. Incasso del dividendo mediante banca residente: sul netto frontiera di 9.000 viene operata la ritenuta a titolo di imposta del 26% per un importo di 2.340 euro;
  2. Incasso del dividendo senza intermediario residente: in sede di dichiarazione dei redditi il dividendo viene tassato con imposta sostitutiva del 26% sul lordo frontiera per un importo pari a 2.600 euro.

Il tutto appare ancora più incoerente se intrecciamo le disposizioni relative alle modalità di tassazione dei dividendi di fonte estera provenienti da Paesi a fiscalità ordinaria ovvero a fiscalità privilegiata:

  • se provengono da Paesi a fiscalità ordinaria, i dividendi subiranno un primo livello di tassazione per effetto della ritenuta in uscita operata dal Paese della fonte e un secondo livello di tassazione in Italia, tramite la ritenuta a titolo d’imposta ovvero l’imposizione sostitutiva;
  • all’opposto, se provengono da Paesi a fiscalità privilegiata, i dividendi concorrono per l’intero alla formazione del reddito imponibile Irpef con il riconoscimento del foreign tax credit (ove siano state pagate imposte, seppure minime, all’estero in via definitiva).

Fenomeno di palese doppia imposizione

Risulta evidente che, sia nel caso in cui il dividendo venga percepito attraverso un intermediario residente, sia nel caso in cui esso sia percepito direttamente all’estero, l’assoggettamento a ritenuta alla fonte ovvero a imposta sostitutiva non viene riconosciuta al percettore del dividendo estero la possibilità di scomputare le imposte pagate all’estero: il mancato riconoscimento del foreign tax credit determina una doppia imposizione sul medesimo reddito con l’applicazione nella sostanza di una doppia ritenuta una in uscita dall’estero e una in entrata dall’estero. Quest’ultima è parzialmente attenuata dal meccanismo del cd. netto frontiera ma nei soli casi di dividendi percepiti tramite intermediari residenti.

Questo fenomeno di palese doppia imposizione per i dividendi inbound dimostra che al percettore degli stessi non è consentito detrarre dall’imposta dovuta in Italia, quella già pagata nel Paese della fonte del reddito mediante il foreign tax credit e, in tal modo, rimane inciso due volte sullo stesso reddito, sia dalla fiscalità italiana (ritenuta alla fonte o imposta sostitutiva) e sia dalla ritenuta in uscita operata dal Paese della fonte del dividendo.

Il credito per le imposte pagate all’estero serve per contrastare la doppia imposizione internazionale gravante sui redditi dei propri residenti, soggetti ad imposizione sulla base del cd. world-wide principle e l’impossibilità, per i contribuenti che percepiscono dividendi di fonte estera fuori dal regime d’impresa, di fruire del credito d’imposta per le imposte estere costituisce una lesione di un diritto anziché un contrasto ai fenomeni di doppia imposizione.

Mancato riconoscimento del foreign tax credit

Il mancato riconoscimento del credito d’imposta ex art. 165 del TUIR deriva proprio dalla disposizione contenuta nel comma 1 dello stesso articolo che consente la detrazione dall’imposta net­ta italiana delle imposte pagate all’estero a titolo definitivo alla condizione che “alla formazione del reddito complessivo concorrano redditi prodotti all’este­ro”, escludendo il riconoscimento del credito d’imposta per quei redditi che vengono tassati con regimi diversi da quello ordinario (IRPEF), quali sono appunto i regimi sostitutivi.

Tenuto conto che attualmente nessun dividendo estero (tranne quelli provenienti da Paesi a fiscalità privilegiata) può concorrere alla formazione della base imponibile Irpef, andrebbe valutata la riformulazione della locuzione contenuta nel comma 1 dell’art. 165 del TUIR riconoscendo il foreign tax credit alla generalità dei redditi imponibili in Italia a prescindere dal regime di tassazione, ordinario o sostitutivo. La possibile concessione del foreign tax credit a dividendi tassati con regimi sostitutivi non detasserebbe a integralmente i redditi esteri né dovrebbe dare diritto al rimborso di imposte a danno dello Stato italiano ovvero di creare ipotesi di doppia non imposizione. La soluzione che suggeriamo (sia in presenza che in assenza dell’intermediario residente) è quella che configura una tassazione complessiva del dividendo di fonte estera non superiore al 26% calcolato sul lordo frontiera, che la ritenuta in entrata venga considerata a titolo di acconto anziché a titolo di imposta e che le imposte pagate all’estero a titolo definitivo diano diritto al foreign tax credit.

Questa prospettiva consentirebbe quindi di accordare lo scomputo delle imposte pagate all’estero relative ai dividendi in parola, eliminando definitivamente la doppia imposizione internazionale che attualmente grava sugli stessi.

Il ruolo delle convenzioni bilaterali

Nelle convenzioni contro la doppia imposizione internazionale viene prevista un’imposizione concorrente tra lo Stato della fonte e quello della residenza: in particolare, l’art. 10 del modello Ocse stabilisce il diritto impositivo dello Stato della residenza percettore, aggiunge un’imposizione limitata, a favore dello Stato della fonte ma non riconosce un diritto impositivo pieno ed esclusivo in capo ad uno dei due Stati.

Per eliminare la doppia imposizione internazionale in presenza di una tassazione concorrente, il modello Ocse prevede il metodo dell’esenzione (art. 23A) ovvero dell’imputazione o credito d’imposta (art. 23B), quest’ultimo solitamente incluso nelle convenzioni bilaterali stipulate dall’Italia. In base a tale metodo, lo sgravio dalla doppia imposizione internazionale avviene tramite il computo, nella base imponibile italiana, del reddito già sottoposto ad imposizione nello Stato della fonte e nella contemporanea detrazione, dall’imposta italiana, delle imposte già pagate all’estero.

Ora, le convenzioni contro le doppie imposizioni stipulate dall’Italia prevedono in linea generale che l’Italia debba ammettere in detrazione dal- le imposte (coperte dalla convenzione) dovute in Italia le imposte che han- no gravato sui redditi esteri, derivanti dall’esercizio della potestà impositiva dello Stato della fonte del reddito; al tempo stesso, tuttavia, emerge da tali pattuizioni come tale diritto di credito venga negato qualora il reddito estero sia assoggettato, in Italia, ad imposizione mediante “ritenuta a titolo d’imposta su richiesta del beneficiario”.

In definitiva, sia la ritenuta a titolo d’imposta sia l’imposta sostitutiva costituiscono “strade” obbligate per il contribuente, cui non viene attribuita alcuna facoltà di scelta circa la modalità di tassazione del dividendo: tali regimi non vengono quindi applicati “su richiesta del beneficiario” e, di conseguenza, l’Italia dovrebbe accordare la detrazione delle imposte estere in virtù di quanto pattuito nelle convenzioni contro le doppie imposizioni.

Considerazioni finali

A questo punto e dopo quanto scritto è opportuno riformulare il comma 1 dell’art. 165 del TUIR, riconoscendo a tutti i redditi imponibili in Italia a prescindere dal regime di tassazione (ordinario o sostitutivo) il foreign tax credit.

Non vi è ragione di negare la rilevanza delle imposte estere assolte sui dividendi inbound, evitando palesi fenomeni di doppia imposizione giuridica internazionale in contrasto con quanto previsto dai trattati bilaterali nonché i principi comunitari.

In definitiva, sia che il contribuente percepisca dividendi esteri tramite intermediari residenti, sia che l’accredito avvenga direttamente su un conto corrente estero, potrebbe portare in detrazione le imposte estere: nel primo caso, dovrebbe essere l’intermediario residente che in sede di applicazione della ritenuta a titolo di imposta del 26% riconoscesse lo scomputo delle imposte estere dall’imposta dovuta in Italia; nel secondo caso, e quindi in assenza di intermediario residente il percettore del dividendo estero, nella propria dichiarazione dei redditi, dovrebbe indicare il lordo frontiera da tassare in autoliquidazione al 26% con il riconoscimento del foreign tax credit. Queste soluzioni operative hanno il pregio eliminare il diverso trattamento fiscale gravante sui dividendi inbound percepiti direttamente dall’estero rispetto a quelli percepiti tramite intermediari residenti.