Sullo «scudo penale»

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Sullo «scudo penale»

 

Il caso e i fatti

Clamore ha suscitato il Decreto di archiviazione del GUP del Tribunale di Siracusa con il quale è stato archiviato (su richiesta della Procura aretusea e in difetto dell’opposizione del collegio di difesa della vedova) il procedimento per omicidio colposo nei confronti della casa farmaceutica Astrazeneca per la morte del militare Stefano Paternò, sottufficiale della Marina militare, morto  a Catania dopo essere stato vaccinato con vaccino Astrazeneca e la cui morte secondo il Tribunale è da attribuire con ragionevole certezza al vaccino anti-Covid somministratogli.

Il militare era stato «costretto» a vaccinarsi soprattutto al fine di conservare il posto di lavoro. Stefano Paternò aveva prestato il «consenso» alla vaccinazione. La casa farmaceutica Astrazeneca aveva chiesto ed ottenuto per contratto una sorta di «scudo penale» per le responsabilità derivantele dai possibili effetti collaterali e dalle reazioni avverse gravi. I medici e gli operatori sanitari, da parte loro, godevano (e godono) ai sensi dell'art. 3 del Decreto Legge n. 44/2021, convertito in Legge con modificazioni il 28 maggio 2021 (Legge n. 76/2021), di uno «scudo penale», voluto e approvato, quindi, dal Governo Draghi, emanato dal Presidente della Repubblica e successivamente approvato dal Parlamento.

Il Tribunale di Siracusa ha ritenuto di dover archiviare il «caso Paternò» pur in presenza dell'accertata correlazione fra la somministrazione del vaccino Astrazeneca e la morte del sottufficiale (avvenuta dodici ore dopo la somministrazione del vaccino), perché Stefano Paternò aveva firmato il «consenso informato».

 

Alcune domande

Il «caso Paternò» pone diversi interrogativi giuridici (i quali non sono solamente quelli strettamente legali). Fra questi: a) è legittima la previsione dello «scudo penale»?; b) è essa costituzionalmente corretta?; c) è giuridicamente accettabile che un contratto prevalga sulle norme di legge?; d) il «consenso informato» è sempre idoneo a escludere ogni responsabilità penale?; e) esso è valido anche se autorizza interventi sul proprio corpo che possono causare lesioni gravi e, in alcuni casi, la morte?

 

Prime risposte. Cenni

a) La previsione dello «scudo penale», ovvero dell'immunità personale deve ritenersi illegittima sotto ogni profilo, sia etico (aspetto che qui non viene considerato) sia legale. Nessuno può essere «autorizzato» ad agire irresponsabilmente. Ciò, infatti, significherebbe negare la stessa umanità del soggetto agente. Il che è un'assurdità assoluta. Assurdità resterebbe anche se un Parlamento approvasse una simile norma (quella dello «scudo penale»). Il reato, contrariamente a quanto sostengono le dottrine penalistiche giuspositivistiche[1], non è nella disponibilità della volontà dello Stato. Esso ha natura ultra-normativa, cioè è fondamento e regola della norma positiva. La norma positiva ha solamente il potere di stabilire la sua punibilità ed eventualmente le forme della sua punibilità. Il legislatore, pertanto, non ha potere di «costituire» il reato (sia che esso sia un delictum sia che esso sia un crimen, per usare una distinzione elaborata dalla dottrina romanistica). Il legislatore può, certamente, per ragioni di «politica del diritto» varare norme scriminanti. Ciò, però, non significa abolire il reato in sé e per sé. Significa, piuttosto, prevedere per contingenti ragioni una non procedibilità né d'ufficio né su istanza di parte, della parte offesa.

Si dirà che lo «scudo penale», previsto dal D.L. n. 44/2021 e dalla successiva Legge di conversione (Legge n. 76/2021), rientra in questa ipotesi. A noi pare di no, perché le norme scriminanti incontrano limiti invalicabili (anche se, considerando l'effettività giuridica, questi sono stati e sono, talvolta, aboliti arbitrariamente dal legislatore: basterebbe pensare, per esempio, all'aborto procurato). A nessuno è consentito procurare lesioni gravi o la morte della persona (innocente) come conseguenza possibile, talvolta probabile e altra volta certa, della propria azione, nemmeno se prescritta dallo Stato: i crimini contro l'umanità (si pensi alle leggi e alle pratiche naziste) sono stati praticati nel rispetto della legge positiva, per ottemperare quindi a precetti dello Stato, ma essi, per questo, non sono diventati leciti (né avrebbero potuto diventarlo). Tanto che sono stati istituiti Tribunali speciali per giudicarli (esempio: Tribunale di Norimberga). L’istituzione di questo Tribunale ha ignorato quanto sostiene in maniera dogmatica la modernità giuridica. Secondo la modernità giuridica, infatti, non esiste reato se esso non è previsto come tale dalla norma positiva[2]. E una norma positiva contraria avrebbe il potere di mettere nel nulla il reato previsto da una norma precedente. Non solo. Va osservato che lo Stato commetterebbe un’iniuria grave nei confronti della persona offesa, stabilendo una scriminante assoluta. Nel caso de quo esso aggiungerebbe un’ulteriore offesa mandando assolti (rectius non procedendo nei confronti di) coloro che portano la responsabilità della morte di Stefano Paternò. Si dirà che l’iniuria nei confronti del Paternò è relativa rimanendo possibile agli eredi la causa civile. Il risarcimento, però, allevia e ripara in parte l’offesa, non la elimina: se il risarcimento fosse idoneo a estinguere il reato (che presenta aspetti pubblicistici che vanno oltre quelli privatistici) basterebbe una somma di denaro per la sua eliminazione.

b)  La previsione dello «scudo penale» a favore di alcune categorie (nel caso de quo, per i medici e gli operatori sanitari) o a favore di persone giuridiche, istituisce, propriamente parlando, un privilegio. Esso è negazione esplicita dell'eguaglianza dei cittadini di fronte alla legge positiva come stabilisce l'art. 3 Cost.. Non si può invocare, a questo proposito, lo ius singulare: innanzitutto perché esso deve essere ius, cioè diritto (che non nasce dalla norma positiva: lo osservò già Paolo[3], il giurista romano che giustamente affermò che non ex regula ius sumatur sed ex iure quod est regula); poi, perché lo ius singulare è parte dell’ordinamento giuridico positivo che è e deve essere – lo osservò anche il giuspositivista Norberto Bobbio – caratterizzato dalla  coerenza (l‘eccezione, infatti, deve  essere conferma della regola); inoltre, perché lo ius singulare non può trovare applicazione nel campo penalistico, consentendo di commettere reati: lo  ius singulare,  infatti, non è – lo si è appena detto – assenza di giuridicità ma sua conferma sotto il profilo dell'equità.

c) Il contratto, per essere legittimo, dev’essere conforme alla legge, quanto meno non deve violarla. La legge, quindi, è sovraordinata al contratto. Nessun contratto può stabilire l’immunità penale. Se esso la stabilisse la clausola sarebbe nulla. Ciò non solamente perché il contratto non può modificare norme imperative del diritto pubblico (dottrina propria della modernità giuridica) ma anche e soprattutto perché la legge, essendo (e dovendo essere) partecipazione del diritto, non è derogabile. Tanto meno ad essa si può derogare rivendicando la libertà di compiere reati o l’immunità per averli commessi. Non si comprende, pertanto, - stando a quanto riferito dalla stampa – come il Tribunale di Siracusa abbia potuto sentenziare la non procedibilità nei confronti di Astrazeneca e dei medici e del personale paramedico che ha provveduto a iniettare il vaccino letale a Stefano Paternò.

d) Il consenso informato è certamente un diritto dell’individuo. Esso è sempre stato condizione di legittimità delle cure, degli interventi sul corpo del soggetto e, comunque, di tutto ciò che si definisce intervento sanitario. In suo difetto le cure e gli interventi diventerebbero quanto meno violenza ove imposti e praticati con la forza (sia essa fisica o morale). Anche prima che venisse regolamentato positivisticamente (in Italia principalmente con la Legge n. 219/2017). La sua regolamentazione positivistica rende maggiormente esplicita e formalmente rigorosa la sua espressione. Su questo non cadono dubbi. I dubbi cadono su altre questioni e su altri aspetti delle questioni.

Quando, infatti, - bisogna chiedersi – il consenso informato è veramente tale? Non è sufficiente, a tal fine, che esso sia espresso per iscritto e secondo un formulario predisposto. L’informazione, infatti, deve essere sostanziale, non meramente formale.

Non solo. Anche le norme positive prescrivono che al paziente sia reso comprensibile ciò di cui viene informato. Non sempre, però, l’informazione è idonea e sufficiente a illustrare finalità e conseguenze delle cure e degli interventi. Non solamente per i possibili ed ineliminabili imprevisti, quanto, soprattutto, per difetto di approfondita comprensione della situazione o della nuova situazione (creata dalle stesse cure) da parte dell’informatore. Anche al medico, infatti, possono sfuggire aspetti che andrebbero considerati, valutati e illustrati. Pur essendo generalmente «esaustiva» la sua informazione circa gli aspetti noti nel momento in cui essa viene data, essa – l’informazione - è sempre e necessariamente «relativa», vale a dire non assoluta anche perché la stessa scienza è conoscenza provvisoria delle questioni: la scienza, infatti, non esaurisce il discorso. Essa è conoscenza oggettiva e critica, aperta però a nuove conoscenze, talvolta in continuità con le conoscenze precedenti (trattasi, in questo caso, di approfondimento) talvolta in discontinuità (revisione e smentita delle conoscenze precedenti).

Alla luce di quanto appena osservato, risulta difficile parlare di «consenso informato» se non vengono fornite informazioni complete, idonee a rappresentare un elemento fondamentale per una scelta razionale, veramente libera e pienamente consapevole. L’osservazione è maggiormente valida se il modulo di «consenso informato» lascia nell’ombra alcune informazioni o dichiara esplicitamente – è il caso della prima versione del modulo di «consenso informato» predisposto da una casa farmaceutica per la vaccinazione anti-Covid – di essere nell’impossibilità di dare informazioni circa gli effetti collaterali e le reazioni avverse a lunga scadenza della vaccinazione[4].

Il «consenso informato», poi, non può essere espresso per la somministrazione di un farmaco (o di un vaccino) per il quale la sperimentazione non è stata completata: anche se la sua somministrazione è «autorizzata», le informazioni che lo riguardano non consentono una decisione razionale del paziente.

A questi tre problemi si aggiunge un altro, assai rilevante giuridicamente e che si sarebbe dovuto previamente risolvere anche per il «caso Stefano Paternò»: si può prestare validamente consenso a qualsiasi operazione? In altre parole l’autodeterminazione del paziente è assoluta? Essa è condicio sine qua non di legittimità anche per interventi, definiti sanitari, contrari all’interesse oggettivo del paziente e violatori di suoi diritti indisponibili? L’ordinamento giuridico non ha per scopo la garanzia della possibilità di realizzazione di qualsiasi volontà (teoria, questa, fatta propria dal personalismo contemporaneo, per esempio[5]), ma quello di tutelare il soggetto sottraendolo a qualsiasi arbitrio: a quello suo proprio, a quello degli altri cittadini, a quello dello Stato. Siamo consapevoli che sulla base della Costituzione repubblicana, nonché della costante giurisprudenza della Corte costituzionale interrotta, a nostro avviso, dalla Sentenza n. 14/2023[6], è riconosciuto al cittadino il diritto all’autodeterminazione assoluta fino al punto da riconoscergli il diritto di non adempiere a obblighi definiti inderogabili dalla stessa Legge fondamentale della Repubblica italiana (Corte costituzionale, Sentenza n. 467/1991). Ciò, però, non è la soluzione del problema ma la sua complicazione.

Non è la soluzione del problema innanzitutto perché l’autodeterminazione assoluta della volontà non consentirebbe di prescrivere alcunché per norma. Nemmeno la vaccinazione, perciò, sarebbe imponibile. Non è la soluzione del problema, poi, perché, sotto un altro (contrario) profilo, sarebbe costretta a considerare valido anche il consenso informato indirettamente estorto: mancando parametri di giudizio circa la razionalità (o almeno la ragionevolezza) della decisione, il consenso verrebbe a identificarsi con una decisione assolutamente arbitraria (il concetto stesso di estorsione non potrebbe essere preso in considerazione). Va notato, inoltre, che l’autodeterminazione richiede una condizione di assoluta libertà, addirittura di «libertà negativa» nel senso gnostico-hegeliano: ove venisse condizionata anche obliquamente (perdita del posto di lavoro, assegnazioni di mansioni improprie, trasferimento, etc.) essa non sarebbe più tale. Il «consenso informato», in questo caso, sarebbe radicalmente viziato ab origine e sarebbe viziato considerando i canoni «irrinunciabili» imposti dalla Corte costituzionale nella e con la sua giurisprudenza.

La questione, poi, sarebbe complicata dal nichilismo giuridico prodotto dal relativismo giuspositivistico: ove i diritti vengono fatti dipendere dalla volontà (o, per usare termini maggiormente appropriati, dalla sovranità dello Stato o dalla sovranità soggettiva[7]) essi diventano pure espressioni verbali che assumono rilievo e forza sulla base del potere di rendere effettiva la medesima volontà, qualsiasi volontà. Il diritto in questo modo scompare. Esso lascia il posto alla sola legalità intesa come rispetto formale e applicazione dei comandi arbitrari, di qualsiasi comando, anche del comando più irrazionale.
 

Interrogativi finali

Quanto brevemente esposto dovrebbe far sorgere altri interrogativi. Al Tribunale di Siracusa (come è consuetudine nelle aule dei Tribunali) è bastato il modulo di «consenso informato», sottoscritto dal Paternò, per liquidare la controversia. Non si è posto il problema della sua reale validità giuridica, prescritta, per altro, anche dalle norme in vigore e richiesta dallo «spirito» delle leggi relative alla delicata materia. Al Tribunale è bastata l’esibizione dell’atto formale del «consenso informato».

Non solo. Non ha avuto dubbi – il Tribunale - sulla validità di norme in vigore. Seguendo le teorie di alcune Scuole positivistiche (dominanti nelle Facoltà di Giurisprudenza) la validità sarebbe offerta alle leggi dalla loro vigenza. Il che contrasta con il «senso comune», con parte della prassi giuridica instaurata soprattutto nel secondo dopoguerra, con la giurisprudenza di talune Corti (soprattutto quelle internazionali) e persino con la previsione normativa positiva della possibilità di ricorrere alle Corti costituzionali e alle Corti di giustizia internazionali.

C’è da chiedersi, conclusivamente, se sono state rispettate la Convenzione di Oviedo del 1997 (ratificata dall’Italia con la Legge n. 145/2001) e la Carta di Nizza del 2000 per quel che attiene agli aspetti che investono il caso de quo. Si tratta di interrogativi ai quali non è possibile dare in questa sede risposta, la quale può venire solamente da un attento esame degli atti di causa.

Per quel che attiene, infine, allo «scudo penale», va osservato che esso non è un atto di clemenza. Con esso, in altre parole, non si prende atto di un’azione umana illegittima per la quale si prevede una scriminante. Al contrario, la si considera assolutamente legale (anche se è evidente nella sua stessa definizione una contraddizione: lo «scudo penale», infatti, denuncia che l’atto umano compiuto presenta aspetti criminali coperti dallo «scudo»). Lo «scudo penale», quindi, non è e non può essere considerato una norma di civiltà giuridica; al contrario esso appartiene alla barbarie, poiché «copre» attività prescritte dallo Stato, il quale è chiamato a tutelare i diritti, non a violarli o a consentirne la violazione.

 

[1]    Esemplare, a questo proposito, è la definizione di reato di Francesco Antolisei, il quale ritiene che il reato altro non sia che una condotta contraria alla sola volontà dello Stato. L’Antolisei, infatti, sostiene che «è reato quel comportamento umano che, a giudizio del legislatore, contrasta coi fini dello Stato ed esige come sanzione una pena (criminale)» (F. ANTOLISEI, Manuale di Diritto penale, Parte generale, a cura di Luigi Conte, Milano, Giuffrè, 1975, p. 132).

[2] La tesi è nata per tutelare l’individuo: nessuno – si dice – può essere imputato in assenza di una norma o sulla base di norme con effetto retroattivo, sebbene – la cosa va annotata – ciò sia avvenuto anche nel nostro tempo per alcuni particolari reati: per esempio per i crimini contro l’umanità (nei quali – stranamente – non viene fatta rientrate la soppressione di esseri umani innocenti prima ancora della loro nascita). La punibilità dei crimini contro l’umanità anche in assenza di una norma positiva conferma che il reato non dipende esclusivamente dalla volontà dello Stato.

[3] D. 50. 17. 1.

[4] Va annotato, inoltre, che la Versione dell’8 febbraio 2021 del Modulo di «consenso informato» predisposto dalla casa farmaceutica Astrazeneca recita: «L’elenco di reazioni avverse sovraesposto non è esaustivo di tutti i possibili effetti indesiderati che potrebbero manifestarsi durante l’assunzione del vaccino». Il che evidenzia l’incompletezza dell’informazione, dovuta probabilmente all’impossibilità di fornirla in difetto della completa sperimentazione. C’è di più. È emerso, infatti, non solo che non sarebbe stata evidenziata nel vaccino di un’altra nota casa farmaceutica la presenza di una sequenza (possibile causa di malattie per il vaccinato), ma che nel contratto, stipulato a Bruxelles a fine 2000, fra il Commissario per la Salute e la Sicurezza alimentare e la casa farmaceutica Pfizer, sarebbe stato messo nero su bianco che «lo Stato membro partecipante riconosce […] che gli effetti a lungo termine e l’efficacia del vaccino non sono attualmente noti e che potrebbero esserci effetti avversi del vaccino attualmente non noti» («La Verità», Milano, 3 novembre 2023, p. 12).

[5] Per l’approfondimento si rinvia a D. CASTELLANO, L’ordine politico-giuridico «modulare» del personalismo contemporaneo, Napoli, Edizioni Scientifiche Italiane, 2007.

[6] Lo abbiamo sottolineato con la Nota pubblicata in questa Rubrica «Osservatorio tre Bio» il 14 marzo 2023.

[7] Per la questione della sovranità su se stessi si rinvia al Capitolo XIV del volume D. CASTELLANO, Cronache biogiuridiche, Napoli, Edizioni Scientifiche Italiane, 2023.