Obbligo vaccinale: CEDU Potter e la sentenza filosofale - Parte IV

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Obbligo vaccinale: CEDU Potter e la sentenza filosofale - Parte IV

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LUMOS

 

Per l’epilogo del commento sulla Sentenza Filosofale (qui Parte I, Parte II e Parte III) è opportuno partire citandone due passaggi conclusivi.

Al par. 307 parrebbe intravedersi il riferimento della Corte a un limite, per la verità non ben definito, al poderoso rafforzamento del Leviatano statale che da questa decisione consegue.

In questo striminzito paragrafo, invero, i giudici sembrano alludere alla limitatezza nel tempo quale confine di legittimità dell’esclusione scolastica, apoditticamente circoscritta all’inizio della scuola dell’obbligo.

Un ostacolo evidentemente ben poco scientifico e ancor meno razionale, prima ancora che vago e debole dal punto di vista giuridico.

Pertanto forte è il sospetto che si possa trattare nulla più che una contestuale e solo apparente “concessione” argomentativa alle ragioni dei ricorrenti, dettata da più che altro da ragioni “consolatorie”.

I parr. 313 – 338, invece, sono molto interessanti, anche se solo in potenza, dato che anche in questo caso la Corte ha disposto nel senso di ignorare qualsiasi ricaduta in atto nella decisione della causa.

La questione è stata posta da alcuni dei ricorrenti che avevano sollevato anche la concorrente violazione con le imposizioni vaccinali dell’Art. 9 della Convenzione, nei termini del diritto ad esercitare l’obiezione di coscienza.

L’intero passaggio motivo merita attenta lettura perché ricostruisce il generale diritto all’obiezione di coscienza, sia religiosa che secolare, così come riconosciuto dalla Corte ai sensi della Convenzione, in linea di principio non escludendone l’applicazione nei casi di obbligo vaccinale.

Anche se poi tale diritto non ha comunque trovato riconoscimento nel procedimento perché secondo i giudici i ricorrenti interessati non avrebbero articolato le loro posizioni critiche sulle vaccinazioni nei termini giuridicamente richiesti, vale a dire (par. 335): “…as to constitute a conviction or belief of sufficient cogency, seriousness, cohesion and importance to attract the guarantees of Article 9”.

Al di là del merito della decisione, la tematica non può non attrarre per il futuro gli sforzi di elaborazione giuridico-forense, e conseguente trasposizione nelle sedi giudiziarie, della sottesa obiezione etico-morale, anche con riferimento al notorio utilizzo, nella ricerca e/o produzione di svariati prodotti vaccinali, di linee cellulari umane ricavate da feti abortiti.

Del resto anche in tal senso gli interventi si stanno andando moltiplicando, con la prospettica articolazione di una posizione sempre più ricca e motivata. Qui e qui solo due esempi ben rappresentativi.

Commentando ora la sentenza nel suo complesso, pare evidente come essa ponga le basi per una liquefazione sostanziale di quei fondamentali principi di garanzia della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo, che la Corte per statuto avrebbe dovuto invece tutelare giudiziariamente.

Effetto peraltro solo apparentemente paradossale nell’odierna società liquida e liquefatta, rivelandosi la Sentenza Filosofale, a uno sguardo più distaccato che contempli l’intero sistema, straordinariamente funzionale al radicato pensiero di disgregazione generalmente in atto, originariamente filosofico, poi politico e infine sociale.

Si tratta di quel processo di lungo corso ormai chiaramente incarnato dalla visione e dalla politica delle forze comunemente denominate “progressiste” (in Europa) e “liberal” (negli Stati Uniti), ma a cui è forse meglio riferirsi con l’appellativo di “dissipatrici” (termine ottimamente coniato da Camillo Langone), considerato che il loro obiettivo costitutivo coincide da sempre con il completo smantellamento di qualsivoglia principio informatore del vivere sociale prodotto dalla ultra bimillenaria cultura greco-romano-cristiana.

E ormai i reali obiettivi non sono nemmeno più di tanto tenuti nascosti, anzi ultimamente (e neanche poi così di recente), dismessa la maschera per decenni indossata di libertarismo e liberazione, viene chiaramente dichiarata l’incombente necessità di forte restrizione di diritti e libertà.

Sempre per restare ad alcuni esempi offerti dai più recenti fatti di cronaca, si possono richiamare le appurate azioni di censura ordinate dal governo USA , gli interventi ufficiali dell’ultimo Forum di Davos (qui e qui), o gli attuali programmi dello Stato di New York, notoriamente uno dei più all’avanguardia nella transizione totalitaria.

Vale poi anche la pena spendere qualche minuto per sentire in cosa effettivamente deve consistere, nell’àmbito di tale visione, l’azione di indottrinamento della scuola, finalizzata in primis ad annullare insegnamenti e valori appresi in famiglia col progressivo e totale esautoramento di ruolo e funzioni genitoriali.

Sono cose che chiunque dotato di occhi per vedere, orecchie per sentire e un minimo di raziocinio e buona volontà, può constatare da sé, magari aiutato da riflessioni come quelle di Marcello Foa.[1]

Epperò una fetta maggioritaria di popolazione appare ancora incapace di riconoscere i sempre più ravvicinati interventi sistemici di rimodellazione della società in atto.

Per costoro trovo assai appropriata una citazione attribuita a Il tramonto dell’Occidente (testo del 1918) di Oswald Spengler: «Un tempo non era permesso a nessuno di pensare liberamente. Ora sarebbe permesso, ma nessuno ne è più capace. Ora la gente vuole pensare ciò che si suppone debba pensare. E questo lo considera libertà».

Fortunatamente, tuttavia, una luce continua a brillare nel buio della notte della ragione.

Sbaglierebbe infatti chi pensasse che le riflessioni sin qui condotte dall’inadeguato redattore fossero tutta farina del suo sacco.

Esse hanno trovato pieno conforto, e anzi un più ampio e degno sviluppo, nell’opinione dissenziente di uno dei 17 membri del Collegio decidente, il giudice Wojtyczek.

Nell’articolato parere, riprodotto in calce al testo della sentenza, il giudice nel corso di ben 18 paragrafi partendo dal presupposto di condividere in via di principio la possibilità che la Convenzione non escluda gli obblighi vaccinali, dimostra con retta ragione e riflessioni realmente giuridiche come nel caso concreto “…gli argomenti specifici addotti dal Governo convenuto e invocato dalla maggioranza nella presente causa per giustificare la compatibilità con la Convenzione della vaccinazione obbligatoria in generale e dell’ingerenza nei diritti dei ricorrenti in particolare non sono sufficienti. Inoltre, la sentenza solleva importanti questioni di giustizia procedurale” (par. 1).

Sul contenuto nel suo complesso della posizione dissenziente, per non allungare oltremodo l’esposizione ci si limita a richiamarne la struttura, per il resto consigliando caldamente la sua attenta e integrale lettura (anche solo per riprendere fiato dopo quella gravosa della Sentenza Filosofale), peraltro accessibile anche a chi poco sa di diritto date semplicità e chiarezza del linguaggio utilizzato.

L’opinione è quindi fondamentalmente strutturata in due parti.

I parr. 2 – 5 sono dedicati alle questioni di procedura, e in essi Wojtyczek dimostra come la Corte per compiere la “magica trasmutazione” dei diritti tratti in giudizio, abbia largamente disatteso i propri stessi precedenti soprattutto in materia di onere e produzione della prova.

Nei parr. 6 – 18, si passa ai motivi di dissenso nel merito, rispetto ai quali si riportano a seguire le versioni tradotte dei brani, a giudizio di chi scrive, più significativi.

Sul corretto modo di impostare i termini della controversia (par 6):

«La domanda a cui rispondere non è se le campagne di vaccinazione siano utili alla salute pubblica, ma se sia accettabile ai sensi della Convenzione imporre sanzioni per il mancato rispetto dell’obbligo legale di sottoporsi alla vaccinazione. Più in particolare, la questione è se il valore aggiunto apportato dall’obbligatorietà giustifichi la restrizione alla libertà di scelta … È necessario dimostrare, in particolare, che i benefici per la società nel suo insieme e per i suoi membri superano i costi individuali e sociali e giustificano l’assunzione del rischio di subire gli effetti collaterali di una vaccinazione. Dato il peso dei valori in gioco, tale valutazione richiede dati scientifici estremamente precisi ed esaurienti sulle malattie e sui vaccini in esame. Senza tali dati l’intero esercizio diventa irrazionale».

Ai paragrafi 7 e 8 Wojtyczek riespande quella che chiama “regola di giudizio” (Standard of scrutiny), in sentenza indebitamente ristretta in nome di un inesistente dovere (e quindi diritto) degli Stati di decidere anche sulle questioni di salute individuale, accompagnato dalla concorrente arbitraria assolutizzazione del principio di solidarietà sociale.

In particolare il giudice dissenziente dimostra, sotto il primo aspetto, come secondo la giurisprudenza della Corte stessa

«la libertà di disporre del proprio corpo è un valore fondamentale tutelato dalla Convenzione … La Corte sottolinea inoltre che “il corpo di una persona riguarda l’aspetto più intimo della vita privata” … Si potrebbe aggiungere che, in un contesto completamente diverso, la Corte ha ritenuto che una restrizione generale, automatica e indiscriminata a un diritto della Convenzione di importanza vitale deve essere considerata al di fuori di qualsiasi margine di discrezionalità accettabile, per quanto ampio possa essere tale margine».

Riguardo al secondo problema, ovvero lo statuìto ampio margine di discrezionalità per gli Stati membri nell’imporre obblighi vaccinali:

«Questo approccio è difficile da accettare…va notato che esiste un ampio consenso all’interno degli Stati membri del Consiglio d’Europa sul fatto che: (i) l’integrità fisica dovrebbe essere protetta da trattamenti medici involontari; (ii) la modalità più idonea a tutelarla consiste nel sottoporre tali interventi al consenso degli interessati».

Segue, non a caso, citazione dell’art. 5 Convenzione di Oviedo, fatto invece “sparire” dal Collegio, come in precedenza visto, dall’àmbito della regola di giudizio.

I paragrafi da 9 a 11 sono dedicati alla “base fattuale della decisione assunta dal Collegio” (The factual basis of the judgment), e si rivelano talmente cruciali che non possono non essere letti integralmente.[2]

Qui ci si limita all’emblematica frase di chiusura:

«Noto in questo contesto che la maggioranza mostra una riluttanza a fare affidamento su dati scientifici concreti. Preferiscono fare affidamento su giudizi di valore e raccomandazioni politiche formulate da esperti come se queste avessero lo stesso valore delle proposizioni degli esperti riguardanti i fatti».

Paragrafi da 12 a 15 (anche questi meriterebbero la lettura completa, se non altro perché in essi il giudice Wojtyczek dimostra di padroneggiare delle comuni nozioni di base sulle vaccinazioni rimaste ignorate dai suoi colleghi); sull’interesse superiore del minore:

«Questo approccio fa scattare le seguenti osservazioni. Spetta ai genitori, non allo Stato, prendere decisioni relative ai bambini, definire il loro interesse superiore e guidare i bambini nell’esercizio dei loro diritti … I diritti dei genitori possono essere limitati solo in circostanze eccezionali … e, in linea di principio, l’interesse superiore di un bambino può essere invocato contro i genitori solo una volta che i diritti genitoriali di questi ultimi sono stati limitati o decaduti. Nel caso di specie, la questione centrale intorno all’interesse superiore dei bambini non è se la politica sanitaria generale dello Stato convenuto promuova l’interesse superiore dei bambini come gruppo, ma invece come valutare rispetto a tutti e a ciascun specifico bambino dei genitori ricorrenti, con il background sanitario specifico del bambino, se i diversi benefici derivanti dalla vaccinazione saranno effettivamente maggiori del rischio specifico ad essa inerente. I genitori – a volte a ragione, a volte a torto, ma in buona fede – possono identificare alcuni fattori di rischio molto individuali che sfuggono all’attenzione di altre persone».

Rispetto, invece, alla questione dell’alternativa meno restrittiva:

«Rilevo inoltre che non è stata presentata alla Corte alcuna prova che dimostri che gli Stati che hanno introdotto l’obbligo di vaccinare ottengono risultati migliori in termini di salute pubblica rispetto agli Stati che non hanno introdotto tale obbligo. In questo secondo gruppo, dinanzi alla Corte non è stata accertata alcuna diminuzione del tasso di vaccinazione al di sotto degli obiettivi raccomandati. Il fatto che in molti Stati gli obiettivi della politica sanitaria possano apparentemente essere raggiunti senza introdurre l’obbligo di vaccinare è un argomento molto potente che sono effettivamente disponibili mezzi meno restrittivi e che l’ingerenza contestata non è necessaria in una società democratica. Il fatto che la maggioranza respinga esplicitamente la controprova dell’“alternativa meno restrittiva” senza ulteriori spiegazioni per questo rifiuto dà l’impressione che l’argomento dei ricorrenti in base a questa controprova sarebbe stato accolto se fosse stata effettuata»

L’asserito principio, poi, della solidarietà sociale, argomentativamente impiegato in sentenza quale ariete demolitorio di effettivi e consolidati principi radicati nella giurisprudenza della stessa Corte, riceve una drastica confutazione:

«Nei paragrafi da 279 a 306 la maggioranza fa riferimento alla “solidarietà sociale” (“solidarité sociale”). Non è chiaro cosa significhi qui questo concetto (che riporta alla mente il lavoro di Émile Durkheim) … l’idea stessa di solidarietà, come inizialmente intesa nel linguaggio ordinario (derivante dal linguaggio giuridico), presuppone un’autorganizzazione spontanea, non sacrifici imposti dal potere statale»

Il paragrafo 16, invece, riguarda i conflitti di interessi e l’opacità dei processi decisionali lamentati dai ricorrenti

«Non è sufficiente che i processi decisionali siano equi: devono essere percepiti come equi e dovrebbero pertanto esistere disposizioni giuridiche di vasta portata per proteggere l’integrità del processo e rafforzare la fiducia del pubblico. … Rilevo inoltre che nessun documento nazionale contenente una valutazione precisa dell’efficacia dei vari vaccini e dei rischi che ne derivano è stato presentato alla Corte, come se tale valutazione non fosse mai stata effettuata nello Stato resistente o fosse mai stata oggetto di dibattito pubblico. Le questioni fondamentali sopra enumerate (cfr. punto 6 di questo votum separatum) sembrano essere state lasciate irrisolte nei documenti pubblicamente disponibili relativi al processo decisionale a livello nazionale. Le persone interessate dall’obbligo di vaccinare hanno il diritto di conoscere non solo il rischio preciso per ogni singola malattia, ma anche come tale rischio è stato calcolato e valutato da chi ha deciso di introdurre l’obbligo di vaccinare. Le loro domande legittime al riguardo rimangono senza una risposta soddisfacente»

Par 17: l’articolo 9 della Convenzione (obiezione di coscienza):

«La questione se valga la pena correre un rischio inerente a un intervento medico può essere una questione di convinzioni personali, tutelata da questa disposizione. … il riconoscimento giuridico delle eccezioni all’obbligo di vaccinare fondate sull’obiezione di coscienza costituisce un argomento molto importante a favore della compatibilità dell’obbligo in questione con la Convenzione»

Anche grazie al dissenziente giudice Wojtyczek, quindi, è possibile serenamente affermare che con questa sentenza la Corte, in assenza di specifici, concreti ed effettivi dati scientifici, solo ignorando lucidamente il diritto da essa stessa definito e applicato, è potuta arrivare a dichiarare (questi) obblighi misure "necessarie in una società democratica".

E, a ben vedere, la questione ridotta all’osso si ricapitola tutta qui: quali sono i fondamenti giuridico-costituzionali che rendono una società democratica?

Cos’è democrazia?

È un qualcosa di reale, dotato di un suo corpus giuridico intangibile?

O può essere trattata né più né meno alla stregua di una semplice etichetta, da appiccicare in modo interscambiabile a qualsivoglia barattolo, a prescindere da ciò che esso effettivamente contenga?

“Stat rosa pristina nomine, nomina nudatenemus” concludeva così Umberto Eco il suo Nome della Rosa, non a caso in contrapposizione al “What’s in a name? That which we call a rose by any other name would smell as sweet” di Shakespeare.[3]

E, infatti, c’è uno Stato che nella propria Costituzione si autodefinisce, parafrasando, una società democratica.

È la Repubblica Popolare Cinese.[4]

 

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Note:

 

[1] Il suo ritratto non sembra coincidere molto con quello di un fanatico complottista, terrapiattista, no-vax: https://it.wikipedia.org/wiki/Marcello_Foa.

[2] “9. Nella Repubblica ceca, l'elenco delle vaccinazioni obbligatorie comprende nove malattie. Queste malattie sono molto diverse tra loro. Una valutazione razionale della conformità dell'obbligo di vaccinare con la Convenzione richiede che il caso venga esaminato separatamente per ciascuna malattia, procedendo malattia per malattia. Per ogni singola malattia è necessario stabilire:

- le modalità e la velocità della sua trasmissione;

- i rischi per i contagiati;

- il costo medio del trattamento individuale della malattia nel caso di pazienti non vaccinati e le prospettive di successo di tale trattamento;

- la precisa efficacia dei vaccini disponibili;

- il costo medio di una vaccinazione;

- il rischio di effetti collaterali della vaccinazione;

- i costi medi per il trattamento degli effetti indesiderati della vaccinazione;

- la percentuale minima di vaccinati che impedirebbe la diffusione della malattia (se applicabile) e le prospettive di raggiungimento di tale obiettivo.

10. L'impostazione complessiva della maggioranza è sintetizzata nella seguente citazione (cfr. punto 300 della sentenza): “Quanto all'efficacia della vaccinazione, la Corte richiama ancora una volta il consenso generale sull'importanza vitale di questo mezzo di protezione delle popolazioni dalle malattie che possono avere gravi effetti sulla salute individuale e che, in caso di gravi focolai, possono causare turbative alla società (paragrafo 135 supra)”.

Sembra che sia il Governo convenuto che la maggioranza ritengano che la risposta sia così evidente da non essere necessario ricorrere a considerazioni più dettagliate per giustificare l'ingerenza. Non condivido questo punto di vista. La valutazione della legittimità dell'ingerenza nel caso di specie richiede conoscenze mediche specialistiche.

Sebbene i materiali presentati alla Corte e riassunti nel ragionamento, in particolare nei paragrafi 152-157, comprendano ampie dichiarazioni di esperti, non contengono i dati cruciali sopra elencati. Non è quindi vero che nella presente causa siano state raccolte ampie prove scientifiche (paragrafo 306). In particolare, non è sufficiente stabilire che il rischio specifico posto per la salute di un individuo da una vaccinazione sia “molto raro” (come indicato al paragrafo 301). È necessario calcolare con la massima precisione il rischio per ogni singola malattia separatamente, sulla base di dati completi e affidabili, raccolti non solo nella Repubblica Ceca ma anche in altri Stati.

A mio avviso, dato che le prove presentate dalle parti non sono sufficienti per decidere sulle questioni generali sollevate nella causa e che il processo decisionale a livello nazionale non è stato del tutto soddisfacente (si veda il successivo punto 16), la Corte dovrebbe aver nominato esperti indipendenti al fine di disporre di basi sufficienti per valutare adeguatamente i possibili rischi e adottare una decisione giudiziaria razionale nel caso di specie.

11. È importante in questo contesto delimitare il mandato di tali esperti. A questo scopo, si deve distinguere tra ragione teorica e pratica. La ragione teorica formula proposizioni sui fatti e ne dimostra la verità, ricorrendo, per quanto possibile, alla conoscenza e al metodo scientifici. La ragione pratica identifica e soppesa i valori e gli interessi contrastanti in gioco e prende le decisioni, scegliendo tra i possibili compromessi. Il ruolo degli esperti è limitato a questioni di ragione teorica, cioè a fornire e spiegare elementi di fatto. Prendere decisioni è una questione di ragione pratica e come tale appartiene alle autorità politiche, che agiscono sotto la supervisione dei tribunali nazionali e internazionali. Gli esperti, come qualsiasi cittadino, possono naturalmente formulare giudizi di valore … ma anche se gli esperti padroneggiano il fondamento di fatto meglio di chiunque altro, non hanno competenza specifica o altro titolo per esprimere la ragione pratica. L'esperienza in medicina non fornisce conoscenze specialistiche per decidere conflitti di valori e interessi. In particolare, gli esperti possono calcolare il rischio, ma non possono valutarlo in termini assiologici.

Noto in questo contesto che la maggioranza mostra una riluttanza a fare affidamento su dati scientifici concreti. Preferiscono fare affidamento su giudizi di valore e raccomandazioni politiche formulate da esperti come se questi avessero lo stesso valore delle dichiarazioni degli esperti sui fatti”.

[3] Romeo and Juliet, atto II, scena II

[4] L'articolo 1 descrive la Cina come "uno Stato socialista soggetto alla dittatura democratica del popolo".