Brevi note a margine del «caso» triestino sulla paventata (?) propedeuticità delle vaccinazioni rispetto agli (o ad alcuni) interventi chirurgici

Brevi note a margine del «caso» triestino sulla paventata (?) propedeuticità delle vaccinazioni rispetto agli (o ad alcuni) interventi chirurgici
Lo scorso dicembre ha destato un certo interesse a livello nazionale[1] una lettera inviata dalla cardiochirurgia dell’Azienda sanitaria universitaria giuliano-isontina (A.S.U.G.I.) a un paziente in attesa di sottoporsi a un intervento cardiochirurgico.
Essa è stata pubblicata in rete[2], presumibilmente su iniziativa del destinatario che l’ha fatta avere alla Stampa.
Ne è seguito un certo dibattito pubblico[3], il quale avrebbe portato – stando a quanto si legge – “il primario di Cardiochirurgia dell’ospedale di Cattinara di Trieste, Enzo Mazzaro” ad auto-sospendersi “dopo l’onda di insulti e minacce ricevute”[4].
Gli insulti e sovrattutto le minacce non sono mai legittimi! Tantomeno essi dànno conto di argomenti validi sul piano razionale. Nemmeno può ritenersi che essi, però, rappresentino una valida ragione per una auto-sospensione dal servizio o dall’incarico. Al contrario gli insulti e le minacce impediscono una seria analisi della questione che li avrebbe occasionati, e alimentano polemiche sterili le quali distolgono l’attenzione dal vero problema. Gli insulti e le minacce, dunque, impongono una severa censura e una netta presa di posizione in senso contrario. Anche l’auto-sospensione del primario, tuttavia, fa riflettere non poco, giacché altro è auto-sospendersi per gli insulti ricevuti, questione, discutibile, di mero e mal inteso «orgoglio» o «prestigio»; e altro è auto-sospendersi perché gli insulti fanno emergere, pur in modo deprecabile ed errato nella forma e nella sostanza, una condotta o una prassi non scevra da profili di censurabilità…
Il fatto, comunque, che si sia arrivati a tanto – e la cosa è indubbiamente grave – denota una certa esasperata «sensibilità pubblica» nei confronti di temi, questioni, problematiche et coetera, i quali fino a qualche anno fa sarebbero vieppiù passati sotto silenzio, o, comunque, non avrebbero rappresentato un argomento di cronaca, probabilmente nemmeno un pretesto per l’insulto.
Eredità «pandemica»?
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Da quanto si legge, la lettera in parola informa il paziente destinatario di tre fatti che lo concernono: un primo, da intendersi come premessa, riguarda la di lui registrazione “in lista d’attesa elettiva con diagnosi di cardiopatia valvolare con insufficienza aortica severa”.
Un secondo riguarda la ragione per la quale l’intervento chirurgico in questione non sia stato ancora eseguito: il paziente, cioè, “non è stato poi operato per [il di lui] rifiuto di sottoporsi a vaccinazioni”.
La lettera non offre a questo proposito dettagli sulla tipologia delle vaccinazioni prima prescritte dai medici e poi rifiutate dal paziente; né sui modi o sui tempi della prescrizione e del rifiuto de quibus; né – ancora – sulle motivazioni (mediche) che ostano o che avrebbero ostato all’intervento per il caso di una assente o incompleta profilassi vaccinale. Infine, nemmeno viene fatto cenno a eventuali alternative alla vaccinazione prescritta, o all’assenza di queste… o ai rischi cui il paziente avrebbe potuto andare incontro o potrebbe andare incontro qualora si fosse sottoposto o si sottoponesse all’intervento senza previa immunizzazione (vaccinale). Da quanto emerge profilassi vaccinale e intervento aut simul stabunt, aut simul cadent, dovendo ritenersi impossibile il secondo in assenza della prima. Tanto impossibile – aggiungo – da comportare l’esclusione del paziente dalla relativa lista d’attesa.
E infatti il terzo punto, il quale dà conto della ragione sostanziale della lettera stessa, concerne, come ne recita l’oggetto, la “cancellazione dalla lista d’attesa” del paziente medesimo, ai fini della quale, peraltro, l’Azienda sanitaria chiede che il paziente restituisca, “firmandola in calce”, la medesima lettera inviatagli.
Il tenore letterale della richiesta de qua è anch’esso ambiguo: “Le saremo grati se ci restituisse la presente lettera firmandola in calce per essere cancellato dalla lista di attesa”. Ambiguo, cioè, è il fine della sottoscrizione richiesta, la quale non è chiaro se abbia natura di mera presa d’atto della cancellazione operata ex officio, per la quale sarebbe in verità sufficiente la ricevuta di ritorno di una raccomandata; o piuttosto di richiesta o consenso per la stessa cancellazione, che dunque rimarrebbe nello spettro dispositivo delle opzioni rimesse ancora al paziente.
Nondimeno, la successiva precisazione del mittente, a tenore della quale “in caso di mancata risposta procederemo comunque alla Sua cancellazione”, farebbe propendere per la prima interpretazione, e cioè per la natura lato sensu recettizia della comunicazione inviata al paziente, e dunque per l’unilateralità e autoritatività della decisione assunta dall’Azienda sanitaria di depennarlo dalla lista d’attesa nella quale l’aveva iscritto. Se così è, però, non si giustifica, sotto nessun possibile profilo di analisi, la richiesta di restituzione della lettera controfirmata, bastando eventualmente la prova della sua ricevuta.
Qualora, però, la lettera in parola dovesse essere intesa – come probabilmente potrebbe anche essere intesa, pur al netto di alcune considerazioni che dovrebbero farsi – quale comunicazione di avvio di un procedimento amministrativo ai sensi dell’art. 7 della L. 241/1990, giacché la cancellazione del paziente dalla lista d’attesa si potrebbe sostanziare, in effetti, in un provvedimento amministrativo dell’Azienda sanitaria, allora, in questo caso, la procedura seguita da A.S.U.G.I. si palesa del tutto illegittima, particolarmente sotto il profilo della violazione di legge (ex art. 21 octies L. 241/1990). Essa procedura, infatti, avrebbe dovuto essere sostanzialmente diversa, e nella forma e nella sostanza, e avrebbe dovuto rispettare i diritti soggettivi e gli interessi legittimi del paziente-destinatario del provvedimento in parola, così come codificati dalla medesima L. 241/1990, primo fra tutti quello “di presentare memorie scritte e documenti, che l’amministrazione ha l’obbligo di valutare”, preveduto dall’art. 10 co. I lett. b, e quello di essere informato dell’avvio del procedimento secondo quanto prescritto dal precedente art. 8 co. II.
Non mi dilungo oltre, altrimenti ne verrebbe un saggio sul provvedimento amministrativo…
La lettera chiude con un’indicazione di disponibilità da parte della Struttura sanitaria a “rivalutare la [… di lui] situazione in futuro” qualora egli “lo desiderasse”. Aspetto che pure pone alcuni dubbi interpretativi, quantomeno sulle forme e sulla natura che il desiderio del paziente dovrebbe assumere per occasionare la paventata rivalutazione: in particolare è da capire se l’oggetto del desiderio possa essere il solo intervento chirurgico – cosa che destituirebbe di fondamento la tesi della natura propedeutica della vaccinazione –, o se esso debba previamente estendersi alla profilassi vaccinale già prescritta quale condicio sine qua non per la pratica dell’intervento.
Peraltro sarebbe anche da domandarsi e stabilirsi se la «rivalutazione» di un paziente in sede ambulatoriale sia oggetto di scelta discrezionale da parte dell’Azienda sanitaria, che se ne rende disponibile se e in quanto «lieta» di farlo, o piuttosto se essa sia onere del Servizio sanitario, cui l’Azienda stessa è tenuta a seguito di regolare prescrizione, nel rispetto dei tempi d’attesa e dei criterii che li informano.
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Una interpretazione, comunque, la più «letterale» e «piana» possibile, della lettera in parola, credo consenta, anzi imponga di concludere che il paziente non è stato “operato per [il di lui] rifiuto di sottoporsi a vaccinazioni”, e che per la medesima ragione egli è stato (o sarà) depennato dalla lista d’attesa.
L’Azienda sanitaria, tuttavia, probabilmente sollecitata (preoccupata?) dal clamore assunto dal caso in parola, pubblica sul proprio sito la “risposta di ASUGI all’articolo pubblicato da ʽLa Veritàʼ in data 24.12.2024 dal titolo ʽNon fai i vaccini? Allora niente operazioneʼ”[5], nella quale l’interpretazione della lettera in narrativa si carica di significati alquanto singolari, tanto che si potrebbe essere tentati di interpretare la “risposta” stessa piuttosto come rettifica…. Neppure essa, tuttavia, scevra da problemi ed effettivamente chiarificatrice.
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Invero, nella “risposta” in parola, l’Azienda sanitaria, premesso un riepilogo dei fatti antecedenti rispetto all’invio della lettera de qua e concernenti la «storia clinica» del paziente, le visite ambulatoriali dallo stesso effettuate et coetera, annota che “il paziente esprimeva parere negativo a sottoporsi alle vaccinazioni consigliate e parere negativo anche all’intervento di cardiochirurgia”, e conclude sostenendo che “il rifiuto all’intervento rimane quello preponderante ai fini della uscita dalla lista di attesa”.
Questo ovviamente introduce o introdurrebbe un significativo e direi dirimente elemento di assoluta novità rispetto a quanto riportato dalla precedente lettera. A dire il vero la destituirebbe addirittura di significato: se il paziente, infatti, non intendesse o non avesse inteso sottoporsi all’intervento chirurgico, siffatta decisione assorbirebbe o avrebbe assorbito, per così dire, il problema della profilassi vaccinale, rendendola inutile quantomeno sotto il profilo della propedeuticità rispetto all’intervento.
Non solo: essa decisione risolverebbe anche nel contempo il problema della lista di attesa, giacché la lista in parola ha senso di essere compilata e aggiornata – come dice il nome – rispetto all’attesa, cioè rispetto a qualche cosa che si attende, non rispetto a qualche cosa che si rifiuta. L’attesa per la quale la lista è compilata, infatti, o ha per oggetto l’intervento cui il paziente intende effettivamente sottoporsi, o non ha alcun oggetto, eppertanto non ha alcuna ragione d’essere.
Anzi… se il paziente ha espresso “parere negativo […] all’intervento di cardiochirurgia”, prima ancora di porsi il problema della sua esclusione dalla relativa lista di attesa, non si comprende per quale ragione egli vi sia stato inserito!
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Analogo discorso vale per quanto attiene alla richiesta dell’Azienda sanitaria di restituire la lettera inviata al paziente, previa sottoscrizione da parte sua, “per essere cancellato dalla lista di attesa”.
Anche in questo caso la risposta di A.S.U.G.I. «chiarisce» che “si richiedeva la conferma ufficiale del rifiuto alla procedura chirurgica”, non dunque una presa d’atto dell’esclusione dalle liste di attesa autoritativamente disposta dall’Azienda sanitaria, come avrebbe consentito, anzi imposto, di ritenere la formula usata da A.S.U.G.I. nella lettera in parola: “in caso di mancata risposta procederemo comunque alla Sua cancellazione”, ma appunto una conferma di una precedente decisione del paziente di non sottoporsi all’intervento chirurgico.
È singolare, forse impropria, la dizione usata da A.S.U.G.I. che per chiedere al paziente conferma della decisione di non sottoporsi a intervento chirurgico, gli chiede di restituire firmata la lettera con la quale lo si informa della sua esclusione dalla lista d’attesa, aggiungendo che in difetto di risposta l’esclusione in parola avverrà comunque.
È da auspicarsi – mi si conceda una battuta – che dell’arte medica A.S.U.G.I. usi in modo più preciso, corretto ed efficace di quanto essa usi della logica, della grammatica, della sintassi e del lessico…
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Comunque, “preponderante” – ritorno al punto di prima, correndo anche il rischio di una certa pedanteria – non significa unico, né significa essenziale!
Altro, infatti, è dire che con il rifiuto del paziente di sottoporsi all’intervento programmato, egli stesso si esclude e domanda la propria esclusione dalla lista d’attesa (anzi: il suo non-inserimento, sarebbe più corretto dirsi), cosa peraltro ovvia ed evidente, insita nella natura stessa – direi – della lista compilata secondo un ordine di urgenza sostanziale e di priorità temporale per coloro i quali aspirano a sottoporsi a un intervento; e altro – tutt’altro! – è dire che tale rifiuto rappresenta uno o lo elemento preponderante per l’adozione di un provvedimento amministrativo discrezionale da parte dell’Azienza sanitaria avente per oggetto l’esclusione del paziente stesso dalla lista medesima. Come a dire, in questo secondo caso, che il paziente, pur avendo egli opposto un rifiuto all’intervento programmato, avrebbe potuto o potrebbe comunque rimanere nella lista d’attesa per l’intervento stesso, qualora così avesse disposto o disponesse, sulla base di altri elementi, non preponderanti, l’Azienda sanitaria. Cosa che a mio avviso pone soverchi profili di problematicità anche in ordine ai criterii di scorrimento della lista, alle posizioni degli altri pazienti, al livello di graduatoria da assegnarsi al paziente che abbia rifiutato l’intervento e non sia stato depennato dalla lista et coetera. La questione poi si complica ulteriormente sotto l’angolo di prospettiva del diritto amministrativo, giacché il procedimento cui consegue il relativo provvedimento, necessità il rispetto di una procedura formale – per esempio quella già cennata sub L. 241/1990 – la quale è posta a guarentigia di interessi legittimi e diritti soggettivi, sia proprii dell’interessato, sia proprii dei cc.dd. controinteressati.
A ogni modo, se il rifiuto dell’intervento è stato “preponderante ai fini della uscita dalla lista di attesa” del paziente in parola, non è certo stato chiarito quali altri vi sarebbero, di non preponderanti, e in quale modo essi siano stati considerati da A.S.U.G.I. per l’adozione del provvedimento di esclusione, poi inspiegabilmente «trasformatosi» (nella risposta) in richiesta di conferma della decisione di non subire l’intervento.
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Da ultimo, A.S.U.G.I., dopo avere ribadito che “l’uscita temporanea dalla lista di attesa è legata principalmente al rifiuto del paziente a sottoporsi ʽtout courtʼ alla procedura chirurgica”, così introducendo un ulteriore elemento – quello della temporaneità – relativo all’uscita dalla lista d’attesa, conclude affermando che “in caso di rifiuto a sottoporsi alla profilassi vaccinale fortemente raccomandata dagli specialisti, al paziente non è mai stata negata la possibilità di sottoporsi ad intervento previa firma del modulo di consenso per l’assunzione di responsabilità in caso di complicanze causate dalla mancata profilassi”.
La forma e lo stile denotano una certa, evidente e preoccupante, difficoltà nell’uso della lingua italiana; forse anche nell’uso della logica.
Un tempo si insegnava agli studenti che rem tene, verba sequentur, ammonendoli che spesso la difficoltà nell’esposizione dipende da un insicuro e malfermo dominio dei concetti.
La cosa è vera!
In questo caso potrebbe ipotizzarsi che le difficoltà espressive – palesi – che emergono dalla risposta di A.S.U.G.I. dipendano da un maldestro tentativo di accomodare ciò che non è riparabile, vale a dire di riformare per via interpretativa un testo, quello della lettera in narrativa, facendogli dire cose differenti di quelle che effettivamente esso dice.
Contra factum, però, argumentum non valet…
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Innanzitutto la formula “in caso di rifiuto a sottoporsi alla profilassi vaccinale […] al paziente non è mai stata negata la possibilità di sottoporsi ad intervento” non è corretta e confonde i piani logici della stessa consecutio temporum: l’espressione “in caso di rifiuto” dà conto di un’eventualità futura – l’eventuale rifiuto, appunto –, il passato prossimo del passo “non è mai stata negata la possibilità”, invece, dà conto di un evento già avveratosi e conclusisi nel passato, vale a dire della possibilità non negata.
La questione non è solo linguistica: essa, infatti, impone di capire se il rifiuto della profilassi vaccinale sia effettivamente stato opposto dal paziente, o se esso, invece, rappresenti un’eventualità, una possibilità non ancora avveratasi o non ancora formalmente accertata. Lo stesso vale per la possibilità non negata: essa non è stata negata nel passato – cosa che contraddirebbe la formula usata nella lettera: “non è stato poi operato per il rifiuto di sottoporsi a vaccinazioni” – , o non sarà negata nel futuro? Ed eventualmente, per quale ragione?
Il fatto, poi, che “non è mai stata negata la possibilità” dell’intervento a causa del rifiuto della vaccinazione, ma solo condizionato alla “previa firma del modulo di consenso”, introduce un ulteriore tema. Innanzitutto non è chiara la connessione, paventata dalla lettera che ha occasionato il fatto, fra il rifiuto della vaccinazione e l’esclusione dalla lista d’attesa, atteso che il rifiuto solo avrebbe determinato una particolare formula del c.d. consenso informato, onde sarebbe stato sufficiente sottoporne il testo (del modulo per il consenso informato) alla lettura ed eventualmente alla firma del paziente; in secondo luogo non è chiaro se la profilassi vaccinale – come anche avrebbe potuto intendersi – rappresenti una prescrizione del medico, non ottemperando alla quale egli, in scienza e coscienza, non potrebbe e non dovrebbe svolgere l’intervento chirurgico, o se essa, viceversa, rappresenti – come parrebbe invece emergere dalla risposta di A.S.U.G.I. – una mera indicazione cautelativamente, forse tuzioristicamente, suggerita dal medico, il quale, sempre in scienza e coscienza, non può e non deve considerarne la pratica alla stregua di condicio sine qua non per potere operare.
Sono cose molto diverse: altro è dire che l’arte medica impone (!) al medico, per il bene del paziente, di astenersi dal praticare un intervento chirurgico in assenza di date condizioni – in questo caso profilattico-vaccinali – giusta il principio primum: non nocere; e altro è dire che la prudenza, o una certa forma di prudenza, suggerisce, in scienza e coscienza, al medico di consigliare una data profilassi, prima di un precipuo intervento operatorio, rispetto alla pratica del quale egli, comunque, potrebbe e probabilmente dovrebbe essere disponibile.
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Si tratta – con riferimento a quelli qui succintamente considerati – di problemi e questioni non trascurabili, carichi di significati sia etici, sia giuridici, sia normativo-legali: non si tratta, infatti, di adempimenti burocratici fini a sé stessi, frettolosamente disbrigabili con moduli e formularii pre-confezionati. Si stratta, all’opposto, di questioni delicate e complesse (che non possono delegarsi a qualche applicato di segreteria), le quali investono diritti soggettivi e interessi legittimi, oltre alla dignità della persona; si tratta, in fine, di questioni le quali dovrebbero essere affrontate con rigore e con competenza (innanzitutto sul piano etico e giuridico). Con molto rigore e con molta competenza.
Includere o escludere un paziente dalla lista d’attesa; prescrivergli o suggerirgli una profilassi vaccinale; far dipendere l’intervento dalla vaccinazione o da una certa forma di consenso informato et similia non sono alternative equipollenti o fungibili. Non lo sono mai! Non lo sono nelle lettere e non lo sono nelle risposte. Si tratta viceversa di problemi etico-giuridico-normativi enormi e delicatissimi, anche perché, dietro, o, se si preferisce, al centro, vi è la persona, con le sue fragilità, spesso acuite dalla malattia; vi è la persona – aggiungerei – portatrice di un’intrinseca, metafisica dignità soggettiva. E la persona, come annota molto bene Antonio Rosmini, è “diritto sussistente”[6], avendo, “nella sua natura stessa, tutti i costitutivi del diritto”[7].
[1] Cfr. Incredibile decisione in cardiochirurgia a Trieste: Schillaci intervenga. «Non è vaccinato»: non lo operano. Malato di cuore rischia di morire, in La verità, 24 dicembre 2024, p. 1.
[2] Si veda, per esempio: https://www.open.online/2024/12/26/trieste-paziente-non-viene-operato-perche-non-vaccinato-risposta-azienda-sanitaria/
[3] Cfr., per esempio, https://www.rainews.it/tgr/fvg/video/2024/12/non-fai-i-vaccini-allora-niente-operazione-la-risposta-di-asugi-allarticolo-de-la-verita-01e09a49-4387-4e34-94f3-c72f31dc7d3d.html
[4] “Cancellato dalle liste d’attesa perché non vaccinato”. Primario si autosospende dopo le accuse (false) di un paziente, in Il Secolo XIX, 28 dicembre 2024, pubblicato in https://www.ilsecoloxix.it/italia/2024/12/28/news/enzo_mazzarro_primario_vaccini_trieste-14910046/
[5] Cfr. https://asugi.sanita.fvg.it/it/news/2024_12_24_la_verita.html?fbclid=IwY2xjawHZ-MZleHRuA2FlbQIxMAABHaaUZrJTAdff9MFrG9BIQmaj5HllljmVgnsTSYbopfhUKhxM3cYQnZcpsw_aem_HaoPpcwosgSxRWAEmbAs4g
[6] A. Rosmini Serbati, Filosofia del diritto, Padova, C.E.D.A.M., 1967, I, p. 192.
[7] Ivi, p. 193.