L’intervento ad adiuvandum del terzo nel giudizio innanzi al Consiglio di Stato nel caso di mancata impugnazione dell’atto amministrativo innanzi al TAR e nel caso di avvenuta impugnazione
L’intervento ad adiuvandum del terzo nel giudizio innanzi al Consiglio di Stato nel caso di mancata impugnazione dell’atto amministrativo innanzi al TAR e nel caso di avvenuta impugnazione: alcuni aspetti critici della sentenza Adunanza Plenaria n. 15 del 29.10.2024
Il principio in base al quale il terzo, laddove non abbia impugnato l’atto amministrativo innanzi al TAR, non può intervenire nel giudizio che altri, titolari del suo stesso interesse processuale, abbiano promosso innanzi al Consiglio di Stato (CDS), appare in contrasto con gli artt. 310 c.p.c., 268 comma 2 c.p.c. e 108 comma 1 del D.lgs. 104/2010 (Codice del Processo Amministrativo).
The principle according to which the third party, where he has not challenged the administrative act before the TAR, cannot intervene in the proceedings that others, holders of the same procedural interest as him, have brought before the Council of State (CDS), appears in conflict with the articles. 310 c.p.c., 268 paragraph 2 c.p.c. and 108 paragraph 1 of the Legislative Decree. 104/2010 (Administrative Process Code).
Il principio in base al quale il terzo, anche quando abbia impugnato l’atto amministrativo innanzi al TAR, non può intervenire nel giudizio che altri, titolari del suo stesso interesse processuale, abbiano promosso innanzi al Consiglio di Stato (CDS), appare in contrasto con gli artt. 105 c.p.c. e 99 ultimo comma c.p.c., nonché con l’istituto dell’impugnazione in via incidentale e con il principio di economicità del procedimento giurisdizionale.
The principle according to which the third party, even when he has challenged the administrative act before the TAR, cannot intervene in the proceedings that others, holders of the same procedural interest as him, have promoted before the Council of State (CDS), appears in conflict with the articles. 105 c.p.c. and 99 last paragraph of the Code of Civil Procedure, as well as with the institution of cross-appeal and with the principle of cost-effectiveness of the judicial proceedings.
L’Adunanza Plenaria CDS, con la sentenza non definitiva n. 15 del 29.10.2024, pronunciandosi in materia di intervento (“ad adiuvandum”) del terzo nel processo amministrativo, affronta due questioni.
Si premette che l’intervento in via adesiva (“ad adiuvandum”) nel giudizio instaurato da altri è disciplinato dall’art. 105 c.p.c., che così dispone: “ciascuno può intervenire in un processo tra altre persone per far valere, in confronto di tutte le parti o di alcune di esse, un diritto relativo all'oggetto o dipendente dal titolo dedotto nel processo medesimo. Può altresì intervenire per sostenere le ragioni di alcuna delle parti, quando vi ha un proprio interesse.”
• La prima questione è la seguente: può il terzo, il quale non abbia impugnato il provvedimento amministrativo dinanzi al TAR e che pertanto abbia prestato acquiescenza a quest’ultimo, intervenire nel giudizio promosso da altri dinanzi al CDS al fine di sostenere, “ad adiuvandum”, l’illegittimità del medesimo?
L’Adunanza Plenaria nega al terzo il diritto di intervento e motiva la decisione come segue:
1) “la possibilità dell’intervento adesivo-dipendente del cointeressato contrasta con la chiara formula legislativa, che pone espressamente quale condizione dell’intervento l’assenza del prodursi di una decadenza”, e ciò in quanto l’art. 28 comma 2 CPA così dispone: “chiunque non sia parte del giudizio e non sia decaduto dall'esercizio delle relative azioni, ma vi abbia interesse, può intervenire accettando lo stato e il grado in cui il giudizio si trova.”
“Sul piano dell’interpretazione sistematica, l’incompatibilità tra l’intervento adesivo-dipendente e la titolarità di un interesse autonomo all’impugnazione discende dalla struttura stessa del giudizio impugnatorio.
Il titolare di una posizione di interesse legittimo soggiace alle condizioni e ai termini di tutela posti dalla legge tra cui, in primo luogo, l’onere di attivarsi entro il termine di decadenza previsto dalla legge. Lasciato decorrere inutilmente tale termine, il soggetto non può più azionare, in nessuna forma giurisdizionale, il proprio interesse giuridicamente qualificato”.
Il principio affermato dal CDS è quindi quello in base al quale il terzo può intervenire nel giudizio solo se non sia decaduto dal diritto di agire del medesimo: egli, se non ha agito in primo grado e pertanto se è decaduto dalla relativa azione, non potrà intervenire nel giudizio di secondo grado promosso da altri.
2) “Al giudicato amministrativo si applica la regola dell’«esclusiva operatività inter partes del giudicato» stabilita dall’art. 2909 c.c.
Di regola, quindi, i terzi estranei al giudizio non sono pregiudicati dalle statuizioni della sentenza, così come neppure possono avvantaggiarsene.
L’orientamento della giurisprudenza amministrativa ‒ sulla non coincidenza tra la delimitazione soggettiva degli effetti delle sentenze di annullamento ed i limiti soggettivi del giudicato amministrativo ‒ è coerente con la teorica degli effetti del giudicato di annullamento della legge: quando la Corte costituzionale accoglie la questione sottopostale in via incidentale, la disposizione dichiarata illegittima «cessa di avere efficacia dal giorno successivo alla pubblicazione della decisione» (ai sensi dell’art. 136 Cost.), travolgendo tutti i rapporti in virtù di essa sorti medio tempore, ad eccezione però dei «rapporti esauriti» (in cui rientrano, come è noto, anche i rapporti che originano da statuizione amministrative rimaste inoppugnate)”.
3) “L’orientamento della giurisprudenza amministrativa ‒ sulla non coincidenza tra la delimitazione soggettiva degli effetti delle sentenze di annullamento ed i limiti soggettivi del giudicato amministrativo ‒ è coerente con la teorica degli effetti del giudicato di annullamento della legge: quando la Corte costituzionale accoglie la questione sottopostale in via incidentale, la disposizione dichiarata illegittima «cessa di avere efficacia dal giorno successivo alla pubblicazione della decisione» (ai sensi dell’art. 136 Cost.), travolgendo tutti i rapporti in virtù di essa sorti medio tempore, ad eccezione però dei «rapporti esauriti» (in cui rientrano, come è noto, anche i rapporti che originano da statuizione amministrative rimaste inoppugnate)”.
In merito al punto 1), si osserva quanto segue.
Ai sensi dell’art. 310 c.p.c., l’estinzione del processo, che si verifica a seguito della rinuncia del ricorrente agli atti del medesimo, “non estingue l’azione”. L’abbandono del processo da parte di chi lo aveva promosso non comporta, quale “sanzione” a carico del medesimo, il divieto di riesercitare l’azione giudiziale volta ad ottenere la stessa sentenza che si era chiesta al Giudice del processo abbandonato. Il diritto di agire giudizialmente è talmente rilevante da prevalere anche su una pregressa inerzia processuale di colui che adesso agisce. L’intervento del terzo altro non è che una modalità di esercizio della suddetta azione,
in quanto “agire” significa non soltanto proporre un ricorso ma anche aderire ad un’iniziativa giudiziale intrapresa da altri: se così non fosse, l’istituto dell’intervento non troverebbe diritto di cittadinanza all’interno dell’ordinamento.Pertanto la considerazione è la seguente: se può continuare ad agire giudizialmente anche chi abbia rinunciato agli atti del giudizio e quindi abbia inutilmente attivato il procedimento giurisdizionale, la stessa facoltà dovrà, a maggior ragione, essere riconosciuta – a mezzo di intervento nel giudizio instaurato da altri (vedi ricorso innanzi al Giudice di secondo grado) – a chi non abbia per nulla adìto il Giudice di primo grado e quindi quanto meno non abbia attivato inutilmente il suddetto procedimento, evitando perciò di ledere, a differenza della fattispecie della rinuncia di cui all’art. 310 c.p.c., il principio dell’economicità dell’attività giurisdizionale.
In merito al punto 2), si osserva quanto segue.
L’art. 2909 c.c. prevede effettivamente che il giudicato abbia effetti solo tra coloro che sono state “parti” del giudizio.
Va, però, esaminato l’art. 268 comma 2 c.p.c., che, per quanto attiene al terzo interveniente, stabilisce, a carico di quest’ultimo, il divieto di “compiere atti che al momento dell'intervento non sono più consentiti ad alcuna altra parte”. Ciò che, al momento dell’intervento, è precluso alle “parti”, è vietato anche al terzo.
Viceversa, tutte le facoltà che, al momento dell’intervento, sono consentite alle parti, sono concesse anche al terzo.
Da ciò si desume che vi è una totale equiparazione tra “le parti” ed il “terzo interveniente”, e che quindi anche quest’ultimo acquista, a tutti gli effetti, la qualità di “parte”.
In merito al punto 3), si osserva quanto segue.
L’Adunanza Plenaria equipara al giudicato di annullamento del provvedimento amministrativo, dal punto di vista degli effetti, il giudicato di annullamento della legge derivante dalla sentenza con la quale la Corte Costituzionale abbia dichiarato quest’ultima costituzionalmente illegittima: come questa sentenza, per orientamento giurisprudenziale consolidato, non può spingersi fino a travolgere gli effetti che la legge (riconosciuta illegittima) abbia prodotto nel passato, e ciò a garanzia della stabilità e della certezza della situazioni giuridiche che dall’applicazione della suddetta legge hanno ottenuto dei benefici, allo stesso modo il giudicato di annullamento del provvedimento amministrativo – quale derivante dalla sentenza del CDS – non può spingersi fino al punto di travolgere gli effetti che quest’ultimo aveva prodotto a beneficio dei soggetti richiedenti il medesimo.
Quindi, le esigenze che l’Adunanza Plenaria intende tutelare sono quelle della stabilità e della certezza delle situazioni giuridiche pregresse.
Tuttavia, va esaminato l’art. 108 comma 1 CPA, a norma del quale “un terzo può fare opposizione contro una sentenza del tribunale amministrativo regionale o del Consiglio di Stato pronunciata tra altri soggetti, ancorché passata in giudicato, quando pregiudica i suoi diritti o interessi legittimi”.
Quindi, se da un lato il giudicato (che in tal caso sarebbe di annullamento del provvedimento amministrativo) ha effetti solo tra le “parti” del giudizio, dall’altro il terzo, vedendosi accolto il ricorso in opposizione, può ottenere l’annullamento del giudicato stesso. Ma allora il terzo, se può ottenere tale annullamento, dovrà considerarsi legittimato anche a beneficiare degli effetti del giudicato stesso: se si ammette il principio in base al quale il terzo, a seguito dell’accoglimento dell’opposizione, può vanificare gli effetti prodotti da una sentenza definitiva e quindi può (legittimamente) compromettere la stabilità e la certezza della situazioni giuridiche accertate con quest’ultima, si dovrà ammettere anche il principio in base al quale il terzo, intervenendo nel ricorso proposto innanzi al CDS da altri che abbiano il suo stesso interesse processuale (ossia ottenere l’annullamento del provvedimento amministrativo), può usufruire degli effetti della sentenza di accoglimento del ricorso stesso, anche se tale estensione degli effetti soggettivi del giudicato 8art. 2909 c.c.) va a ledere la stabilità e la certezza delle situazioni giuridiche azionate da chi – in tal caso la PA ed anche i soggetti beneficiari del provvedimento- si erano difesi in secondo grado sostenendo la legittimità di quest’ultimo. Non si comprende il motivo per il quale la possibilità, per il terzo, di compromettere la stabilità e certezza sopra citate, debba valere solo quando questi agisce in opposizione al giudicato, e non anche quando egli, mediante l’intervento ex art. 105 c.p.c., intenda beneficiare del giudicato stesso.
• La seconda questione è la seguente: può il terzo, il quale abbia già impugnato il provvedimento amministrativo innanzi al TAR, intervenire in via adesiva in un giudizio che altri abbiano promosso dinanzi al CDS al fine di far accertare l’illegittimità del medesimo provvedimento?
L’Adunanza Plenaria nega al terzo il diritto di intervento e motiva la decisione come segue:
A) “È significativo osservare che, finanche nel giudizio costituzionale incidentale – avente carattere di giurisdizione oggettiva –, l’intervento di soggetti che non siano parti formali del giudizio a quo è ammesso soltanto qualora si tratti di terzi titolari di un interesse qualificato e immediatamente inerente al rapporto sostanziale dedotto in quel giudizio, e non in favore dei «portatori di un interesse semplicemente regolato, al pari di ogni altro, dalle norme oggetto di censura» (Corte cost., ordinanza n. 202 del 2020, allegata alla sentenza n. 234 del 2020; ordinanza n. 271 del 2020, allegata alla sentenza n. 278 del 2020). Del pari, nei giudizi di legittimità costituzionale in via principale non è ammessa la presenza di soggetti diversi dalla parte ricorrente e dal titolare della potestà legislativa il cui esercizio è oggetto di contestazione”.
B) “Le considerazioni sopra esposte non mutano per il solo fatto che il giudice innanzi al quale pende il giudizio in cui è parte il soggetto intervenuto innanzi all’Adunanza Plenaria abbia ritenuto di disporre la sospensione ‘impropria’ del medesimo, in attesa della enunciazione del principio di diritto, cui eventualmente conformare la propria successiva pronuncia.
In primo luogo, il T.a.r. non è giuridicamente vincolato dal principio di diritto enunciato ai sensi dell’art. 99 del c.p.a.
In secondo luogo, il soccombente può proporre appello, deducendo gli argomenti che possano indurre la Sezione del Consiglio di Stato a rimeditare il principio di diritto ritenuto non corretto e a sottoporre nuovamente la questione all’esame dell’Adunanza Plenaria”.
In merito al punto A), si osserva quanto segue.
Secondo l’Adunanza Plenaria, può intervenire nel processo solo il terzo che sia titolare di un “interesse qualificato”, inteso come “immediatamente” leso dal provvedimento amministrativo dedotto nel processo stesso, e non anche chi sia portatore di un interesse che “solo indirettamente” è inciso dal provvedimento.
L’art. 105 c.p.c. stabilisce che “ciascuno può intervenire in un processo tra altre persone per far valere, in confronto di tutte le parti o di alcune di esse, un diritto relativo all'oggetto o dipendente dal titolo dedotto nel processo medesimo. Può altresì intervenire per sostenere le ragioni di alcuna delle parti, quando vi ha un proprio interesse.” Dall’ultima parte della norma risulta che, per legittimare un intervento del terzo, è sufficiente che questi abbia un “interesse” in tal senso, anche quando quest’ultimo mira a tutelare un diritto che non è “dipendente” da quello azionato da chi ha proposto il ricorso (innanzi al CDS).
Inoltre, riservare la facoltà di intervento solo ai terzi titolari di un interesse “immediatamente” leso dall’atto che è stato impugnato, rappresenta un controsenso rispetto al principio dell’interesse ad agire di cui all’art. 100 c.p.c.: proprio in virtù di tale principio, un soggetto il quale sia stato leso in maniera diretta, immediata, da un atto amministrativo, dovrebbe, proprio per questo, avere l’onere di proporre un’azione giudiziale “diretta”, e non limitarsi ad esercitare il potere di “intervento” in un giudizio proposto da altri. Al contrario, un soggetto il quale dal suddetto atto sia stato leso solo in modo “indiretto”, ossia come naturale conseguenza degli effetti dello stesso, dovrebbe ritenersi pienamente legittimato ad intervenire nel giudizio promosso da chi era stato leso direttamente, ed a beneficiare quindi della sentenza di accoglimento del ricorso.
In merito al punto B), si osserva quanto segue.
Secondo l’Adunanza Plenaria, il fatto che il TAR, in precedenza adìto dal terzo, abbia disposto la sospensione del processo nell’attesa che il CDS, nel cui giudizio il terzo stesso sia intervenuto, affermasse il principio di diritto sulla medesima questione, ex art. 99 c.p.c., non è sufficiente a legittimare tale intervento, in quanto il TAR non è vincolato al suddetto principio: esso potrebbe anche decidere in modo difforme. Quindi, anche se il CDS, nell’adottare il principio di diritto, dovesse accogliere l’istanza del terzo interveniente, poi il TAR potrebbe comunque decidere diversamente.
Effettivamente, l’art. 99 c.p.c. non prevede espressamente una vincolatività, nei confronti del TAR, del principio di diritto sancito dal CDS.
Tuttavia va esaminato l’ultimo comma dello stesso art. 99 c.p.c., a norma del quale “se ritiene che la questione è di particolare importanza, l'adunanza plenaria può comunque enunciare il principio di diritto nell'interesse della legge anche quando dichiara il ricorso irricevibile, inammissibile o improcedibile, ovvero l'estinzione del giudizio. In tali casi, la pronuncia dell'adunanza plenaria non ha effetto sul provvedimento impugnato”. Quando il giudizio si sia estinto a seguito di rinuncia agli atti (art. 306 c.p.c.), il principio di diritto elaborato dalla Plenaria non ha effetti sull’atto impugnato, nel senso che non ne sancisce la illegittimità, con la conseguenza che quest’ultima potrà invece essere autonomamente dichiarata dal Giudice di primo grado (TAR). Ma, proprio per questo, nel diverso caso in cui il giudizio sia proseguito, anche a seguito dell’intervento del terzo, a sua volta in precedenza ricorrente in primo grado, il suddetto principio dovrebbe poter costituire un vincolo nei riguardi del Giudice di primo grado, in quanto, altrimenti, si ricadrebbe nell’ipotesi opposta (quella, appunto, disciplinata dall’art. 99 ultimo comma c.p.c.), e quindi il risultato sarebbe che due fattispecie, oggettivamente opposte, riceverebbero lo stesso trattamento, con violazione del principio di cui all’art. 3 della Costituzione (e le norme che regolano i giudizi dinanzi alla Corte Costituzionale sono più volte richiamate dall’Adunanza Plenaria nella decisione in commento).
Ciò posto, appare poi doveroso considerare quanto segue.
Il CDS afferma che l’intervento, nel ricorso proposto da altri innanzi al Giudice di secondo grado, di colui il quale abbia già impugnato il medesimo atto dinanzi al Giudice di primo grado, ove avvenga “ad adiuvandum” e cioè a sostegno del diritto oggetto del ricorso stesso, non è consentito.
Il diniego di intervento può essere motivato dal fatto che l’interesse ad agire giudizialmente (art. 100 c.p.c.) deve essere manifestato in maniera “coerente”, sotto il profilo della “strategia” di difesa: se ho deciso di impugnare il provvedimento amministrativo innanzi al Giudice di primo grado, non posso poi, in maniera “utilitaristica” e cioè a seconda della convenienza del momento, “sfruttare” il ricorso che altri abbiano proposto, avverso il medesimo provvedimento, innanzi al Giudice di secondo grado, confidando nel fatto che la decisione (di accoglimento) di quest’ultimo arrivi prima della sentenza del Giudice di primo grado. Occorre prima attendere quest’ultima, e, solo nel caso in cui questa sia sfavorevole, si potrà adire il Giudice di secondo grado.
Tale principio di “coerenza” dell’azione giudiziale si basa su una presunta incompatibilità tra l’intervento “ad adiuvandum” e “l’azione giudiziale diretta”: si può anche intervenire nel giudizio di secondo grado, ma occorre prima abbandonare il ricorso proposto in primo grado. Non si può rimanere in quest’ultimo, e, contestualmente, pretendere di tutelare la medesima situazione giuridica dinanzi al Giudice di secondo grado, “sfruttando” il ricorso che altri abbiano proposto in tale sede. Nel caso di specie, il ricorso innanzi al TAR era ancora “pendente”, e quindi il ricorrente non vi ha mai rinunciato.
Si tratta di vedere se tale incompatibilità sia effettivamente sussistente o meno.
L’art. 113 Cost. stabilisce che “contro gli atti della pubblica amministrazione è sempre ammessa la tutela giurisdizionale dei diritti e degli interessi legittimi dinanzi agli organi di giurisdizione ordinaria o amministrativa. Tale tutela giurisdizionale non può essere esclusa o limitata a particolari mezzi di impugnazione”. Considerato che l’intervento nel processo, malgrado si concreti nell’aderire ad un’iniziativa giudiziale promossa da altri e non si sostanzi quindi in una “impugnazione diretta”, rappresenta comunque uno strumento mediante cui si chiede la tutela di un proprio diritto, l’avverbio “sempre” indurrebbe a ritenere che colui il quale abbia impugnato un atto della PA dinanzi al TAR possa anche, contemporaneamente, “intervenire” nel ricorso che altri abbiano proposto dinanzi al CDS, e quindi in secondo grado, avverso il medesimo atto.
In merito alla presunta “coerenza” dell’interesse ad agire, va rilevato che nell’ordinamento processuale esiste lo strumento dell’impugnazione in via incidentale, con la quale il ricorrente, che in primo grado sia stato vittorioso su alcune domande da egli proposte e si sia visto invece respingere altri motivi del ricorso, può, per l’appunto, impugnare la sentenza relativamente a questi ultimi non in modo “diretto” bensì a seguito del ricorso in appello che sia stato proposto dalla parte soccombente in primo grado. L’interesse ad agire di cui all’art. 100 c.p.c. può essere legittimamente dimostrato, e fatto valere, anche “agganciandosi” ad un’impugnativa proposta da un altro soggetto, il quale, nel caso dell’impugnazione incidentale, è portatore di un interesse opposto a quello dell’impugnante, mentre, nel caso di cui alla sentenza in commento, è portatore di un interesse identico a quello dell’impugnante stesso (c.d. intervento “ad adiuvandum”). Pertanto, il diritto di difesa giudiziale, se può essere esercitato in modo indiretto “sfruttando” un ricorso proposto da chi ha un interesse opposto (vedi impugnazione in via incidentale), potrà, a maggior ragione, essere esercitato in modo indiretto “sfruttando”, mediante l’intervento “ad adiuvandum”, un ricorso – quello innanzi al Giudice di secondo grado – proposto da chi è portatore del medesimo interesse processuale.
Inoltre, l’art. 117 del D.lgs. 104/2010 (Codice del Processo Amministrativo, di seguito “CPA”), nel disciplinare il ricorso avverso il silenzio della PA, al comma 5 prevede quanto segue: “se nel corso del giudizio sopravviene il provvedimento espresso, o un atto connesso con l'oggetto della controversia, questo può essere impugnato anche con motivi aggiunti, nei termini e con il rito previsto per il nuovo provvedimento, e l'intero giudizio prosegue con tale rito.“ Inizialmente il ricorso era stato proposto avverso il silenzio e quindi l’interesse ad agire era stato esercitato per far accertare l’inerzia della PA e per ottenere la conseguente condanna della stessa al risarcimento dell’indennizzo da mero ritardo, previsto dall’art. 2 bis della Legge 241/90. Tuttavia, in corso di giudizio, la PA ha adottato un provvedimento di diniego dell’istanza del provato, e pertanto adesso l’oggetto del ricorso è diventato tale provvedimento, ragion per cui l’interesse ad agire cambia prospettiva e si concentra sulla illegittimità dell’atto adottato (l’intero giudizio, infatti, compreso quindi il ricorso contro il silenzio, prosegue con il rito previsto per l’impugnazione dei provvedimenti amministrativi). Cosa si evince da tale norma? Che il ricorrente, il quale inizialmente aveva proposto il ricorso per determinati motivi, ha il diritto, nel caso in cui emergano fatti nuovi i quali modifichino l’oggetto del suo interesse all’azione giudiziale, di indirizzare l’impugnazione su tali fatti, abbandonando quindi quello che era l’obiettivo iniziale, ciò che determina la caducazione del ricorso in precedenza proposto (vedi decadenza del rito). Nel caso di specie, il “fatto nuovo” è rappresentato dal ricorso proposto davanti al CDS da altri soggetti che sono titolari del suo stesso interesse processuale, ossia l’accertamento della illegittimità del provvedimento.
La legittimità di un intervento, nel giudizio promosso da altri innanzi al CDS, da parte del terzo, a sua volta ricorrente avverso il medesimo provvedimento innanzi al TAR, dovrebbe essere affermata anche considerando il principio di economicità del procedimento giurisdizionale. Un’eventuale decisione di accoglimento da parte del CDS non potrebbe che comportare l’automatica caducazione del ricorso inoltrato al Giudice di primo grado per sopravvenuta carenza di interesse del terzo stesso: questi, una volta ottenuta – anche se tramite ricorso proposto da altri – la pronuncia di illegittimità del provvedimento da lui impugnato davanti al TAR, non avrebbe alcun interesse a far accertare tale illegittimità anche dal Giudice di primo grado, in quanto altrimenti si dovrebbe ritenere che la sentenza emessa dal Giudice di secondo grado abbia bisogno di una sorta di “conferma” anche da parte del Giudice di primo grado, ma ciò significherebbe attribuire più poteri al secondo che non al primo, praticamente un’assurdità giuridica che vorrebbe dire rinnegare il principio del doppio grado di giurisdizione.
In tal caso, quindi, dovrebbe potersi applicare l’art. 35 comma 1 lett. C) del CPA, a norma del quale il Giudice (di primo grado) dichiara di ufficio improcedibile il ricorso “quando nel corso del giudizio sopravviene il difetto di interesse delle parti alla decisione”.
Se, invece, il CDS dovesse respingere il ricorso proposto da altri, titolari del medesimo interesse fatto valere dal terzo interveniente (ossia quello all’annullamento del provvedimento), allora automaticamente il giudizio da questi precedentemente promosso innanzi al TAR non avrebbe, anche in tal caso, più ragione di proseguire, in quanto il TAR non potrà mai decidere in contrasto con quanto statuito dal CDS, ossia non potrà mai stabilire che il provvedimento amministrativo è illegittimo.
Di conseguenza, il diniego di intervento del terzo nel giudizio proposto innanzi al CDS, va sostanzialmente a ledere il principio di economicità del procedimento giurisdizionale.
Per tutte le ragioni sopra esposte, la decisione assunta dall’Adunanza Plenaria, la quale nega il diritto di intervento nel giudizio innanzi al CDS sia al terzo il quale non abbia impugnato il provvedimento amministrativo davanti al TAR (perciò stesso prestando acquiescenza a quest’ultimo) sia al terzo il quale abbia in precedenza proposto tale impugnativa, appare essere in contrasto con i principi generali dell’ordinamento.