Parere in sanatoria della soprintendenza: Il T.A.R. nega il silenzio assenso

Il Consiglio di Stato è di diverso avviso. Nota a margine della sentenza del T.A.R. Campania Napoli, Sez. VII, dell'11 giugno 2025, n. 4406

silenzio amministrativo
silenzio amministrativo

Parere in sanatoria della soprintendenza: Il T.A.R. nega il silenzio assenso

Il Consiglio di Stato è di diverso avviso. Nota a margine della sentenza del T.A.R. Campania Napoli, Sez. VII, dell'11 giugno 2025, n. 4406

 

Abstract [It]:

Il presente contributo analizza una recente sentenza del T.A.R. Campania Napoli, Sez. VII, dell'11 giugno 2025, n. 4406, secondo cui il principio del silenzio assenso introdotto dall’art. 17-bis della legge n. 241/90 non si applica al parere della Soprintendenza previsto dall’art. 167 del d.lgs. n. 42/04 nello speciale procedimento di accertamento di compatibilità paesaggistica, sia in ragione della inesauribilità del potere amministrativo sia perché la norma in questione non prevede alcuna proposta da inviare alla Soprintendenza co-decidente secondo i canoni del c.d. “schema di provvedimento”.

La sentenza, tuttavia, sembra ignorare l' "overruling" del Consiglio di Stato che, in materia, approda a conclusioni completamente diverse, come confermato dall'ultima sentenza della Sezione IV del 22 aprile 2025, n. 3464, nella quale viene ribadita l'applicabilità dell'art. 17-bis a tutti i procedimenti orizzontali tra pubbliche amministrazioni caratterizzati da una fase decisoria pluristrutturata.

Abstract [En]:

This contribution examines a recent judgment by the Regional Administrative Court (T.A.R.) of Campania Naples, Seventh Division, issued on June 11, 2025 (No. 4406), which held that the principle of tacit consent introduced by Article 17-bis of Law No. 241 of 1990 does not apply to the opinion issued by the Superintendence under Article 167 of Legislative Decree No. 42 of 2004, within the special procedure for assessing landscape compatibility. According to the Court, this exclusion is justified both by the enduring nature of the administrative power involved and by the fact that the relevant provision does not contemplate the transmission of a proposed measure to the Superintendence, which is required to act as a co-decision-making authority, following the so-called “measure draft” model.

The ruling, however, appears to overlook the interpretative shift (“overruling”) recently carried out by the Council of State, which has reached strongly opposed conclusions on the matter. This position is reaffirmed in the most recent judgment of the Fourth Division, issued on April 22, 2025 (No. 3464), which confirms the applicability of Article 17-bis to all horizontal procedures between public administrations that are characterized by a multi-layered or joint decision-making phase.

 

La sentenza del T.A.R. Campania Napoli, Sez. VII, dell'11 giugno 2025, n. 4406, secondo cui il principio del silenzio assenso introdotto dall’art. 17-bis della legge n. 241/90 non si applica al parere della Soprintendenza previsto dall’art. 167 del d.lgs. n. 42/04

La vicenda può essere così sintetizzata.

Un privato, proprietario di un fondo sito in Massa Lubrense, in via Massa-Turro, sul quale aveva realizzato, in assenza di titolo abilitativo, alcune murature di contenimento, con eliminazione del preesistente pendio ed installazione, sul terrazzamento così ricavato, di due pergolati, presentava al Comune, al fine di ottenerne la regolarizzazione, richiesta di accertamento di compatibilità paesaggistica ai sensi dell'art. 167 del d.lgs. n. 42/04.

In data 10 marzo 2021, la civica amministrazione trasmetteva la proposta di autorizzazione paesaggistica alla Soprintendenza Archeologica Belle Arti e Paesaggio per l'area metropolitana di Napoli.

In data 23 dicembre 2021, la Soprintendenza esprimeva su tale proposta parere negativo.

Nel definire il procedimento, in data 28 dicembre 2021, con nota prot. n. 29666/2021, il Comune di Massa Lubrense rigettava la richiesta di accertamento di compatibilità paesaggistica.

Avverso il provvedimento di diniego e il presupposto parere contrario della Soprintendenza l'interessato proponeva ricorso al T.A.R. Campania Napoli, lamentando, in particolare, la violazione dell'art. 167, co. 5, del d.lgs. n. 42/04, in quanto il parere della Soprintendenza era stato espresso oltre il termine di novanta giorni dalla data di trasmissione della proposta comunale, sicché era da ritenere inefficace ai sensi dell’art. 2, comma 8-bis, della legge n. 241/90.

Tale parere, in ogni caso, era sprovvisto di idonea motivazione, in quanto formulato sulla base di presupposti di fatto insussistenti. Risultava, infine, violato anche l'art. 10-bis della legge n. 241/90, dal momento che il parere negativo non era stato nemmeno notificato preventivamente al ricorrente.

Con atto depositato il 28 marzo 2022 si costituiva in giudizio la Soprintendenza, instando per il rigetto del ricorso.

Con memoria di costituzione depositata in Segreteria in data 14 aprile 2022 si costituiva in giudizio anche il Comune di Massa Lubrense, concludendo anch'esso per il rigetto del ricorso.

Con la sentenza in commento, depositata l'11 giugno 2025[1], il T.A.R. ha accolto il ricorso ma solo per aver ritenuto illlegittimo il provvedimento comunale per difetto di motivazione, non anche perché sul parere della Soprintendenza si era formato il silenzio assenso ai sensi dell'art. 17-bis della legge n. 241/90[2], come sostenuto dall'interessato.

Nel censurare il difetto di motivazione, il T.A.R. ha sinteticamente affermato che:

- “il superamento del termine di novanta giorni, di cui all'art. 167, co. 5, del d.lgs. n. 42/2004, rende il parere soprintendentizio tardivamente trasmesso inecace, nel senso che viene meno la sua stretta vincolatività, con la conseguenza che l’Amministrazione procedente può determinarsi sul procedimento di compatibilità paesaggistica, non solo in assenza del parere, ma anche in senso difforme allo stesso, ove emanato tardivamente” (…);

- in caso di espressione di un parere soprintendentizio tardivo, l’Amministrazione competente per il rilascio del provvedimento nale, valutando autonomamente tale contributo, al pari di quanto avviene per ogni elemento istruttorio, è tenuta, in ogni caso, a motivare in modo autonomo le ragioni per le quali l’intervento di trasformazione territoriale non sarebbe compatibile con i vincoli imposti dalle esigenze di tutela paesaggistica (ex multis: Cons. Stato, sez. VII, 4 gennaio 2023, n. 168; Cons. Stato, VI, 17 novembre 2022, n. 10109; 19 agosto 2022, n. 7293; 24 maggio 2022, n. 4098; 29 marzo 2021, n. 2640; 19 novembre 2020, nn. 7192 e 7193)”;

- nel caso in esame, il termine di 90 giorni previsto dall’art. 167, comma 5, del d.lgs. n. 42/04 è stato superato, risultando il parere "rilasciato il 23.12.2021, a fronte dell’invio della relativa proposta di autorizzazione paesaggistica da parte del Comune di Massa Lubrense il precedente 10.03.2021";

- "un'autonoma valutazione sarebbe stata, infatti, necessaria, sia per il ritardo con cui il parere dell’autorità preposta al vincolo è stato rilasciato sia perché, nello specico, l’intervento per cui è stata chiesta la valutazione di compatibilità paesaggistica è consistito nella sola edicazione di una muratura non visibile da strade pubbliche e destinata al contenimento degli smottamenti causati dalle precipitazioni atmosferiche";

- "al contrario, il provvedimento di diniego impugnato è motivato soltanto in ragione della ritenuta vincolatività del parere negativo soprintendentizio, che, tuttavia, in ragione della sua tardiva emanazione, non avrebbe potuto costituire il presupposto indefettibile della successiva determinazione comunale”.

Sul diverso tema del silenzio assenso il T.A.R. ha, invece, statuito che il superamento del termine di cui all'art. 167, co. 5, del d.lgs. n. 42/04 non dà luogo alla sua formazione, stante l'inapplicabilità ai procedimenti di compatibilità paesaggistica della disciplina generale prevista dall'art. 17-bis della legge n. 241/90.

Infatti, gli istituti di semplicazione amministrativa basati sul silenzio assenso tra pubbliche amministrazioni "necessitano non solo di una condotta inerte dell’Amministrazione interpellata, ma anche della predisposizione e trasmissione da parte dell’Amministrazione procedente di uno “schema di provvedimento".

Solo ove ricorrono tali condizioni, l'atto di assenso si intende acquisito per silentium e, per l'effetto, l’amministrazione procedente è posta nelle condizioni di adottare il provvedimento conclusivo.

Del resto - ha aggiunto il T.A.R. - il silenzio-assenso opera unicamente in relazione ai procedimenti caratterizzati da una fase decisoria pluristrutturata, ossia "nei casi in cui l’atto da acquisire, al di del nomen iuris, abbia valenza co-decisoria (cfr. Cons. Stato, parere, 23 giugno 2016, n. 1640)".

Diversamente, nel procedimento di cui all'art. 167, co. 5, del d.lgs. n. 42/04, l'autorità preposta alla gestione del vincolo non è tenuta ad elaborare uno “schema di provvedimento” da trasmettere alla Soprintendenza ai fini dell'espressione del relativo parere, sebbene un tale documento sia necessario, come previsto dalla norma del 17-bis, per la formazione del silenzio-assenso.

In altri termini, “non occorre un accordo tra plurime amministrazioni co-decidenti di regola, preposta alla cura di interessi pubblici differenziati – in ordine ad uno schema di provvedimento predisposto dall’Amministrazione procedente (implicante, come osservato, il potere di ciascuna parte pubblica di inuire sulla decisione di merito), costituente il presupposto di applicazione dall’art. 17 bis cit.; bensì l’Amministrazione interpellata (Soprintendenza) è chiamata ad assumere la decisione sostanziale sul contenuto del provvedimento nale da adottare (senza essere vincolata da un previo schema di provvedimento), mentre l’Amministrazione procedente (preposta alla gestione del vincolo) è tenuta a statuire in conformità (cfr. Cons. Stato, Sez. VI, 19 agosto 2022, n. 7293)".  

D’altra parte, il parere della Soprintendenza è qualificato come vincolante e, pertanto, "a fronte del carattere vincolante del parere soprintendentizio ai sensi dell'art. 167, comma 5, del d.lgs. n. 42 del 2004, non persiste […] margine alcuno di valutazione difforme in capo all'Amministrazione comunale (cfr. Cons. Stato, Sez. VI, 16 aprile 2018, n. 2245)".

Atteso, pertanto, il carattere vincolante del parere, "la cogestione del vincolo si atteggia in maniera asimmetrica, spettando in via esclusiva alla Soprintendenza il potere sostanziale di valutare la compatibilità paesaggistica della costruzione realizzata in assenza di preventiva autorizzazione e all’Amministrazione preposta alla gestione del vincolo la competenza ad esternare, conformemente al parere, la relativa volontà provvedimentale attraverso l’adozione del provvedimento nale".

Inoltre, il legislatore qualica espressamente il termine entro cui l’Amministrazione soprintendentizia deve esprimere il parere vincolante come perentorio”, sicché "dal principio di inesauribilità del potere amministrativo deriva che l'inosservanza di termini perentori non può comportare la decadenza dal potere provvedimentale, non tempestivamente esercitato”.

In definitiva - conclude il T.A.R. - “deve ritenersi che l’inutile decorrenza del termine perentorio di novanta giorni ex art. 167, comma 5, d.lgs. n. 42/04 determini – anziché la formazione di un atto di assenso tacito, a conferma dell’inapplicabilità dell’art. 17 bis l. n. 241/90 – la decadenza dalla possibilità di vincolare l’amministrazione procedente nella decisione nale; il che, tuttavia, non impedirebbe all’organo statale di intervenire nel procedimento per fornire il proprio contributo partecipativo, ponendo in essere un atto non obbligatorio e non vincolante (cfr. Cons. Stato, Sez. VI, 19 novembre 2020, n. 7193)”.

 

La sentenza del Consiglio di Stato, Sez. IV, del 22 aprile 2025, n. 3464, che approda a conclusioni completamente diverse, ribadendo l'applicabilità dell'art. 17-bis a tutti i procedimenti orizzontali tra pubbliche amministrazioni caratterizzati da una fase decisoria pluristrutturata.

Con tale decisione[3], che si segnala per il significato attribuito al parere negativo tardivo espresso dalla Soprintendenza Archeologia, Belle Arti e Paesaggio di Avellino e Salerno, ai sensi dell'art. 146 del d.lgs. n. 42/04, in relazione "alla realizzazione di opere di manutenzione ordinaria, straordinaria, restauro e risanamento conservativo volte all'abbattimento delle barriere architettoniche, all'adeguamento funzionale, sismico, all’efficientamento energetico ed igienico-sanitario, nonché alla sistemazione delle aree pertinenziali e alla finitura dei prospetti presso un complesso immobiliare sito in Positano alla via Laurito", il Consiglio di Stato ha rigettato l'appello proposto dal Ministero della Cultura avverso la sentenza breve n. 751/2024, con la quale il T.A.R. Campania, Sezione staccata di Salerno (Sez. II), aveva dichiarato inammissibile l'impugnazione nei confronti del predetto parere negativo, in quanto "tardivo e, come tale, inefficace e non vincolante e, quindi, non impugnabile", oltre a dichiarare illegittimo il successivo diniego del Comune "per la mancanza di un'autonoma valutazione sugli aspetti paesaggistici dell'opera" con suo conseguente annullamento.

Contro tale sentenza, la società interessata aveva, tuttavia, proposto appello incidentale, affidato a due motivi.

Con il primo motivo aveva censurato la sentenza, ritenendo non necessaria l'istanza di autorizzazione paesaggistica di cui all'art. 146 d.lgs. n. 42/04, trattandosi di opere riconducibili a quelle di cui all'Allegato A del d.P.R. n. 31/17 o, a tutto concedere, a quelle di cui all'Allegato B, con applicazione dei più brevi termini di cui agli artt. 10 e 11 dello stesso decreto, "pena la formazione del silenzio assenso ex art. 17-bis della legge n. 241/90": motivo rigettato dal Consiglio di Stato, che ha ritenuto le argomentazioni svolte sul punto del tutto generiche e apodittiche, oltre a dichiarare il motivo stesso inammissibile per difetto di interesse "nella parte in cui si indica l'applicabilità di un più breve termine per l'emanazione del parere, in quanto, per come evidenziato, il parere è comunque tardivo".

Con il secondo motivo aveva, invece, dedotto "l'applicabilità del silenzio-assenso orizzontale (art. 17-bis legge n. 241/1990) anche nell'ipotesi in cui si volesse ritenere l'istanza assoggettata a regime ordinario (art. 146 d.lgs. n. 42/2004) e non già a quello semplificato (d.P.R. n. 31/2017)".

Proprio questo secondo motivo è stato accolto dal Consiglio di Stato, il quale, con motivazione "tranchant", ha, appunto, riconosciuto l'applicabilità alla fattispecie dell'art. 17-bis della legge n. 241/90, sottolineando che "in ordine alla questione della vincolatività o meno del parere tardivo della Soprintendenza deve essere richiamato il più recente orientamento di questo Consiglio di Stato, secondo cui è applicabile il silenzio-assenso orizzontale (art. 17-bis legge n. 241/90) anche al parere tardivo della Soprintendenza in materia di autorizzazioni paesaggistiche ex art. 146 d.lgs. n. 42 del 2004 (Cons. Stato, Sez. IV, 2 ottobre 2023, n. 8610; Cons. Stato, Sez. VII, 2 febbraio 2024, n. 1093)".

Va osservato, in proposito, che già in precedenza, con sentenza n. 1093 del 2 febbraio 2024[4], il Consiglio di Stato, Sezione VII, aveva affermato il medesimo principio, per di più con specifico riferimento al procedimento di cui all'art. 167 del d.lgs. n. 42/04.

Nel pervenire a tale importante approdo, caratterizzato da una motivazione sintetica ma, al tempo stesso, strettamente rispondente alle finalità per cui la normativa sopravvenuta è stata emanata e per questo avulsa dalle criticità che la giurisprudenza precedente, fatta eccezione per una isolata pronuncia[5], aveva ravvisato nella peculiarità del procedimento, il Consiglio di Stato ha ricordato che il Codice dei beni culturali e del paesaggio, all'art. 167, comma 5, prevede che:

 “Il proprietario, possessore o detentore a qualsiasi titolo dell'immobile o dell'area interessati dagli interventi di cui al comma 4 presenta apposita domanda all'autorità preposta alla gestione del vincolo ai fini dell'accertamento della compatibilità paesaggistica degli interventi medesimi. L'autorità competente si pronuncia sulla domanda entro il termine perentorio di centottanta giorni, previo parere vincolante della soprintendenza da rendersi entro il termine perentorio di novanta giorni. Qualora venga accertata la compatibilità paesaggistica, il trasgressore è tenuto al pagamento di una somma equivalente al maggiore importo tra il danno arrecato e il profitto conseguito mediante la trasgressione. L'importo della sanzione pecuniaria è determinato previa perizia di stima. In caso di rigetto della domanda si applica la sanzione demolitoria di cui al comma 1. La domanda di accertamento della compatibilità paesaggistica presentata ai sensi dell'articolo 181, comma 1-quater, si intende presentata anche ai sensi e per gli effetti di cui al presente comma”.

Tale essendo la lettera della norma, il Consiglio di Stato non ha ravvisato ragioni per dubitare della applicabilità alla fattispecie della legge generale sul procedimento amministrativo n. 241/90, che ha disciplinato all’art. 17-bis gli effetti del silenzio e dell'inerzia nei rapporti tra amministrazioni pubbliche e tra amministrazioni pubbliche e gestori di beni o servizi pubblici[6].

 Del resto, l'esegesi che ne ha dato lo stesso Consiglio di Stato, nell’esercizio della funzione consultiva (parere Adunanza della Commissione Speciale del 23 giugno 2016, parere n. 1640), è chiara e univoca nell'affermare che:

 "L'art. 17-bis riveste nei rapporti tra amministrazioni pubbliche una portata generale analoga a quella del nuovo articolo 21-nonies nei rapporti tra amministrazioni e privati".

Il Consiglio di Stato ritiene si possa parlare di un ‘nuovo paradigma’: in tutti i casi in cui il procedimento amministrativo è destinato a concludersi con una decisione ‘pluristrutturata’ (nel senso che la decisione finale da parte dell’Amministrazione procedente richiede per legge l’assenso vincolante di un’altra Amministrazione), il silenzio dell’Amministrazione interpellata, che rimanga inerte non esternando alcuna volontà, non ha più l’effetto di precludere l’adozione del provvedimento finale ma è, al contrario, equiparato ope legis a un atto di assenso e consente all’Amministrazione procedente l’adozione del provvedimento conclusivo.

 La portata generale di tale nuovo paradigma fornisce una importante indicazione sul piano applicativo dell’art. 17-bis, poiché ne consente una interpretazione estensiva, quale che sia l’amministrazione coinvolta e quale che sia la natura del procedimento pluristrutturato (cfr. infra, i punti successivi)".

Lo stesso parere dà atto che il meccanismo del silenzio assenso orizzontale rinviene, sotto il profilo costituzionale, il proprio fondamento nel principio di buon andamento, di cui all’art. 97 Cost., letto ‘in un’ottica moderna’, che tenga conto anche dell’esigenza di assicurare il ‘primato dei diritti’ della persona, dell’impresa e dell’operatore economico rispetto a qualsiasi forma di mero dirigismo burocratico.

Si è ritenuto, infatti, che, nella logica del ‘primato dei diritti’, i meccanismi di semplificazione dell’azione amministrativa non vanno visti come una forma di sacrificio dell’interesse pubblico ma, al contrario, come strumenti funzionali ad assicurare una cura efficace, tempestiva e pronta dello stesso, con il minore onere possibile per la collettività e per i singoli privati. Essi trovano, quindi, un fondamento nel principio del buon andamento dell’azione amministrativa che postula anche l’efficienza e la tempestività di quest'ultima. L’introduzione di rimedi di semplificazione dissuasivi e stigmatizzanti il silenzio contribuisce, in altri termini, a dare piena attuazione al principio di trasparenza dell’azione amministrativa: l’arresto del procedimento non può più avvenire con un comportamento per definizione “opaco”, qual è l’inerzia.

Inoltre:

"Nel tempo presente ... il sistema tende a favorire la liberalizzazione e la deregolamentazione delle attività private, accompagnate da una serie di normative tese allo snellimento dell'azione amministrativa semplificando anche i rapporti tra amministrazioni, come dimostra quanto statuito nell'art. 17 bis ...; nei casi in cui opera il silenzio assenso, l'interesse sensibile dovrà comunque essere oggetto di valutazione, comparazione e bilanciamento da parte dell'amministrazione procedente".

"Il silenzio assenso “orizzontale” previsto dall’art. 17-bis opera, nei rapporti tra Amministrazioni co-decidenti, quale che sia la natura del provvedimento finale che conclude il procedimento, non potendosi sotto tale profilo accogliere la tesi che, prospettando un parallelismo con l’ambito applicativo dell’art. 20 concernente il silenzio assenso nei rapporti tra privati, circoscrive l’operatività del nuovo istituto agli atti che appartengono alla categoria dell’autorizzazione, ovvero che rimuovono un limite all’esercizio di un preesistente diritto.

La nuova disposizione, al contrario, si applica a ogni procedimento (anche eventualmente a impulso d’ufficio) che preveda al suo interno una fase co-decisoria necessaria di competenza di altra amministrazione, senza che rilevi la natura del provvedimento finale nei rapporti verticali con il privato destinatario degli effetti dello stesso".

Le medesime conclusioni si impongono, a fortiori, in relazione all’art. 14-bis, della legge n. 241/90, così come modificato dal d.lgs. n. 127/16 (Norme per il riordino della disciplina in materia di conferenza di servizi, in attuazione dell’articolo 2 della legge 7 agosto 2015, n. 124), che presenta un analogo meccanismo semplificatorio[7].

Tale disposizione, infatti, afferma il principio (anche con riferimento alle amministrazioni preposte alla tutela paesaggistico-territoriale, in relazione alle quali si prevede solo un allungamento del termine per rendere il parere) per cui si considera acquisito l'assenso senza condizioni delle amministrazioni il cui rappresentante non abbia partecipato alle riunioni ovvero, pur partecipandovi, non abbia espresso ai sensi del comma 3 la propria posizione, ovvero abbia espresso un dissenso non motivato o riferito a questioni che non costituiscono oggetto della conferenza (“Fatti salvi i casi in cui disposizioni del diritto dell'Unione europea richiedono l'adozione di provvedimenti espressi, la mancata comunicazione della determinazione entro il termine di cui al comma 2, lettera c), ovvero la comunicazione di una determinazione priva dei requisiti previsti dal comma 3, equivalgono ad assenso senza condizioni”).

Non vi è dubbio, quindi, che i principi sanciti "de iure condito" siano esportabili anche al procedimento di cui all'art. 167, trattandosi, al pari di quello disciplinato dall'art. 146, di un procedimento orizzontale pluristrutturato, nel cui ambito l'istituto del silenzio assenso è certamente applicabile al parere della Soprintendenza "espressione di una cogestione attiva del vincolo paesaggistico"[8].

E tanto perché, come già evidenziato, l'art. 17-bis consente di estendere il meccanismo del silenzio assenso anche ai procedimenti di competenza di amministrazioni preposte alla tutela di interessi sensibili, ivi compresi i beni culturali, di modo che, scaduto il termine fissato dalla normativa di settore, vale, senz'ombra di dubbio, la regola generale del silenzio assenso[9].

Ciò posto, non sfugge che, tra le decisioni richiamate dal Consiglio di Stato nella sentenza del 22 aprile 2025, n. 3464, a sostegno della tesi della applicabilità dell'art. 17-bis, figura anche l'importante pronuncia della Sezione IV del 2 ottobre 2023, n. 8610, costituente un "precedente specifico e conforme ai sensi degli artt. 74, comma 1, e 88, comma 2, lett. d), c.p.a.[10]

Con tale sentenza è stato, infatti, affermato che non può ritenersi in generale esistente un potere del giudice di decidere una controversia a lui sottoposta facendo diretta applicazione di un principio costituzionale anche quando non si sia in presenza di una lacuna (e cioè quando esista una normativa di legge applicabile al caso, a meno che questa normativa non sia formulata attraverso il ricorso ad un principio o a una clausola generale): il che trova spiegazione nella circostanza per cui, diversamente opinando, il “bilanciamento” (del principio) effettuato dal giudice (“pesando” il principio stesso con altri “principi” che con esso appaiono interferenti) finirebbe inevitabilmente per sovrapporsi a quello contenuto nella disposizione di legge (e operato dal legislatore).

Ciò vale anche nel caso in cui il giudice ravvisi nella norma di legge ordinaria un contrasto con un principio costituzionale. E non si tratta, come pure potrebbe apparire in via di prima approssimazione, di mettere in discussione il sistema gerarchico delle fonti del diritto, e quindi la “superiorità” del principio costituzionale rispetto alla “regola” ordinaria, ma di ribadire che la “prevalenza” del primo sulla seconda (ove sia stato accertato il contrasto) deve essere sancita da una pronuncia della Corte costituzionale che darà anche l’interpretazione qualificata del principio costituzionale e del “bilanciamento” cui esso deve essere sottoposto in confronto con altri principi.

I principi certamente operano come ratio interpretativa delle norme di rango inferiore: l'interpretazione costituzionalmente conforme (o adeguatrice) dev’essere sempre preferita, fino a quando non entri in conflitto insuperabile con il testo normativo.

Se questo conflitto si verifica, il giudice ha l'onere (ove ravvisi la persistenza del contrasto) di sollevare la questione di legittimità costituzionale.

In altre parole, fintantoché il giudice riesca ad argomentare che il “bilanciamento” di interessi da lui ritenuto “conforme a Costituzione” è realizzabile attraverso una o più regole che la disposizione di legge ordinaria consente di ricavare in via interpretativa, non si pone alcun problema.

Se, invece, questo non sia oggettivamente possibile, e dunque la norma ordinaria (secondo il significato che le si può attribuire all’esito del ricorso a tutti i criteri di interpretazione: letterale, storico, logico, teleologico, sistematico) si ponga in antitesi con il principio costituzionale (come interpretato dal giudice), il giudice stesso, che percepisca il contrasto, non ha altra strada che quella di sollevare - lo si ripete - la questione di legittimità costituzionale.

Il rischio, altrimenti ragionando, è quello di trasformare, secondo il Consiglio di Stato, un ordinamento "di diritto scritto", quale formalmente continua ad essere il nostro, in qualcosa di diverso, affiancando, senza che ciò trovi supporto in una modificazione formale del sistema delle fonti, al diritto "scritto" (basato sulla legge) un diritto di fonte "giurisprudenziale" (fondato sull'equità), considerato idoneo a derogare al primo ogni qualvolta le caratteristiche del caso concreto segnalino come "ingiusto" l'esito che in base ad esso dovrebbe essere sancito.

Tali considerazioni trovano, poi, pedissequo riscontro nella giurisprudenza delle Corti superiori interne e internazionali.

Nella medesima direzione è, in primo luogo, orientata la giurisprudenza costituzionale che ha individuato nell’univoco tenore letterale della norma un limite all’interpretazione costituzionalmente conforme (Corte cost., 26 febbraio 2020, n. 32).

A non dissimili conclusioni giunge anche la Corte di giustizia dell’Unione Europea, la quale ha ricordato in proposito che, nell’applicare il diritto nazionale (in particolare le disposizioni di una normativa appositamente adottata al fine di attuare quanto prescritto da una direttiva), il giudice nazionale deve interpretare tale diritto per quanto possibile alla luce del testo e dello scopo della direttiva.

Tuttavia, l’obbligo per il giudice nazionale di fare riferimento al contenuto di una direttiva nell’interpretazione e nell’applicazione delle norme pertinenti del suo diritto nazionale trova i suoi limiti nei principi generali del diritto, in particolare in quelli di certezza del diritto e di non retroattività, e non può servire da fondamento ad un’interpretazione contra legem del diritto nazionale (Corte di giustizia, Grande Sezione, 15 aprile 2008,C-268/06, v. sentenze 8 ottobre 1987, causa 80/86, Kolpinghuis Nijmegen, Racc. pag. 3969, punto 13, nonché Adeneler e a., cit., punto 110; v. anche, per analogia, sentenza 16 giugno 2005, causa C-105/03, Pupino, Racc. pag. I-5285, punti 44 e 47).

Analoghe e, sotto certi profili ancora più stringenti considerazioni (in quanto relative anche alla interpretazione delle c.d. clausole generali), si rivengono nella più recente giurisprudenza della Corte di Cassazione, per la quale:

 “Anche quando non si trova al cospetto di un enunciato normativo concepito come regola a fattispecie, ma è investito del compito di concretizzare la portata di una clausola generale… il giudice non detta né introduce una nuova previsione normativa. La valutazione in sede interpretativa non può spingersi sino alla elaborazione di una norma nuova con l'assunzione di un ruolo sostitutivo del legislatore.

La giurisprudenza non è fonte del diritto … Il giudice comune svolge un ruolo costituzionalmente diverso da quello del legislatore … è organo chiamato non a produrre un quid novi sulla base di una libera scelta o a stabilire una disciplina di carattere generale, ma a individuare e dedurre la regola del caso singolo bisognoso di definizione dai testi normativi e dal sistema.

Una pluralità di ragioni giustifica l'indicato approccio metodologico, fra cui il rispetto del pluralismo e dell'equilibrio tra i poteri, profilo centrale della democrazia, perché la ricerca dell'effettività deve seguire precise strade compatibili con il principio di leale collaborazione e con il dialogo istituzionale che la Corte costituzionale ha avviato con il legislatore…. Non c'è spazio, in altri termini, né per una penetrazione diretta - attraverso la ricerca di un bilanciamento diverso da quello già operato dal Giudice delle leggi - di quell'ambito di discrezionalità legislativa che la Corte costituzionale ha inteso far salvo, né per una messa in discussione del punto di equilibrio da essa indicato …

La riserva espressa della competenza del legislatore si riferisce, evidentemente, al piano della normazione primaria, al livello cioè delle fonti del diritto: come tale, essa non estromette il giudice comune, nel ruolo - costituzionalmente diverso da quello affidato al legislatore - di organo chiamato, non a produrre un quid novi sulla base di una libera scelta o a stabilire una disciplina di carattere generale, ma a individuare e dedurre la regola del caso singolo bisognoso di definizione dai testi normativi e dal sistema” (cfr. Corte di Cassazione, Sezioni unite civili, 30 dicembre 2022, n. 38162).

 Nel "precedente specifico e conforme" sopra menzionato, la vicenda scrutinata dal Consiglio di Stato aveva, per di più, ad oggetto l’edificazione di una residenza turistico-alberghiera nel Comune di Ascea, per la quale il proprietario del suolo aveva chiesto il rilascio sia del permesso di costruire, in conformità alle previsioni della vigente strumentazione urbanistica, che dell’autorizzazione paesaggistica.

Il Comune di Ascea, a seguito di tale richiesta, aveva indetto una conferenza di servizi decisoria in forma semplificata e con modalità asincrona, al fine di acquisire tutti i necessari atti di assenso, ivi compreso il parere della Soprintendenza, nonché il nulla osta dell’Ente Parco nazionale del Cilento, Vallo di Diano e Alburni.

L’Ente Parco aveva rilasciato il proprio nulla osta ma la Soprintendenza, dopo aver chiesto integrazioni e chiarimenti, aveva espresso parere contrario.

Preso atto di tale parere, il Comune aveva rigettato la richiesta di autorizzazione paesaggistica, affermando che, pur essendo “l’intervento dal punto di vista urbanistico conforme al PRG e alle norme di attuazione attualmente vigenti e pertanto assentibile”, il dissenso espresso dalla amministrazione statale non era superabile.

Avverso tale decisione, l’interessato aveva proposto tempestivo ricorso al T.A.R. Salerno, il quale, resistendo in giudizio il Ministero della Cultura, lo aveva integralmente accolto, ritenendo, in sintesi, tardivo il parere contrario della Soprintendenza.

Il Consiglio di Stato ha confermato la sentenza del T.A.R., dopo aver premesso, fra l’altro, che:

1. “l’obiettivo della competitività del sistema paese richiede sia garantita la conclusione dei procedimenti avviati su istanza di parte in tempi certi e rapidi, e quindi la tempestività dell’azione amministrativa, poiché il fattore tempo è una variabile essenziale della programmazione finanziaria privata di cui è necessaria la ragionevole prevedibilità”;

2. “l’attributo di primarietà associato agli interessi sensibili deve essere inteso, dopo i recenti interventi normativi, non più in modo astratto ed aprioristico come primazia in una ipotetica scala gerarchica dei valori costituzionali”.

Il Consiglio di Stato ha anche aggiunto che, al fine di evitare che, in contrasto con il principio della divisione dei poteri, il giudice assuma un ruolo creativo, individuando, in luogo del legislatore, la regola da applicare al caso concreto, l’interpretazione giudiziale deve farsi carico del significato corretto della disposizione nell’arco delle sole opzioni che il testo autorizza, eventualmente scrutando nelle sue eventuali zone d’ombra.

Il testo della legge, specie quando formulata mediante la c.d. tecnica per fattispecie analitica, fornisce la misura della discrezionalità giudiziaria; esso, come è stato autorevolmente osservato, rappresenta il punto fermo da cui occorre muovere nell’attività interpretativa e a cui, (all’esito del combinato ricorso a tutti gli altri canoni di interpretazione) è necessario ritornare.

Ne consegue che il testo della legge costituisce un limite insuperabile rispetto ad opzioni interpretative che ne disattendano ogni possibile risultato riconducibile al suo potenziale campo semantico (così come delimitato dalla disposizione), per giungere ad esiti con esso radicalmente incompatibili.

In conclusione, il Consiglio di Stato ha affermato, con la sentenza in questione, che rappresenta un vero e proprio "leading case", i seguenti principi[11].

1. Nel caso delle autorizzazioni paesaggistiche, sia ordinarie che semplificate, che si inseriscono nel procedimento gestito dal Comune, il parere della Soprintendenza ha funzione di co-decisione (“il parere della Soprintendenza è espressione di una cogestione attiva del vincolo paesaggistico”)[12].

2. Anche a prescindere dal dato testuale dell’art. 11, comma 9, “a tali pareri si applicherebbe pertanto l’art. 17-bis della legge n. 241/1990, diversamente che ai pareri consultivi (non vincolanti), che restano assoggettati alla disciplina di cui agli artt. 16 e 17. Dunque, alla stregua di tale ricostruzione, la formulazione testuale del comma 3 dell’art. 17-bis consente di estendere il meccanismo del silenzio assenso anche ai procedimenti di competenza di amministrazioni preposte alla tutela di interessi sensibili, ivi compresi i beni culturali, di modo che, scaduto il termine fissato dalla normativa di settore, vale la regola generale del silenzio assenso[13].

3. Non può essere accolta la tesi contraria, secondo cui la tardiva adozione del parere in funzione co-decisoria comporterebbe solo una sua "dequotazione", perdendo l’efficacia vincolante, ma conservando la sua efficacia giuridica; tesi che deve ritenersi “definitivamente superata dalla modifica apportata all’art. 2 della legge n. 241 del 1990 dall’articolo 12, comma 1, lett. a), n. 2), del decreto-legge n. 76 del 2020, che ha introdotto il nuovo comma 8-bis, in base al quale “Le determinazioni relative ai provvedimenti, alle autorizzazioni, ai pareri, ai nulla osta e agli atti di assenso comunque denominati, adottate dopo la scadenza dei termini di cui agli articoli 14-bis, comma 2, lettera c), 17-bis, commi 1 e 3, 20, comma 1 …, ovvero successivamente all’ultima riunione di cui all’art. 14 ter, comma 7 … sono inefficaci, fermo restando quanto previsto dall’articolo 21-nonies, ove ne ricorrano i presupposti e le condizioni (…); la locuzione utilizzata dal legislatore mira a chiarire definitivamente che l'organo che si pronuncia tardivamente ha perso il potere di decidere: dunque il suo atto, adottato in carenza di potere relativamente ad uno specifico progetto, è privo di effetti nell'ordinamento amministrativo”.

4. Pertanto, il parere negativo della Soprintendenza tardivo è inefficace ("tamquam non esset") e  “l’assenso sulla proposta di accoglimento ricevuta dall’amministrazione procedente si forma per silentium, ma ciò non esonera quest’ultima dalla necessità di concludere il procedimento con una decisione espressa, come si desume, del resto, dall’ultima parte del citato comma 9 dell’art. 11 del d.P.R. n. 31 del 2017, secondo cui l’amministrazione procedente, una volta formatosi il silenzio assenso sul parere del soprintendente, provvede al rilascio dell’autorizzazione paesaggistica[14] .

 

La "vexata quaestio" degli effetti della mancata previsione, nello speciale procedimento di accertamento di compatibilità paesaggistica, di una proposta da inviare alla Soprintendenza co-decidente secondo i canoni del c.d. "schema di provvedimento"

Riconosciuta, dunque, l’applicabilità dell’art. 17-bis della legge n. 241/90 agli atti di assenso delle amministrazioni preposte alla tutela paesaggistica, deve nondimeno evidenziarsi che, come il T.A.R. nella sentenza in commento, la giurisprudenza amministrativa in generale si è posta, in passato, il problema di verificare se l’ambito di applicazione oggettivo del silenzio assenso tra pubbliche amministrazioni comprenda effettivamente anche il procedimento disciplinato dall’art. 167 del d.lgs. n. 42/04[15].

Dopo un approfondito esame dell'istituto, la giurisprudenza si è determinata negativamente, in quanto l'art. 167 richiede che:

  • l’Amministrazione procedente abbia predisposto e trasmesso uno “schema di provvedimento” all’amministrazione competente a rendere il proprio assenso;

- sia decorso il termine di “trenta giorni” ovvero quello di “novanta giorni” (operante per gli assensi, i concerti o i nulla osta comunque denominati di amministrazioni preposte alla tutela paesaggistico-territoriale) dalla ricezione della richiesta dell’amministrazione procedente, senza che l’amministrazione interpellata abbia manifestato espressamente la propria posizione al riguardo, essendole anche preclusa la possibilità di formulare richieste di integrazione documentale[16].

Solo al ricorrere di tali condizioni, può considerarsi acquisito per silentium l’atto di assenso, sicché l’amministrazione procedente è posta in condizione di adottare il provvedimento conclusivo, comunque necessario per la definizione del procedimento.

Infatti, nell'assumere la decisione finale, l’amministrazione procedente è tenuta a valutare i vari interessi coinvolti nell’esercizio del potere, ivi compreso l’interesse pubblico sotteso all’atto di assenso implicitamente acquisito: soltanto in tale maniera si assicura, oltre alla tempestiva adozione della decisione finale, anche un’adeguata protezione di tutti gli interessi pubblici coinvolti nell’esercizio del potere, pure qualora manchi la determinazione espressa dell’amministrazione (interpellata) che sarebbe stata competente a valutare la compatibilità della soluzione prescelta con l’interesse pubblico dalla stessa tutelato.

Alla luce di tali rilievi, si è, dunque, ritenuto che il silenzio assenso ex art. 17-bis l. n. 241/90:

  • non riguarda la fase istruttoria del procedimento amministrativo, che rimane regolata dalla pertinente disciplina positiva, influendo soltanto sulla fase decisoria, attraverso la formazione di un atto di assenso per silentium, con la precisazione che l'amministrazione procedente è, comunque, tenuta ad elaborare uno "schema di provvedimento" da trasmettere all’amministrazione co-decidente, sulla base delle risultanze dell’istruttoria già svolta, non potendosi elaborare un progetto di decisione senza avere previamente accertato e valutato i presupposti del provvedere;
  • opera soltanto in relazione ai procedimenti caratterizzati da una fase decisoria pluristrutturata e, dunque, come chiarito dal Consiglio di Stato nel parere n. 1640/2016 cit., “nei casi in cui l’atto da acquisire, al di là del nomen iuris, abbia valenza co-decisoria”;
  • presuppone, pur sempre, un potere decisionale distribuito tra plurime amministrazioni, tutte abilitate ad intervenire sul contenuto del provvedimento finale, suscettibile di essere adottato solo previo accordo tra le parti pubbliche co-decidenti.

Nel procedimento di compatibilità paesaggistica di cui all’art. 167, invece, il legislatore ha previsto sì una forma di cogestione del vincolo paesaggistico tra due amministrazioni (Soprintendenza, competente nel rendere un parere vincolante, nonché amministrazione regionale o subdelegata, chiamata ad assumere la decisione finale)[17] ma secondo modalità del tutto peculiari.

Ai sensi dell’art. 167, comma 5, del d.lgs. n. 42/04, infatti:

 “Il proprietario, possessore o detentore a qualsiasi titolo dell'immobile o dell'area interessati dagli interventi di cui al comma 4 presenta apposita domanda all'autorità preposta alla gestione del vincolo ai fini dell'accertamento della compatibilità paesaggistica degli interventi medesimi. L'autorità competente si pronuncia sulla domanda entro il termine perentorio di centottanta giorni, previo parere vincolante della soprintendenza da rendersi entro il termine perentorio di novanta giorni”.

Emerge, pertanto, che:

  • l’autorità preposta alla gestione del vincolo non è tenuta ad elaborare uno "schema di provvedimento" alla stregua delle risultanze istruttorie da trasmettere alla Soprintendenza ai fini dell’espressione del parere di competenza, sebbene un tale documento sia necessario per la formazione del silenzio assenso, posto che, altrimenti, difettando lo schema di provvedimento, mancherebbe pure la bozza di decisione su cui possa ritenersi tacitamente acquisito un atto di assenso;
  • il termine per l’espressione del parere è espressamente qualificato dal legislatore come perentorio, il che influisce sulla individuazione delle conseguenze discendenti dalla sua inosservanza, emergendo verosimilmente effetti incompatibili con la formazione di un atto per silentium;
  • la Soprintendenza e l’autorità preposta alla gestione del vincolo sono chiamate a verificare la compatibilità dell’intervento edilizio rispetto al medesimo interesse pubblico (paesaggistico), quando la co-decisione è un modulo procedimentale impiegabile per la condivisione di una data decisione da parte di plurime amministrazioni, ciascuna preposta alla tutela di un differente interesse pubblico, parimenti rilevante ai fini della regolazione del caso concreto;
  • il parere della Soprintendenza è qualificato come vincolante, con la conseguenza che “a fronte del carattere vincolante del parere soprintendentizio ai sensi dell'art. 167, comma 5, D.Lgs. n. 42 del 2004, non persiste […] margine alcuno di valutazione difforme in capo all'Amministrazione comunale” (così Consiglio di Stato, Sez. VI, 16 aprile 2018, n. 2245), tenuta, comunque, a concludere il procedimento entro il termine perentorio di centottanta giorni (del pari previsto dall’art. 167, comma 5, cit.), sicché il parere de quo assume più propriamente natura di parere conforme, non potendo l’amministrazione procedente astenersi dalla decisione, né potendo assumere una decisione difforme da quella indicata dalla Soprintendenza[18]. Si è in presenza, dunque, di una disciplina connotata da elementi procedurali del tutto peculiari, che, secondo la giurisprudenza menzionata, sarebbero incompatibili con quelli posti a base della disciplina del silenzio assenso ex art. 17-bis l. n. 241/90[19].

Le peculiarità del procedimento di accertamento di compatibilità paesaggistica si manifesterebbero anche nella disciplina delle conseguenze discendenti dalla condotta inerte della Soprintendenza: come già detto, il legislatore ha anche qualificato (ai sensi dell’art. 167, comma 5, d.lgs. n. 42/04) come “perentorio” il termine entro cui la Soprintendenza deve esprimere il parere di competenza, in tale maniera regolando (implicitamente) gli effetti dell’inerzia[20].

Di conseguenza, si è ritenuto che l’inutile decorrenza del termine perentorio di novanta giorni ex art. 167, comma 5, d.lgs. n. 42/04 determini – anziché la formazione di un atto di assenso tacito, a conferma dell’inapplicabilità dell’art. 17-bis l. n. 241/90 – la decadenza dall’esercizio dello specifico potere assegnato dal legislatore e, dunque, dalla possibilità di vincolare l’amministrazione procedente nella decisione finale; il che, tuttavia, non impedirebbe all’organo statale di intervenire nel procedimento per fornire il proprio contribuito partecipativo, ponendo in essere un atto non obbligatorio e non vincolante.

Tale ricostruzione deve essere rimeditata alla luce della normativa sopravvenuta.

Rileva, quale elemento dirimente più di ogni altro, la già richiamata disposizione dell'art. 2, comma 8-bis, della legge n. 241/90.

La disposizione in questione, invero, non opera alcuna distinzione all'interno dei procedimenti caratterizzati da una fase co-decisioria pluristrutturata, né, per quanto attiene alla materia paesaggistica, tra il procedimento ordinario di cui all'art. 146 del d.lgs. n. 42/04 e quello "peculiare" disciplinato dall'art. 167 stesso d.lgs.

Come precisato dal Consiglio di Stato nella sentenza n. 8610 citata, la recente modifica apportata all’art. 2 della legge n. 241/90 dall’art. 12, comma 1, lett. a), n. 2), del d.l. n. 76/20, convertito nella legge n. 120/20, che ha introdotto il nuovo comma 8-bis, ha segnato il definitivo superamento dell’indirizzo interpretativo contrario all’applicazione del silenzio assenso orizzontale al parere paesaggistico in qualsiasi tipologia di procedimento.

Infatti, in base a tale norma:

Le determinazioni relative ai provvedimenti, alle autorizzazioni, ai pareri, ai nulla osta e agli atti di assenso comunque denominati, adottate dopo la scadenza dei termini di cui agli articoli 14-bis, comma 2, lettera c), 17-bis, commi 1 e 3, 20, comma 1 …, ovvero successivamente all’ultima riunione di cui all’art. 14 ter, comma 7… sono inefficaci, fermo restando quanto previsto dall’articolo 21-nonies, ove ne ricorrano i presupposti e le condizioni”.

La lettera di tale disposizione, riferendosi espressamente alle fattispecie del silenzio maturato nel corso di una conferenza di servizi ex art. 14-bis e nell’ambito dell’istituto di cui all’art. 17-bis, è inequivocabile nell’affermare il principio (che non ammette eccezioni) secondo cui le determinazioni tardive sono irrilevanti in quanto prive di effetti nei confronti dell’autorità competente, e non soltanto prive di carattere vincolante.

Da ciò discende che non c’è più spazio, alla luce della novità normativa, per insistere nella tesi del silenzio-devolutivo, stante la formulazione volutamente omnicomprensiva della nuova norma.

La previsione introdotta è evidentemente espressione della volontà politico-legislativa di semplificare i procedimenti e di superare le discussioni, registratesi nel previgente quadro normativo, in ordine al vizio che affliggeva il provvedimento tardivo.

Sotto il profilo teleologico, la locuzione utilizzata dal legislatore, indipendentemente dal riferimento, contenuto nell'art. 167, allo "schema di provvedimento", consente, pertanto, di affermare che l'organo che si pronuncia tardivamente perde il potere di decidere: dunque il suo atto, adottato in carenza di potere relativamente ad uno specifico progetto, è privo di effetti nell'ordinamento amministrativo.

D'altronde, il criterio della interpretazione teleologica, pur riconoscendo che la lettera della legge costituisce un limite che l’interprete non può superare e deve rispettare, porta a tenere presente, da un lato, il fatto sociale che sta alla base della norma e che è regolato da essa, e, dall’altro, a considerare le conseguenze che deriverebbero da una data interpretazione, per escludere quelle che non corrispondono allo scopo della disposizione[21].

 

Il nuovo accertamento di compatibilità paesaggistica secondo la legge n. 105/24 (c.d. "Salva Casa")       

Un secondo argomento a sostegno della tesi della applicabilità del silenzio assenso al procedimento di accertamento di compatibilità paesaggistica è certamente rappresentato dalla novità dell'art. 36-bis introdotto dalla legge n. 105/24 (c.d. "Salva Casa")[22].

 Con tale norma è stato, infatti, previsto che, per sanare gli interventi realizzati in parziale difformità o con variazioni essenziali rispetto ai titoli rilasciati non sarà più necessario rispettare la doppia conformità urbanistica, cioè sia le disposizioni della strumentazione urbanistica applicabili al tempo della realizzazione delle opere che quelle vigenti alla data di presentazione della domanda.

In altri termini, per effetto della nuova disposizione, nei casi di parziale difformità o variazione essenziale, sarà possibile - per il responsabile dell’abuso o l’attuale proprietario dell’immobile - ottenere il permesso di costruire in sanatoria e presentare la segnalazione certificata di inizio attività in sanatoria se l’intervento risulti conforme:

  • alla disciplina urbanistica (relativa alle volumetrie e agli indici edificatori, alle destinazioni d’uso e agli standard) vigente al momento della presentazione della domanda;
  • ai requisiti prescritti dalla disciplina edilizia (ovvero alle norme tecniche di cui al D.M. MIT del 17 gennaio 2018, comprendenti le disposizioni sulla progettazione sismica e sull'efficientamento energetico, nonché le disposizioni tecnico-estetiche, igienico-sanitarie, di sicurezza e vivibilità degli immobili) vigente al momento della realizzazione dell’intervento.  

Sarà, inoltre, possibile, in base al comma 4 dell'articolo 36-bis, richiedere apposito parere vincolante in ordine alla compatibilità paesaggistica delle opere parzialmente difformi o con variazioni essenziali, anche quando siano stati creati nuovi volumi o superfici utili ovvero sia stato accertato l'aumento di quelli legittimamente realizzati.

La disposizione sostituisce, poi, il silenzio rigetto, originariamente previsto per qualsiasi fattispecie di abuso da sanare "a regime", con il silenzio assenso, stabilendosi, altresì, che, sulla richiesta di permesso in sanatoria, il dirigente o il responsabile del competente ufficio comunale si pronuncia con provvedimento motivato entro 45 giorni, decorsi i quali la richiesta si intende accolta.

Per le segnalazioni di inizio attività, si applica, invece, il termine di 30 giorni.

La nuova legge dimostra, dunque, come l’istituto del silenzio assenso sia ormai considerato un istituto pressoché generale del procedimento amministrativo volto a rafforzare gli strumenti di tutela del privato a fronte della inerzia dell'amministrazione, diretto, più precisamente, a “fluidificare” l'azione amministrativa, neutralizzando gli effetti paralizzanti dell'inerzia (v., sul punto, anche Cons. Stato, Sez. VI, 13 marzo 2024, n. 2459, per il quale “una volta decorso il termine, il potere primario di provvedere si consuma e non vi è più spazio per l’adozione di un diniego tardivo, oggi espressamente considerato “inefficace” a mente dell’art. 2, comma 8-bis, della legge n. 241 del 1990 (…) residuando in capo all’amministrazione la sola possibilità di intervenire in autotutela sull’assetto di interessi formatosi silenziosamente”).

L’esigenza di semplificazione è anche volta a soddisfare, senza deleteri ritardi ed eccessi burocratici, gli obiettivi del PNRR, monitorati costantemente dalla Commissione Europea e di fondamentale importanza per il sistema paese, ed è finalizzata, in particolare, ad “impedire che le funzioni amministrative risultino inutilmente gravose per i soggetti amministrati” (così Corte costituzionale n. 207 dell’8 luglio 2021).

Quel che più rileva, ai fini che ne occupano, è che la legge "Salva Casa" - come già evidenziato - prevede anche che, per le opere parzialmente difformi o con variazioni essenziali eseguite in zona vincolata, è possibile presentare un'istanza di accertamento di compatibilità paesaggistica ai sensi dell’art. 167 del d.lgs. n. 42/04.

In tale ipotesi, l'autorità competente si pronuncia sulla domanda entro il termine perentorio di 180 giorni, previo parere vincolante della Soprintendenza da rendersi entro il termine perentorio di 90 giorni.

Se i pareri non sono resi entro i termini di cui al secondo periodo, si intende formato il silenzio assenso e il dirigente o responsabile provvede autonomamente.

Il legislatore, in definitiva, non si pone il problema, sottolineato dalla sentenza in commento, della mancanza, nel procedimento di cui all'art. 167 del d.lgs. n. 42/04, dello "schema di provvedimento" di cui all'art. 17-bis.

Altra novità di rilievo, anche ai fini della tutela dei c.d. "interessi sensibili", è rappresentata dal fatto che la norma del 36-bis trova applicazione, come già accennato, anche per gli interventi realizzati in parziale difformità o con variazioni essenziali rispetto ai titoli rilasciati.

Le variazioni essenziali, come è noto, sono modifiche di rilievo rispetto al titolo assentito, a metà strada tra la difformità totale e le difformità parziali, e consistono in:

  • mutamenti della destinazione d’uso che implicano una variazione degli standard urbanistici;
  • aumenti consistenti di cubatura o di superficie da valutare in relazione al progetto approvato;
  • modifiche sostanziali dei parametri urbanistico-edilizi del progetto approvato o della localizzazione dell’edificio sull’area di pertinenza;
  • mutamenti delle caratteristiche dell’intervento edilizio assentito;
  • violazione delle norme vigenti in materia di edilizia antisismica.

Con una recente sentenza dell’8 ottobre 2024, n. 8072, il Consiglio di Stato, Sez. VI, ha ben chiarito la differenza esistente tra le difformità parziali e le variazioni essenziali, colmando un vuoto normativo che da anni dava origine ad interpretazioni controverse sul tema.

Leggesi in tale interessante decisione che:

Secondo l’elaborazione della giurisprudenza di questa Sezione – alla quale il Collegio intende qui dare continuità – ai sensi degli artt. 31 e 32 t.u. edilizia, si è in presenza di difformità totali del manufatto o variazioni essenziali, sanzionabili con la demolizione, allorché i lavori riguardino un’opera ‘diversa’ da quella prevista dall’atto di concessione per conformazione, strutturazione, destinazione, ubicazione, mentre si configura la difformità parziale quando le modificazioni incidano su elementi particolari e non essenziali della costruzione e si concretizzino in divergenze qualitative e quantitative non incidenti sulle strutture essenziali dell’opera (ex aliis Cons. Stato, sez, VI, n. 7644 del 2023 e n. 3596 del 2023).

Stando alla definizione enunciata dal citato art. 32, dà, dunque, luogo a una variante essenziale «ogni modifica incompatibile con il disegno globale ispiratore dell’originario progetto edificatorio, tale da comportare il mutamento della destinazione d’uso implicante alterazione degli standard, l’aumento consistente della cubatura o della superficie di solaio, le modifiche sostanziali di parametri urbanistico-edilizi, il mutamento delle caratteristiche dell’intervento edilizio assentito e la violazione delle norme vigenti in materia antisismica; la nozione in esame non ricomprende, invece, le modifiche incidenti sulle cubature accessorie, sui volumi tecnici e sulla distribuzione interna delle singole unità abitative.

L’attribuzione a un intervento edilizio della natura di variazione essenziale comporta rilevanti conseguenze. Invero, mentre le varianti in senso stretto al permesso di costruire, ai sensi dell’art. 22, comma 2, t.u. edilizia, e cioè le modificazioni qualitative o quantitative di non rilevante consistenza rispetto al progetto approvato, tali da non comportare un sostanziale e radicale mutamento del nuovo elaborato rispetto a quello oggetto di approvazione, sono soggette al rilascio di permesso in variante, complementare e accessorio, anche sotto il profilo temporale della normativa operante, rispetto all’originario permesso a costruire; le variazioni “essenziali”, giacché caratterizzate da incompatibilità con il progetto edificatorio originario in base ai parametri ricavabili, in via esemplificativa, dall’art. 32 t.u. edilizia, sono soggette al rilascio di un permesso a costruire del tutto nuovo e autonomo rispetto a quello originario (Consiglio di Stato, sezione sesta, sentenze 3 giugno 2021, n. 4279 e 6 febbraio 2019, n. 891)» (Corte cost. n. 119 del 2024).

Un ulteriore richiamo alle variazioni essenziali è stato, da ultimo, operato dall’art. 36-bis d.l. n. 380 del 2001, introdotto dal d.l. n. 69 del 2024, convertito con l. n. 105 del 2024”.

Con la legge "Salva Casa" le variazioni essenziali, come le difformità parziali, possono, dunque, essere sanate, previo il necessario accertamento di compatibilità paesaggistica, se conformi alla normativa edilizia del tempo dell’intervento e a quella urbanistica della presentazione della domanda di sanatoria.

Prima della novella operava - di contro - un diverso regime, in particolare in relazione alle aree assoggettate a vincolo paesaggistico, in quanto l’art. 32 del d.P.R. n. 380/01 così stabiliva:

“1. Fermo restando quanto disposto dal comma 1 dell’articolo 31, le regioni stabiliscono quali siano le variazioni essenziali al progetto approvato, tenuto conto che l’essenzialità ricorre esclusivamente quando si verifica una o più delle seguenti condizioni: a) mutamento della destinazione d’uso che implichi variazione degli standards previsti dal decreto ministeriale 2 aprile 1968, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 97 del 16 aprile 1968; b) aumento consistente della cubatura o della superficie di solaio da valutare in relazione al progetto approvato; c) modifiche sostanziali di parametri urbanistico-edilizi del progetto approvato ovvero della localizzazione dell’edificio sull’area di pertinenza; d) mutamento delle caratteristiche dell’intervento edilizio assentito; e) violazione delle norme vigenti in materia di edilizia antisismica, quando non attenga a fatti procedurali. 2. Non possono ritenersi comunque variazioni essenziali quelle che incidono sulla entità delle cubature accessorie, sui volumi tecnici e sulla distribuzione interna delle singole unità abitative. 3. Gli interventi di cui al comma 1, effettuati su immobili sottoposti a vincolo storico, artistico, architettonico, archeologico, paesistico, ambientale e idrogeologico, nonché su immobili ricadenti sui parchi o in aree protette nazionali e regionali, sono considerati in totale difformità dal permesso, ai sensi e per gli effetti degli articoli 31 e 44. Tutti gli altri interventi sui medesimi immobili sono considerati variazioni essenziali”.

La giurisprudenza, del resto, aveva ripetutamente affermato che « in presenza di interventi edilizi in zona paesaggisticamente vincolata, ai fini della loro qualificazione giuridica e dell’individuazione della sanzione applicabile, è indifferente la distinzione tra interventi eseguiti in difformità totale o parziale ovvero in variazione essenziale, in quanto l’art. 32, c. 3, d.P.R. 380/01, prevede espressamente che tutti gli interventi realizzati in zona sottoposta a vincolo paesaggistico eseguiti in difformità dal titolo abilitativo, inclusi quelli eseguiti in parziale difformità, si considerano come variazioni essenziali e, quindi, quali difformità totale » (così, fra le tante, Cons. Stato, Sez. VI, 2 agosto 2021, n. 5703, nonché Cass. Pen., Sez. III, 18 novembre 2019, n. 1443, secondo cui "in tema di violazioni edilizie, la cd. procedura di “fiscalizzazione” dell'abuso di cui all'art. 34, comma 2, del d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380 (…), non è applicabile alle opere realizzate in zona sottoposta a vincolo paesaggistico, perché queste non possono essere mai ritenute “in parziale difformità”, atteso che tutti gli interventi realizzati in tale zona eseguiti in difformità dal titolo abilitativo si considerano in variazione essenziale e, quindi, in difformità totale rispetto all'intervento autorizzato").

 

Conclusioni

Se fino a qualche tempo fa la questione dell'applicabilità del silenzio assenso di cui all'art. 17-bis della legge n. 241/90 al parere paesaggistico poteva dirsi controversa, allo stato ogni residuo dubbio può ritenersi fugato, come confermato sia dall'inequivoco mutamento giurisprudenziale del Consiglio di Stato sul tema sia dall'importante novità introdotta con l'art. 36-bis dalla legge n. 105/24 (c.d. "Salva Casa"), nella parte in cui prevede espressamente la formazione del silenzio assenso, in luogo dell'originario silenzio rifiuto, nel procedimento di accertamento di compatibilità paesaggistica, esteso finanche a nuove superfici e volumetrie (come quelle determinate da difformità parziali o variazioni essenziali).

D'altronde, lo stesso Consiglio di Stato, in sede consultiva (parere Commissione Speciale n. 1640/2016 del 13 luglio 2016), ha riconosciuto all'istituto una portata generale analoga a quella del nuovo art. 21 nonies ("annullamento di ufficio") della legge n. 241/90 nei rapporti tra amministrazioni e privati, ergendolo a "nuovo paradigma" nel quadro di una regolamentazione attenta ai valori della trasparenza e della certezza.

La presenza di questi nuovi modelli (17-bis e 21-nonies), avvinti dal tratto comune della certezza e della stabilità delle decisioni, si colloca, come è stato icasticamente osservato, in "un'ottica moderna" e “a doppia chiave” all'interno della quale assume preponderante rilievo anche l'art. 97 Cost., posto a presidio della "esigenza di assicurare il primato dei diritti della persona, dell'impresa e dell'operatore economico rispetto a qualsiasi forma di dirigismo burocratico".

Nella logica del primato dei diritti, secondo il Consiglio di Stato, i meccanismi di semplificazione non vanno visti come una forma di sacrificio dell'interesse pubblico, ma piuttosto come "strumenti funzionali a una effettiva tutela dello stesso".

Il silenzio assenso costituisce, infatti, da un lato, una sanzione all’inerzia dei pubblici poteri e, dall’altro, il più efficace dei rimedi a salvaguardia dell’interesse del singolo.

D’altra parte, anche la Corte costituzionale ha elevato a valori e a materia trasversale il procedimento e la semplificazione amministrativa, avvertendo che, nel bilanciamento dei valori in gioco, non può essere consentita  «l’illimitata espansione di uno dei diritti, che diverrebbe “tiranno” nei confronti delle altre situazioni giuridiche costituzionalmente riconosciute e protette, che costituiscono, nel loro insieme, espressione della dignità della persona» (sentenza n. 85 del 2013), dovendosi, pur sempre, garantire l'esigenza di favorire criteri di proporzionalità e di ragionevolezza, al fine di vedere assicurata una tutela unitaria, sistemica e non frammentata degli interessi meritevoli di tutela (sentenze n. 63 del 2016 e n. 264 del 2012).

In tale prospettiva appare certamente innovativa e dirimente anche l'introduzione, nella composita disciplina ordinamentale, dell’art. 2, comma 8-bis, della legge n. 241/90, secondo cui le determinazioni tardive sono irrilevanti in quanto prive di effetti (non solo, quindi, non vincolanti) nei confronti dell’autorità competente[23].

Il principio, peraltro, è ben lumeggiato nella relazione illustrativa al decreto Semplificazioni, dalla quale emerge che l'art. 2, comma 8-bis, della legge n. 241/90 mira a risolvere proprio il problema degli "atti tardivi" al fine di garantire piena efficacia alla regola del silenzio assenso. Ciò al fine di evitare che l'attesa illimitata di un atto di dissenso espresso (…), pur se sopravvenuto oltre i termini prefissati, vanifichi ogni funzione acceleratoria.

È bene ricordare che, anche nel corso delle audizioni svoltesi nelle sedi parlamentari, è stato ribadito che lo scopo della norma è quello di rendere inefficace un diniego (o, comunque, un atto con effetti inibitori) tardivo, che faccia seguito alla maturazione del silenzio assenso ex art. 20 legge 241/90 o al decorso di altri termini perentori, determinando, quindi, l'inutilità dell'impugnazione di tale diniego in sede giurisdizionale.

La volontà legislativa di subordinare, più in generale, l'applicazione del silenzio assenso soltanto al decorso del termine e non anche alla conformità della domanda alla normativa di riferimento è sottolineata, inoltre, anche nel dossier sulla legge di conversione del d.l. n. 77/21 curato dai Servizi studi della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica (in tema, v. in giurisprudenza Cons. Stato, Sez. IV, 21 novembre 2023, n. 9969; Cons. Stato, Sez. VI, 16 febbraio 2023, n. 6661).

 Insomma, il dispositivo tecnico denominato silenzio assenso risponde ad una valutazione legale tipica in forza della quale l'inerzia "equivale" a provvedimento di accoglimento. Tale equivalenza non significa, però, che gli effetti promananti dalla fattispecie siano sottoposti al medesimo regime dell'atto amministrativo, sicché, ove sussistano i requisiti di formazione del silenzio assenso, il titolo abilitativo può perfezionarsi anche con riguardo ad una domanda non conforme a legge.

Reputare, invece, che la fattispecie sia produttiva di effetti soltanto ove corrispondente alla disciplina sostanziale, significherebbe sottrarre i titoli così formatisi alla disciplina della annullabilità: tale trattamento differenziato, fra l'altro, neppure discenderebbe da una scelta legislativa oggettiva, aprioristicamente legata al tipo di materia o di procedimento, bensì opererebbe (in modo del tutto eventuale) in dipendenza del comportamento attivo o inerte della P.A.

In altri termini, l'impostazione di "convertire" i requisiti di validità della fattispecie "silenziosa" in altrettanti elementi costitutivi necessari al suo perfezionamento finirebbe per vanificare in radice le finalità di semplificazione dell'istituto: nessun vantaggio, infatti, avrebbe l'operatore se l'amministrazione potesse, senza oneri e vincoli procedimentali, in qualunque tempo disconoscere gli effetti della domanda.

L'obiettivo di semplificazione perseguito dal legislatore - rendere più spediti i rapporti tra amministrazione e cittadini, senza sottrarre l'attività al controllo dell'amministrazione - viene, dunque, realizzato stabilendo che il potere (primario) di provvedere si esaurisce con il decorso del termine procedimentale, residuando successivamente la sola possibilità di intervenire in autotutela sull'assetto di interessi formatisi "silenziosamente".

Va, poi, sottolineato che l'adozione di un provvedimento di diniego tardivo si porrebbe, in ogni caso, in contrasto con il principio di "collaborazione e buona fede" (e, quindi, di tutela del legittimo affidamento) cui sono informate le relazioni tra i cittadini e l'amministrazione (ai sensi dell'art. 1, comma 2-bis, della legge n. 241 del 1990 che codifica un principio già immanente nell'ordinamento (Cons. Stato, Sez. VI, 8 luglio 2022, n. 5746).

Tirando le fila del ragionamento, la formazione del silenzio assenso risponde, con ogni evidenza, a una logica di semplificazione amministrativa che mira a favorire soprattutto lo sviluppo economico grazie a una maggiore efficienza dell'azione amministrativa da raggiungere attraverso la riduzione dei suoi costi burocratici e temporali.

Orbene, è noto che il favor attuale per il silenzio assenso è da ricondurre alla influenza del diritto europeo e, in particolare, della direttiva Bolkestein del 12 dicembre 2006, n. 2006/123/CE, poi recepita nel nostro ordinamento con il d.lgs. 26 marzo 2010, n. 59.

Infatti, sebbene la direttiva disciplini esclusivamente l'accesso ai servizi e il loro esercizio, è innegabile che i principi di liberalizzazione e semplificazione abbiano condizionato e conformato il diritto amministrativo italiano, avendo, peraltro, anche la giurisprudenza costituzionale (Corte cost., 9 maggio 2014, n. 121; id. 20 luglio 2012, n. 203, e 27 giugno 2012, n. 164) riconosciuto che il principio di semplificazione di derivazione eurounitaria, per effetto proprio della direttiva Bolkestein, rientra ormai "nel novero dei principi fondamentali dell'azione amministrativa".

È pur vero che, a tutela e promozione dell'iniziativa economica privata, il diritto europeo richiede un'amministrazione più efficiente, ma è altrettanto vero che le istituzioni europee, nel valutare i programmi di riforma italiani, hanno più volte rimarcato la necessità di rafforzare la capacità delle amministrazioni, anche locali, al fine di garantire una concreta attuazione del mercato unico.

La Commissione Europea, nella Relazione per paese relativa all'Italia, allegata alle raccomandazioni trasmesse, ha osservato criticamente che "l'elevata età media dei dipendenti pubblici e il basso livello medio delle loro competenze digitali", nonché la scarsa capacità del settore pubblico, soprattutto a livello locale, di amministrare i finanziamenti rappresenta una considerevole barriera agli investimenti in tutti i settori, a causa della complessità delle procedure, della sovrapposizione delle responsabilità e della gestione carente del pubblico impiego. L'inadeguatezza delle competenze nel settore pubblico limita certamente la capacità di valutare, selezionare e gestire i progetti di investimento.

A ciò va aggiunto che, nelle proprie analisi, le Istituzioni europee hanno sempre posto l'accento anche sull'eccessiva complessità delle procedure e degli iter burocratici gravanti sulle imprese.

Si è appreso, infatti, che nel 2020 in Francia vi erano quasi 6 milioni di dipendenti pubblici, nel Regno Unito più di 5, in Germania quasi 5, mentre in Italia ve ne erano soltanto 3,4 milioni.

I dati da allora non sono sensibilmente mutati ma l'Italia ha visto ancor più diminuire rispetto agli altri grandi paesi europei il proprio organico di risorse umane.

Basti pensare, inoltre, che in Italia solo poco più di un lavoratore su 10 è un dipendente pubblico, mentre in Francia lo è uno su cinque, nel Regno Unito il 16% e in Spagna il 15,9%.

Il giusto compromesso risiede, in definitiva, nella combinazione dell'esigenza di favorire l'ammodernamento del paese attraverso il sempre più deciso ricorso a meccanismi di semplificazione con quella di favorire il controllo amministrativo potenziando le strutture con adeguati investimenti nel personale e nelle risorse a disposizione dei pubblici poteri.

Il cammino è certamente ancora lungo e tortuoso, soprattutto perché l’eccesso soffocante di burocrazia è un ostacolo non facile da superare.

Basti pensare che Renato Spaventa, già nel lontano 1928, nello studio critico intitolato  "Burocrazia, ordinamenti amministrativi e fascismo", scriveva sfiduciato:

"Bisogna cambiar metodo, sveltire questa macchina che mal risponde alle esigenze della vita. E sembrerebbe cosa facile, basterebbe un po' di buona volontà per ottenere un acceleramento di lavoro che potrebbe dare vantaggi sensibilissimi. Ma ad un rinnovamento logico par che si opponga un qualche durissimo ostacolo, se, nonostante i decreti, i comandamenti, le raccomandazioni, dopo mesi, dopo anni, ancora non si riesce a mutar nulla nella routine burocratica. Gli è - bisogna dire la verità anche se è dura - che, per mutare rotta bisognerebbe prima cambiare gli individui che governano la nave o, almeno, trasformarne la mentalità. Ed è più facile cambiare gli individui che plasmare un cervello dove i vecchi schemi si sono incasellati ed incastrati sì da formarne parte integrante (…).

Ad uomini adusati per tutta la vita, per una non breve vita d'ufficio, a determinati metodi, deve sembrar cosa impossibile allontanarsene (…).

Leggi e decreti non bastano; occorre che ci siano quelli che vogliono e sappiano farli osservare, quelli che sappiano applicarli".

Il monito di Spaventa, purtroppo, è ancora attuale ma qualcosa si sta pur muovendo e il nuovo paradigma del silenzio assenso segna indubbiamente un passo in avanti nell’ottica della certezza del diritto.

 

 

[1] La sentenza è acquisibile al seguente link

[2] Art. 17-bis (Effetti del silenzio e dell'inerzia nei rapporti)) tra amministrazioni pubbliche e tra amministrazioni pubbliche e gestori di beni o servizi pubblici).

Comma 1. Nei casi in cui è prevista l'acquisizione di assensi, concerti o nulla osta comunque denominati di amministrazioni pubbliche e di gestori di beni o servizi pubblici, per l'adozione di provvedimenti normativi e amministrativi di competenza di altre amministrazioni pubbliche, le amministrazioni o i gestori competenti comunicano il proprio assenso, concerto o nulla osta entro trenta giorni dal ricevimento dello schema di provvedimento, corredato della relativa documentazione, da parte dell'amministrazione procedente. ((Esclusi i casi di cui al comma 3, quando per l'adozione di provvedimenti normativi e amministrativi è prevista la proposta di una o più amministrazioni pubbliche diverse da quella competente ad adottare l'atto, la proposta stessa è trasmessa entro trenta giorni dal ricevimento della richiesta da parte di quest'ultima amministrazione.)) Il termine è interrotto qualora l'amministrazione o il gestore che deve rendere il proprio assenso, concerto o nulla osta rappresenti esigenze istruttorie o richieste di modifica, motivate e formulate in modo puntuale nel termine stesso. In tal caso, l'assenso, il concerto o il nulla osta è reso nei successivi trenta giorni dalla ricezione degli elementi istruttori o dello schema di provvedimento; ((lo stesso termine si applica qualora dette esigenze istruttorie siano rappresentate dall'amministrazione proponente nei casi di cui al secondo periodo.)) ((Non sono ammesse)) ulteriori interruzioni di termini. Comma 2. Decorsi i termini di cui al comma 1 senza che sia stato comunicato l'assenso, il concerto o il nulla osta, lo stesso si intende acquisito. ((Esclusi i casi di cui al comma 3, qualora la proposta non sia trasmessa nei termini di cui al comma 1, secondo periodo, l'amministrazione competente può comunque procedere. In tal caso, lo schema di provvedimento, corredato della relativa documentazione, è trasmesso all'amministrazione che avrebbe dovuto formulare la proposta per acquisirne l'assenso ai sensi del presente articolo.)) In caso di mancato accordo tra le amministrazioni statali coinvolte nei procedimenti di cui al comma 1, il Presidente del Consiglio dei ministri, previa deliberazione del Consiglio dei ministri, decide sulle modifiche da apportare allo schema di provvedimento.

Comma 3. Le disposizioni dei commi 1 e 2 si applicano anche ai casi in cui è prevista l'acquisizione di assensi, concerti o nulla osta comunque denominati di amministrazioni preposte alla tutela ambientale, paesaggistico-territoriale, dei beni culturali e della salute dei cittadini, per l'adozione di provvedimenti normativi e amministrativi di competenza di amministrazioni pubbliche. In tali casi, ove disposizioni di legge o i provvedimenti di cui all'articolo 2 non prevedano un termine diverso, il termine entro il quale le amministrazioni competenti comunicano il proprio assenso, concerto o nulla osta è di novanta giorni dal ricevimento della richiesta da parte dell'amministrazione procedente. Decorsi i suddetti termini senza che sia stato comunicato l'assenso, il concerto o il nulla osta, lo stesso si intende acquisito.

Comma 4. Le disposizioni del presente articolo non si applicano nei casi in cui disposizioni del diritto dell'Unione europea richiedano l'adozione di provvedimenti espressi.

[3] La sentenza è acquisibile al seguente link

[4] La sentenza è stata segnalata dalla rivista giuridica LexAmbiente in data 28 febbraio 2024 ed è acquisibile al seguente link 

[5] Trattasi della sentenza del Consiglio di Stato, Sez. VI, del 1^ ottobre 2019, n. 6556, che, in relazione a un intervento eseguito nel Comune di Arzachena, ha affermato che “correttamente il parere obbligatorio della Soprintendenza è stato acquisito per silentium , ai sensi dell’art. 17-bis della legge n. 241 del 1990, il cui comma 3 espressamente stabilisce che le disposizioni in tema di silenzio assenso tra amministrazioni pubbliche si applicano anche «ai casi in cui è prevista l’acquisizione di assensi, concerti o nulla osta comunque denominati di amministrazioni preposte alla tutela ambientale, paesaggistico-territoriale  …]» – e quindi anche ai procedimenti di accertamento della compatibilità paesaggistica di cui all’art. 167, comma 4, del d.l.gs n. 42 del 2004” –, precisando, altresì, che: «In tali casi, ove disposizioni di legge o i provvedimenti di cui all’articolo 2 non prevedano un termine diverso, il termine entro il quale le amministrazioni competenti comunicano il proprio assenso, concerto o nulla osta è di novanta giorni dal ricevimento della richiesta da parte dell’amministrazione procedente. Decorsi i suddetti termini senza che sia stato comunicato l’assenso, il concerto o il nulla osta si intende acquisito».

[6] Ancora sull’art. 17-bis, v. il contributo “In claris non fit interpretatio; sulla duplice (anzi triplice) esegesi pretoria in materia di silenzio assenso ex art. 17 bis l. n. 241/1990 e parere paesaggistico soprintendentizio” di G. DELLE CAVE, pubblicato su Giustizia Insieme in data 18 gennaio 2023, reperibile al seguente link.

Appare utile segnalare sul tema anche N. DURANTE, Il controverso regime delle autorizzazioni paesaggistiche, in Giustizia Amministrativa, anno di pubblicazione 2024; M.A. SANDULLI, Silenzio assenso e inesauribilità del potere, 16 e seg., in Giustizia amministrativa, 1^ maggio 2022, secondo cui “il procedimento di rilascio dell’autorizzazione paesaggistica di cui all’art. 146 d.lgs. n. 42 del 2004 configura un’ipotesi di co-gestione attiva del vincolo paesaggistico da parte di due amministrazioni e rientra, quindi, a pieno titolo tra le decisioni ‘pluri-strutturate’, nelle quali, per poter emanare il provvedimento conclusivo, l’amministrazione procedente deve, per legge, acquisire l’assenso vincolante di un’altra amministrazione”; P. CARPENTIERI, Silenzio assenso e termine a provvedere, anche con riferimento all’autorizzazione paesaggistica. Esiste ancora l’inesauribilità del potere amministrativo?, in Giustizia amministrativa, 11 aprile 2022; D. AMOROSINO, Autorizzazioni paesaggistiche: una sentenza “passatista” del Consiglio di Stato disattesa dal T.A.R. Salerno, in Urbanistica e appalti, n. 4/2021; A. BERLUCCHI, Il parere tardivo espresso dalla soprintendenza per i beni architettonici e paesaggistici ex art. 146 D.lgs n. 2004/42: spunti di riflessione, in Riv. giur. ed., 2017, 130; G. DELLE CAVE, Autorizzazione paesaggistica e silenzio assenso tra P.A.: un connubio (im)possibile? competenze procedimentali e portata applicativa dell’art. 17-bis l. n. 241/1990 (nota a Consiglio di Stato, Sez. IV, 29 marzo 2021, n. 2640), in Giustizia Insieme, 6 luglio 2021; F. SCALIA, Il silenzio assenso nelle c.d. materie sensibili alla luce della riforma Madia, in Urb. app., 1, 2016, 11; F. APERIO BELLA, Il silenzio-assenso tra pubbliche amministrazioni (il nuovo art. 17 bis della l. n. 241 del 1990), intervento al convegno «I rimedi contro la cattiva amministrazione. Procedimento amministrativo ed attività produttive e imprenditoriali, 8-9 aprile 2016, Campobasso, in www.diritto-amministrativo.org; M. BOMBARDELLI, Il silenzio assenso tra amministrazioni e il rischio di eccesso di velocità nelle accelerazioni procedimentali, in Urb. app., 2016, 7, 758 ss.; A. CONTIERI, Il silenzio assenso tra le amministrazioni secondo l’art. 17 bis della legge n. 241/1990: la resistibile ascesa della semplificazione meramente temporale, in Scritti per Franco Gaetano Scoca, Napoli, 2020, 1173 e ss.; F. DE LEONARDIS, Il silenzio assenso in materia ambientale: considerazioni critiche sull’art. 17 bis introdotto dalla c.d. riforma Madia, in Federalismi.it, 2015; A. DEL PRETE, Il silenzio assenso tra pubbliche amministrazioni: profili critici e sistematici, in Riv. giur. edil., 2018, 3, 704 e ss.; F. MARTINES, La “non decisione” sugli interessi pubblici sensibili: il silenzio assenso fra amministrazioni pubbliche introdotto dall’art. 17 bis della l. 241/1990, in Dir. amm., 2018, 3, 747 e ss.; P. MARZARO, Il coordinamento orizzontale tra amministrazioni: l’art. 17 bis della legge n. 241 del 1990, dopo l’intervento del Consiglio di Stato. Rilevanza dell’istituto nella co-gestione dell’interesse paesaggistico e rapporti con la conferenza di servizi, in Riv. giur. urb., 2016, 2, 10 ss.; id. Silenzio assenso tra Amministrazioni: dimensioni e contenuti di una nuova figura di coordinamento ‘orizzontale’ all’interno della ‘nuova amministrazione’ disegnata dal Consiglio di Stato, in Federalismi.it, 2016.

[7] I. CACCIAVILLANI, La conferenza di servizi nella c.d. «Legge Madia»: riforma od atrofizzazione, in www.lexitalia.it, n. 3/2016; La Riforma Madia riscrive integralmente la conferenza di servizi, in Comuni d’Italia, 2016, fasc. 6, 16; M. SANTINI, La nuova conferenza di servizi dopo la Riforma Madia – Dalla l. 7 agosto 1990 n. 241 al d.lgs. 30 giugno 2016 n. 127, Roma, 2016; M. SANTINI, La Riforma Madia sulla conferenza di servizi, in Nuovo dir.  amm., 2016, fasc. 5, 13; S. MEZZACAPO, Norme per il riordino della disciplina in materia di conferenza di servizi, in attuazione dell’art. 2 l. 7 agosto 2015 n. 124 (commento al d.lgs. 30 giugno 2016 n. 127), in Guida al dir. dossier, 2016, fasc. 5, 86; G. CONTI, La conferenza di servizi dopo le modifiche introdotte dalla l. n. 127 del 15 maggio 1997, in Giornale dir. amm., 2016, 578; G. VESPERINI, La nuova conferenza di servizi (commento al d.lgs. 30 giugno 2016, n. 127), in Riv.  giur. urbanistica, 2016; 12; A. CIMELLARO - A.  FERRUTI, Dal 28 luglio 2016 al via la nuova conferenza di servizi – D.lgs. 30 giugno 2016 n. 127, in Comuni d’Italia, 2016, fasc. 5, 45; L. DE LUCIA, La conferenza di servizi nel d.lgs. 30 giugno 2016, n. 127, in Dir. economia, 1997, 547.

[8] V. Cons. Stato, Sez. IV, 19 aprile 2021, n. 3145; Cons. Stato, Sez. VI, 21 novembre 2016, n. 4843; id. 18 marzo 2021, n. 2358; 19 marzo 2021, n. 2390; 21 novembre 2016, n. 4843; 15 maggio 2017, n. 2262; 17 marzo 2020, n. 1903; 16 giugno 2020, n. 3885.

[9] V. Cons. Stato, Commissione Speciale, 23 giugno 2016, n. 1640 cit.; Sez. VI, 1^ ottobre 2019, n. 6556; idem, Sez. IV, 14 luglio 2020, n. 4559; Sez. V, 14 gennaio 2022, n. 255.

Sul tema, v., in dottrina, R. LEONARDI, L’applicazione del silenzio assenso orizzontale al parere della soprintendenza nel procedimento autorizzatorio paesaggistico come atto codecisorio di un procedimento pluristrutturato (nota a Cons. Stato, Sez. IV, 2 ottobre 2023, n. 8610), in www.giustiziainsieme.it, 13 dicembre 2023; S. CAGGEGI, Funzione del parere di compatibilità paesaggistica e sindacabilità degli atti finalizzati alla tutela ambientale. Nota a Consiglio di Stato, sez. IV, 21 marzo 2023, n. 2836, in www.giustiziainsieme.it, 14 giugno 2023. F. DE LEONARDIS, Il silenzio assenso in materia ambientale: considerazioni critiche sull'art. 17 bis introdotto dalla cd. riforma Madia, in Federalismi.it. (Intervento al Seminario a porte chiuse sulla legge Madia organizzato da Federalismi, osservatorio sui processi di governo e FormAP, tenutosi a Roma il 7 ottobre 2015). Secondo l’Autore, la norma dell’art. 17 bis costituisce “una vera e propria fuga in avanti in quella che si potrebbe definire la guerra di logoramento degli interessi sensibili che vengono sempre più parificati a quelli ordinari”. Pur condividendo “l’assoluta necessità di prevedere tempi più rapidi di conclusione dei procedimenti e di trovare il modo di evitare che l’inerzia delle amministrazioni possa ritardare l'esecuzione di qualsiasi iniziativa privata o addirittura sostanzialmente bloccarla”, l’Autore conclude che il nuovo intervento legislativo sconta la mancata coerenza con l’art. 20 della legge n. 241/90, la compatibilità con il diritto europeo (Corte Giust., 28 febbraio 1991, C-360/87, Commissione c/ Rep. Italiana; Corte Giust., 28 febbraio 1991, in C-131/88, Commissione c. Germania; Corte Giust., 19 giugno 2001, in C-230/00, Commissione c. Regno del Belgio) e la mancata valutazione dell’impatto della norma. Più in generale, sul silenzio assenso, oltre ai vari commentari alla legge n. 241/90, si vedano A.M. SANDULLI, Il silenzio della pubblica amministrazione oggi: aspetti sostanziali e processuali, in Dir. Soc., 1982, p. 731, ed in Scritti giuridici, Napoli, 1990, V, p. 695 ss.; S. BACCARINI, Silenzio della pubblica amministrazione e comportamenti legalmente tipizzati, in Il silenzio della pubblica amministrazione. Aspetti sostanziali e processuali, Atti del XXVIII convegno di studi di scienza dell'amministrazione, Varenna 1982, Milano, 1985, 371 ss. E. BONELLI, Prime riflessioni sulla nuova disciplina in tema di silenzio e d.i.a., in Giustizia Amministrativa, n. 10-2005. Osserva, in particolare, l’Autore che “la disciplina del silenzio è stata interessata da modifiche di grande rilievo, in quanto, a seguito della introduzione di precisi termini per la conclusione del procedimento (cfr. art. 2 d.l. n. 35/2005), il comportamento omissivo dell’amministrazione viene ad essere configurato come silenzio diniego, ovvero significativo, nel senso del non accoglimento della istanza del privato; come logico pendant l’istituto del silenzio assenso (cfr. art. 20 d.l. cit.) viene ad essere ulteriormente valorizzato, tanto da divenire il modo normale di conclusione dei procedimenti ad istanza di parte per il rilascio di provvedimenti amministrativi ampliativi della sfera giuridica dei privati, salve le eccezioni indicate dalla norma”. L. FERRARA, D.i.a. e silenzio-assenso tra autoamministrazione e semplificazione, in Dir. amm., 2006, pp. 759 e ss.; TRAVI, Silenzio assenso ed esercizio delle funzioni amministrative, Padova, 1985; P.G. LIGNANI, Silenzio (dir. Amm.), in Enc. dir. Aggiornamento, III, Milano 1999; B. TONOLETTI, Silenzio della pubblica amministrazione, in Dig. disc. pubbl., XIV, Torino, 1998. R. GIOVAGNOLI, Il silenzio della pubblica amministrazione dopo la legge n. 80/2005, Milano, 2005; M.P. CHITI, I signori del diritto comunitario, in Riv. trim. dir. pubbl., 1991, 815 ss.; ID., Diritto amministrativo europeo, Milano, 2004, 433 - 434; G. FONDERICO, Il nuovo tempo del procedimento, la d.i.a. e il silenzio assenso, in Giorn. dir. amm., 10/2005, 1027; A. ROMANO, A proposito dei vigenti artt. 19 e 20 della l. 241 del 1990: divagazioni sull'autonomia dell'amministrazione, 489; A. PAJNO, Gli artt. 19 e 20 della l. n. 241 prima e dopo la l. 24 dicembre 1993, n. 537. Intrapresa dell’attività privata e silenzio dell’amministrazione, in Dir. proc. amm., 1994, 40 ss.; G. DE MINICO, Note sugli articoli 19 e 20 l. 241/1990, in Dir. amm., 1993, 267; A. CIOFFI, Dovere di provvedere e silenzio assenso della pubblica amministrazione dopo la legge 14 maggio 2005 n. 80, in Dir. Amm., 2006, 99; L. FERRARA, D.i.a. e silenzio-assenso tra autoamministrazione e semplificazione, in Dir. amm., 2006, pp. 759 ss.; E. SCOTTI, Tra tipicità e atipicità delle azioni nel processo amminstrativo (a proposito di Ad.pl. 15/11), in Dir. amm. , fasc. 4, 2011, 765; G. VESPERINI, La denuncia di inizio attività e il silenzio assenso, in Le nuove regole dell’azione amministrativa, a cura di G. Sciullo, Bologna, 2006; F. SAITTA, La riforma della legge n. 241/90 tre anni dopo: spunti di riflessioni su partecipazione, accordi, dia e silenzio assenso alla luce delle prime indicazioni dottrinali e giurisprudenziali, in Diritto e processo amministrativo, 2009, 45; E. BOSCOLO, Il perimetro del silenzio assenso tra generalizzazioni, eccezioni per materia e norme previgenti, in Urb. app., 2009, 454; M.A. SANDULLI, L’istituto del silenzio assenso tra semplificazione e incertezza, in Nuove autonomie, 2012, 453; G. MANGIALARDI, Sui limiti di applicazione del silenzio assenso ai procedimenti europei, in Urb. app., 2015, 54. M, RENNA, Le semplificazioni amministrative (nel decreto legislativo n. 152/2006), in Riv. giur. Ambiente, 2009, 649. M. BOMBARDELLI, Il silenzio assenso tra amministrazioni, in Urb. e app., 2016, 765, il quale rileva che “le disposizioni sul silenzio assenso tra amministrazioni non vanno direttamente a modificare la disciplina d’istituti già esistenti; tuttavia, esse alimentano l’instabilità del quadro normativo perché calano in un contesto già fortemente strutturato - quello appunto degli strumenti di semplificazione di cui al Capo IV, l. n. 241/1990 - delle opzioni interpretative non pienamente coerenti, che creano incertezza per le amministrazioni chiamate ad applicarle e per alcuni aspetti introducono anche dei vincoli contrastanti con la disciplina di altri strumenti di semplificazione”. A. POLICE, Il dovere di concludere il procedimento e il silenzio inadempimento, in M.A. SANDULLI (a cura di), Codice dell'azione amministrativa, Milano. G. MARI, Autorizzazioni preliminari e titoli abilitativi edilizi: il ruolo dello sportello unico dell'edilizia, la conferenza di servizi e il silenzio assenso di cui agli artt. 17-bis e 20 l. n. 241/1990, in Aa.Vv., Semplificazione e trasparenza amministrativa: esperienze italiane ed europee a confronto, atti dei convegni Strategie di contrasto alla corruzione: l. 06/11/2012 n. 190 e s.m.i. e Titoli abilitativi edilizi, Sblocca Italia e Decreti del Fare, Napoli, 2016, 39 ss.

[10] V. Cons. Stato, Sez. IV, 19 aprile 2021, n. 3145; Cons. Stato, Sez. VI, 21 novembre 2016, n. 4843; id. 18 marzo 2021, n. 2358; 19 marzo 2021, n. 2390; 21 novembre 2016, n. 4843; 15 maggio 2017, n. 2262; 17 marzo 2020, n. 1903; 16 giugno 2020, n. 3885.

[11] Principi opportunamente richiamati e ribaditi dal T.A.R. Campania Napoli, Sez. IV, nella sentenza del 18 aprile 2024, n. 2190.

[12] V. Cons. Stato, Sez. IV, 19 aprile 2021, n. 3145; Cons. Stato, Sez. VI, 21 novembre 2016, n. 4843; id. 18 marzo 2021, n. 2358; 19 marzo 2021, n. 2390; 21 novembre 2016, n. 4843; 15 maggio 2017, n. 2262; 17 marzo 2020, n. 1903; 16 giugno 2020, n. 3885.               

[13] V., in particolare, Consiglio di Stato, Sez. II, 19 agosto 2022, n. 7293; Consiglio di Stato, Sez. VI, 6 febbraio 2019, n. 895; Consiglio di Stato, Sez. VI, 13 maggio 2016, n. 1935; T.A.R. Toscana, Sez. III, 12 novembre 2019, n. 1520.

[14] Il T.A.R. Campania Napoli, Sez. VI, con sentenza del 16 agosto 2021, n. 5503, ha precisato che, in tali casi, anche la richiesta di integrazione documentale tardiva è illegittima perché vanifica “l’esigenza di assicurare certezza e stabilità alle situazioni giuridiche discendenti da provvedimenti amministrativi, in funzione di tutela: - a latere privatistico, dell’affidamento del privato, la cui sfera giuridica, ampliata dal potere amministrativo, non può tollerare una situazione di diuturna instabilità; - a latere pubblicistico, a garantire la inoppugnabilità degli atti anche nell’interesse della Amministrazione, nella fattispecie di quella comunale”.

Del resto, l’art. 146 del d.lgs. n. 42/04, prevede testualmente, al comma 7, che: “L’amministrazione competente al rilascio dell’autorizzazione paesaggistica verifica se ricorrono i presupposti per l’applicazione dell’articolo 149, comma 1, alla stregua dei criteri fissati ai sensi degli articoli 140, comma 2, 141, comma 1, 141-bis e 143, comma 1, lettere b), c) e d). Qualora detti presupposti non ricorrano, l’amministrazione verifica se l’istanza stessa sia corredata della documentazione di cui al comma 3, provvedendo, ove necessario, a richiedere le opportune integrazioni e a svolgere gli accertamenti del caso”.

Dall’inequivoco tenore della suddetta disposizione emerge, in definitiva, che la sola amministrazione regionale o delegata (e non anche la Soprintendenza) può richiedere “le opportune integrazioni”.

Peraltro, già nella vigenza dell’art. 159 del d.lgs. n. 42/04, la giurisprudenza amministrativa aveva precisato che la richiesta di informazioni o di atti ulteriori rispetto a quelli oggetto del procedimento conclusosi con il rilascio del nulla osta da parte dell’ente comunale non era idonea ad interrompere il termine perentorio di sessanta giorni previsto per l’esercizio del potere statale di annullamento.

Il Consiglio di Stato, in particolare, con sentenza della Sezione VI del 12 agosto 2002, n. 4182, aveva affermato che "una volta che la documentazione acquisita nel procedimento conclusosi con il nulla osta comunale sia stata trasmessa in modo completo, unitamente ovviamente all'autorizzazione stessa, si deve ritenere che decorra il termine di sessanta giorni per l'esercizio del potere di annullamento senza che lo stesso possa essere interrotto da richieste istruttorie, che risultano idonee ad interrompere il termine solo in caso di incompleta trasmissione della documentazione su cui l'ente regionale (o sub-delegato, come nel caso di specie) si sia pronunciato” (v., in argomento, anche Corte cost. n. 359 del 18 dicembre 1985; n. 153 del 24 giugno 1986; n. 302 del 9 marzo 1988 e n. 1112 del 12 dicembre 1988; nonché T.A.R. Sardegna n. 1081 del 10 luglio 2001).

Sia consentito rinviare, sul tema, anche a B. MOLINARO, Condono edilizio: vietato chiedere integrazioni documentali a tempo scaduto, in Altalex, Quotidiano di informazione giuridica, 21 settembre 2021.

[15] V., in particolare, Consiglio di Stato, Sez. II, 19 agosto 2022, n. 7293; Consiglio di Stato, Sez. VI, 6 febbraio 2019, n. 895; Consiglio di Stato, Sez. VI, 13 maggio 2016, n. 1935; T.A.R. Toscana, Sez. III, 12 novembre 2019, n. 1520.

[16] V., sul punto, ancora T.A.R. Campania Napoli, Sez. VI, n. 5503 cit.

[17] V., in termini, Consiglio di Stato, Sez. VI, 28 gennaio 2019, n. 721, e la giurisprudenza richiamata.

[18] V. Consiglio di Stato, Sez. IV, 15 aprile 2021, n. 3092, secondo cui è conforme il parere che si imponga nel suo contenuto all'amministrazione procedente, la quale, nell'adottare il provvedimento finale, è tenuta esclusivamente, nell'esercizio dei poteri ad essa peculiari di amministrazione attiva, alla verifica estrinseca della completezza e della regolarità del precedente procedimento di valutazione, senza quindi attivare una nuova ed autonoma valutazione di merito).

Come precisato dal Consiglio di Stato, “un termine può […] essere considerato come perentorio o quando sia espressamente qualificato come tale o quando sia prevista la comminatoria di esclusioni o decadenze; lo stesso termine, ove non sia indicato come perentorio, ha funzione solo acceleratoria, cosicché il suo superamento non comporta la decadenza della potestà amministrativa al riguardo o l'illegittimità del provvedimento conclusivo” (Consiglio di Stato, Sez. V, 17 marzo 2015, n. 1374).

[19] Dello stesso tenore è anche la Circolare del Ministero della Cultura, Direzione Generale Archeologia, Belle Arti e Paesaggio, Servizio V, del 7 ottobre 2019, Class. 34.28, in cui leggesi che l'Ufficio Legislativo, con i pareri prot. n. 27158 del 10 novembre 2015 e prot. n. 21892 del 20 luglio 2016, ha concluso per "l'inapplicabilità del silenzio assenso in luogo del parere della Soprintendenza nel procedimento di compatibilità paesaggistica", i cui caratteri peculiari (mancanza di uno schema di provvedimento sottoposto dall'Amministrazione procedente e carattere vincolante del parere della Soprintendenza) non sono compatibili con quelli dettati dall'art. 17-bis della legge n. 241/90".

[20] Come precisato dal Consiglio di Stato, “un termine può […] essere considerato come perentorio o quando sia espressamente qualificato come tale o quando sia prevista la comminatoria di esclusioni o decadenze; lo stesso termine, ove non sia indicato come perentorio, ha funzione solo acceleratoria, cosicché il suo superamento non comporta la decadenza della potestà amministrativa al riguardo o l'illegittimità del provvedimento conclusivo” (Consiglio di Stato, Sez. V, 17 marzo 2015, n. 1374).

[21] Scire leges non hoc est verba earum tenere, sed vim ac potestatem” (D.1,3,17, Celso).

[22] Art. 36-bis – Accertamento di conformità nelle ipotesi di parziali difformità e di variazioni essenziali

[Articolo introdotto dal D.L. 69/24, c.d. decreto “Salva Casa”, modificato dalla legge 105/24 di conversione]

1. In caso di interventi realizzati in parziale difformità dal permesso di costruire o dalla segnalazione certificata di inizio attività nelle ipotesi di cui all’articolo 34 ovvero in assenza o in difformità dalla segnalazione certificata di inizio attività nelle ipotesi di cui all’articolo 37, fino alla scadenza dei termini di cui all’articolo 34, comma 1 e comunque fino all’irrogazione delle sanzioni amministrative, il responsabile dell’abuso, o l’attuale proprietario dell’immobile, possono ottenere il permesso di costruire e presentare la segnalazione certificata di inizio attività in sanatoria se l’intervento risulti conforme alla disciplina urbanistica vigente al momento della presentazione della domanda, nonché ai requisiti prescritti dalla disciplina edilizia vigente al momento della realizzazione. Le disposizioni del presente articolo si applicano anche alle variazioni essenziali di cui all’articolo 32.

2. Il permesso presentato ai sensi del comma 1 può essere rilasciato dallo Sportello unico per l’edilizia di cui all’articolo 5, comma 4-bis, subordinatamente alla preventiva attuazione, entro il termine assegnato dallo Sportello unico, degli interventi di cui al secondo periodo del presente comma. In sede di esame delle richieste di permesso in sanatoria lo Sportello unico può condizionare il rilascio del provvedimento alla realizzazione, da parte del richiedente, degli interventi edilizi, anche strutturali, necessari per assicurare l’osservanza della normativa tecnica di settore relativa ai requisiti di sicurezza e alla rimozione delle opere che non possono essere sanate ai sensi del presente articolo. Per le segnalazioni certificate di inizio attività presentate ai sensi del comma 1, lo Sportello unico individua tra gli interventi di cui al secondo periodo del presente comma le misure da prescrivere ai sensi dell’articolo 19, comma 3, secondo, terzo e quarto periodo della legge 7 agosto 1990, n. 241, che costituiscono condizioni per la formazione del titolo.

3. La richiesta del permesso di costruire o la segnalazione certificata di inizio attività in sanatoria sono accompagnate dalla dichiarazione del professionista abilitato che attesta le necessarie conformità. Per la conformità edilizia, la dichiarazione è resa con riferimento alle norme tecniche vigenti al momento della realizzazione dell’intervento. L’epoca di realizzazione dell’intervento è provata mediante la documentazione di cui all’articolo 9-bis, comma 1-bis, quarto e quinto periodo. Nei casi in cui sia impossibile accertare l’epoca di realizzazione dell’intervento mediante la documentazione indicata nel terzo periodo del presente comma, il tecnico incaricato attesta la data di realizzazione con propria dichiarazione e sotto la propria responsabilità. In caso di dichiarazione falsa o mendace si applicano le sanzioni penali, comprese quelle previste dal capo VI del testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di documentazione amministrativa, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 28 dicembre 2000, n. 445.

3-bis. Per gli immobili ubicati nelle zone sismiche di cui all’articolo 83, ad eccezione di quelle a bassa sismicità all’uopo indicate nei decreti di cui al medesimo articolo 83, si applicano, in quanto compatibili, le disposizioni dell’articolo 34-bis, comma 3-bis.

4. Qualora gli interventi di cui al comma 1 siano eseguiti in assenza o difformità dall’autorizzazione paesaggistica, il dirigente o il responsabile dell’ufficio richiede all’autorità preposta alla gestione del vincolo apposito parere vincolante in merito all’accertamento della compatibilità paesaggistica dell’intervento, anche in caso di lavori che abbiano determinato la creazione di superfici utili o volumi ovvero l’aumento di quelli legittimamente realizzati. L’autorità competente si pronuncia sulla domanda entro il termine perentorio di centottanta giorni, previo parere vincolante della soprintendenza da rendersi entro il termine perentorio di novanta giorni. Se i pareri non sono resi entro i termini di cui al secondo periodo, si intende formato il silenzio-assenso e il dirigente o responsabile dell’ufficio provvede autonomamente. Le disposizioni del presente comma si applicano anche nei casi in cui gli interventi di cui al comma 1 risultino incompatibili con il vincolo paesaggistico apposto in data successiva alla loro realizzazione.

5. Il rilascio del permesso e la segnalazione certificata di inizio attività in sanatoria sono subordinati al pagamento, a titolo di oblazione, di un importo:

pari al doppio del contributo di costruzione ovvero, in caso di gratuità a norma di legge, determinato in misura pari a quella prevista dall’articolo 16, incrementato del 20 per cento in caso di interventi realizzati in parziale difformità dal permesso di costruire, nelle ipotesi di cui all’articolo 34, e in caso di variazioni essenziali ai sensi dell’articolo 32. Non si applica l’incremento del 20 per cento nei casi in cui l’intervento risulti conforme alla disciplina urbanistica ed edilizia vigente sia al momento della realizzazione dello stesso, sia al momento della presentazione della domanda;

pari al doppio dell’aumento del valore venale dell’immobile valutato dai competenti uffici dell’Agenzia delle entrate, in una misura, determinata dal responsabile del procedimento, non inferiore a 1.032 euro e non superiore a 10.328 euro ove l’intervento sia eseguito in assenza della segnalazione certificata di inizio attività o in difformità da essa, nei casi di cui all’articolo 37, e in misura non inferiore a 516 euro e non superiore a 5.164 euro ove l’intervento risulti conforme alla disciplina urbanistica ed edilizia vigente sia al momento della realizzazione dello stesso, sia al momento della presentazione della domanda.

5-bis. Nelle ipotesi di cui al comma 4, qualora sia accertata la compatibilità paesaggistica, si applica altresì una sanzione determinata previa perizia di stima ed equivalente al maggiore importo tra il danno arrecato e il profitto conseguito mediante la trasgressione; in caso di rigetto della domanda si applica la sanzione demolitoria di cui all’articolo 167, comma 1, del codice dei beni culturali e del paesaggio, di cui al decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42.

6. Sulla richiesta di permesso in sanatoria il dirigente o il responsabile del competente ufficio comunale si pronuncia con provvedimento motivato entro quarantacinque giorni, decorsi i quali la richiesta si intende accolta. Alle segnalazioni di inizio attività presentate ai sensi del comma 1, si applica il termine di cui all’articolo 19, comma 6-bis, della legge 7 agosto 1990, n. 241. Nelle ipotesi di cui al comma 4, i termini di cui al primo e secondo periodo del presente comma sono sospesi fino alla definizione del procedimento di compatibilità paesaggistica. Decorsi i termini di cui al primo, secondo e terzo periodo, eventuali successive determinazioni del competente ufficio comunale sono inefficaci. Il termine è interrotto qualora l’ufficio rappresenti esigenze istruttorie, motivate e formulate in modo puntuale nei termini stessi, e ricomincia a decorrere dalla ricezione degli elementi istruttori. Nei casi di cui al presente comma, l’amministrazione è tenuta a rilasciare, in via telematica, su richiesta del privato, un’attestazione circa il decorso dei termini del procedimento e dell’intervenuta formazione dei titoli abilitativi. Decorsi inutilmente dieci giorni dalla richiesta, l’istante può esercitare l’azione prevista dall’articolo 31 del codice del processo amministrativo, di cui all’allegato 1 annesso al decreto legislativo 2 luglio 2010, n. 104. In caso di accertata carenza dei requisiti e dei presupposti per la sanatoria, il dirigente o il responsabile del competente ufficio comunale applica le sanzioni previste dal presente testo unico.

[23] Sul tema dell’inefficacia degli atti tardivi, si veda l’interessante contributo di L. GOLISANO, L’inefficacia degli atti tardivi e i presupposti per la formazione del silenzio-assenso in materia edilizia, in Federalismi.it, 8 febbraio 2023, nonché: M.A. SANDULLI, Silenzio assenso e inesauribilità del potere, in Giustizia Amministrativa.it., 24 maggio 2022; M. MACCHIA, L’inefficacia del provvedimento amministrativo e gli oneri regolatori nel decreto legge ‘Semplificazioni’, in Quaderni Costituzionali, 3/2020; M. CALABRÒ, Il silenzio assenso nella disciplina del permesso di costruire. L’inefficacia della decisione tardiva nel d.l. n. 76/2020 (c.d. decreto semplificazioni) (note a margine di Cons. Stato, Sez. VI, 13 agosto 2020, n. 5034, e T.A.R. Lazio, Roma, Sez. II-bis, 1° luglio 2020, n. 7476), in Giustizia Insieme; M. CALABRÒ, L’inefficacia del provvedimento tardivo di cui al nuovo art. 2, co. 8-bis della l. n. 241/1990 e gli effetti sulla disciplina del silenzio assenso: primi passi nell’ottica della certezza del diritto, in AmbienteDiritto.it, n. 1, 2021; F. G. RUSSO, Il provvedimento inefficace, rectius inutile nell’ambito del comma 8-bis dell’articolo 2 della Legge n. 241/1990, in Ratioiuris.it, 2021; VERNILE, Ragionevole durata del procedimento amministrativo e “sorte” dell’atto tardivo, in Il diritto dell’economia, n. 3, 2020. In giurisprudenza, gli atti tardivi sono stati espressamente ritenuti come inefficaci nelle seguenti sentenze: Consiglio di Stato, Sez. IV, 2 ottobre 2023, n. 8610; T.A.R. Campania, Sez. II, Salerno, 21 marzo 2022, n. 772; id., 29 novembre 2021, n. 2589; T.A.R. Piemonte, Sez. II, 29 giugno 2022, n. 605; T.A.R. Puglia, Sez. III, 25 marzo 2022, n. 423; T.A.R. Friuli-Venezia Giulia, Sez. I, 3 aprile 2021, n. 121.