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Le pensioni con i fichi secchi

Fico
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Le pensioni con i fichi secchi

Nel mio intervento del 22 settembre 2023 su Filodiritto, ho concluso affermando che le pensioni obbligatorie di primo pilastro non possono dipendere dai mercati finanziari, perché diventerebbero volatili.

Affidare i montanti contributi obbligatori ai mercati finanziari, significa essere disposti ad accettare un margine di incertezza nel poter disporre della pensione, tanto più elevato tanto più è alto il tasso del rendimento atteso  dagli investimenti.

Tutti dovrebbero capire che, a maggior ragione in questi anni, per battere la sola inflazione occorre accettare un rischio molto alto, altrimenti ci pensa l’inflazione ad erodere i montanti contributivi.

Il tutto senza regole cogenti perché, com’è noto, si aspetta da oltre dieci anni la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale del regolamento per gli investimenti delle Casse di previdenza dei professionisti.

È notizia di questi giorni che il Regolamento governativo sugli investimenti si trova sotto la lente di ingrandimento del Consiglio di Stato che sta effettuando le opportune verifiche sul testo stilato dal Ministero dell’Economia, di concerto con quello del Lavoro.

Il regolamento pare che non contenga tetti percentuali, né minimi né massimi, sui beni detenuti e gestiti, come era nella stesura cognita, così da lasciare ampia autonomia alle Casse di previdenza.

Ma credo non possa essere ignorato il parere del Consiglio di Stato n.517/2016 reso  nella adunanza  dell’11 febbraio 2016 dato che siamo pur sempre in uno Stato di diritto.

Infatti come ritenuto dalla Corte dei Conti nella  Audizione avanti la  Commissione parlamentare di controllo sull'attività degli enti gestori di forme obbligatorie di previdenza e assistenza sociale del 28 maggio 2019 «Lo schema di decreto contempla, inoltre, dei limiti prudenziali collegati alla gestione del rischio; alcuni di carattere qualitativo (ad esempio l’ammissibilità degli strumenti derivati per sole finalità di copertura o efficiente gestione, da motivare adeguatamente; l’inammissibilità dei derivati connessi a merci per i quali esista l‘obbligo di consegna del sottostante a scadenza; l’ammissibilità dell’investimento in OICR, organismi di investimento collettivo del risparmio, ove non generi neanche indirettamente una concentrazione del rischio incompatibile con i parametri predefiniti dall’ente), altri di tipo quantitativo (ad esempio con riferimento agli investimenti diretti in beni immobili e diritti reali immobiliari, per non oltre il 20 per cento del patrimonio; alla disponibilità di azioni o quote con diritto di voto, per non oltre il 5 per cento di quelle emesse dalla società se quotata, ovvero non oltre il 10 per cento, se non quotata; alle esposizioni tramite derivati, per non oltre il 5 per cento delle disponibilità complessive se emessi da unico soggetto e non più del 10 per cento se emessi da appartenenti ad un unico gruppo; agli strumenti non negoziati in mercati regolamentati, per non oltre il 30 per cento). Ed è la stessa Corte dei Conti  ad affermare che “Al riguardo non va dimenticato che l’art. 2, comma 2, del citato d. lgs. n. 509 del 1994 prevede che la gestione economico-finanziaria degli enti previdenziali privatizzati debba assicurare l’equilibrio di bilancio mediante l’adozione di provvedimenti coerenti con le indicazioni risultanti dal bilancio tecnico, con proiezione dei dati attuariali su un lungo periodo (art. 24, comma 24, del d.l. 6 dicembre 2011, n. 201, convertito dalla l. 22 dicembre 2011, n. 214). Tale disposizione, al fine di garantire l’equilibrio finanziario nel tempo, pone l’accento sulla necessità che gli enti assicurino tendenzialmente l’equilibrio con le entrate contributive e non, quindi, con quelle derivanti dalla gestione del patrimonio. Peraltro, come già indicato, la riduzione delle entrate contributive costituisce anche il riflesso di fattori demografici e biometrici, nonché dell’andamento sfavorevole del mercato del lavoro in determinati settori».

Il lettore dovrebbe però essersi reso conto che la pensione obbligatoria di primo pilastro, di cui all’art. 38 della nostra Carta Costituzionale, non può essere volatile perché legata all’andamento dei mercati finanziari che possono dare buoni risultati, ma anche perdite secche non solo di interessi ma anche dello stesso capitale investito,  il che significa restare senza pensione.

Una riprova di quanto vado dicendo la si può rinvenire nella storia di FICO.

FICO è l’acronimo del sogno farinettiano e sta per Fabbrica Italiana Contadina.

Il progetto si struttura a Bologna con il concorso di investimenti pubblici a fondo perduto e di investimenti privati, tra i quali diverse Casse di previdenza dei professionisti italiani.

Riporto alcune dichiarazioni tratte dell’ANSA dell’epoca:

 

 

 

fig 1
fig 2
fig 3

“Abbiamo investito nel fondo PAI, Parchi Agroalimentari Italiani, da cui nasce la più importante realtà agroalimentare italiana, FICo, per la valorizzazione delle eccellenze gastronomiche. L'industria agroalimentare riveste grande importanza per l’economia in Italia, è in costante e rapida crescita, e rappresenta una delle eccellenze del "Made in Italy" a livello mondiale”.(Nunzio Luciano 2019, Presidente di Cassa Forense)

“Cassa Forense dà un contributo notevole all’Economia Reale del Paese investendo circa il 60% della componente Private Equity in fondi che investono in aziende italiane; entrando nel fondo di Venture Capital promosso da Fondo Italiano d’investimento (Cassa Depositi e Prestiti); ancora investendo nel fondo PAI, Parchi Agroalimentari Italiani da cui nasce la più importante, anzi l’unica grande realtà agroalimentare italiana FICO per la valorizzazione delle eccellenze gastronomiche”.(Alessandra Festini, Ufficio Investimenti di Cassa Forense ).

È notizia della Redazione di Bologna Today del 21.09.2023 che il 31 dicembre Farinetti chiuderà FICO per poi riaprirlo in aprile “più bello e più grande che prima e si chiamerà Gran Tour Italia”.

Durissime le prese di posizioni che giudicano  l’esperienza di FICO fallimentare.

Ora a prescindere da questa vicenda, mi pare evidente che si sia trattato di un investimento nell’economia reale italiana molto rischioso e, come tale, incompatibile con la natura previdenziale obbligatoria della provvista.

Lo dicevamo, in tanti, in allora ,purtroppo inascoltati.

Ma FICO non è un caso isolato perché nelle Casse di previdenza questo tipo di investimento è in aumento il che significa assunzione di un rischio incompatibile con la destinazione previdenziale della contribuzione.

Sarebbe tempo ed ora che la politica si occupasse del problema prima di dover intervenire con salvataggi come è avvenuto, da ultimo, per INPGI1, la previdenza dei giornalisti.

Si tratta semplicemente di rendersi conto che le pensioni obbligatorie dei professionisti italiani non possono essere volatili perché esposte ai rischi dei mercati finanziari.

Io mi rendo perfettamente conto che intorno al patrimonio accumulato dalle Casse (100 miliardi circa) si muovono interessi enormi ma il decisore politico dovrebbe capire che questo patrimonio è solo una piccola garanzia, pari a circa il 33% del debito previdenziale maturato.

Ciò significa che questa garanzia, che ha un funding ratio già insufficiente rispetto al debito latente, non può essere addirittura rischiata sui mercati finanziari alla ricerca del rendimento tale da mantenere in asse il sistema che non è più in grado di reggersi sulla contribuzione degli iscritti.

Il 2022 è stato un anno particolarmente difficile per il settore della previdenza complementare. Praticamente tutte le forme di previdenza integrativa, secondo l’ultimo aggiornamento statistico della Covip, hanno infatti registrato rendimenti in territorio negativo a causa del calo dei corsi azionari e del contestuale rialzo dei tassi di interesse, cosa che ha comportato un affossamento del corso dei titoli obbligazionari.

Ma la previdenza di primo pilastro è obbligatoria e a ripartizione mentre la previdenza complementare è volontaria e a capitalizzazione.