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Cassa forense: quale futuro?

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Cassa forense: quale futuro?

 

Gli iscritti non conoscono il testo della riforma della previdenza forense, né tantomeno la nota dei Ministeri Vigilanti: si sa solo che la riforma è in istruttoria.

Faccio allora alcune considerazioni, invitando i lettori a valutare se siano fondate o meno.

La laurea in giurisprudenza non ha più appeal.

Le iscrizioni sono in flessione.

I praticanti avvocati pure.

Siamo in troppi ma la numerosità è un fattore importante per la vita di un sistema pensionistico.

Le donne ora sono in maggioranza, ma producono circa il 50% del reddito del collega maschio.

Solo l’8% degli iscritti dichiara redditi superiori al tetto pensionabile però produce da solo il 50% dell’intero PIL dell’avvocatura italiana.

Gli studi attuariali pubblicati evidenziano che tra 15/20 anni la sostenibilità di Cassa Forense dipenderà più dall’andamento dei mercati finanziari che dalla contribuzione degli attivi.

La conseguenza sarà che le pensioni diventeranno volatili.

Nell’impianto regolamentare attuale, la contribuzione è inversamente proporzionale al reddito attraverso la fissazione dei minimi obbligatori.

I minimi servono però per finanziare la pensione minima, che in Cassa Forense non è trascurabile.

Poiché ci deve essere un sinallagma tra contributi e pensione, ne consegue che se si diminuisce la contribuzione, di pari passo devono essere diminuite anche le pensioni.

Quanto alla natura dei contributi previdenziali, la Corte Costituzionale, pur con una giurisprudenza non sempre lineare, ha affermato che “i contributi non vanno a vantaggio del singolo che li versa ma di tutti i lavoratori e peraltro in proporzione del reddito che si consegue, sicché i lavoratori a redditi più alti concorrono anche alla copertura delle prestazioni a favore delle categorie con redditi più bassi, pur tuttavia il legislatore non può prescindere dal principio di proporzionalità tra contributi e prestazioni previdenziali”. (Fonte: Camera dei deputati – documentazione parlamentare - giurisprudenza costituzionale in materia previdenziale).

Nel suo intervento alla cerimonia di apertura delle celebrazioni per i 125 della Fondazione dell’INPS, la Presidente della Corte Costituzionale prof. Silvana Sciarra, trattando il tema della Solidarietà alla prova. Corte Costituzionale, sicurezza sociale e diritti ha tra il resto affermato che “la nozione di solidarietà endocategoriale è evocata dalla Corte quando, a proposito  della Cassa previdenziale dei dottori commercialisti, fa riferimento alla comunanza di interessi degli iscritti, cosicché appare del tutto ragionevole vincolare la contribuzione degli stessi per prevenire crisi finanziarie e garantire l’erogazione delle prestazioni (sentenza n. 7 del 2017)”.

“Per i lavoratori autonomi che esercitano una professione abituale anche se non esclusiva, iscritti alla Gestione separata INPS – nella specie avvocati, ingegneri e architetti – la Corte afferma la universalitazzazione della tutela previdenziale, al fine di estendere la copertura assicurativa a soggetti non coperti da assicurazione obbligatoria. L’istituto della Gestione separata rappresenta dunque il punto di arrivo di una evoluzione verso l’estensione della tutela assicurativa, sotto il profilo soggettivo e oggettivo (sentenze n. 104 e n. 238 del 2022)”.

Se tutti questi passaggi il lettore li avrà ritenuti corretti, dovrà chiedersi se l’art. 38 della nostra Carta Costituzionale consente la volatilità delle pensioni.

Articolo 38

“Ogni cittadino inabile al lavoro e sprovvisto dei mezzi necessari per vivere ha diritto al mantenimento e all’assistenza sociale. I lavoratori hanno diritto che siano preveduti ed assicurati mezzi adeguati alle loro esigenze di vita in caso di infortunio, malattia, invalidità e vecchiaia, disoccupazione involontaria.
Gli inabili ed i minorati hanno diritto all’educazione e all’avviamento professionale. Ai compiti previsti in questo articolo provvedono organi ed istituti predisposti o integrati dallo Stato. L’assistenza privata è libera”.

Io credo che la risposta non possa che essere negativa anche in una interpretazione evolutiva dell’art. 38 della nostra Carta Costituzionale.

Si pone allora il problema non tanto di quale riforma previdenziale fare, ma di come assicurare la sostenibilità di Cassa Forense al fine di garantire a tutte le coorti di iscritti una equa prestazione previdenziale.

Le soluzioni, a mio giudizio, sono due:

- lo Stato emette una obbligazione pluriennale dedicata alle Casse al fine di garantire loro il raggiungimento di quel target di rendimento che neutralizzi la volatilità;

- oppure si rientra nell’INPS, dove è garantita la copertura dello Stato.