La videosorveglianza come mezzo di controllo dei lavoratori: disciplina e caso pratico

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La videosorveglianza come mezzo di controllo dei lavoratori: disciplina e caso pratico

L'impianto di strumenti audio-visivi comporta un pericolo concreto per la tutela della riservatezza del lavoratore se adoperato senza le giuste garanzie

L’innovazione tecnologica comporta la creazione e lo sviluppo di strumenti che aiutano l’uomo nello svolgimento di svariate attività: da quelle più comuni rappresentate, per esempio, dalla possibilità di restare in contatto con una persona lontana mediante la videochiamata o i social network, a quelle più tecniche che riguardano strumenti calibrati per determinate e specifiche esigenze quali i software utilizzati in determinati settori lavorativi che permettono di svolgere in maniera più semplice calcoli o operazioni complesse.

Le tecnologie di nuova emersione - come gli smartphone, i droni, software spia, telefoni attivabili da remoto e strumenti GPS integrati nelle vetture aziendali o inseriti nello smartphone aziendale mediante determinate applicazioni – hanno dato vita alla dicotomia tra sfruttare al massimo i benefici che ci garantiscono (molto spesso con un semplice click) e limitare l’uso di tali strumenti per proteggere i diritti delle persone. La materia del lavoro è uno dei campi più prolifici per lo sviluppo e l’impiego di tali tecnologie. Proprio per questo motivo il legislatore è intervenuto, a cadenze periodiche, per regolamentare il corretto utilizzo di tali strumenti.

Inoltre, l’emersione di nuovi strumenti tecnologici comporta, in ambito giuslavorista, la concreta possibilità che il datore di lavoro utilizzi in maniera impropria tali strumenti per controllare i suoi sottoposti.

Proprio per queste ragioni il Gruppo di lavoro Articolo 29, in merito al trattamento dei dati personali dei lavoratori, anche alla luce del Regolamento UE 2016/679, ha individuato varie tipologie di controllo e di trattamento dei dati personali che possono mettere a rischio la tutela dei diritti e delle libertà dei lavoratori.

Per ciascuno di tali scenari, il WP29 ha inoltre ricordato che il datore di lavoro deve procedere, nel rispetto dei principi di “privacy by design” e “privacy by default” previsti dal GDPR, alla previa individuazione della base giuridica del trattamento, alla verifica della necessità delle operazioni di trattamento ed all’esame della correttezza e proporzionalità dello stesso rispetto alle finalità perseguite[1].

 

VIDEOSORVEGLIANZA

La videosorveglianza è la prima e più tradizionale forma di controllo a distanza che si è sviluppata nell’ambito lavorativo; tant’è che lo l’originario Statuto dei Lavoratori, nel dettare la disciplina sui controlli a distanza prendeva come modello di controllo a distanza proprio la videosorveglianza.

Ovviamente con l’evoluzione delle nuove tecnologie la videosorveglianza ha subito profonde modifiche dovute alla riduzione delle dimensioni delle telecamere che permettono di nasconderle in piccoli spazi senza essere notate dal soggetto che viene ripreso; da un miglioramento della definizione delle immagini registrate, per cui è possibile identificare con accuratezza l’identità del soggetto ripreso e delle azioni compiute mentre è attivo il servizio di videosorveglianza; o, ancora, dall’introduzione di tecniche di analisi delle immagini; e, infine, dalla cd. videosorveglianza intelligente.

In materia di sorveglianza, il Garante della privacy nel 2010, ha affermato che “nelle attività di sorveglianza occorre rispettare il divieto di controllo a distanza dell´attività lavorativa, pertanto è vietata l´installazione di apparecchiature specificatamente preordinate alla predetta finalità: non devono quindi essere effettuate riprese al fine di verificare l´osservanza dei doveri di diligenza stabiliti per il rispetto dell´orario di lavoro e la correttezza nell´esecuzione della prestazione lavorativa (ad es. orientando la telecamera sul badge). Vanno poi osservate le garanzie previste in materia di lavoro quando la videosorveglianza è resa necessaria da esigenze organizzative o produttive, ovvero è richiesta per la sicurezza del lavoro: in tali casi, ai sensi dell´art. 4 della l. n. 300/1970, gli impianti e le apparecchiature, dai quali può derivare anche la possibilità di controllo a distanza dell´attività dei lavoratori, possono essere installati soltanto previo accordo con le rappresentanze sindacali aziendali, oppure, in mancanza di queste, con la commissione interna. In difetto di accordo, su istanza del datore di lavoro, provvede l´Ispettorato del lavoro, dettando, ove occorra, le modalità per l´uso di tali impianti”. E poi specifica che “tali garanzie vanno osservate sia all´interno degli edifici, sia in altri contesti in cui è resa la prestazione di lavoro, come, ad esempio, nei cantieri edili o con riferimento alle telecamere installate su veicoli adibiti al servizio di linea per il trasporto di persone (…) o su veicoli addetti al servizio di noleggio con conducente e servizio di piazza (taxi) per trasporto di persone”.

 

LA DISCIPLINA

La disciplina della videosorveglianza si rinviene nel GDPR, ossia il Regolamento generale sulla protezione dei dati (Regolamento UE/2016/679) e nello Statuto dei Lavoratori.

L’art. 4 dello Statuto dei Lavoratori contempera due esigenze: la prima consiste nel non sottoporre il lavoratore a forme di controllo a distanza dell’attività dei lavoratori; la seconda invece considera la necessità del datore di installare impianti audiovisivi per esigenze organizzative e produttive, sicurezza sul lavoro, tutela del patrimonio aziendale. Tuttavia, seppure le telecamere sono installate per una delle esigenze previste dallo Statuto, può comunque derivarne la possibilità che il datore di lavoro utilizzi in maniera impropria lo strumento per effettuare forme di controllo dell’attività dei lavoratori.

In riferimento alle norme statutarie, peraltro, vige un divieto assoluto per il caso in cui la videosorveglianza sia volta a verificare l’esecuzione della prestazione del lavoratore; mentre, invece, vige un divieto flessibile, superabile con l’ottenimento dell’autorizzazione, quando la videosorveglianza ha i caratteri della necessarietà per far fronte a determinate esigenze aziendali e quando comporta la possibilità di un controllo a distanza. Questa procedura va seguita per l’installazione e per l’utilizzo dell’impianto.

Nella specie, lo Statuto prevede che, il datore di lavoro e le rappresentanze sindacali unitarie (R.S.U.) o aziendali (R.S.A.) devono sottoscrivere un accordo collettivo che regolamenta il funzionamento e l’utilizzo dell’impianto di videosorveglianza. Qualora, invece, non si raggiunga l’accordo, o nel caso in cui in azienda non siano presenti R.S.U. o R.S.A., il datore di lavoro deve rivolgersi all’Ispettorato del Lavoro territoriale per richiedere l’autorizzazione all’installazione dell’impianto. Non si ritiene, dunque, sufficiente che i dipendenti abbiano conoscenza dell’utilizzo dello strumento.

Non è permesso, inoltre, l’impianto delle telecamere, con cui si procederà alla videosorveglianza, che vengono lasciate spente fino all’ottenimento dell’autorizzazione.[2]

Una peculiarità della disciplina della videosorveglianza risiede nella necessaria c.d. doppia informativa: un’informativa minima, che richiede l’esposizione del cartello “Area videosorvegliata” da collocare fuori del raggio di azione della telecamera, che esisteva prima dell’emanazione del GDPR, perché trovava fondamento nell’art. 13 comma 3 del d.lgs. n. 196 del 2003; ed un’informativa completa, che deve contenere gli elementi indicati dal GDPR.

Quest’informativa completa deve contenere: i dati di contatto del titolare del trattamento, quelli del Responsabile della Protezione dei Dati (DPO), se presente, le finalità del trattamento, la base giuridica, i destinatari del trattamento, l’eventuale trasferimento degli stessi all’estero, i diritti dell’interessato ex artt. 15, 16, 17, 18 e 21, ed infine le finalità del trattamento (art. 13 GDPR).

La norma che legittima il ricorso alla videosorveglianza rendendola lecita, è l’art. 6, comma 1, lett. f) del GDPR. Oltre alla liceità, importantissimi in materia di videosorveglianza sono il principio di necessità, che fa divieto di utilizzare tale strumento laddove sia superfluo o eccessivo rispetto agli interessi (del datore di lavoro e dell’impresa) da tutelare; ed il principio di proporzionalità.

Nella videosorveglianza si sono diffuse le c.d. funzioni di motion detection e motion tracking, ossia soluzioni di analisi video che utilizzano software che registrano i movimenti di una persona o di un oggetto o che rilevano le espressioni facciali. Il Garante italiano ha autorizzato l’installazione negli ambienti di lavoro di un sistema di analisi video che permette di registrare i movimenti dei lavoratori.

Per quanto riguarda i software capaci di rilevare le espressioni facciali: in questi casi si afferma che l’utilizzo di simili strumenti da parte del datore di lavoro non è proporzionato rispetto al fine da raggiungere.

Inoltre, la conservazione delle immagini registrate deve essere limitata a poche ore o, al massimo, alle ventiquattro ore successive alla memorizzazione, a meno che sorgano speciali esigenze per cui le immagini possono essere conservate fino ad un massimo di sette giorni. Il sistema impiegato, peraltro, dovrebbe prevedere l’automatica eliminazione delle informazioni.

 

CASO CONCRETO: ordinanza della Cassazione civile, sezione Lavoro, n. 8375/2023

IL CASO: nel corso della festa di fine anno scolastico, un educatore professionale viene sanzionato dal datore di lavoro attraverso la sospensione dal servizio e dalla retribuzione per 10 giorni, comminata dopo aver visionato i filmati delle telecamere di videosorveglianza installate nell’edificio, per aver afferrato uno studente per la maglia e averne procurato la caduta per effetto dell’opposizione dello stesso.

La Corte di Cassazione – avverso il ricorso presentato dall’educatore scolastico – ha affermato, con l’ordinanza n. 8375 del 2023, la legittimità dell’utilizzo di impianti audiovisivi ai fini della comminazione di un illecito disciplinare, così contestando la ricostruzione del lavoratore, il quale denunciava la violazione dell’art. 4 dello Statuto dei Lavoratori nell’utilizzo delle telecamere sul luogo di lavoro per il controllo dei sottoposti.

La Corte di Cassazione ha puntualizzato la necessaria destinazione degli strumenti di videosorveglianza ai fini di sicurezza ad esempio – come nel caso di specie – installando le videocamere negli “spazi accessibili anche a personale non dipendente e non deputati ad accogliere postazioni di lavoro”.

Dunque, la Corte considera lecito l’impiego delle videocamere, anche a fini sanzionatori, nel caso in cui le stesse siano dirette al controllo dei locali contigui a quelli in cui si svolge l’attività lavorativa vera e propria.

 

CONCLUSIONI

È interessante notare come la Corte di Cassazione legittima l’utilizzo delle immagini di videosorveglianza ai fini della comminazione delle sanzioni disciplinari anche in assenza di atti che danneggiano i beni aziendali propriamente detti.

Ciò potrebbe comportare un vulnus nella tutela della privacy dei lavoratori, perché non bisogna dimenticare la ratio che portò allo Statuto dei Lavoratori, ossia quella di salvaguardia dei diritti dei lavoratori, si traduce anche nell’impedire che il datore di lavoro operi meri controlli a distanza volti a vigilare sulle attività lavorative dei sottoposti.

È necessario bilanciare il diritto e l’esigenza del datore di lavoro di sorvegliare e proteggere la propria azienda e i beni aziendali, con il diritto dei lavoratori di poter eseguire serenamente i propri ruoli lavorativi senza la soggezione che deriva dal sapere che ogni gesto potrà essere sorvegliato, registrato e valutato anche negativamente. 

 

[1] C. AGOSTINI, Dati personali dei lavoratori: il WP29 aggiorna le regole del trattamento alla luce delle nuove tecnologie informatiche e del GDPR, in Privacy & Data Protection, 2017.

[2] Cfr. E. BARRACO – A. SITZIA, Potere di controllo e privacy. Lavoro, riservatezza e nuove tecnologie, Milanofiori Assago (MI), 2016; M. GRANDI, Impianti di videosorveglianza in ambienti di lavoro. Autorizzazione ad installazione ed uso, Milanofiori Assago, 2017.