Registrazioni occulte: il delicato bilanciamento della Cassazione tra diritto di difesa e tutela della riservatezza
Registrazioni occulte: il delicato bilanciamento della Cassazione tra diritto di difesa e tutela della riservatezza
Abstract
L’articolo analizza criticamente l'orientamento giurisprudenziale della Corte di cassazione in merito all'uso delle registrazioni audio e video effettuate occultamente dal lavoratore (o da un soggetto coinvolto in un colloquio) come strumento di prova in giudizio. La questione si pone come un delicato bilanciamento tra due diritti di rango costituzionale: da un lato, il diritto di difesa (art. 24 Cost.), che legittimerebbe l'uso della registrazione come prova lecita per tutelare una posizione giuridica; dall'altro, la tutela della riservatezza e la prevenzione dei reati di illecita diffusione (artt. 615-bis e 617-septies c.p.). In particolare, l'analisi si concentra sui limiti di ammissibilità della prova, sul discrimine tra la liceità dell'acquisizione e la possibile rilevanza penale della sua successiva divulgazione, e sull'impatto delle sentenze più recenti (incluse quelle relative al rapporto di lavoro) nel definire la linea di confine tra la prova lecita e il reato.
La distinzione tra registrare e diffondere ha una forte giustificazione logica e pratica. Registrare una conversazione alla quale si partecipa è un modo di annotare ciò che accade, mentre la diffusione trasforma un atto privato in pubblico. La sentenza rafforza questo principio, richiamando implicitamente la giurisprudenza del passato, che ha sempre ritenuto la registrazione un mezzo di prova e non un'invasione illecita della privacy. Questo significa che la registrazione può costituire una forma di autotutela, purché non venga diffusa in modo inappropriato.
This article critically analyzes the Court of Cassation's case law regarding the use of audio and video recordings secretly made by the employee (or by a party involved in a conversation) as evidence in court. The issue arises as a delicate balance between two constitutional rights: on the one hand, the right to defense (Article 24 of the Constitution), which would legitimize the use of recordings as lawful evidence to defend a legal position; on the other, the protection of confidentiality and the prevention of crimes of unlawful dissemination (Articles 615-bis and 617-septies of the Criminal Code). Specifically, the analysis focuses on the limits of admissibility of evidence, the distinction between the lawfulness of its acquisition and the potential criminal relevance of its subsequent disclosure, and the impact of recent rulings (including those relating to the employment relationship) in defining the boundary between lawful evidence and a crime.
The distinction between recording and disseminating has a strong logical and practical justification. Recording a conversation in which one participates is a way of recording what happens, while disseminating it transforms a private act into a public one. The ruling reinforces this principle, implicitly recalling past case law, which has always considered recording a means of evidence and not an unlawful invasion of privacy. This means that recording can constitute a form of self-protection, as long as it is not disseminated inappropriately.
La domanda fondamentale: registrare è intercettare?
Nell'era digitale, la possibilità di documentare un colloquio con un semplice smartphone pone il giurista di fronte a un quesito ricorrente: registrare un dialogo all'insaputa dell'interlocutore integra un atto illecito?
La risposta della giurisprudenza di legittimità è da tempo univoca e chiara: no, l'atto di registrare una conversazione alla quale si partecipa attivamente non costituisce un’intercettazione in senso tecnico-giuridico e, pertanto, non richiede l'autorizzazione dell'Autorità Giudiziaria.
Nel 2025 la Cassazione, con la sentenza n. 9253/2025 della Sesta Sezione Penale, ha ribadito che la registrazione fonografica di un colloquio tra presenti, effettuata da uno dei partecipanti anche in ambiente di lavoro, non integra un’intercettazione ma una prova documentale ex art. 234 c.p.p. Inoltre, laddove i locali siano destinati all’attività lavorativa di una pluralità di soggetti e privi di un pieno ius excludendi, non rientrano nella tutela della privata dimora di cui all’art. 615-bis c.p.
Il principio di diritto: il rischio accettato
Il punto di svolta risale alla storica pronuncia delle Sezioni Unite Penali, sentenza n. 36747 del 28 maggio 2003 (c.d. caso Torcasio), che ha sottratto la fonoregistrazione di un colloquio tra presenti all'applicazione degli artt. 266 e ss. c.p.p. sulla disciplina delle intercettazioni.
Il fondamento logico di tale orientamento si basa sul principio del “rischio accettato”: chi prende parte a una conversazione accetta il rischio che l'interlocutore decida di documentare in qualsiasi forma quanto è stato detto. La registrazione da parte di un partecipante è qualificata come prova documentale ai sensi dell'art. 234 c.p.p. (nel processo penale) e dell'art. 2712 c.c. (nel processo civile), equiparandola a un appunto o a una “memoria fonica”.
La conferma giurisprudenziale: Il caso dell'ingiuria militare (Cass. Pen. n. 33781/2014)
La costanza di questo principio è dimostrata dalla sua applicazione in casi anche particolari, come quello analizzato dalla Corte di cassazione, Sez. I Penale, sentenza n. 33781 del 30 luglio 2014.
Il caso riguardava il reato di ingiuria continuata ad inferiore, dove la prova principale consisteva proprio in una registrazione ambientale. La Corte militare d'Appello aveva assolto l'imputato, sollevando anche dubbi sulla registrazione eseguita all'insaputa dell’interessato e con “maliziosa e provocatoria introduzione di temi”.
La Cassazione, pur concentrando l’annullamento sulla corretta valutazione del dolo e della gravità dell'ingiuria, ha implicitamente convalidato la piena utilizzabilità della registrazione come fonte di prova. L’eventuale “slealtà” nella fase di acquisizione non è stata ritenuta sufficiente a escludere la prova, riaffermando che la registrazione costituisce uno strumento di autotutela.
Il limite Invalicabile: quando la registrazione diventa reato
Il vero discrimine rimane la diffusione. Anche una registrazione lecita può diventare illecita se inoltrata a soggetti non coinvolti, pubblicata sui social o utilizzata per screditare l'interessato. La finalità difensiva costituisce un motivo legittimo per comunicare la registrazione al proprio avvocato o alle autorità; ogni altro uso può generare responsabilità penale.
La Cassazione, con la sentenza della Sezione V, n. 2112/2025, ha chiarito che la condotta tipica dell’art. 617-septies c.p. è la diffusione, non la registrazione. Il dolo specifico richiesto dalla norma implica che la diffusione debba avvenire con la finalità di danneggiare la reputazione altrui. Il giudice può desumere tale finalità dal contesto, dalle modalità di conservazione del file, dal modo in cui è stato condiviso o inoltrato e dalla relazione tra le parti.
La divulgazione dei contenuti sonori al di fuori dell'ambito giudiziario e senza consenso configura normalmente il reato di trattamento illecito di dati personali (art. 167 d.lgs. 196/2003, GDPR). L’unica eccezione riguarda l’esercizio del diritto di cronaca o la tutela di un diritto.
Se la diffusione della registrazione lede la reputazione dell’interessato, può configurarsi il reato di diffamazione (art. 595 c.p.), soprattutto in caso di pubblicazione online.
Inoltre, se la registrazione avviene in un luogo riconducibile alla privata dimora altrui (abitazione, studio professionale o, secondo alcune interpretazioni, abitacolo dell'auto), anche la mera registrazione può costituire interferenza illecita nella vita privata (art. 615-bis c.p.).
La situazione nel processo civile e nel diritto del lavoro
Sul fronte civilistico-lavoristico, la Sezione Lavoro, con l’ordinanza n. 20487/2025, ha chiarito che la registrazione occulta di conversazioni tra colleghi è illecita quando ha finalità meramente esplorativa, priva di un nesso concreto, attuale e funzionale con un procedimento pendente o imminente, potendo così integrare la violazione degli obblighi di correttezza e fedeltà e legittimare sanzioni disciplinari.
La recente ordinanza conferma, pertanto, che la registrazione occulta da parte di un partecipante, se usata ai fini esclusivi di difesa, è legittima e non richiede consenso, prevalendo sulla tutela della riservatezza e scriminando potenziali illeciti (come la violazione dell’obbligo di fedeltà o il trattamento illecito di dati).
Pone però un limite cruciale: la registrazione non è ammessa quando ha finalità meramente esplorative e non è collegata a un diritto concreto e attuale. La sentenza n. 11322/2018 della Sezione Lavoro aveva precisato che il lavoratore può legittimamente registrare colloqui sul luogo di lavoro quando necessari alla difesa
Per converso, l’ordinanza n. 5844/2025 della seconda Sezione Civile ha affermato che la registrazione di conversazioni sul luogo di lavoro è lecita quando strettamente necessaria all’esercizio del diritto di difesa, anche in fase precontenziosa, ai sensi dell’art. 24 Cost., dell’art. 24 del Codice privacy e dell’art. 51 c.p.
L'orientamento è consolidato: la registrazione può essere utilizzata come prova in giudizio, purché non ottenuta in violazione di legge. Pertanto, nel contenzioso lavorativo, la registrazione di una conversazione con un superiore o collega è considerata lecita quando finalizzata alla tutela dei propri diritti.
Le registrazioni audio e video, anche quelle effettuate in presenza e all'insaputa degli interlocutori, purché registrate da un partecipante alla conversazione, sono generalmente ammissibili come fonte di prova nel processo civile italiano.
L'utilizzo di queste registrazioni si basa principalmente sull'Art. 2712 del Codice civile (Riproduzioni meccaniche), che le considera piena prova dei fatti rappresentati, a meno che la parte contro cui sono prodotte non le disconosca in modo chiaro, circostanziato ed esplicito (non basta una contestazione generica).
Chi conversa, infatti, accetta il rischio che la conversazione possa essere documentata.
La liceità della registrazione è spesso legata alla necessità di far valere o difendere un diritto in sede giudiziaria (principio bilanciato anche dal GDPR, Art. 17, co. 3, lett. e).
In caso di disconoscimento, la registrazione non perde automaticamente ogni valore probatorio, ma decade da piena prova. Il giudice dovrà comunque valutarla con prudente apprezzamento, considerando anche le altre prove a sostegno.
Un aspetto pratico rilevante è la modalità di deposito. Le recenti specifiche tecniche per il Processo Civile Telematico (PCT) hanno incluso formati come .mp4 e .mp3 tra i documenti informatici allegabili agli atti, colmando una lacuna precedente e facilitando l'ingresso di questi mezzi di prova nel fascicolo telematico.
Conclusioni e Prospettive Future
La registrazione di una conversazione tra presenti rimane un atto legittimo, soprattutto quando finalizzata a raccogliere prove per la tutela di un diritto. La giurisprudenza ha trovato un equilibrio, riconoscendo la liceità della pratica in ottemperanza all’art. 24 Cost., che tutela il diritto alla difesa.
La riservatezza resta tuttavia un valore inviolabile: l’uso improprio e la diffusione non autorizzata delle registrazioni comportano gravi conseguenze penali. Con l’avanzare della tecnologia, la giurisprudenza sarà chiamata a ridefinire continuamente il confine tra autotutela e abuso dello strumento.
Il quadro normativo italiano ha individuato un equilibrio pragmatico tra riservatezza e diritto alla prova: la registrazione tra presenti è generalmente lecita, ma il suo utilizzo è strettamente legato alla finalità difensiva e non può sfociare in una diffusione indiscriminata o nella violazione della sfera privata altrui.