x

x

La procedura di licenziamento collettivo può essere limitata ad alcune sedi della società?

licenziamento collettivo
licenziamento collettivo

La procedura di licenziamento collettivo può essere limitata ad alcune sedi della società?


È possibile limitare la platea dei lavoratori oggetto della procedura di licenziamento collettivo a una o ad alcune delle sedi di una società a patto che: 1) ciò sia giustificato da oggettive esigenze aziendali; 2) tale limitazione sia enunciata e giustificata nella lettera di avvio della procedura di licenziamento collettivo per consentire un adeguato confronto con le organizzazioni sindacali e 3) la stessa sia coerente con il tipo di progetto di riduzione del personale avviato.

 

Lo ha ribadito la Corte di Cassazione con due recenti ordinanze emesse dalla Sezione Lavoro, la n. 3511/2023 e la n. 5205/2023.


La procedura di licenziamento collettivo può essere limitata ad alcune sedi della società? –
il fatto

Nelle fattispecie oggetto delle due ordinanze la società datrice di lavoro aveva deciso di limitare la platea dei lavoratori da sottoporre alla procedura di licenziamento rispettivamente a una e due sedi.

In entrambi i casi, uno dei lavoratori interessati aveva poi impugnato il licenziamento contestando la legittimità della decisione di limitare la procedura solo ad alcune sedi.

Nella fattispecie relativa all’ordinanza 3511/2023 il Tribunale di Roma ha accolto il ricorso del lavoratore. Decisione poi confermata dalla Corte d’Appello che ha ritenuto che il licenziamento fosse illegittimo in quanto la decisione di limitare la procedura di licenziamento collettivo fosse immotivata (in quanto non adeguatamente illustrata nella comunicazione di avvio della procedura) in presenza di un progetto di ristrutturazione aziendale che ricomprendeva l’intera azienda e in assenza di allegazioni e prova circa l’infungibilità della lavoratrice.

Avverso detta sentenza, la società datrice di lavoro aveva proposto ricorso per Cassazione, ritenendo che la Corte d’Appello avesse trascurato una lettura della normativa che esclude l’esigibilità della comparazione qualora, come nel caso di specie, risulti incompatibile con le esigenze geografiche, posto che le sedi erano poste a centinaia di chilometri di distanza e imponendo, nel caso in cui la procedura fosse stata applicata a tutta l’azienda, conseguenze irrazionali quali il trasferimento di dipendenti a notevole distanza dalla sede di assegnazione.

Secondo il datore di lavoro la determinazione dell’ambito del licenziamento collettivo è scelta che spetta unicamente al datore di lavoro, in virtù del principio di libertà economica di cui all’art. 41 Costituzione.

Nella fattispecie relativa all’ordinanza n. 5205/2023 invece sia il Tribunale di Roma sia la Corte d’Appello di Roma hanno confermato la legittimità del licenziamento intimato alla lavoratrice.

Avverso detta sentenza la lavoratrice ha proposto ricorso in Cassazione, deducendo l’insufficienza della comunicazione di cui all’art. 4 comma 9 legge 223/1991. La società ricorrente contestava peraltro la statuizione della sentenza con cui era stata ritenuta legittima la scelta di indicare i criteri di scelta dei lavoratori da licenziare, diversi da quelli legali, sin dalla comunicazione di apertura della procedura di licenziamento collettivo, anticipando pertanto, seconda la ricostruzione della difesa della società, la fase di selezione del personale da licenziare.

In entrambi i casi, la Cassazione ha ritenuto infondato il ricorso, confermando la sentenza impugnata.


La procedura di licenziamento collettivo può essere limitata ad alcune sedi della società? – La motivazione

Le due ordinanze in commento seguono lo stesso iter argomentativo.

L’ordinanza 5205/2023, prima di esaminare nel dettaglio il caso di specie, chiarisce quali siano i limiti del sindacato giurisdizionale in relazione alla procedura di licenziamento collettivo. In merito richiamo il consolidato orientamento secondo cui “la cessazione dell'attività è scelta dell'imprenditore, espressione dell'esercizio incensurabile della libertà di impresa garantita dall'art. 41 Cost. (Cass. n. 29936/2008) e che la procedimentalizzazione dei licenziamenti collettivi che ne derivino, secondo le regole dettate per il collocamento dei lavoratori in mobilità dalla L. n. 223 del 1991, art. 4, applicabili per effetto dell'art. 24 della stessa Legge, ha la sola funzione di consentire il controllo sindacale sulla effettività di tale scelta (Cass. n. 22366/2019, n. 5700/2004) con un controllo dell'iniziativa imprenditoriale concernente il ridimensionamento dell'impresa, controllo devoluto ex ante alle organizzazioni sindacali, destinatarie di incisivi poteri di informazione e consultazione secondo una metodica già collaudata in materia di trasferimenti di azienda”.

Pertanto, gli spazi di controllo devoluti al sindacato del giudice in sede contenziosa non riguardano più gli specifici motivi di riduzione del personale, ma la correttezza procedurale dell'operazione (compresa la sussistenza del nesso causale tra il progettato ridimensionamento e i singoli provvedimenti di recesso). Pertanto, conclude la Cassazione sono inammissibili, in sede giudiziaria, “censure intese a contestare specifiche violazioni delle prescrizioni dettate dai citati artt. 4 e 5, senza fornire la prova di maliziose elusioni dei poteri di controllo delle organizzazioni sindacali e delle procedure di mobilità al fine di operare discriminazioni tra i lavoratori, che investano l'autorità giudiziaria di un'indagine sulla presenza di "effettive" esigenze di riduzione o trasformazione dell'attività produttiva (Cass. 6 ottobre 30550/18)”.

Fatta questa doverosa premessa, si ribadisce che l’iter argomentativo delle due ordinanze in commento è assolutamente sovrapponibile.

La Cassazione inizia il proprio ragionamento evidenziando come in tema di licenziamento collettivo per riduzione di personale, la regola generale di cui all’art. 5 comma 1 legge 223/1991 prevede che l'individuazione dei lavoratori da licenziare deve avvenire avuto riguardo al complesso aziendale. Tuttavia la platea dei lavoratori interessati dalla procedura di licenziamento collettivo può essere limitata agli addetti ad un determinato reparto o settore o sede territoriale a condizione che “ricorrano oggettive esigenze tecnico-produttive, che queste siano coerenti con le indicazioni contenute nella comunicazione di cui alla L. n. 223 del 1991, art. 4, comma 3, ed è onere del datore di lavoro provare il fatto che giustifica il più ristretto ambito nel quale la scelta è stata effettuata (sin da Cass. n. 8474 del 2005 e, più di recente, Cass. nn. 203, 4678 e 21476 del 2015, Cass. n. 2429 e 22655 del 2012, Cass. n. 9711 del 2011)”.

La Suprema Corte prosegue rilevando come quindi il datore di lavoro ben possa circoscrivere ad una unità produttiva la platea dei lavoratori da licenziare ma debba necessariamente indicare nella comunicazione ex L. n. 223 del 1991, art. 4, comma 3, “sia le ragioni che portano a una limitazione dei licenziamenti ai dipendenti dell'unità o settore in questione, sia le ragioni per cui non ritenga di ovviarvi con il trasferimento ad unità produttive vicine, ciò al fine di consentire alle organizzazioni sindacali di verificare l'effettiva necessità dei programmati licenziamenti (Cass. n. 4678 del 2015)”.

La Cassazione, peraltro, contrariamente a quanto sostenuto dalla società nella fattispecie relativa alla prima ordinanza, statuisce che la scelta di delimitare a un settore o una sede la procedura di licenziamento collettivo non può essere frutto di un’unilaterale determinazione del datore di lavoro, ma deve essere “giustificata dalle esigenze organizzative fondanti la riduzione del personale adeguatamente esposte nella comunicazione di cui alla L. n. 223 del 1991, art. 4, comma 3, , onde consentire alle OO.SS. di verificare il nesso fra le ragioni che determinano l'esubero di personale e le unità lavorative che l'azienda intenda concretamente espellere (ex plurimis Cass. n. 32387 del 2019, Cass. n. 203 del 2015; Cass. n. 22825 del 2009; Cass. n. 880 del 2013)”.

In conclusione per la Cassazione “ove ricorrano oggettive esigenze tecnico-produttive, infatti, è necessario che queste siano coerenti con le indicazioni contenute nella comunicazione di cui alla L. n. 223 del 1991, art. 4, comma 3, ed è onere del datore di lavoro provare il fatto che giustifica il più ristretto ambito nel quale la scelta è stata effettuata (sin da Cass. n. 8474 del 2005 e, più di recente, Cass. n. 15953 del 2021; Cass. nn. 203, 4678 e 21476 del 2015; Cass. nn. 2429 e 22655 del 2012; Cass. n. 9711 del 2011), ma anche che gli addetti prescelti non svolgessero mansioni fungibili con quelle di dipendenti assegnati ad altri reparti o sedi (cfr., tra le altre, Cass. n. 13783 del 2006; Cass. n. 203 del 2015; Cass. n. 15953 del 2021)”.


La procedura di licenziamento collettivo può essere limitata ad alcune sedi della società?
 - La decisione.

La Suprema Corte, confermando le sentenze della Corte d’Appello di Roma, rileva come sia possibile limitare la platea dei lavoratori oggetto della procedura di licenziamento collettivo a una o ad alcune delle sedi di una società a patto che: 1) ciò sia giustificato da oggettive esigenze aziendali; 2) tale limitazione sia enunciata e giustificata nella lettera di avvio della procedura di licenziamento collettivo per consentire un adeguato confronto con le organizzazioni sindacali e 3) la stessa sia coerente con il tipo di progetto di riduzione del personale avviato.

La Cassazione, pertanto, conferma integralmente le sentenze impugnate. In particolare, con l’ordinanza 3511/2023, ribadisce che la limitazione della platea dei lavoratori interessati non era stata sufficientemente illustrata nella comunicazione d’avvio, a fronte peraltro di un progetto di ristrutturazione che ricomprendeva l’intera azienda e senza nemmeno allegare circostanze in merito all’infungibilità della lavoratrice.

Con l’ordinanza 5205/2023, invece, la Cassazione ha ribadito che la legittimità della delimitazione della platea dei lavoratori da licenziare a sole alcune unità produttive in quanto coerente con le ragioni esposte nella comunicazione di apertura ed in particolare con le esigenze tecnico produttive che ne costituivano il sostrato nonché frutto di una scelta improntata a criteri di ragionevolezza e congruità fondata su fattori obiettivi riconducibili in sintesi agli insostenibili costi e tempi richiesti dal coinvolgimento nella procedura collettiva di tutto il personale. Tale scelta peraltro era stata trasfusa in un accordo sindacale che prevedeva l’applicazione dei criteri legali a sole due sedi, in conformità con quanto già comunicato con la lettera di avvio della procedura.


La procedura di licenziamento collettivo può essere limitata ad alcune sedi della società? - Un breve commento

Le due ordinanze in commento offrono diversi spunti di riflessione.

In particolare, è importante sottolineare come sia principio ormai pacifico in giurisprudenza quello per cui in materia di licenziamento giustificato da ragioni economiche (pertanto sia che si tratti di licenziamento individuale per giustificato motivo oggettivo sia si tratti di licenziamento collettivo) il sindacato del giudice non può investire il merito della scelta imprenditoriale. Il Giudice, infatti, deve limitarsi a verificare che nella sua scelta il datore di lavoro abbia fatto corretta applicazione delle procedure e dei criteri legali o, in caso di licenziamento collettivo, dei criteri determinati in forza di accordo con le organizzazioni sindacali. Peraltro, correttamente, la Cassazione rileva come altro profilo di necessario controllo da parte del giudice, in caso di licenziamento collettivo, sia la sussistenza del nesso causale tra progetto di ridimensionamento e i singoli provvedimenti di recesso.

E peraltro assolutamente coerenti con tale principio, sono anche i due principi espressi dalla Cassazione in materia di possibilità di delimitare a singole unità produttive la platea dei lavoratori da sottoporre alla procedura di licenziamento. In primo luogo, infatti se il sindacato del giudice non può verificare il merito della scelta imprenditoriale, la scelta di delimitare la procedura di licenziamento collettivo non può essere frutto di una decisione unilaterale del datore di lavoro, ma deve essere frutto di un controllo e di un confronto sindacato.

E in secondo luogo, se il controllo sulla scelta è affidato ex ante delle organizzazioni sindacali, è necessario e logico che le ragioni che hanno portato a tale scelta dell’imprenditore siano immediatamente chiarite nella comunicazione di avvio della procedura. Solo in tal modo si consente alle organizzazioni sindacali di svolgere la propria attività di verifica e controllo in merito alla sussistenza delle ragioni tecnico-organizzative e produttive che possono giustificare una simile scelta.

E la procedimentalizzazione prevista dall’art. 4 della legge 223/1991 è la soluzione individuata dal legislatore al fine di consentire alle organizzazioni sindacali di svolgere la propria funzione di controllo.