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Si può licenziare un dipendente per scarso rendimento sulla base di precedenti disciplinari?

Licenziamento
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Si può licenziare un dipendente per scarso rendimento sulla base di precedenti disciplinari?

Scatta la tutela reale attenuata per il lavoratore licenziato per scarso rendimento sulla sola base dei precedenti disciplinari. La violazione del dovere di diligente collaborazione imputabile al dipendente non può essere dimostrata da condotte già sanzionate in passato, perché ci sarebbe un’indebita duplicazione degli effetti di condotte ormai esaurite, in contrasto con il principio del ne bis in idem. Lo ha stabilito la Corte di Cassazione con l’ordinanza n. 1584 del 19 gennaio 2023.


Si può licenziare un dipendente per scarso rendimento sulla base di precedenti disciplinari? –
il fatto

La società datrice di lavoro, che opera nel settore del trasporto pubblico locale, aveva emesso un provvedimento di esonero definitivo dal servizio per scarso rendimento nei confronti di un proprio dipendente ai sensi dell’art. 27 comma 1 lettera d) dell’Allegato A al Regio Decreto 148/1931.

La società datrice di lavoro aveva motivato tale provvedimento sulla base dei numerosi precedenti disciplinari del dipendente.

Avverso detto provvedimento aziendale il lavoratore aveva proposto ricorso, respinto nella fase sommaria, ma accolto nella fase di opposizione.

La Corte d’Appello aveva confermato la sentenza di primo grado rilevando come l’esonero definitivo fosse stato motivato esclusivamente su procedimenti disciplinari a carico del lavoratore, tra i quali un precedente poco prima sanzionato con una misura non espulsiva. Rilevava inoltre la Corte d’Appello come la società datrice di lavoro non avesse altrimenti dedotto sul piano oggettivo lo scarso rendimento e sul piano soggettivo l’imputabilità colpa dell’agente, determinata da imperizia, incapacità e negligenza. Pertanto, confermava anche la tutela reale attenuata.

Avverso detta sentenza, la società datrice di lavoro aveva proposto ricorso per Cassazione eccependo in particolare due diverse circostanze.

In primo luogo, rilevava come l’esonero definitivo non fosse inserito tra le sanzioni disciplinari, come confermato anche dalla giurisprudenza che lo aveva qualificato come misura organizzativa e pertanto non potessero valere per tale provvedimento i principi e le garanzie di cui al procedimento disciplinare. In particolare, non poteva trovare applicazione il principio del ne bis in idem, che impedisce di utilizzare due volte il potere disciplinare per lo stesso fatto sotto il profilo di una diversa valutazione o configurazione giuridica.

In merito poi alle conseguenze dell’illegittimità del licenziamento, la società datrice di lavoro eccepiva come l’eventuale duplicazione dell’esercizio del potere disciplinare non integrasse l’insussistenza del fatto da cui consegue la tutela reale attenuata, ma semmai una violazione del procedimento disciplinare e pertanto avrebbe dovuto trovare applicazione la tutela obbligatoria di cui all’art. 18 comma 6 legge 300/1970 come modificato dalla legge 92/2012.

La Cassazione ha ritenuto infondato il ricorso, confermando la sentenza impugnata.


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La motivazione

In relazione al primo motivo di impugnazione, la Cassazione evidenzia come occorra non fermarsi a una lettura formale del provvedimento, ma occorre fare una valutazione sostanziale e concreta del provvedimento di esonero definitivo adottato dalla società.

In primo luogo la Cassazione sottolinea come “una volta ricostruita la fattispecie dello scarso rendimento in termini di violazione evidente della diligente collaborazione dovuta dal dipendente - ed a lui imputabile divengono palesi le analogie con l'omologo illecito disciplinare previsto nella disciplina comune del rapporto di lavoro; del resto nella pronuncia di questa Corte n. 14758/2013, sopra richiamata, la definizione di scarso rendimento nella disciplina del rapporto di lavoro degli autoferrotranvieri è stata ricavata dalla giurisprudenza formatasi in relazione alla disciplina generale”.

Fatta questa premessa, la Suprema Corte rileva come l’ipotesi contemplata dalla lettera d) dell’art. 27 dell’Allegato A Regio Decreto 148/1931 faccia esplicito riferimento a una condotta “imputabile a colpa dell’agente nell’adempimento delle funzioni del proprio grado”, mentre l’ipotesi di cui alla lettera c) del medesimo articolo prevede un’ipotesi di palese insufficienza nell’inquadramento delle funzioni del proprio grado ma non imputabile a colpa del lavoratore.

E tale circostanza è confermata dal datore di lavoro che ha riconosciuto che l’ipotesi di esonero definitivo in esame trae origine da un comportamento colpevole del lavoratore.

Rileva poi la Corte di Cassazione che, pur non rientrando tra le sanzioni disciplinari, all’esonero definitivo vengono applicate le garanzie procedurali difensive previste per le sanzioni disciplinari. In particolare, viene prevista l’acquisizione del parere del Consiglio di Disciplina ed è prevista la possibilità per il dipendente di essere sentito a difesa qualora ne faccia richiesta.

E sul piano formale-procedurale, nel caso in esame, è stato seguito l’iter tipico dei procedimenti disciplinari.

Pertanto, conclude sul punto la Cassazione, da ciò consegue che lo scarso rendimento può sì derivare da plurime condotte, purché non consistano “in plurimi precedenti disciplinari del lavoratore già sanzionati in passato, perché ciò costituirebbe un'indiretta sostanziale duplicazione degli effetti di condotte ormai esaurite".

In relazione al secondo motivo di impugnazione, la Cassazione precisa che: “una volta che, di fronte ad una condotta disciplinarmente rilevante, il datore di lavoro abbia esercitato il proprio potere punitivo, non solo si verifica la consumazione del potere in capo al titolare, sicché lo stesso non può più esercitarlo per il medesimo fatto, ma allo stesso tempo, il fatto costituente addebito disciplinare diviene non più sanzionabile, quindi perde il carattere di illiceità per l'esaurirsi del potere sanzionatorio”.

In altre parole per la Suprema Corte: il fatto non più sanzionabile, quindi non più suscettibile di provocare l'esercizio legittimo del potere disciplinare, equivale a fatto non più antigiuridico, quindi privo di antigiuridicità, come tale riconducibile alla previsione della L. n. 300 del 1970, art. 18, comma 4, come modificato dalla L. n. 92 del 2012”.

E da ultimo, quanto alla tutela reintegratoria, la Cassazione ritiene come non sia "plausibile che il legislatore, parlando di "insussistenza del fatto contestato", abbia voluto negarla nel caso di fatto sussistente ma privo di carattere di illiceità, ossia non suscettibile di alcuna sanzione".

La Suprema Corte chiarisce peraltro che non va confusa la fattispecie in esame, con la fattispecie in cui viene dichiarata l’illegittimità della sanzione (licenziamento) per tardività della contestazione disciplinare. In tal caso, infatti si è in presenza di una violazione procedurale a cui consegue l’applicazione dell’art. 18 comma 5 legge 300/1970 come modificato dalla Legge 92/2012.
 

Si può licenziare un dipendente per scarso rendimento sulla base di precedenti disciplinari? – La decisione

La Suprema Corte, confermando la sentenza della Corte d’Appello, rigetta il ricorso proposto dalla società datrice di lavoro con conseguente applicazione della tutela reale attenuata di cui all’art. 18 comma 4 lgge 300/1970 come modificato dalla legge 92/2012. Lo scarso rendimento, infatti, non può essere dimostrato da plurimi precedenti disciplinari del lavoratore già sanzionati in passato, perché ciò costituirebbe un'indiretta sostanziale duplicazione degli effetti di condotte ormai esaurite.

Pertanto, in tale fattispecie non solo si verifica la consumazione del potere in capo al titolare, sicché lo stesso non può più esercitarlo per il medesimo fatto, ma allo stesso tempo, il fatto costituente addebito disciplinare diviene non più sanzionabile, quindi, perde il carattere di illiceità per l'esaurirsi del potere sanzionatorio e pertanto vi è insussistenza del fatto a cui consegue l’applicazione della tutela reale attenuata.


Si può licenziare un dipendente per scarso rendimento sulla base di precedenti disciplinari? - Un breve commento

L’ordinanza in esame nel respingere il ricorso proposto dalla società datrice di lavoro, offre alcuni spunti di riflessione particolarmente significativi.

In primo luogo, infatti la Suprema Corte affronta il tema della qualificazione giuridica dell’esonero definitivo di cui alla lettera d) dell’Allegato A del Regio Decreto 148/1931.

In merito occorre evidenziare come la Cassazione sembra sottintendere che esistono due diverse ipotesi di scarso rendimento: uno scarso rendimento che potremmo definire oggettivo, collegato a una scarsa produttività del dipendente rispetto a uno standard definito. Esiste però una seconda ipotesi di scarso rendimento che si qualifica per una serie di inadempimenti del dipendente ai propri doveri disciplinari o, più in generale, ai suoi doveri di collaborazione che lo rendono non funzionale all’organizzazione aziendale. E tale è l’ipotesi della quale ragiona e argomenta la Cassazione nella fattispecie in esame.

Infatti, la Suprema Corte invita a non limitarsi a una lettura meramente formale del provvedimento di esonero definitivo. Se è vero che l’esonero definitivo non è inserito tra le sanzioni disciplinari, sostanzialmente va qualificato come un licenziamento disciplinare. Infatti, da un lato si richiede un comportamento imputabile a colpa del lavoratore e dall’altro lato è prevista una procedura, a garanzia del lavoratore, che è la stessa che è prevista per le sanzioni disciplinari. E’ persino prevista la possibilità che il dipendente sia ascoltato a difesa.

Orbene, in tale ottica sono assolutamente condivisibili le conclusioni a cui giunge la Cassazione: non è infatti possibile utilizzare precedenti condotte che sono già state oggetto di sanzione disciplinare e per le quali pertanto si è già consumato il potere disciplinare. Infatti, qualora si procedesse in tal senso vi sarebbe una palese violazione del principio del ne bis in idem, che non consente di esercitare due volte il potere disciplinare per lo stesso fatto sotto il profilo di una diversa valutazione o configurazione giuridica.

A detta di chi scrive in realtà tale principio andrebbe applicato non solo alle condotte oggetto di procedimenti disciplinari che si sono conclusi con una sanzione, ma anche ai comportamenti che sono stati oggetto di procedimenti disciplinari che si sono conclusi senza l’irrogazione di alcun provvedimento disciplinare. Anche in tale caso, infatti, il potere disciplinare si è consumato e non è possibile contestare nuovamente lo stesso fatto per darne una diversa qualificazione giuridica.

Da ultimo, altrettanto interessante, è la lettura che la Cassazione offre in merito al requisito dell’“insussistenza del fatto contestato” a cui consegue la tutela reale attenuata di cui all’art. 18 comma 4 della legge 300/1970. Infatti, secondo la Suprema Corte con l’espressione insussistenza del fatto contestato non ci si deve limitare all’insussistenza del fatto materiale, ma si deve prendere in esame l’insussistenza di un fatto che possa essere qualificato come illecito o antigiuridico.

E correttamente la Cassazione rileva che nel momento in cui vi è stata una consumazione del potere disciplinare, la condotta non è più ulteriormente sanzionabile e non può quindi provocare più l’esercizio legittimo del potere disciplinare. Pertanto, siamo in presenza di un fatto privo del carattere dell’illiceità e pertanto insussistente. E dall’insussistenza del fatto consegue l’applicazione della tutela reale attenuata.