Inps e recupero importi per Anf indebitamente percepiti dal lavoratore: quali limiti in caso di cessazione del rapporto di lavoro?

assegni familiari
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Inps e recupero importi per Anf indebitamente percepiti dal lavoratore: quali limiti in caso di cessazione del rapporto di lavoro?

Nota a Corte d’Appello di Venezia, Sezione Lavoro, 29 aprile 2024, sentenza n. 133

 

Abstract:

La Corte d’Appello di Venezia, con la sentenza n 133/2024, si occupa, tra le prime in assoluto, della legittimità di un avviso di addebito emesso nei confronti del datore di lavoro per il recupero di assegni per il nucleo familiare indebitamente percepiti dal lavoratore nel caso in cui, nelle more del recupero di tali somme, il rapporto di lavoro sia venuto meno. Il Collegio ha ritenuto che la fonte dell’obbligo restitutorio da parte del datore di lavoro debba rinvenirsi nella permanenza del rapporto di lavoro.

 

La sentenza della Corte d’Appello di Venezia n. 133/2024 offre l’occasione per approfondire un tema sul quale non si rintracciano precedenti specifici, ovvero l’obbligo, in capo al datore di lavoro, di recuperare, per conto dell’INPS, gli assegni per nucleo familiare (c.d. “ANF”) indebitamente percepiti dal lavoratore nel caso in cui il rapporto di lavoro sia nel frattempo cessato.

Come noto, il meccanismo di versamento degli ANF prevede che gli stessi vengano anticipati dal datore di lavoro, che poi recupera quanto versato per conto dell’INPS conguagliando tali somme con quanto dovuto all’Istituto a titolo di contributi. Più in particolare, il d.P.R. n. 797/1955 prevede che:

  • gli assegni familiari sono corrisposti agli aventi diritto a cura del datore di lavoro alla fine di ogni periodo di pagamento della retribuzione” (art. 37, co. 1);
  • Entro 10 giorni dalla fine di ciascun mese il datore di lavoro deve comunicare alla sede provinciale dell'Istituto nazionale della previdenza sociale, in apposito modulo stabilito dall'Istituto stesso, l'ammontare dei contributi dovuti, il numero e l'ammontare degli assegni corrisposti nei periodi di paga scaduti nel corso del mese precedente distintamente per quanto si riferisce agli operai e agli impiegati, gli estremi dei versamenti e dei rimborsi di cui all'articolo seguente e tutte le indicazioni necessarie per assicurare il pagamento dei contributi e la corresponsione degli assegni” (art. 42);
  • Se l'ammontare dei contributi dovuti risulti superiore all'ammontare degli assegni corrisposti, il datore di lavoro provvederà, entro lo stesso termine di cui all'articolo precedente, a versare l'eccedenza all'Istituto nazionale della previdenza sociale… Se invece l'ammontare degli assegni corrisposti risulti superiore all'ammontare dei contributi dovuti, l'Istituto predetto provvederà a rimborsare l'eccedenza al datore di lavoro” (art. 43).

Qualora, poi, emerga che gli ANF sono stati, in realtà, indebitamente percepiti dai lavoratori, l’art. 24 del d.P.R. n. 797/1955 prevede che “le somme che questi devono restituire sono trattenute sull’importo degli assegni da corrispondersi ad essi ulteriormente o su ogni altro credito derivante dal rapporto di lavoro”.

Ciò premesso, il caso di specie risulta molto particolare in quanto, nel periodo in cui l’Azienda stava recuperando le somme indebitamente percepite dalla lavoratrice attraverso versamenti rateali all’INPS e corrispondenti trattenute sulla busta paga, la lavoratrice rassegnava le dimissioni con effetto immediato. L’Azienda, in ragione dell’impossibilità di recuperare ulteriormente le somme dalla lavoratrice, comunicava, quindi, all’INPS la sospensione dei pagamenti.

A seguito di tale sospensione, l’INPS notificava avviso di addebito per la differenza tra quanto dovuto e quanto già versato, oltre sanzioni ed interessi. Avverso tale avviso di addebito, la Società presentava opposizione avanti al Tribunale di Verona.

Il Giudice di primo grado, ritenuto che non si trattasse di un’omissione contributiva, in parziale accoglimento del ricorso, dichiarava non dovuti sanzioni ed interessi, condannando, tuttavia, la Società a pagare all’INPS la parte rimanente dei contributi portati in compensazione. Secondo il Tribunale, infatti, la circostanza della cessazione del rapporto di lavoro doveva ritenersi “ininfluente… poiché è nel momento in cui sorge il diritto dell’Inps di richiedere gli importi erogati a titolo di ANF e non spettanti che deve essere individuata la legittimazione passiva in capo al datore di lavoro nel caso in cui… il rapporto di lavoro sia ancora in essere”.

Avverso tale decisione proponeva appello l’INPS e la Società presentava, a sua volta, appello incidentale avverso tale capo di sentenza.

In questo contesto, la Corte d’Appello di Venezia si è, quindi, trovata a decidere in merito alla legittimità della pretesa dell’INPS nel caso – del tutto particolare – in cui il rapporto di lavoro sia cessato nelle more del recupero degli ANF indebitamente percepiti.

Ebbene, il Collegio ha ritenuto che sussista effettivamente un obbligo di recupero delle somme indebitamente percepite da parte del datore di lavoro proprio in ragione di quanto previsto dall’art. 24 del d.P.R. 797/1955 sopra citato. Tuttavia, ha chiarito – per la prima volta espressamente – che la fonte dell’obbligo restitutorio debba ritrovarsi “nella permanenza del rapporto di lavoro” e che, pertanto, una volta venuto meno il rapporto di lavoro, nulla sia più dovuto da parte dell’Azienda.

Nell’arrivare a tale conclusione, la Corte di Appello si è basata, in particolare, sulla pronuncia della Corte di Cassazione n. 19261/2013, che, se pur in un caso diverso, aveva dichiarato “il difetto di legittimazione passiva del datore di lavoro nell'azione di ripetizione delle somme indebitamente corrisposte a titolo di assegni familiari promossa dall'INPS, allorquando il rapporto di lavoro sia cessato per qualunque causa; tanto sul rilievo che, in tal caso, il datore di lavoro non potrebbe recuperare dai lavoratori le somme a costoro indebitamente anticipate con le modalità indicate nell'art.24 del d.p.r. n.797/1955 citato, queste ultime presupponendo l'attualità del rapporto”.

La sentenza in commento risulta, oltre che coerente con il tenore delle norme in materia di erogazione e recupero degli ANF e con la relativa interpretazione giurisprudenziale, anche conforme ai principi di giustizia e ragionevolezza.

Ed infatti, nel rapporto di erogazione degli ANF, il datore di lavoro assume la qualità di mero anticipatore delle somme dovute al lavoratore a titolo di prestazione a sostegno del reddito, rispetto alla quale l’unico soggetto obbligato ex lege al pagamento è l’INPS. Si tratta, in sostanza, di un meccanismo di “anticipo e recupero” che coinvolge il datore di lavoro solo come mero anticipatore della somma, mentre l’obbligato passivo al pagamento resta l’INPS e l’unico titolare del credito è il lavoratore. Allo stesso modo, nel caso in cui tali somme risultassero indebitamente percepite, unico soggetto tenuto alla relativa restituzione è il lavoratore che di quelle somme ha giovato.

In tale contesto, se si ritenesse di onerare il datore di lavoro a recuperare per conto dell’INPS gli ANF risultati poi indebitamente percepiti, pur essendo nelle more cessato il rapporto di lavoro, lo stesso si troverebbe ad essere pregiudicato da una situazione del tutto al di fuori del proprio controllo (non avendo, peraltro, alcun potere né onere di verifica in merito all’effettiva sussistenza dei presupposti per l’ottenimento degli ANF), trovandosi costretto a versare all’Istituto somme rispetto alle quali non avrebbe poi più alcuna possibilità di recupero.