Le indagini aziendali, il diritto di accesso difensivo ed il rispetto della privacy

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Le indagini aziendali, il diritto di accesso difensivo ed il rispetto della privacy

Abstract

Il presente approfondimento analizza il complesso rapporto che intercorre tra il rispetto della privacy nelle indagini aziendali ed il diritto di accesso ai dati personali traendo spunto da una decisione del Garante della Privacy che con provvedimento n. 290 del 6 luglio 2023 ha sanzionato un’azienda erogatrice di pubblici servizi ritenendo illegittimo il diniego opposto al proprio dipendente all’accesso ai propri dati personali compresi quelli contenuti nella relazione dell’Agenzia investigativa incaricata di raccogliere informazioni sul suo conto.

 

1. Premessa introduttiva

La protezione dei dati personali e la tutela del diritto alla privacy sono principi sanciti dal Regolamento Generale sulla Protezione dei Dati (GDPR, dall’inglese General Data Protection Regulation) che disciplina le modalità di trattamento dei dati personali ed è, ovviamente, applicabile anche al contesto lavorativo con particolare riferimento al rapporto datore di lavoro dipendente fermo restando che anche in tale ambito il rispetto di detti            principi implica il bilanciamento tra l’interesse aziendale e la tutela della riservatezza del dipendente.

Deve, infatti, tenersi conto che il nostro legislatore, in linea di massima, consente al datore di lavoro di commissionare indagini aziendali, anche a fronte di semplici sospetti, purché sia assicurata l’osservanza dell’art. 8[1] dello Statuto dei Lavoratori che vieta l’effettuazione    di indagini, anche affidate a terzi, sia ai fini dell’assunzione che nel corso dello svolgimento del rapporto qualora vertano “su fatti non rilevanti ai fini della valutazione dell’attitudine professionale del lavoratore”.

La decisione del Garante n. 290 del 6 luglio 2023 offre, quindi, lo spunto per soffermarsi anche su alcuni aspetti dell’accesso difensivo che, nel caso di specie, è stato illecitamente negato al dipendente al quale è stato opposto il diniego ad ottenere tutte le informazioni   relative ai propri dati personali raccolti da un’agenzia investigativa incaricata dall’azienda           ed utilizzati per una contestazione disciplinare impugnata in sede giudiziaria.

 

2. Le indagini aziendali

Come accennato le indagini aziendali sono ammesse e rappresentano un aspetto molto delicato del rapporto tra datore di lavoro e dipendente in quanto comportano il rischio costante di una violazione del diritto alla privacy a causa di un illecito trattamento dei dati personali[2].

Il datore di lavoro può, infatti, avvalersi di una agenzia investigativa, specializzata indagini aziendali a condizione che si tratti di verifiche preordinate ad accertare che la condotta di uno o più lavoratori dipendenti risulti contraria agli obblighi di fedeltà e diligenza e/o non rispettosa dei regolamenti interni all’azienda.

Le indagini aziendali vengono esperite esclusivamente a fronte di un regolare mandato d’incarico, sottoscritto dal proprietario o dal legale rappresentante dell’azienda datrice di lavoro e titolare del diritto giuridicamente rilevante.

Gli investigatori privati potranno, quindi, intraprendere investigazioni solo sulla base di un apposito incarico conferito per iscritto in cui occorre specificare il diritto al quale l´investigazione è collegata e/o i motivi della richiesta di investigazione nonché  il termine entro il quale essa deve concludersi. Di regola, il buon esito delle indagini aziendali è frutto di una stretta collaborazione tra datore ed investigatore, in quanto lo scambio di informazioni tra le parti può essere fondamentale per una mirata attività investigativa.

La scelta dell’agenzia investigativa specializzata in indagini aziendali assume, quindi fondamentale importanza sia in termini di risultati che di costi dell’attività investigativa preordinata alla raccolta di prove sufficienti da compendiare in una relazione tecnica in cui sarà riportato tutto quanto riscontrato durante l’osservazione statica e/o dinamica del dipendente.

Tale relazione, suffragata anche dalla testimonianza giurata degli investigatori che hanno di fatto condotto le indagini aziendali può anche assumere valore probatorio in un eventuale giudizio.

E’ utile tenere conto che, pur non avendo obbligo di risultato, l’investigatore, che deve essere in possesso di Licenza di Pubblica Sicurezza, assume una obbligazione di mezzi ed è tenuto comunque al rispetto di tutti gli obblighi alla pari di un comune cittadino con particolare riferimento alle   disposizioni in materia di protezione dei dati personali.

Sono quindi assolutamente vietate e penalmente sanzionate la violenza privata, la violazione di domicilio, le illecite interferenze nella vita privata del dipendente, la violazione di corrispondenza, le intercettazioni di comunicazioni o conversazioni telematiche o telefoniche nonché la diffusione di registrazioni e riprese con modalità fraudolente.

Va, anche, ricordato che il persistere nel pedinamento del dipendente, anche dopo che quest’ultimo si è accorto di essere controllato, può configurare il reato di molestie.

 

3. L’accesso difensivo

L’accesso difensivo nel nostro ordinamento è disciplinato dal comma 7[3] dell’art. 24 della L. 241/1990.

I presupposti legittimanti di tale tipologia di accesso, relativo a documenti indispensabili e finalizzati a curare o difendere i propri interessi giuridici, sono stati ben definiti dall’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato con la Sentenza n.18 marzo 2021, n. 4 in cui  viene circoscritto l’oggetto della situazione legittimante l’accesso “difensivo” rispetto all’accesso “ordinario” e chiarito che, qualora venga formulata un’istanza di accesso ai documenti finalizzata alla difesa giudiziale, la P.A. deve valutare  che:

  • si tratti di interesse ostensivo diretto, concreto ed attuale alla cura in giudizio di determinate fattispecie;
  • sussista un certo “collegamento” tra atti richiesti e difese da allestire;
  • la richiesta ostensiva sia adeguatamente e dettagliatamente motivata dalla parte istante.

Sono, quindi, da escludere riferimenti a generiche esigenze probatorie e difensive anche se riferite a un processo pendente o instaurando in quanto l’ostensione del documento è sottoposta alla rigorosa verifica del nesso di strumentalità necessaria tra la documentazione richiesta e la situazione finale controversa.

Ai fini del bilanciamento tra il diritto di accesso difensivo preordinato all’esercizio del diritto alla tutela giurisdizionale in senso lato e la tutela della riservatezza, secondo la previsione dell’art. 24, comma 7, della legge n. 241 del 1990, l’Adunanza Plenaria si è espressa nel senso che non trova applicazione il criterio della stretta indispensabilità (riferito ai dati sensibili e giudiziari) ma il criterio generale della “necessità” ai fini della cura e della difesa di un proprio interesse giuridico, ritenuto dal legislatore tendenzialmente prevalente sulla tutela della riservatezza, a condizione del riscontro della sussistenza dei presupposti generali dell’accesso documentale di tipo difensivo.

Il giudizio di bilanciamento tra il diritto alla riservatezza e la posizione giuridica sottesa alla richiesta di accesso deve, quindi, essere operato in concreto e caso per caso in base alla pretesa azionata o azionabile in giudizio e non in relazione alla posizione lesa costituente presupposto dell’azione.

 

4. La decisione del Garante della privacy n. 290 del 6 luglio 2023

La materia del rispetto della privacy nelle indagini aziendali ed il diritto di accesso ai dati personali raccolti da un’agenzia investigativa incaricata dal datore di lavoro costituisce il fulcro della decisione del Garante della privacy che, nel caso di specie, ha  sanzionato un’azienda erogatrice di pubblici servizi ritenendo illecito il diniego opposto al proprio dipendente all’accesso ai dati contenuti in una relazione dell’Agenzia investigativa incaricata di raccogliere informazioni sul suo conto. 

Il Garante per la Protezione dei dati Personali con provvedimento n. 290 del 6 luglio 2023[4] ha sancito l’illeceità del trattamento dei dati effettuato da parte dell’azienda comminando una multa di 10mila euro, evidenziando, in particolare, che:

  • il lavoratore ha il diritto di accedere ai propri dati personali in forma completa e aggiornata, inclusi quelli contenuti nella relazione dell’agenzia investigativa incaricata dal datore di lavoro di raccogliere informazioni su di lui;
  • il datore di lavoro è tenuto a fornire al lavoratore tutti i dati raccolti e contenuti nella relazione investigativa, compresi quelli non trasferiti nella contestazione disciplinare.

 

4.1 – Il fatto

In merito ai fatti è utile evidenziare che l’Autorità era intervenuta a seguito del reclamo di un dipendente che non riusciva ad ottenere completo riscontro alle richieste di accesso ai propri dati personali. 

Dette istanze erano state avanzate dopo il ricevimento di una contestazione disciplinare in cui erano contenuti puntuali riferimenti ad attività extra lavorative, svolte dal reclamante tra il 1°dicembre 2020 e il 18 gennaio 2021, dopo aver attestato la presenza in servizio mediante timbratura cui era seguito il licenziamento.

Alle diverse e progressive istanze dell’interessato, l’azienda aveva, infine, eccepito la eccessiva genericità delle richieste con invito ad indicare dettagliatamente le informazioni di cui si intendeva ottenere l’accesso.

Degna di nota è, anche, la circostanza che solo a distanza di quasi un anno dalla prima richiesta e in occasione della costituzione dell’azienda nel giudizio di impugnazione del licenziamento, il dipendente era venuto a conoscenza sia dell’esistenza che del contenuto della relazione investigativa da cui erano stati tratti i sopra citati specifici i riferimenti poi inseriti nella contestazione disciplinare.

 

 4.2 - La motivazione della decisione

La motivazione del  provvedimento emesso dal Garante si fonda, in particolare, sul principio che tutte le informazioni  possono essere utili per l’esercizio del diritto di difesa e,  pertanto, l’azienda ha l’obbligo di fornire al lavoratore tutti i dati raccolti con la relazione investigativa compresi quelli che non erano stati trasferiti nella contestazione disciplinare (fotografie, una rilevazione Gps, descrizioni di luoghi, persone e situazioni), conformemente agli artt. 12 e 15 del Regolamento Generale sulla protezione dei Dati e  soprattutto ai sensi di  quanto prevede l’art. 5, par. 1, lett. a) del Regolamento in parola in base al quale la trattazione dei dati personali nei confronti dell’interessato deve avvenire nel rispetto dei principi di “liceità, correttezza e trasparenza”. 

Il Garante, infatti, giustamente osserva che “nei riscontri forniti al lavoratore, l’azienda, violando il principio di correttezza, non aveva fatto cenno all’esistenza della relazione investigativa né aveva motivato il diniego di accesso ai dati contenuti in tale  documento” e stigmatizza la violazione dell’obbligo riconducibile al titolare del trattamento dei dati di fornire l’accesso ai dati personali dell’interessato “in forma completa e aggiornata, indicandone l’origine  qualora non siano raccolti direttamente dal titolare del trattamento presso l’interessato”.

Giova , infine, ricordare che la decisione del Garante, anche se riferita alla violazione dei principi di liceità, correttezza e trasparenza del trattamento dei dati personali, trae il principale fondamento  dall’ormai consolidato orientamento giurisprudenziale che ritiene legittimo l’utilizzo di agenzie investigative per controlli intesi a rilevare mancanze specifiche e comportamenti estranei alla normale attività lavorativa, che abbiano rilevanza, non come mero inadempimento contrattuale, ma come autonome fattispecie illecite. 

Tali indagini investigative nei confronti dei propri dipendenti devono, come nel caso di specie, essere finalizzate ad accertare eventuali comportamenti infedeli senza estendersi al controllo sul corretto adempimento della prestazione lavorativa che è vietato dagli artt. 3 e 4 Statuto Lavoratori. (Corte di Cassazione, Sez. Lavoro Ordinanza 24 agosto 2022, n. 25287[5]). 

La liceità di tali indagini non esime il datore di lavoro dal rispetto della normativa sul trattamento dei dati personali e sul diritto di accesso obbligandolo a tenere sempre e comunque conto del giusto bilanciamento degli interessi coinvolti, ed a valutare nella giusta misura che eventuali limiti al diritto di accesso non confliggano con il diritto a difendersi e siano giustificati dal principio di proporzionalità, quale metodo equilibratore tra la necessaria conoscibilità degli atti e la protezione dei dati personali.

 

 

[1] Legge n.300 del 20.5.1970 Art. 8 (Divieto di indagini sulle opinioni)

È fatto divieto al datore di lavoro, ai fini dell'assunzione, come nel corso dello svolgimento del rapporto di lavoro, di effettuare indagini, anche a mezzo di terzi, sulle opinioni politiche, religiose o sindacali del lavoratore, nonché su fatti non rilevanti ai fini della valutazione dell'attitudine professionale del lavoratore.

[2]  DATI PERSONALI: sono quelli identificabili in tutte le informazioni relative ad una persona fisica  ed  all’interno di tale categoria si distinguono: “dati sensibili” che rivelano l’origine razziale o etnica, le convinzioni religiose, filosofiche o di altro genere, le opinioni politiche, le adesioni a partiti, sindacati, associazioni, organizzazioni a carattere religioso, filosofico, politico o sindacale ; “dati sensibilissimi” che riguardano lo stato di salute e la vita sessuale; “dati giudiziari”, particolare sotto categoria di dati sensibili, che rivelano eventuali provvedimenti in materia di casellario giudiziale, anagrafe delle sanzioni amministrative dipendenti da reato e dei relativi carichi pendenti o la qualità di imputato od indagato in un procedimento penale.

[3]  L. 241/1990 - Art. 24, comma 7  “Deve comunque essere garantito ai richiedenti l’accesso ai documenti ammnistrativi la cui conoscenza sia necessaria per la cura o per difendere i propri interessi giuridici. Nel caso di documenti concernenti dati sensibili e giudiziari, l’accesso è consentito nei limiti in cui sia strettamente indispensabile e nei termini previsti dall’articolo 60 del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, in caso di dati idonei a rilevare lo stato di salute e la vita sessuale”.

[4] Il testo del provvedimento è pubblicato al seguente LINK

[5] Il testo dell’Ordinanza è pubblicato al seguente LINK